Colombi e sparvieri/Parte II/II

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Parte II - Capitolo II

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II.


Columba corse ad aprire il portone e il nonno smontò con agilità.

— Nonno, le donne dicevano che Innassiu Arras è già tornato, — ella annunziò aiutandolo a scaricar le bisaccie una delle quali era colma di fieno fresco.

Ma il vecchio non rispose. Mentre egli conduceva il cavallo nel cortiletto e gli riempiva d’erba la mangiatoia, Columba trasse dall’altra bisaccia la forma del cacio fresco ancora stillante di siero e la ricotta stretta in un vaso di legno ricoperto da foglie di asfodelo. Anche Banna accorse per salutare il nonno, e per riferirgli le chiacchiere delle donne a proposito del ritorno di ziu Arras; ma egli, che s’era levato il cappotto e lo aveva appeso ad uno dei piuoli del portico, sedette davanti al focolare, dritto sul busto di cui il corpetto di velluto nero agganciato da un lato disegnava le forme ancora svelte e dure come quelle di un uomo molto giovane, e scosse due volte di sotto in su la testa ruvida con un moto di disprezzo.

— Quel poltrone è tornato? Ben tornato sia; un fannullone di più in paese!

Columba apparecchiava il canestro col pane, con la ricotta, con un piatto di insalata; smaniava di raccontare al nonno tutto ciò che sapeva, ma non voleva parlare davanti a Banna, certa che ne sarebbe nata una discussione sgradevole. Tacque anche quando la sorella riferì al vecchio le notizie del paese, e che il dottore aveva spaventato la sua serva, e che Giuseppa [p. 137 modifica]Fiore aveva criticato i vestiti di Columba secondo lei poco adatti per la sposa d’un vedovo.

Il vecchio masticava il pane duro coi suoi denti intatti e rispondeva con sarcasmo che pareva sdegno d’uomo superiore per tutte le meschinità dei suoi simili.

— Giuseppa Fiore è come la lumaca; striscia e lascia la bava dove passa. Il dottore? Adesso, adesso lo legheremo con corde di pelo e gli metteremo le pastoie, a quel vecchio cavallo matto!

Solo quando si parlò di Zuampredu Cannas il suo viso aspro si raddolcì e la sua voce diventò grave.

— Egli è buono, nipote mia; sì. hanno ragione di lodarlo: che ti importa se è vedovo? Egli ti rispetterà doppiamente perchè penserà: «se io la maltratto ella dirà che la mia prima moglie ha fatto bene a morire!...»

— Eppoi non ha figli, — aggiunse Banna, alzandosi per andarsene, è come che sia scapolo. Eppoi è per invidia che parlano!

Rimasti soli, il vecchio e la fanciulla stettero alcuni momenti in silenzio. Nel cortile s’udiva il cavallo ruminare il fieno fresco e battere di tanto in tanto una zampa sul selciato; solo quel rumore interrompeva il silenzio della sera. Il vento taceva, ma le notti erano ancora troppo fresche perchè la gente si riunisse nella strada.

Il vecchio si curvò, prese rapidamente con due dita una piccola brage e la mise entro la sua pipa nera; indi strinse il bocchino fra i denti e guardando se il tabacco s’accendeva disse:

— Sì, il dottore è stato sempre un pazzo; se però queste cose le fan gli altri, lui balza sopra una cima e comincia a urlare come un cane....

Ma Columba era distratta: sedette sulle calcagna, davanti al vecchio, rattizzò il fuoco, e senza sollevar gli occhi mormorò: [p. 138 modifica]— Babbu Corbu, devo dirvi una cosa.... La sorella del Commissario disse a Martina che Jorgeddu s’è ammalato di crepacuore.... perchè io l’ho calunniato....

Sul viso del vecchio parve spandersi il chiarore rosso della pipa accesa; la sua mano destra, nera e sparsa di vene che sembravan radici, afferrò il ginocchio sul quale si contrasse come una zampa d’aquila aggrappata ad una roccia.

— Columba, è per questo che sei di mal umore?

— Sì, per questo, babbu Corbu!

— E che t’importa di quello che dice la gente?

— M’importa sì! È ai morti che non importa niente di quello che dicono i vivi!

— La sorella del Commissario sta in casa di Giuseppa Fiore: tu devi pensare a questo.

— A questo ho pensato. Bisogna rintuzzare la lingua ai serpenti.

