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Atlantide/Canto I

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Canto primo

../Avvertimento ../Canto II IncludiIntestazione 29 dicembre 2015 100% Raccolte di poesi

Avvertimento Canto II
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CANTO PRIMO


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Esperio, intento in una eccelsa Idea
    Di verità, di libertà, d’amore,
    Che in dotte carte primamente avea
    4E meglio attinta nel suo proprio core,
    Generoso e gentile in età rea,
    Schietto ed ingenuo nel comun livore,
    Conosciuto da pochi, a molti noto,
    8Era all’altrui più che al suo ben devoto.

Per siffatte virtù, che un dolce lume
    Spargeano intorno al giovanile ingegno,
    Per l’arte, onde il suo cor pari ad un nume
    12Facea dei carmi il suo fulmineo regno,
    E per un d’ogni bieco e vil costume
    Implacabile, audace, alto disdegno,
    Meritò l’odio, nè però il compiango,
    16Dell’officioso, inorpellato fango.

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Ma ne’ suoi studj geniali assorto
    E dell’onesta povertà contento,
    Tal dall’anima sua traea conforto,
    20Che pensier non n’avea, non che sgomento;
    E nulla essendo a simulare accorto,
    Dava alle offese altrui novo argomento:
    Chè al vulgo turpe alle lusinghe avvezzo
    24È mortale velen l’altrui disprezzo.

Sopra l’ali del canto ergersi a volo
    E sgominar dei Numi il gregge inetto,
    Palese opporre, ancor che inerme e solo,
    28In pugne audaci ai prepotenti il petto,
    Dei vecchi errori saettar lo stuolo,
    Schernir feroce ogni più sacro objetto
    Della codarda ipocrisia civile,
    32Questa è l’opera sua, questo il suo stile.

E tale una profonda, intima fede
    Nel trionfo del ver l’anima gli arde,
    Che tutte intorno dileguar già vede
    36Del male e del dolor l’ombre infingarde:
    Ecco, d’ogni virtù la terra è sede;
    Ecco, amor vince l’anime più tarde;
    Ecco, mutato al suo raggio fecondo
    40In un fraterno sodalizio il mondo!

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Invaso, ossesso dal pensier sublime,
     Contro le schiere avverse alza la voce,
     E sopra a lor dalle inaccesse cime
     44Del suo puro Ideal piomba feroce:
     D’inflessibile acciar son le sue rime,
     E con esse i malvagi inchioda in croce;
     La foga de’ suoi carmi è qual torrente
     48Impetuosa e come lava ardente.

Ma un giorno, ahimè, che intorno a lui più folta
     Fervea l’ira nemica in dubbia pugna,
     Un’alma bieca in belle membra avvolta
     52Saettò contro lui perfida l’ugna;
     Poi degl’inganni suoi tutta raccolta
     La schiera industre, il generoso oppugna,
     E vedendolo omai presso a languire,
     56L’attorce fra le sue frigide spire.

E tanto alfin con ambidestro ingegno
     La sua peste gl’insinua entro le vene,
     Che quanto prima in esso era disdegno,
     60Compassion, vaghezza, amor diviene.
     O amor, quando tu miri a nobil segno,
     Fonte sei d’ogni luce e d’ogni bene;
     Ma se d’ozio ti pasci, i più sublimi
     64Animi atterri e i più gagliardi opprimi!

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Troppo fra’ lacci ei non languì; l’obliqua
     Intenzion conobbe e l’arte rea,
     Onde fra’ baci la Sirena iniqua
     68Stemprar l’indole altera in lui volea:
     Rifiammeggiò nella fierezza antiqua
     L’entusiasmo dell’eccelsa Idea;
     La sopita virtù rivestì l’armi,
     72Ed ei tornò fra le battaglie e i carmi.

E tu dell’amor suo, tu de’ suoi canti
     Fosti, Italia, argomento e tu dell’ira,
     Tu che possanza e libertà millanti
     76E che pur serva e derelitta ei mira:
     Acceso il core in te d’impeti santi,
     Ad alte imprese, a nuovi tempi aspira,
     Ed augure cantor d’età più bella
     80Freme a’ tuoi danni e i vizj tuoi flagella.

Torce il grifo a’ suoi colpi e il dorso scrolla
     La turba rea ch’oro e vergogne insacca,
     Ma invan, che su la fronte egli la bolla
     84Di marchio eterno, e il cuoio infame intacca;
     Turge di rabbia e di velen la folla
     Tanto più furba quanto più vigliacca;
     E contro lui, che l’inferrò alla gogna,
     88Tribunal si fa il cesso, ara la fogna.

