Alcesti (Euripide - Romagnoli)/Esodo

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Esodo

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Euripide - Alcesti (438 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Esodo
Terzo stasimo
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corifeo

Se non m’inganno, Admeto, alla tua casa
rivolge il pie’ d’Alcmena il prode figlio.
Entra Ercole, conducendo per mano una donna di forme giovanili, eleganti, tutta avvolta in un velo nero.

ercole

A un amico, parlar liberamente
bisogna, Admeto, e non tacere, e chiuse
dentro tenere le rampogne. Io, giunto
tra i mali tuoi, ben degno mi credevo
che l’amicizia mia mettessi a prova;
ma tu la esposta salma della sposa
mi nascondesti; e d’un estranio lutto
ti fingesti dolente, e m’ospitasti.
Ond’io la fronte ghirlandai, libai,
nella tua casa sventurata, ai Numi!
Ti rampogno di questo, ti rampogno.
Ma non vo’ fra i tuoi mali piú crucciarti.
Senti adesso perché son qui tornato.
Prendimi questa donna, e custodiscila,
sin quando, ucciso dei Bistoni1 il re,

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con le cavalle tracie io qui non rieda.
E se sciagura me cogliesse — ma
tornerò, tornerò — te ne fo dono,
ché ancella sia nella tua casa. — Duro
travaglio fu, l’averla in queste mani.
Genti rinvenni che una gara pubblica,
ben degna di cimento, avean proposta
per gli atleti. E di lí vengo io, recando
questo trofeo. Cavalli erano premio
ai piú lievi certami: a chi vincesse
i maggiori, la lotta e i ludi pugili,
greggi; premio supremo era la donna.
Poi che lí mi trovai, vile mi parve
lucro sí nobil non curare. Ed ora,
tu questa donna custodisci, come
ti pregai. Ché rubata ella non è,
ma con gran pena guadagnata. E forse,
un giorno, lode mi darai di ciò.

admeto

Non per dispregio, e non per reputarti
nemico, ti celai la sorte misera
d’Alcesti mia. Ma dolore a dolore
aggiunto avrei, se tu d’un’altra casa
ospite andavi: e già pianto abbastanza
mi dava il male mio. — Ma questa donna,
se puoi, signor, te ne scongiuro, dàlla,
dàlla in custodia ad un altro dei Tèssali,
che sofferto non abbia ciò ch’io soffro.
Molti son tra i Ferési ospiti tuoi:
non far che il male mio sempre ricordi.
Come potrei, vedendo in casa mia

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costei, frenar le lagrime? Malato
sono io; di nuovo mal non aggravarmi!
Già su me troppo la sciagura pesa.
Dove potrebbe in questa casa vivere
una giovane? Giovane è costei,
quanto alle vesti e agli ornamenti pare.
Nelle stanze degli uomini? Ma come
rispettata sarà, stando fra giovani?
Ai giovani por freno, non è facile,
Ercole: ed io per te son previdente.
O nelle stanze della sposa morta
l’ospiterò? Come potrei condurla
al talamo di lei? Duplice biasimo
temo: dei cittadini, che diranno
che, tradita la mia benefattrice,
d’un’altra donna il talamo m’accolse;
e della morta, degna ch’io la veneri,
dare mi debbo gran pensiero. O donna,
qual che tu sia, sappi che hai tu d’Alcesti
la forma stessa, e le somigli in tutto.
Triste me! Lungi dalle mie pupille
questa donna conduci: non aggiungere
strazio a strazio. Mi par, se la contemplo,
la mia sposa vedere. Mi s’intorbida
il cuor, dagli occhi miei fonti dirompono.

primo corifeo

Tua sorte lieta io non dirò. Ma forza
è, qual che sia, dei Numi il dono accogliere.

ercole

Deh! tanta forza avessi io, che la sposa

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tua ricondurre dalle buie case
potessi a luce, e questa mercè renderti!

admeto

So che vorresti. Ma poterlo! E come?
I morti piú non tornano alla luce!

ercole

Troppo non disperarti; ed abbi senno.

admeto

Piú che soffrire, dar consigli è facile!

ercole

Che vantaggio ti dà perpetuo pianto?

admeto

Anch’io lo so; ma mi costringe amore.

ercole

Amare un morto, non può dar che lacrime!

admeto

Piú che dir non saprei; perduto io sono.

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ercole

Chi lo nega? Era egregia la tua sposa.

admeto

Tanto, che mai piú gioia avrò dal vivere.

ercole

Il tempo molcirà la doglia or fresca.

admeto

Il tempo! Se per tempo intendi morte!

ercole

Oblio darà di nuove nozze brama.

admeto

Taci! che ciò dicessi io non credevo!

ercole

Che? Piú non sposerai? Resterai vedovo?

admeto

Donna piú mai con me non giacerà.