— E che cosa vuoi farci? Se fossi stato giovane avrei detto: andrò e taglierò la lingua al cavallo di Giuseppa Fiore, per punir lei della sua maldicenza. Ma son vecchio, figlia cara, son vecchio e ne dicono abbastanza sul conto mio!

— È vero, babbu Corbu, è vero! Tutti parlano male di noi; tutti pretendono di calpestarci perchè siamo soli.... Voi siete vecchio, noi siamo donne. Ignassiu, il marito di Banna, è come se non ci fosse: egli non pensa che alle sue capre e alle sue vacche.

Curvò la testa e riprese quasi gemendo:

— Nessuno ci rispetta... tutti ci calunniano.... tutti ci vorrebbero veder morti.... Sì, sì, ed io morrò presto, lo sento qui nel cuore.... lo sento....

— Columba! Perchè parli così?

— Perchè muoio di rabbia, babbu Corbu! Perchè non ne posso più: a voi lo dico, non ad altri; sono stanca. [p. 139 modifica]

E si lasciò andare per terra, triste e stanca davvero, tanto stanca da non reggersi più. I piccoli occhi verdognoli del vecchio diventarono scuri.

— Columba! Una sposa parlare così? Una ragazza che ha nella cassa i vestiti da nozze? E perchè questo? Per chiacchiere di donnicciuole. Bè, dimmi, che cosa vorresti per esser contenta?

— Vorrei....

Fu per gridare: «che ciò che è accaduto non fosse accaduto»; ma non osò.

— Vorrei esser già. sposata, già lontana di qui: così tutti saremmo più tranquilli.

— Ma perchè non sei tranquilla? Che cosa ti manca, figlia di Dio?

— Nulla mi manca, babbu Corbu; ma tutti ci vogliono male; persino Banna mi vuol male; lo so, noi non siamo come sorelle, no, siamo come vicine di casa che abbiano da spartirsi qualcosa e stieno pronte a litigare. Persino ziu Dionisi Oro, quell’immondezza di mendicante, che senza di noi morrebbe di fame e di sete, persino lui parla male di noi. Eppure io penso.... che sia stato lui a rubare i denari....

Il vecchio battè forte il bastone per terra.

— Mille volte m’hai detto questo, nipote mia! Lui od altri che mi importa? Il brigadiere ha frugato in casa di Dionisi come in altre case.... e non ha trovato nulla e s’è messo il cuore in pace! E anch’io faccio come lui: non ci penso più. Senti, lucertola mia, facciamo una cosa; non parliamone più. E se la gente mormora lasciamola mormorare; è l’invidia che la rode. Osserva tu quando passa il vento: è l’immondezza, che si solleva e turbina; mentre le pietre restano forme. Così della gente; è la Peggior genìa che si muove e mormora. E se tu ti metti in mente [p. 140 modifica]di cambiare il mondo incanutirai prima del tempo. Tu fa l’affar tuo, senti, e cerca solo l’approvazione della tua coscienza; e se la coscienza non ti rimprovera nulla, tu va avanti e pensa: se la gente parla male di me segno che mi crede felice!

Sputò sulla cenere, accavalcò le gambe e incrociò le braccia in atteggiamento solenne e fiero: pareva un vecchio eroe che durante la sua vita avesse compiuto solo azioni magnanime e sprezzato l’opinione pubblica. Però la sua mano destra continuava a tremare.

Columba mormorò:

Ma la mia coscienza non è tranquilla, babbu Corbu! lo ho sempre paura che ci siamo ingannati.... Anche oggi ho cercato... E se i denari fossero in casa? Se li ritrovassimo, babbu Corbu? Come sarei contenta! Così egli non direbbe più che lo abbiamo calunniato e fatto ammalare noi....

Il vecchio non rispose; ma ella sollevò il viso pallido e per un attimo si fissarono negli occhi come avversari pronti a colpirsi.

— Columba, — egli disso stringendo i denti, — tu diventi pazza. Parliamoci chiaro una volta per sempre. Io non ho calunniato nessuno, e se tu pronunzi un’altra volta questa parola io ti rompo il battesimo col mio bastone. Ma non voglio litigare; ascoltami. Nel primo momento dopo il fatto, nel primo impeto di rabbia io posso aver pronunziato il nome di quell’infelice; ma dopo.... perdio, dopo, chi lo ha più cercato? Sono andato forse a denunziarlo? Ne ho forse parlato con nessuno? Se la gente lo teneva così in poco conto da crederlo capace di tanto, che colpa ne ho io?