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Crebber delle spregiate ire recenti
     Le forze antiche e l’ebbre invidie altrui;
     Né col furor di torbidi torrenti
     92Prorupper già, come soleano, in lui,
     Ma guernite di torvi accorgimenti,
     Di trame vili e di sospetti bui
     Il circuiron sì, che l’omicide
     96Arti ei sentì, ma l’offensor non vide.

Né tremò già: l’occulta ira nemica
     Sfida a giornata, ed a piè fermo aspetta,
     Ma paventosa di battaglia aprica
     100Più secura dall’ombra ella saetta;
     Spezza ei talor gli agguati e il piè districa,
     Ma ferrea maglia intorno ai fianchi ha stretta;
     Più destri colpi, arte più cauta ei tenta,
     104Ma vana è ogn’arte, e i colpi all’aure avventa.

Dileguasi fra tanto all’aer bruno
     Lo stuol che prima in sua difesa accorse:
     Crescon l’ombre il terrore, e fugge ognuno
     108Dell’onor proprio e della vita in forse;
     Stette armeggiando intorno a lui qualcuno,
     Ma tosto un serpe al manco lato il morse,
     Tal che, vile tre volte, il viso imbianca,
     112Ghigna al tradito, e al traditor s’imbranca.

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O Giustizia, ei pensò, dunque a’ più rei
     Petti ed all’opre più maligne arridi?
     Dunque, fuor che una druda, altro non sei,
     116Che lusinghi e tradisci i tuoi più fidi?
     Anzi le grazie tue concedi a quei
     Che più t’insulta, e chi t’adora uccidi?
     E dal letto del vile a cui ti vendi,
     120Con tardi onori i generosi offendi?

Ah, non verrai tu più dunque, o sognata
     Dall’ingenuo mio core alba di Pace,
     E in notte immensa, d’ogni raggio orbata,
     124Mieterà vite umane un dio pugnace?
     Dunque indarno per te l’innamorata
     Anima ho speso, o Libertà fallace?
     Dunque a questo mortal, misero gregge
     128Sarà sempre la forza unica legge?

Così nel dubbio, come giovin suole,
     Gela costui che ardea già nella fede;
     Quel che prima voleva, ora disvuole,
     132E nel voler, nel disvolere eccede;
     Papavero ch’or ora ergeasi al sole
     Piega così del mietitore al piede;
     Anemone così guasto e disfatto
     136Cade al flagel della gragnuola a un tratto.

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Fuggì le mura cittadine; al mite
     Ozio dei campi, al dolce aer sereno,
     Alle vaghe dei boschi ombre romite
     140Cercò la pace od un refugio almeno:
     Così fugge a curar l’aspre ferite
     Uccel che sente il mortal piombo in seno,
     E poi che trova la balsamica erba,
     144Sana le piaghe, ma il terror ne serba.

Una cura incresciosa, uno sgomento
     Anche nei più tranquilli èremi ei porta;
     Né di ciel chiaro aspetto o volger lento
     148Di ruscelli o di selve ombra il conforta:
     Muto è dell’arte il sovrumano accento,
     Ogni sua cara illusione è morta;
     E al cielo, all’acque, ai boschi, all’arte ei chiede,
     152Piangendo invan, la giovanil sua fede.

Ode, e poi che da lui nulla più teme
     La turba vil, che all’altrui danno esulta,
     Commiserando e malignando insieme,
     156Con la crudele sua pietà l’insulta;
     Ode Tartufo, e consolato geme:
     O giustizia di Dio, non resti inulta;
     Chi volgea contro a te l’anima astuta
     160Miseramente ha la ragion perduta!

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Tal, prima segno all’ira, indi all’oltraggio
     E ad un silenzio sospettoso e vile,
     Del suo vano mortal pellegrinaggio
     164Freme d’Esperio l’animo gentile;
     Ben talor d’un affetto intimo il raggio
     Gli desta il cor, gl’illumina lo stile,
     Ma sorriso è di sole incerto e breve
     168Tra fosche nubi, in campo irto di neve.

Pure un dì, che pe’ campi all’aria scura
     Egli erra, e più che mai l’anima ha trista,
     E appena appena in ciel l’alba immatura
     172Qualche rara spargea candida lista,
     Un chiarore improvviso, una figura
     S’offre, qual già nei sogni, alla sua vista;
     Gli si ferma di fronte, a nome il chiama,
     176E con soave e chiara voce esclama:

No, miraggio non fu d’egro intelletto
     Quel che più volte in vision t’apparve,
     Né al tuo pensier per femminil diletto
     180Finsi ed appresentai magiche larve:
     Nulla al mondo è sì vivo e sì perfetto
     Come quel che già sogno al mondo parve:
     Dai vapori del sogno esce il pensiero;
     184La pietosa Utopia madre è del Vero.

