Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/XIX-XX-XXI-XXII. Montreuil

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XIX-XX-XXI-XXII. Montreuil

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Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
XIX-XX-XXI-XXII. Montreuil
XVIII. Su la via XXIII. Frammento
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XIX

MONTREUIL

Io aveva una volta perduto la valigia di dietro il calesse: io era due volte smontato alla pioggia, e un’altra volta nel fango sino al ginocchio a dar mano al postiglione tanto che la rassettasse; né mi venne mai fatto d’accorgermi del difetto: e solo, come giunsi a Montreuil, alla prima parola dell’oste che mi chiese se m’occorresse un servo, m’avvidi che questo era appunto il difetto.

— Un servo! e’ m’occorre pur troppo — risposi.

— Perché, monsieur — dicea l’oste, — abbiamo uno sveltissimo giovinetto, a cui non parrebbe vero di aver l’onore di servire un inglese.

— Ma, e perciò un inglese piú ch’altri?

— Sono sí generosi! —replicò l’oste.

— Frustatemi — dissi meco — s’io non mi troverò una lira di meno in saccoccia, e stassera.

— Ma hanno anche il modo, monsieur — disse l’oste.

— Nota a mio debito un’altra lira — dissi io.

— Ier sera per l’appunto — continuò l’oste, — un milord anglais presentalit un écu à la fille de chambre. [p. 38 modifica]

Tant pis pour mademoiselle Jeannelon — rispos’io.

Or Jeanncton era figliuola dell’oste; e l’oste, pigliandomi per novizio di francese, m’avvertí, con mia buona licenza, ch’io non dovea dire «tant pis», ma «tant mieux». — Tant mieux toujours, monsieur, se molto o poco si busca; tant pis, se nulla. —

— Gli è poi tutt’uno1 — risposi.

Pardonnez-moi — disse l’oste.

E qui gioverà piú che altrove un avvertimento: badateci ora per sempre. «Tant pis» e «tant mieux» sono due cardini della conversazione francese; e quel forestiero, che se ne impratichirà innanzi di entrare in Parigi, farà da savio.

Un disinvoltissimo marchese francese, alla mensa del nostro ambasciadore, interrogò mister Hume, s’egli era Home poeta.

— No — rispose Hume mansuetissimamente.

Tant pis — soggiunse il marchese.

— Questi è Hume storico — disse un altro.

Tant mieux — soggiunse il marchese. E mister Hume, uomo d’ottimo cuore, gli rese grazie per tutti e due2.

Poiché l’oste m’ebbe addottrinato di questo punto, chiamò La Fleur, nome del giovinotto. — Le dirò, monsieur — dicea l’oste — ch’io non presumo di parlare dell’abilità del giovine: monsieur ne sarà giudice competente; ma, circa la fedeltà, mi scrivo mallevadore con tutto il mio. —

Alle parole dell’oste, e piú al modo con che le disse, l’animo mio si deliberò detto fatto; e La Fleur, che stava fuori aspettando con quel batticuore affannoso che ciascuno di noi tutti figliuoli della Natura avrà alla sua volta provato, entrò. [p. 39 modifica]

XX

MONTREUIL

Io sono corrivo ad appagarmi d’ogni sorta di gentme alla prima; ma piú che mai se un povero diavolo viene a esibire la sua servitú a un sí povero diavolo come io sono: e perch’io so che ci pecco, comporto sempre che il mio giudizio riveda la mia stima, difalcandovi, piú o meno, secondo il mio modo d’allora, il caso, e dirò anche il genere della persona ch’io dovrò governare3.

Vedendo La Fleur, io concedeva il difalco che io poteva in coscienza; ma l’idea tutta ingenua e il primo aspetto del giovine, gli diedero vinta la lite: e però prima l’assoldai, poscia presi a informarmi di ciò che ei sapeva fare. — Se non che dissi meco — scoprirò le sue abilità secondo i bisogni: e poi un francese fa di tutto, —

Or il povero La Fleur non sapeva far altro sopra la terra che battere il tamburo e suonare due o tre marce sul piffero. Ad ogni modo, mi posi in cuore che le sue abilità mi bastassero; e posso dire che la mia dabbenaggine non fu mai tanto derisa dal mio senno quanto per questo esperimento.