— Voi vi ridevate di lui. babbu Corbu; Banna sorella mia che ha la lingua come quella dei [p. 141 modifica]serpenti, parlava male di lui con le vicine; e a poco a poco, giorno per giorno, siete stati voi due a creare la sua cattiva fama.

Il vecchio sollevò il bastone.

— Percuotetemi pure, rompetemi la testa! ella disse con ira crescente. — Ma prima devo parlare. Egli è innocente e noi lo abbiamo calunniato.... noi. sì, noi, perchè anch’io ho parlato contro di lui.... e la gente lo sa e comincia a rendergli giustizia. Verrà, giorno che tutti grideranno contro di noi e diranno: essi lo hanno ucciso, lo hanno attirato a casa loro come in una imboscata, l’hanno colpito a tradimento perchè lo odiavano....

Il nonno riprese la sua calma selvaggia.

— Lo hai attirato tu, non io! Sei tu che gli hai aperta la porta di notte, e te lo sei preso nella tua camera come una donna perduta. Perchè hai fatto questo? Io dovevo romperti la testa, allora, non adesso; sono invece stato vile e ti ho lasciato fare quello che volevi. Perché eri orfana, e tua madre è morta raccomandandomi di trattarti bene! Ah, no, una donna che di giorno tace e alla notte apre la porta al suo amante, non è donna da trattarsi bene! Al diavolo chi crede in lei! Essa è la rovina della casa; e tu, tu sei stata la rovina della mia!

Col bastone le toccò due volte la testa, ed ella cominciò a tremar tanto che non riusciva più a parlare.

— Taci, adesso? Ah, sono io che l’ho attirato in casa? Dilla ancora questa parola stolta! Se tu hai perduto la memoria peggio per te; io non sono rimbambito. Era lui che ci odiava, il pezzente calzato, e che voleva ridersi di noi: non è stato lui a lasciarti? Se tu non lo accoglievi in casa e non gli dimostravi di essere una donnicciuola da nulla, egli ti avrebbe rispettato. La [p. 142 modifica]donna dev’essere donna, specialmente quando si chiama con un nome come il tuo. Ma tu te n’eri dimenticata, a quanto pare; non ricordavi più Che eri nipote di Remundu Corbu e figlia di Battista Corbu. Non hai imitato tua madre, che perchè la famiglia non si disgregasse volle sposare suo cugino, il figlio di mio fratello: no, tu hai guardato il figlio di un capraio, uno studentello senza casa e senza testa, un ragazzo corrotto, che non era della tua razza nè del tuo grado. E ben ti sta quello che ti è accaduto! Non piagnucolare, adesso, e tagliati la lingua.... Ah, noi lo abbiamo ucciso? — proseguì, senza dar ascolto a Columba che balbettava qualche parola. — S’è ucciso lui, coi suoi vizi ed i suoi stravizi! Del resto, non aver paura, nipote mia, egli non morrà: egli finge, e chissà chissà che non mediti qualche bel colpo! È chiuso nella sua tana come il pensiero maligno nella mente d’un uomo cattivo: un bel momento verrà fuori e sarà un flagello. Basta, non parliamo più di lui! È l’ultima volta che io ne parlo. Solo una cosa devo dirti ancora: vuoi sposartelo? Padrona! Ti ho mai detto di no? Questo il mio torto: essere stato sempre debole con te, io, io, Remundu Corbu! Anch’io non sono stato uomo, con te, ma sono stato come una fionda nelle mani di un fanciullo: piegala di qui, piegala di là, essa finisce col rompersi. Ben mi sta! Anche per Zuampredu Cannas ti ho mai detto nulla? Quando egli fece la sua prima domanda tu l’hai rifiutato: alla seconda hai risposto sì. Sei pentita, adesso? Sei sempre padrona di tornare indietro; non devi ascoltare i consigli di nessuno. Una volta, nipote mia, — egli continuò, raddolcito dall’attitudine umile e dolorosa di Columba che aveva reclinato la testa rannicchiandosi sull’angolo del focolare, — io fissavo nel salto di Dorgotori, [p. 143 modifica]ai miei tempi, quando avevo i garetti come quelli dei cervi; ed ecco vedo un uomo che coglie scope. Io passo dritto, ma lui mi chiama. «Salute l’amico, salute l’amico!» Ebbene, e non riconosco in lui un mio amico di fanciullezza, il figlio di Sadurru Chessa di Tibi? Sadurru Chessa era ricco, nipote mia; aveva trecento vacche figliate. Suo figlio aveva persino studiato per diventar dottore, ma segui i consigli di questo, segui i consigli di quello, egli interruppe gli studi, si diede al commercio, fece tutti i mestieri, si mangiò tutto il patrimonio, cadde in miseria e finì col fare lo scoparo! Così ti dico, piccola colomba mia, fa’ quello che vuoi, non seguire i consigli di nessuno!