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E se core tu hai di lasciar questa
     Tanto dai sogni tuoi piaggia diversa,
     Ove la tua pensosa anima onesta
     188Fra l’ombre errante in fieri dubbj or versa,
     Fuor della turba stolida e molesta
     In parte io t’addurrò libera e tersa,
     Là dove eterna alla redenta prole
     192La divina Utopia splende qual sole.

Edea sua figlia io sono, io delle sante
     Visioni con essa abito il regno,
     Ch’apresi indefinito oltre l’Atlante
     196E da cui sol per tua salute io vegno;
     Tu della dea lo splendido sembiante,
     Tu la pace godrai di cui sei degno,
     Tu nell’immensa luce a cui t’invito
     200L’ebbrezza proverai dell’infinito.

Vieni, tronca l’indugio, e così d’ogni
     Ritroso dubbio il vago animo sgombra,
     Che quanto alfin da lunga mano agogni
     204Limpido e palpitante esca dall’ombra.
     Ecco scisso il vel mistico dei sogni
     Che di miti leggiadri il vero adombra,
     E una donna in me vedi e vera e viva
     208Pronta a guidarti alla sognata riva.

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Sì disse, e sciolto il trepido vapore
     Che l’avvolgea come ceruleo velo,
     Donna apparì, se non che lo splendore
     212Di sua beltà parea cosa di cielo.
     Dolcemente tremò d’Esperio il core
     Quale al novo mattin florido stelo;
     E poi che l’ombra, onde il dolor l’avvolse,
     216Diradata si fu, la voce sciolse:

O caro aspetto e lacrimato (e ancora
     Che in sembianza mortale or ti consenti,
     Se in te pietà più che beltà si adora.
     220Dirti cosa divina anco mi assenti!)
     Dolce è il sorriso tuo come d’aurora,
     Qual musica d’amor leni gli accenti;
     Sul mio gelido cor passa il tuo fiato
     224Qual tiepida corrente in mar gelato.

Alla promessa tua, vedi, s’avviva
     Disciolto il ghiaccio in liquidi cristalli;
     L’onda che s’impietrò corre alla riva,
     228Lieta balzando in amorosi balli;
     Un fremito di verde, un’aura viva
     Di fragranze e di canti empie le valli;
     I miei pensieri a te si levan tutti
     232Qual sotto al bacio della luna i flutti.

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Cosa eterea sei tu; pure alla mite
     Soavità che la tua voce emana,
     Sento aleggiare su le mie ferite
     236Una carezza intimamente umana.
     O mie speranze derelitte, udite:
     L’aura vostra non fu perfida e vana;
     L’anima vostra in più sensibil forma
     240Nella bellezza di costei s’informa!

M’adduci ove più vuoi; da questa inerte
     Gora in cui la mia vita egra già stagna,
     Da queste gole a divorarmi aperte
     244Trammi all’alta dei sogni ampia campagna:
     Te per immenso mar, te per deserte
     Lande mia duce eleggo e mia compagna;
     Se Amor tu sei, m’avvivi or la tua face,
     248Se la Morte sei tu, dammi la pace!

Povero core, ella rispose, e nelle
     Mani, ch’egli tendea supplice in vista,
     Pose le mani delicate e belle
     252Soave in atto e amabilmente trista:
     Se al desiderio mio non sei ribelle,
     Il pensier vincerai che sì ti attrista;
     Ritemprerà la stanca anima l’ale
     256Nell’eterno splendor dell’Ideale.

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O generoso core ad amar nato,
     Di pietà, di speranze e d’onor pieno,
     Per ogni bacio tuo strali t’han dato,
     260Per ogni piaga tua fiele e veleno;
     Ma dagli strazj suoi purificato
     Tempio dell’Ideal fatto è il tuo seno;
     Nel tuo nobile cor, come in sua reggia,
     264La redentrice Carità troneggia.

Qui, dove il male e la sventura alligna,
     Tu straniero t’avvolgi ed incompreso;
     Fra gente abjetta all’altrui bene arcigna
     268Solo è il tuo core all’altrui bene inteso;
     Ben è virtù dell’indole benigna,
     Se fra tanta viltà rimani illeso,
     E in un mondo di stolti e di cattivi
     272Al Ver soltanto e alla Giustizia vivi.

