Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne' monti che li circondano/Capo IX

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Capo IX. Valli Vegezza, Canobina e Maggia

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Capo VIII Capo X
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CAPO IX.

Valli Vegezza, Canobina e Maggia.


Se, ritornando a Domo dal Sempione o da vall’Antigorio, vorrete vedere la val Vegezza, piegherete a Levante, e lasciando a sinistra [p. 104 modifica]Monte Crestese, da Masera, comincierete a salire costeggiando la Melezza occidentale, che nasce all’ovest di quella valle, e sotto Masera gettasi nella Tosa. La prima salita è ardua, sebbene selciata di ciottoli. Voi vedrete alla destra Trontano, ov’ebbe sede un tempo il famoso eretico Dolcino Novarese, che perì nelle fiamme al principio del secolo xiv. Ora Trontano ha nome per le buone castagne marrone; e per esso anche passa talora chi da Domo va in val Vegezza; ma la strada non è nè la migliore, nè la più breve. I monti sono di scisto micaceo; e in un luogo, detto i Buseni, lo scoglio superiore, misto a qualche strato d’argilla biancastra, per un buon miglio è in tale stato di disfacimento, che quella via, pei massi che rotolan dall’alto, è perigliosa allo sciogliersi delle nevi, e all’occasione di procelle. Ivi trovasi della stralite verde cristallizzata (actinote). Vedonsi a luogo a luogo di quelle torri telegrafiche, che edificate sono per tutte le nostre valli, là dove temeasi una discesa del nemico dalle Alpi. Una ve n’ha oltre i Buseni sur un nudo scoglio presso la strada.

Vedesi in alto Coimo, primo paese della val Vegezza. Viensi a Riva, ove alcune cascate del torrente fra massi e strati di dura breccia presentano una scena pittoresca: indi a San Silvestro; e giugnesi al luogo alquanto [p. 105 modifica]elevato della valle, daddove le acque dividonsi fra le due Melezze, una delle quali, come vedemmo, cade nella Tosa, e l’altra raccogliendo i fiumi Centovalle e Osernone, si unisce alla Maggia, con cui gettasi nel Verbano a Locarno. In alcune Carte questo fiume è chiamato Malesco.

Questo, sino a Crana, non riceve quasi nessun’acqua dall’ovest, ma viene dal nord, cioè da un’alta vetta, detta la Piodina di Crana. Se il naturalista andrà salendo da Crana sino alle Alpi di Trence, che sono gli ultimi pascoli, confinanti colla neve sotto la mentovata vetta, non si dorrà d’aver faticato indarno. A Crana vedrà la scogliera che stringe l’alveo del fiume, e nello scoglio qualche strato di sasso bianco e fragile. Presso questa scogliera si fa la serra, cioè l’acqua del fiume ritiensi, e sostiensi in modo da formare una specie di lago, a cui per mezzo d’una Sovenda trasportansi i tronchi di molte migliaia d’abeti, di larici, di pezzi, di teglioni (Pinus abies, larix, picea, taeda L.) e di faggi.