Columba non rispose: era ricaduta nel suo solito mutismo, ma pareva che le parole del nonno l’avessero calmata; il suo viso e i suoi occhi avevano ripreso la loro abituale espressione.

— Va’, va’ a letto, — egli proseguì, curvandosi a prendere un’altra piccola brage, poichè la pipa s’ora spenta, — dormi sette ore e vedrai che i mosconi cesseranno di ronzare. Domenica delle Palme verrà Zuampredu per le pubblicazioni: poi verrà il giorno delle nozze, e ve ne andrete: andrai al suo ovile, conterai le sue vacche, avrai in consegna il denaro per pagar i servi. Pensieri non te ne mancheranno; allora i mosconi potranno anche pungerti e tu non scuoterai neppur la testa por scacciarli via.

Columba si alzò, obbediente come una bimba, accese il suo lumino d’ottone rotondo e dondolante come una piccola arancia; chiuse la porta di strada sprangandola con un palo di ferro.

— Columba, — disse il vecchio mentr’ella s’avviava, per andare a letto. Hai pagato Martina Appeddu?

Non ha voluto. [p. 144 modifica]— Ebbene, domani mandale quello che le spetta, e non cercarla più.

— Il fuoco la cerchi! — imprecò Columba, avviandosi, col viso di nuovo soffuso d’ombra. Rimasto solo anche il nonno si fece cupo e riafferrò il suo ginocchio con la mano contratta.

— Remundu Cò! — disse a sè stesso con ira, sei vecchio e sei ancora stupido! Non bisogna lasciar sola quella ragazza; troppo l’hai abbandonata a sè stessa! Ogni soffio di vento le sembra una voce ed ella trema come una foglia. Pare che una mala fata la guidi!

Egli non credeva agli incantesimi, ma da qualche tempo in qua ogni volta che si trovava a casa provava un senso di oppressione, come se qualcuno avesse nascosto sotto il focolare una « magia», una di quelle statuette di sughero coperte di spilli come ne faceva anche Martina Appeddu, che consumano lentamente sino a farlo morire il disgraziato sotto i cui piedi stanno sepolte. Columba era sempre di cattivo umore, anche Banna spesso pareva preoccupata: il vecchio ricordava i tristi tempi quando era malata sua figlia e un giorno si sperava di salvarla e il giorno dopo si temeva di vederla morire. Ma no, neanche in quei tempi egli aveva provato l’inquietudine che adesso gli destava Columba. Come un fluido maligno circondava la ragazza: ov’ella passava rimaneva un senso di tristezza. Il nonno non sapeva spiegarsene il perchè, ma ricordava che Giuseppa Fiore, saputo dell’amore di Columba con lo studentello, aveva detto ai vecchioni della piazza: «Remundu Corbu ha peccati da scontare!»

— Peccati, peccati! — egli disse a voce alta scuotendosi tutto come un cavallo a cui dà noia la briglia e la sella. — Io peccati non ne ho, da scontare: quello che ho fatto lo so io perchè [p. 145 modifica]l’ho fatto! Ed a me che cosa non han fatto? Dovevo lasciarmi ammazzare? Se Dio mi ha messo al mondo era per vivere, e se m’ha dato i piedi era per camminare, e le mani per levare la siepe dal varco.

La pipa intanto si era di nuovo spenta, ed egli la succhiava ancora, ma sentiva la saliva amara. Sputò con rabbia, poi si alzò e andò a guardare il cavallo che sonnecchiava ruminando il fieno coi denti malandati. Era una vecchia bestia coperta di cicatrici e con le orecchie mozze, più d’una volta accoltellata, e sfregiata dai nemici del vecchio: egli l’amava per questo. Riempiendo d’erba la mangiatoia e sentendo sulla guancia l’alito caldo che usciva dalle narici del cavallo provò un senso di tenerezza.

— Siamo vecchi. — disse, battendogli la mano sulla schiena, — ma la nostra pelle è dura.... E se occorre trottiamo ancora....