La Fleur era comparso nel mondo per tempo, e cavallerescamente come i piú de’ francesi, «servendo»4 per alcuni anni; a capo de’ quali, vedendo pago il suo genio, e che egli, forse o senza forse, doveva starsi contento dell’onore di battere il tamburo, il che gli precludeva ogni piú largo sentiero alla [p. 40 modifica] gloria, s’era ritirato à ses terres, e viveva comme il plaisait à Dieu, di pazienza.

— Su via — disse il Senno percorri la Francia e l’Italia con un tamburino; bel compagno di viaggio! e pagalo.

— E tu cianci — gli risposi io. — Che? la metà della nostra baronia non fa ella forse con un tamburonota compagnon de voyage il medesimo giro, o non ha ella il pifferonota) e il diavolo ed ogni cosa da pagare per giunta?

— Chi ne’ combattimenti ineguali può schermirsi con un équivoque non ha sempre la peggio.

— Pur tu saprai far qualche altra cosa, La Fleur?

— Oh qu’oui! Sapea cucire un paio di calzerotti, e suonare un poco il violino.

— Bravo! — mi gridò il Senno.

— Perché no? — gli risposi: — suono anch’io il violoncello; ci accorderemo benissimo.

— Tu saprai maneggiare i rasoi e racconciare un po’ una parrucca, La Fleur? —

Quest’era appunto la sua vocazione.

— Per mia fé! basta — diss’io, interrompendolo, — e dee bastare per me. —

Venne intanto la cena; e, vedendo un vispo bracchetto inglese da un lato della mia seggiola, e dall’altro un valletto francese a cui la natura aveva con liberalissimo pennello dipinto il volto d’ilarità, tutta la gioia dell’anima mia esultava del mio impero; e se i monarchi sapessero cosa si vogliano, esulterebbero al pari di me.

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XXI

MONTREUIL

Perché La Fleur fece meco tutto il viaggio di Francia e d’Italia, e verrà spesso in iscena, parmi di affezionargli alquanto meglio i lettori. Sappiate ch’io non ebbi mai da pentirmi sí poco degli impulsi, che per lo piú mi fanno risolvere, come con questa creatura: fedelissima, affettuosa, semplice creatura fra quante mai s’affannarono dietro le calcagna di un filosofo; e quantunque delle sue perizie di suonatore di tamburo e di sarto da calzerotti, ottime in sé, non potessi veramente giovarmi, la sua giovialità m’era largo compenso, suppliva a tutti i difetti. I suoi sguardi m’erano fidato rifugio in tutti i disagi e pericoli: intendo solo de’miei, perché La Fleur era inviolabile; e se fame, o sete, o nudità, o veglia, o qualunque altra sferzata di mala ventura coglieva ne’ nostri pellegrinaggi La Fleur, tu non ne vedevi né ombra né indizio in quel volto, ed era eternamente tal quale. E però, s’io (e Satanasso a ogni poco mi tenta con quest’albagia), s’io pure mi sono un pezzo di filosofo, la mia boria è mortificata quando considero l’obbligazione ch’io ho alla complessionale filosofia di questo povero compagnone, il quale, a forza di farmi vergognare, mi ridusse uomo di razza migliore. Nondimeno La Fleur mi sapeva alquanto di fatuo; ma pareva alla prima piú fatuo di natura che d’arte; né fui tre giorni fra i parigini, ch’ei non mi sembrò punto fatuo7. [p. 42 modifica]

XXII

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Al dí seguente La Fleur assumea la sua carica; e gli consegnai la valigia e la chiave, con l’inventario della mia mezza dozzina di camicie e delle brache di seta nera. Gli ordinai di assettare ogni cosa sopra il calesse, di far attaccare i cavalli e di dire all’oste che salisse col conto.