Per ciò ben intendere, conviene spiegare con qualche chiarezza questa parte importante dell’economia delle Alpi nostre, che pochi paesi sanno imitare, sebbene i nostri Alpigiani da qualche anno tentino di portare la loro arte nelle più boscose regioni del Nord, e [p. 106 modifica]dell’America stessa. Le Alpi nostre, ove sono a bosco, veggonsi al basso vestite di faggi, al mezzo di pezzi e di teglioni, e in alto di larici, che danno il più utile di tutti i legnami. Cavasi prima dai pezzi le pece, da teglioni la ragia, e da questa il nero di fumo, e da larici la trementina; ma le Comunità, che di ordinario sono le proprietarie de’ boschi, difficilmente il consentono, se non per gli alberi non trasportabili, atteso il danno gravissimo che le incisioni fanno. Vendon esse all’incanto al maggior offerente il diritto di tagliare il bosco, lasciando però intatte le piante che non hanno un dato diametro. S’atterra l’albero, si priva de’ rami e della corteccia il tronco, e dividesi in parti, dette borre, lunghe sei braccia (11 piedi parigini) se hanno per lo meno un piede e mezzo (mezzo metro) di diametro, e lunghe otto braccia (poco meno di 5 metri) se il diametro è minore. Queste borre devono mandarsi al fiume che le trasporti; e a tal oggetto si fa la Sovenda, cioè una strada inclinata e, per quanto si può, diritta, che ogni valletta e burrone attraversa. Si profitta del fondo ov’è opportuno; quindi si costruisce a foggia d’argine, cogli inutili rami de’ recisi alberi, con sassi e sovrapposta terra, l’inclinata strada: nel fitto inverno copresi questa con alto strato di neve, e sovra la neve fassi passar dell’acqua [p. 107 modifica]che vi geli, finchè tutta la strada riducasi ad un ghiaccio solo. Spingono gli uomini su quest’ampio sentiere di ghiaccio le borre, che venendo ajutate ove s’arrestano o sviano, con poca fatica de’ giornalieri, precipitano al fiume, e portansi alla mentovata serra. Quando qui sono adunate, s’apre con ingegnoso e semplice macchinismo, ma non senza qualche pericolo, la serra, in tempo d’esuberanza d’acqua; e tutto il legname è portato al lago, ove si raccoglie, e si forma in zattere, che fornite di molte vele, talora sino a venti e trenta, sono dal vento del nord portate in parte alle seghe d’Intra, e parte ne viene a Milano.

Nello scoglio per cui da Crana si sale, non solo v’è dell’argilla biancastra, ma a luogo a luogo anche qualche filoncino di ferro. S’entra quindi fra boschi, e poscia giugnesi al granito venato, o in tavole, del quale è ad arte stratificata la via, abbellita anche nella state dal rododendro ferrugineo.

Nel torrente di val di Forno, che attraversa la via dell’Alpe di Trence, evvi uno strato di pirite sulfurea or in massa or in polvere; e grandi strati, o forse semplici ammassi, pur vi sono di arena finissima e candida di quarzo e feldspato, e di un’altra sostanza, di cui or ora parlerò.

Volendo salire ai più elevati pascoli, percorronsi de’ fertili prati. [p. 108 modifica]

Quando vi fui nel 1797, mio oggetto primario era il vedervi certo sasso candido, composto di cristalluzzi, che facilmente sfarinavasi, e di cui m’erano stati mostrati de’ saggi sotto nome di caolino. Io lo trovai vicino alle ultime capanne de’ pastori, e poco sotto la neve che vi si conserva tutto l’anno, entro il burrone, coperto allora in gran parte da sassi superiormente cadutivi. Il nocciolo del monte è di granito in tavole, facile a dividersi in istrati, e a suddividersi in pezzi angolari; e tale è tutto il monte sino alla vetta, formata di nudi scogli, inclinati al S.O, a foggia di immensi tetti. Il caolino, che pur io così chiamerollo, trovasi in un filone perpendicolare agli strati del granito. Questo filone, che ha molti piedi di larghezza, è d’una sostanza grigio-nericcia lamellosa e tenera, entro cui corrono rilegature candide; e queste sono il caolino. Ove questo è puro, trovasi cristallizzato in colonnette fibrose quadrangolari, troncate in cima, ove formano or un quadrato or un rombo. Le più lunghe colonnette hanno 2 lin. di lunghezza e 1/8 di lin. di diametro. La rilegatura di caolino più larga fra quelle che vidi è di circa 4 pollici, ma esse sono frequentissime. Vi si trova a lati, come formante la ganga, una sostanza bianca verdognola, simile alla smettite per la morbidezza e pel colore, e che s’impasta come l’argilla. [p. 109 modifica]Vi son lì presso anche delle rilegature di duro quarzo. Questo caolino seccato diviene finissima polvere: messo al fuoco d’una fornace, imbianca maggiormente e s’indura; e pare che debba prendere la semi-vetrificazione della porcellana, se verrà esposto al fuoco necessario. Per mezzo del borace fondesi in un vetro bianco. Certo è che i cristalluzzi di questa sostanza somigliano affatto a quei che risultano dal disfacimento dei cristalli bianchi del feldspato e della laumonite di Baveno. Questa nostra terra ha pure la facoltà d’imbiancar l’olio, che il ch. Bonvicino trovò in quella di Baudissero.