Rientrò, chiuse la porta e si coricò sulla stuoia. Quando era inquieto non si svestiva mai e preferiva la stuoia al letto conservando così l’abitudine di tenersi pronto per qualsiasi evento. Nulla adesso lo minacciava; tutti i suoi erano sani, gli affari andavano bene; Columba doveva sposare un uomo ricco; eppure egli continuava a sentire quel senso di inquietudine che dà l’appressarsi di un pericolo.

S’addormentò pensando a Innassiu Arras, e nel dormiveglia si sforzava ancora a sorridere con disprezzo ed a mormorare la parola «poltrone», ma anche il ricordo del suo antico nemico, oramai innocuo, gli destava quella sera un vago malessere. Come quasi tutti i vecchi egli dormiva poco e male, e dopo alcune ore di sonno agitato si svegliò. Il fuoco s’era spento; la tramontana soffiava scuotendo la porta del cortile. Egli sentì freddo; allungò il braccio per tirar su una [p. 146 modifica]bisaccia di lana che gli serviva da coperta, e bastò questo movimento perchè il sonno se ne andasse via del tutto. Allora provò di nuovo quel senso di oppressione sotto il cui peso si era addormentato.

— Columba....

Sì, Columba era il suo pensiero fisso; tutto il resto oramai contava poco. Il passato era passato; l’avvenire per lui non esisteva. Se Columba si sposava e se ne andava, a lui non rimaneva che sonnecchiare anche camminando e ruminare i suoi pensieri come il vecchio cavallo ruminava l’erba...

Ma arriverà il giorno delle nozze e della partenza di Columba? È questo il pensiero che turba il vecchio. Columba è ancora sotto l’incubo della sua triste avventura con lo studente; ed è questa la malìa che opprime tutta la famiglia.... È come una pustola maligna, che dapprima sembrava una piccola puntura di spina di rosa e piano piano se incancrenita e non guarisce, sebbene curata con la pietra infernale....

Il nonno si agita sulla stuoia ricominciando a parlare a sè stesso.

— Vecchione, sai cosa ti dico? Subito col ferro rovente dovevi curare la piaga. Quando Banna ti disse che Columba riceveva di notte il figlio del capraio, tu dovevi frustarli entrambi con una corda di pelo. Invece hai lasciato fare; lo studente ti mancava di rispetto e la gente rideva di te e diceva: «fai bene a prenderti in casa un ragazzo allegro; egli farà volar via i tuoi soldi come il vento le foglie dell’albero!» E Giuseppa Fiore diceva: «Remundu Corbu ha peccati da scontare....»

A un tratto si levò la bisaccia dalla testa e spalancò gli occhi. Intorno era buio, ma egli vedeva ancora lì davanti al focolare il viso [p. 147 modifica]pallido e ironico di Jorgj Nieddu, i suoi occhi scintillanti; e ancora sentiva quel senso di sdegno che la presenza e le parole dello studente un tempo gli destavano.... Ah, egli è lì, ancora lì, in mezzo a loro, è sempre il più forte e finirà col cacciarli via di casa.

«Babbu Corbu, dice la voce triste di Columba, — vorrei esser già lontana di qui.... così tutti saremmo più tranquilli....»

Che fare, per renderla tranquilla? In fondo, al vecchio non importa affatto la propria inquietudine; egli ha passato una vita così agitata!... ma non può sopportare la continua tristezza di Columba. Che fare? Cercare ancora il ladro? Frugare nuovamente in tutte le casupole del vicinato? A che? Per crearsi ancora inutilmente nuovi nemici? I denari sono spariti; li abbia presi Giorgio, li abbia presi il mendicante o qualche altro dei vicini di casa, anche ritrovandoli non si rimedierebbe a nulla. Il male non è lì; ha radici più profonde, va in là, molto più in là, e non si può guarire. Anche se il nonno andasse in chiesa e si inginocchiasse in mezzo al popolo gridando: «Jorgj Nieddu è innocente! Io l’ho accusato senza esser certo della sua colpa!» a che servirebbe? A far ridere il popolo. L’odio resterebbe lo stesso, tra il vecchio e il giovane; questi continuerebbe a metter la discordia in famiglia, come per il passato, e Columba continuerebbe a soffrire. Meglio lasciar correre. Il tempo porterà rimedio a tutto. Columba se ne andrà col suo sposo ricco, una vita nuova comincerà per lei; il nonno andrà spesso a trovarla, farà cavalcare il suo bastone ai bambini di lei, li condurrà sul suo cavallo, darà l’ordine ai suoi servi perchè col formaggio fresco facciano agnellini, uccellini, treccie e amuleti, da regalarsi ai nipotini. I tempi tristi son finiti. [p. 148 modifica]

Cercò di riaddormentarsi; ma non poteva chiuder gli occhi. Le sue palpebre tremolavano e un senso di stanchezza gli fiaccava la schiena.