C’est un garçon de bonne fortune — disse l’oste; e m’additava dalla finestra mezza dozzina di sgualdrinelle tutte intorno a La Fleur; e gli dicevano amorosamente buon viaggio: ed egli, tanto che il postiglione menava fuori i cavalli, baciava la mano a tutte attorno attorno; e tre volte si asciugò gli occhi; e tre volte promise che porterebbe a tutte delle indulgenze da Roma.

— Quel giovinotto — mi disse l’oste — è benvoluto da tutto il paese; ogni cantuccio di Montreuil s’accorgerà ch’egli manca. Gran disgrazia per altro! — continuò l’oste — ed è la sola ch’egli abbia: è sempre innamorato.

— Beato me! — gli risposi — ch’io non avrò il fastidio di riporre le mie brache sotto il guanciale8.— Queste parole erano piú a lode mia che di La Fleur. Vissi innamorato sempre or d’una principessa or d’un’altra; e cosí spero di vivere fino al momento ch’io raccomanderò il mio spirito a Dio; perché la mia coscienza è convinta che, s’io commettessi una trista azione, la commetterei sempre quando un amore è in me spento, ed il nuovo non è per anche racceso; e nel tempo dell’interregno m’accorgo che il mio cuore fa il sordo, e mi concede a stento sei soldi da far elemosina alla miseria. Però mi sollecito a rompere questo gelo, e il raccendermi e il risentirmi pieno di generosità e di benevolenza è tutto un punto: e farei [p. 43 modifica] di tutto per tutti e con tutti, purché mi persuadessero ch’io non farei peccato.

Ma e queste parole sono certamente piú a lode della passione che mia.

Note

  1. Come accada che tanto a buscare quanto a non buscare regali torni tutt’uno, nessuno de’ matematici, co’ quali mi sono consigliato, ha saputo spiegarmelo. E forse l’autore vorrà dire che, se nell’accettar mance può starci il «tant mieux», nell’accettarle può starci il «tant pis». Ma fors’anche m’inganno, da che neppure i letterati maestri miei, a’ quali l’ho detta, hanno potuto accomodarsi a questa interpretazione [F.].
  2. La mansueta deferenza di questo illustre storico verso i grandi fu notata anche ne’ libri di lui da! celebre Fox. Vedi Bibliothéque britannique, extrait de la vie de Ch. Fox, et de son Histoire du règne du roi Jacques, ecc. [F.].
  3. «Modo», e «mood» in inglese, significa «modo» e «umore», «caso», «genere», «persona», «governare», allusioni al gergo de’ grammatici, e fredde, forse perché ia pedanteria è sí noiosa che nom può riescire ridicola [F.].
  4. Il testo: «serving» in caratteri distinti, come derivato dal francese «servir»; italiano «militare» [F.].
  5. Il testo: «hum-drum», da «hum», «ronzio» e «drum», «tamburo»; e andrebbe tradotto «ronzone», moscone importuno, non dissimile da’ compagni di viaggio e dagli ài de’ gentiluomini. Ma, per far meglio notare l’equivoco con che Yorick si sbriga dalle ammonizioni della saviezza, traduco «tamburo», che vuole anche dire «baule ferrato da viaggio»; e l’Italia dice d’alcuni suoi gentiluomini: «viaggiano come un baule [F.].
  6. «Pagare il piffero» o «la musica»: modi proverbiali inglesi per dar la baia a chi pasce i ghiottoni [F.].
  7. Chi piú volesse intorno a La Fleur veda l’edizione inglese stereotipata (Didot, 1800), p. 109. A me basti il dirvi ch’egli viveva l’anno 1783 in Calais, e si professava testimonio della verità di molti fatti descritti in questa operetta [F.].
  8. L’autore serbava la borsa nel taschino delle sue brache; però dianzi, quando vide il frate, lo abbottonò [F.].