Poche ore di là distante, sul monte che sta all’est, vi sono delle acque sulfuree termali, ma per la loro soverchia altezza, e l’incomoda via, son trascurate. Da Craveggia vi si va in quattr’ore. Non tacerò essermi stato detto che un forte puzzo d’acqua epatica sentesi nel monte meridionale della valle sopra Malesco; ma le acque sulfuree colà non sono conosciute.

Chi da Crana vuol percorrere la valle, o tiensi alla sinistra del fiume, e passa per Vocogno (dal qual nome Guido Ferrari argomenta che in questa valle abitassero i Vocontii) per Graveggia, Dernasco, Prestinone, Fosseno, Bertogno, le Villette, Re e Felsogno; o tiensi alla destra, e va a S. Maria, [p. 110 modifica](capo-luogo della valle) indi a Malesco. Re, che è quasi l’ultimo paese, è un villaggio più considerevole degli altri pel frequentato e ricco Santuario. Ivi, mentre il divoto esamina la pittura, che dicesi avere versato sangue, e le ricche suppellettili della chiesa, il naturalista guarderà i sassi bianchi e neri del pavimento, de’ quali il primo è marmo d’una cava che sta sopra Malesco, e non invidia forse il carrarese, e l’altro è la mentovata lavezzela che in quei luoghi abbonda.

Maion è il più oriental luogo di questa valle. Lì presso è una miniera di ferro, che fu sperimentata, ma non si lavora.

È rimarchevole che questa valle, tanto a Riva verso ovest, quanto a Maion verso est, trovasi chiusa da una breccia; il che prova che qui v’era un lago. Ora è coltivata, quanto la sua posizione e altezza sua lo permette, a segale e a pascolo. Una vite è qui una rarità. Gli abiti delle Vegezzine sono per la forma e ’l colore quali erano due secoli fa, quantunque sovente profuso vi sia l’oro.

Fra gli animali, oltre i domestici e i comuni agli altri paesi, vi trovai numerosi i tassi, i corvi a piè e becco rossi (Corvus eremita L.) e la farfalla Apollo. È noto esservi nelle nostre alpi anche l’orso, il tasso, il lupo, il cerviero, lo stambecco, il camozzo ec.

Proseguendo per la via che costeggia la [p. 111 modifica]Melezza, viensi a Disimo e ad Olgia, ove entra in essa un altro considerevol torrente, oltre cui sono i confini svizzeri. Perde poi la Melezza il suo nome quando si confonde col Centovalle, sebbene nè questo fiume, nè l'Osernone, che viene dalla valle contigua all'est, le facciano mutare direzione, che solo cambia quando getta le acque sue nella Maggia per portarsi verso il sud a Locarno. Centovalle e Osernone son ben popolate valli; ma pare che non siavi altra industria che quella del bestiame e de’ legnami. Di Locarno e di val Maggia, alla fine di questo Capo.

Volendo tornare al lago per val Canobina, si sale alla vetta meridionale, ov'è meno alta; percorresi una valletta solitaria, ove veggonsi grandi frane del monte che e di roccia micacea; e oltrepassata piccola vetta, trovasi Finero, buon villaggio in un altissimo piano. V'è quindi a passare il sasso di Finero, ch'è una lunga scogliera quasi a picco, sulla cui occidentale faccia è un angusto sentiere che guarda un precipizio. Non vi si passa però, almeno di state, con quel pericolo che generalmente s' annunzia. Viensi a Cursolo, ove vedonsi de' filoni di bianco marmo primitivo, da cui traggono la loro calce quegli abitanti.