A un tratto un gallo cantò, e il vecchio, abbandonando le inquietudini del presente si lasciò andare ai ricordi del passato. Allora provò un senso di riposo e di oblio, come uno che lascia le sponde di un fiume e va e va sull’acqua silenziosa trasportato alla deriva da una imbarcazione leggera. Ogni volta che sentiva cantare il gallo egli ricordava gli urli che avevano echeggiato nel silenzio del salto quando sua moglie era stata aggredita.... Sua moglie! Spesso, di notte, quando egli dormiva nel letto, svegliandosi gli pareva d’averla ancora vicina, magra e calda, dura e forte. Quella era stata una donna! Mai lagrime, mai preghiere nè lamenti. Nei tristi tempi ella era stata come una verga di acciaio che non si piega; ma venuti i tempi di pace s’era spezzata d’un colpo.

Dietro la donnina, che camminava come Banna battendo i piedi per terra e con le mani nascoste entro le spaccature della gonna, una lunga processione sfilava.... Amici e nemici, giudici e vittime: appariva lo sfondo d’un bosco, s’udiva il trotto d’un cavallo, una fucilata, un grido; poi la scena cambiava: era una scena funebre; una donna coi capelli sciolti gridava vendetta; zia Giuseppa Fiore accoccolata davanti al suo focolare pittava di tanto in tanto un grido d’odio come il gufo nel bosco: Innassiu Arras correva di roccia in roccia con la sua borsa sullo spalle.... Poi appariva una chiesa campestre, con l’altare coperto di fiori rossi, un Cristo deposto sull’arazzo giallo come su un quadrato di sole.

Il vescovo di Nuoro bello come San Giovanni benediceva con due dita, e uomini e donne [p. 149 modifica]sfilavano davanti al Cristo, s’inginocchiavano, giuravano di deporre ogni odio, ogni idea di vendetta, baciavano i piedi insanguinati del Signore, poi uscivano nello spiazzo erboso, ballavano e mangiavano, guardando con diffidenza colui col quale avevano giurato di far pace!

La corrente dei ricordi trasportava il vecchio: e come l’acqua dei fiumi al crepuscolo anche quei ricordi avevano riflessi azzurri e riflessi rossi, chiarori lattei e ombre nere.... Egli era convinto di non aver fatto male a nessuno. Si era difeso, soltanto, come deve fare l’uomo veramente uomo. A un tratto sorrise, sotto la bisaccia, mentre il cavallo nel cortile, svegliatosi anch’esso dopo breve sonno, ruminava di nuovo l’erba, e qualche vago rumore vibrava tra il vento che andava calmandosi.

Il ricordo doveva esser piacevole. Il vecchio vedeva ancora una chiesa, ma non quella delle «paci». Un Cristo nero guardava dal pulpito e pareva fosse lui a parlare.

«Qui, qui, in questa chiesa, c’è qualcuno che come Giuda pensa a tradire il suo fratello....» E Innassiu Arras piangeva. Era il ricordo più comico che ziu Remundu potesse evocare....

Eppure, come è vero Cristo, dopo quella volta non gli ho più voluto male. Sarebbe come voler male a Dionisi Oro il pezzente!...

Eppure!... Il ricordo del mendicante lo scosse dal dormiveglia in cui era già ricaduto. Qualcosa di sgradevole, come un urto improvviso, lo scosse. La barca era arrivata all’altra riva; bisognava balzare a terra, tornare al presente, alla realtà. La voce di Columba risuonò ancora, triste e fredda: «Io penso, babbu Corbu.... che possa essere stato anche Dionisi Oro.... Perchè non fate cercare ancora?...» [p. 150 modifica]

Il vecchio si mise a sedere e si grattò la guancia.

— Maledetti sieno i sette peccati mortali! Se vedo Martina Appeddu le rompo i denti e le dico: potevi fare a meno di tormentare quella ragazza. Va alla forca, vecchia cornacchia!

Il gallo cantò ancora, ed egli si alzò, riaprì la porticina, andò a guardare il cavallo nel cortiletto silenzioso sotto le stelle verdognole che parevano scosse dal vento.