Ma dall’alata fantasia condotto
     In un cielo di sogni e di splendori,
     Del secol vecchio ad ogni vizio rotto
     276E dell’altrui viltà troppo ti accori.
     Lascia, o cor generoso, al vulgo indotto
     Il gemer vano in su’ presenti errori:
     Età nova s’appressa; i volti infidi
     280Smaschera a’ turpi morituri, e ridi!

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Credi: sì basso infuria e tanto abjetto
     Il reo costume dilagando crebbe,
     Che farne d’ira e di dolore oggetto,
     284Non che vano travaglio, onta sarebbe:
     D’ira strida al tuo riso e di dispetto
     Chi la sozza corrente avido bebbe:
     Contro l’artiglio a vili prede avvezzo
     288L’amor mio ti fia schermo e il tuo disprezzo.

Crudi scherni, aspri motti, acri proteste
     Scoppiare udrai dal labbro mio sovente:
     Quando l’anima mia lo sdegno investe,
     292Divien lo scherzo mio ferro rovente;
     Si contorca alle mie voci rubeste
     Chi turpe è all’opre e al favellar piacente:
     Io dico fango al fango, e le civili
     296Maschere abborro e il galateo dei vili.

Giorno verrà, nè di fantasmi vani
     L’alta fidanza del tuo ben m’illude,
     Che i miei sarcasmi inconsueti e strani
     300Tempreran l’alme a rigorosa incude;
     L’ardito esempio ammireran gli umani,
     Ridiranno il mio dir semplice e rude,
     Ed un eletto giovanil drappello
     304Bacerà conoscente il mio flagello.

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Io celeste non son: benchè d’essenza
     Sublime e di solar fiamma formata,
     Tanta avuto ho dell’uomo esperienza,
     308Che posso all’uom sorella esser chiamata;
     Indi nel petto un’infinita ardenza
     Al ben costante, al male inesorata;
     Indi, al par che nel tuo, dentro al mio core
     312Han vicenda operosa odio ed amore:

Amore eguale, libero, gagliardo.
     Aspro fanciul, benefico gigante,
     Che l’animo pietoso e il mite sguardo
     316Piega su l’uom, sul bruto e su le piante;
     Odio nato d’amor, che del codardo
     Secol saetta le menzogne tante;
     Odio che invade ogni alto, ogni umil loco,
     320E purifica e strugge al par del foco.

Tu rivedrai la gente ibrida e trista,
     Dell’oro schiava ed all’error venduta,
     Non come appare a tutti a prima vista,
     324Nè quale fino ad or tu l’hai veduta:
     Chi segue me, tal novo acume acquista
     Cui resister non può la frode astuta,
     E per cui l’occhio uman, non che il pensiero,
     328Passa il volto alle cose e scorge il vero.

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Vieni; da questo lido ermo e selvaggio,
     Ove dell’età rea sdegno t’ha chiuso,
     E in cui della tua pura anima il raggio
     332Perdesi in obliose ombre confuso,
     Meco ti affida al salutar viaggio
     Ond’è per sempre il bieco vulgo escluso;
     A che pur guardi intorno, e con incerto
     336Core vagheggi ancor questo deserto?

O caro agli occhi miei, più che di fasto,
     Il giovane esclamò, splendide sale,
     O come il viver mio semplice e casto
     340Refugio fido al mio dolor mortale,
     Ben io fin all’estrema ora rimasto
     Sarei nella tua cheta ombra ospitale;
     Ben io l’ultimo in te sonno infinito,
     344Come in grembo materno, avrei dormito!

Ma poi che nel mio core oggi costei
     Speranze altere e vigor novo infonde.
     Tutta credendo la mia vita a lei,
     348Dell’avvenir m’accingo a tentar l’onde.
     Così alfine potesser gli occhi miei
     L’aura fruir delle beate sponde,
     O nell’eterno, tenebroso mare
     352Assorto in un’Idea santa affogare!

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Morte non già, riprese Edea, la fonte
     D’una vita più bella oggi a te schiudo,
     Sol che del vulgo abjetto a’ danni, all’onte
     356Ti sia l’alta coscienza usbergo e scudo.
     Vieni, l’ora è propizia; ecco sul monte
     Tutto appare del sole il disco ignudo;
     E nel bosco e nel ciel tutta una festa:
     360La primavera del tuo core è questa.

Disse, ed in lui, che già securo in viso
     Dal suo povero asilo alfin s’è tolto.
     D’un soave, ineffabile sorriso
     364Illuminò gli occhi profondi e il volto.
     Per un sentier tra vive rocce inciso,
     Muto di verde e malagevol molto,
     Escono a una pianura ampia e gioconda
     368Che digrada del mar sino alla sponda.