Dopo Cursolo v'è Aurasco, lasciando a destra Guro, indi Falmenta; e dopo d'aver [p. 112 modifica]oltrepassato un burrone che corre su strati d’un sasso nero, si giugne a Spozio. Di là viensi a Cavaglio, e poscia discendesi a Oltrafiume e a Canobio.

La valle Canobina, che da Finero sin qui stendesi, è angusta e miserabile: uno de’ maggiori suoi prodotti è la corteccia dei querciuoli, che gli abitanti spogliano, (con danno gravissimo de’ boschi) gettandone i tronchi marcati nel fiume che li porta al lago, e vendendone la corteccia sotto nome di Rusca a’ conciatori di pelli, che in Canobio hanno antiche ed estese manifatture. Vuolsi che le pelli di capra, dette a sommaco, qui riescano meglio che altrove, per la purezza delle acque. Maccaneo, che scrivea nel secolo xv, chiama Canobio emporium mercis coriaceae; e Morigia nel secol xvi rilevò da libri di dogana che veniano da Canobio a Milano annualmente 50,000 pelli minute, e 12,000 corami grossi. Oggidì vi sono ancora le stesse manifatture, ma meno estese. V’è qui pure l’antico donnesco lavoro di merletti, come v’era allora.

Oltre le mentovate manifatture, l’uom divoto e’l curioso andranno a vedere la chiesa della Pietà eretta in occasione del miracolo d’una costa che, secondo la tradizione locale, si alzò e gettò sangue da un’immagine del Salvatore dipinta sul muro. Il disegno della [p. 113 modifica]chiesa è di Bramante, e v’ha in essa delle belle tavole, e de’ bei freschi di valenti pittori, fra i quali si nomina Gaudenzio Ferrari. Maccaneo riporta alcune vetuste iscrizioni qui esistenti di Primitiva e di Cominia, dalla qual famiglia fors’ebbe il nome il villaggio di Comignago1. In tempo della repubblica milanese e delle civili dissensioni, i Canobini voller pur essi reggersi a [p. 114 modifica]repubblica, e sostennero il partito de’ Visconti; onde ottennero che il paese loro e la lor valle al Metropolita di Milano, anzichè al più vicino Vescovo di Novara, fosse soggetta.

Da Canobio per terra vassi verso nord, per s. Agata, s. Bartolommeo e Lero, a Brissago, prima terra svizzera; e di là per Losone e Ascona a Locarno; ma giova far il viaggio per acqua. Presso Ronco v’è un paesuccio detto Moscia, ove fu ucciso un Iguano, o sia un enorme lucertone, nel maggio del 1811 dal sig. Priore Berni d’Ascona. Di quest’animale riparlerò alla fine del Capo XVIII.

E’ Locarno un bel paese, anzi una piccola città, eccellentemente esposta al sud-est, e difesa dal nord; sicchè malgrado la sua latitudine di 46 gr. 10’, ha una dolcissima temperatura, e gli agrumi stessi esigono nell’inverno minori cautele che altrove.

Se percorrer si vuole la val Maggia, si costeggia sempre la sinistra del fiume, in cui presso Losone entra il Centovalle, o sia la Mellezza di cui parlammo. Poi si passa pe’ villaggi di Avegno, Bardagno, Cono, Eumane, Sonco, Penda e Maggia; paese che dal fiume ha preso il nome, o ad essa lo diede, e questo diello alla valle.

Da Locarno sin qui, e ancor più oltre sino a Cevio, la strada passa ora sull'arena e la ghiaia del fiume, ora sotto pergolati di [p. 115 modifica]vigna palificata di granito venato o sia beola, ma talora troppo angusti per chi è a cavallo. Si ha pur sovente a fianco la roccia micacea di varia composizione, e sempre a strati quasi verticali.