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ercole

Giovar con questo a lei ch’è spenta credi?

admeto

Venerar quella, ovunque siasi, debbo.

ercole

Lode, lode ti dò. Ma folle sei.

admeto

Lodami ch’io mai piú sposo sarò!

ercole

Che alla sposa fedele sii, ti lodo.

admeto

Morrò, pria di tradirla, ancor che spenta.

ercole

Nella casa ospitale or questa accogli.

admeto

No! Per Giove tuo padre io te ne supplico.

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ercole

Erri, se quanto io chiedo non adempi.

admeto

Troppo, adempierlo, il cuor mi morderebbe.

ercole

Fallo: forse ne avrai degno compenso.

admeto

Ahimè!
Mai dall’agon costei condotta avessi!

ercole

Fu la vittoria mia, vittoria tua.

admeto

Dici bene; ma la mia sposa è morta.

ercole

Se meglio è, se n’andrà; ma prima pensaci.

admeto

Meglio è, se contro me tu non t’adiri.

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ercole

Non è senza ragion questa mia brama.

admeto

Mi piego! Ma non fai cosa a me grata.

ercole

Fallo, e ti basti. Un dí mi loderai.

admeto

Poi che ospitarla è d’uopo, accompagnatela.

ercole

Non lascerò la donna ai tuoi ministri!

admeto

Guidala dentro, se lo vuoi, tu stesso.

ercole

Vo’ consegnarla nelle mani tue.

admeto

La casa è aperta; ma non vo’ toccarla.

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ercole

Sol nelle mani tue vo’ consegnarla.

admeto

Signor, quel ch’io non bramo a far m’astringi!

ercole

Fa’ cuor: tendi la man: tocca l’estranea.

admeto

La tendo, come al capo della Gorgone2.

ercole

La tieni?

admeto

 Sí.

ercole

                              Sta bene, custodiscila;
ed un giorno dirai che non ingrato
ospite fu di Giove il figlio. Guarda
se ti par che somigli alla tua sposa.
Toglie il velo dal capo d’Alcesti.

E dalla doglia a gioia oramai torna.

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admeto

Oh dio! Che devo dir? Quale prodigio?
Chi lo sperava? La mia sposa vedo?
La mia sposa davvero? O un Dio nemico
d’ingannevole gioia me percuote?

ercole

No! la tua sposa è quella che tu vedi!

admeto

Dell’Averno non è dunque un fantasma?

ercole

Non sono io mago evocatore d’anime!

admeto

Vedo la sposa a cui diedi sepolcro?

ercole

Quella. Che tu nol creda io non stupisco.

admeto

Favellarle potrò, viva toccarla?

ercole

Parla! Quanto bramavi adesso hai tutto.

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admeto

Oh volto, oh membra della donna mia
dilettissima, or v’ho, contro ogni speme,
quando pensavo di mai piú vedervi!

ercole

L’ hai. Non ti colga dei Celesti invidia.

admeto

Del sommo Giove o generoso figlio,
sii tu felice, e te protegga il padre
tuo: mutata hai tu sol la sorte mia! —
Come dal buio l’hai tornata a luce?

ercole

Col Signore dei morti a pugna venni.

admeto

Con Tànato? E il cimento dove fu?

ercole

L’appostai, lo ghermii presso alla tomba.

admeto

E perché muta la mia donna resta?

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ercole

Non è concesso che costei la voce
di chi la chiama oda, se pria non venga
purificata dagl’influssi inferni,
e giunga il terzo giorno. In casa adducila.
E giusto sii per l’avvenire, e pio
con gli ospiti tuoi, sempre. Admèto, addio.
Io di Stènelo 3 al figlio, ad Euristèo
parto, a compire la dovuta gesta.

admeto

Con noi rimani! Siedi alla mia mensa!

ercole

Al mio ritorno. Adesso ho fretta. Addio.
Parte.

admeto

Vivi felice; e a noi rivolgi il passo
al tuo ritorno. E ai cittadini tutti
indico, e ai quattro regni, che per questa
prospera sorte, danze istituiscano
e canti, e Tare fumino di vittime.
Verso piú dolce vita ora moviamo:
ché non lo nego: io sono, io son felice!

Note

  1. [p. 337 modifica]I Bistonî, popolo tracio che abitava lungo la costa del mar Egeo e intorno al lago Bistonides a levante di Abdera.
  2. [p. 337 modifica]Come al capo della Górgone, cioè con ripugnanza, guardando da un’altra parte. È noto che al capo della Górgone si attribuiva il potere di far diventare di pietra chi lo contemplasse.
  3. [p. 337 modifica]di Stenelo al figlio, ad Euristeo; cfr. p. 126, v. 1.