Dopo una breve mezz’ora di cammino la strada sale, e si sta su una specie di cornice, sotto cui vedesi a picco il fiume. Qui la roccia è a strati ondati e quasi orizzontali. Di là, guardando l’alto della valle, veggonsi gli sporti della montagna che, tagliata dal fiume, forma angoli salienti corrispondenti ai rientranti; e tutto il dosso de’ monti è coperto di foreste, le quali sono di molto prodotto a quegli abitatori, che col legname vendono la loro fatica e la loro industria.

Si giugne in un quarto d’ora a Coglio, e quindi a Giumaglio, prima della qual terra si passa sur un elevato e largo ponte d’un sol arco, costruito sopra una bella cascata, presso cui vedesi la roccia micacea quasi sempre a strati verticali. Poco più di un miglio dista da Giumaglio Sumeo, terra sino alla quale la valle è larga e coltivata, e poi si ristringe; e la strada portasi sullo scoglio di granito venato.

Si tragitta sur un battello la Maggia per andare a Cevio, capo luogo della valle. Ivi, chi vuol andare in val Formazza pel passo della Forca del Bosco, abbandona il ramo [p. 116 modifica]settentrionale del fiume, e risalendo l’occidentale, va a Bugnasco, ultimo paese da viti: attraversa poi un burrone, che taglia grandi strati di granito venato, presso cui veggonsi i castagni e i noci in vigorosa vegetazione: giugne al villaggio di Carinaccia, e poi, tragittando il fiume su ponte appoggiato a strati granitoidi, a quello di Cerentino. Benchè si passi per bei prati e castagneti, trovasi il paese estremamente tetro e in angusta valle, che i boschi stessi anneriscono.

Più misera ancora è la terra detta Bosco, ove per tre mesi dell’anno non vedesi sole. Quantunque il paese appartenga all’Italia, pur vi si parla tedesco, e val Maggia qui dicesi Meinthal. Di là, per ripide praterie, si sale al luogo detto la Forca, passando presso a un laghetto, e in val Formazza si discende.

Dicemmo che a Cevio s’abbandona il ramo settentrionale nella Maggia; ma se questo si rimonti, andando per Brentate, Marzeno, Broilo e Sornico, si passa la vetta del monte orientale, e vassi in val Leventina a Piotta.

In vetta a que’ monti, e nel discendere per le opposte o laterali vallette, trovansi molti de’ prodotti del san Gottardo, dei quali parlerò alla fine del Capo seguente. Ma in questa valle specialmente il chiar. nostro sig. [p. 117 modifica]cav. Pini trovò una pietra candidissima, arenosa nel tessuto, e fragile in modo che fra le dita facilmente stritola, e sfregata dà una luce fosforica rossiccia che dura per qualche tempo. In essa poi trovò, come in sua matrice, dei sorli bianchi e cinerognoli, che hanno delle proprietà rimarchevoli, e uno spato calcareo puzzolente2.


  1. Non il Maccaneo, la cui Corografia del Verbano fu stampata il 1490, nè allora faceasi così bell'uso delle antiche iscrizioni; ma bensì Stazio Trugo Catalauno, o sia Lazaro Augustino Cotta, che la comentò nel 1699, riporta queste lapidi, che sono due, ed esistono, la prima in una casa sulla sponda del lago, l’altra nel già convento de’ Cappuccini. Eccole qui per disteso

    1.

    Diis . Manibus
    COMINIAE . Quinti . Filiae . ATILIANAE
    MATRI . DVLCISSIMAE


    2.

    Diis . Manibus
    HAVE . PRIMITIVA . BENIGNA
    INCOMPARABILIS . FEMINA
    VIVA . MIHI . POSVI


    Al viaggiatore erudito parrà curiosa questa seconda per l’anacoluthon della sintassi, che ha però molti esempli. Qui procede perchè Primitiva vivente ancora si preparò il sepolcro, e scrisse viva mihi posui, e il rimanente scolpir lo fecero dopo la sua morte i parenti o gli eredi (Nota tratta dall'esemplare postillato dal sig. dott. Gio. Labus).

  2. Pini. D’alcuni Fossili singolari, ec. Milano, presso Marelli, 1795.