Carlo Darwin/IV
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IV.
Sono corsi oramai ventidue anni dalla pubblicazione dell’opera immortale sull’origine delle specie, e noi possiamo oggi apprezzarne l’immenso valore. Nessun altro libro ebbe mai sullo scibile umano l’influenza di questo piccolo volume, in cui si condensavano il lavoro, le meditazioni, le esperienze, le veglie di ventotto anni: ma è giusto ricordare ad elogio del Darwin come egli fosse perfettamente conscio della grande rivoluzione che si sarebbe svolta in seguito all’accettazione delle sue idee. «Quando, egli scriveva in fine al suo libro, le idee da me esposte in quest’opera e sostenute dal Wallace, o idee analoghe sull’origine delle specie, saranno generalmente adottate, possiamo vagamente prevedere che avverrà una notevole rivoluzione nella storia naturale. I sistematici potranno continuare come al presente, ma non saranno più molestati dal dubbio insolubile se questa o quella forma sia in essenza una specie. Noi avremo allora da trattare le specie come combinazioni puramente artificiali, fatte per comodità. Gli altri rami più generali della storia naturale presenteranno un interesse maggiore: i termini impiegati dai naturalisti, come affinità, parentela, unità di tipo comune, morfologia, caratteri di adattamento, organi rudimentali, ecc. non saranno più metaforici, ma avranno un significato evidente. Contempleremo ogni struttura complicata ed ogni istinto come il risultato di molti adattamenti ciascuno dei quali fu vantaggioso all’individuo. Un vasto campo, quasi inesplorato, di osservazioni sarà aperto sulle cause e sulle leggi delle variazioni, sulla correlazione di sviluppo, sugli effetti dell’uso e del non-uso degli organi, sull’azione diretta delle condizioni esterne. Lo studio delle produzioni domestiche crescerà immensamente di valore. Le nostre classificazioni diverranno altrettante genealogie: gli organi rudimentali ci indicheranno infallibilmente la natura delle strutture perdute in epoche remote: le specie e gruppi di specie aberranti, veri fossili viventi, ci aiuteranno a compiere il disegno delle antiche forme di vita: l’embriologia ci rivelerà la struttura, che rimase alterata, dei prototipi di ogni grande classe. Noi saremo anche in grado di seguire le antiche emigrazioni degli abitanti del mondo intero: potremo anzi arrivare alla nozione dell’antica geografia. In quanto alla geologia, si riconoscerà che l’accumularsi d’una grande formazione fossilifera dovette dipendere da uno straordinario concorso di circostanze, e che gli intervalli di riposo e di inazione fra gli stadii successivi furono di una lunga durata: anzi giungeremo ad apprezzare la durata di questi intervalli con qualche sicurezza, facendo il confronto fra le forme organizzate anteriori e le posteriori».
Ora, tutto quanto aveva predetto il Darwin si è completamente avverato: non v’è parte dell’immenso dominio delle scienze naturali che non abbia ricevuto impulso dalla teoria dell’elezione. Ma vi è dippiù: questa teoria, nel punto stesso che forniva una spiegazione naturale dell’origine delle specie, considerandole come organismi funzionanti in mezzo alle condizioni più opposte di vita, includeva pure più o meno tacitamente una riforma di tutte quelle scienze, che si rivolgono allo studio delle funzioni dell’essere animato più perfetto, cioè dell’uomo. Imperocchè se l’uomo rientrava nella serie animale per i caratteri fisiologici e morfologici, vi rientrava ancora per i caratteri psichici, nei quali esso doveva riguardarsi come il prodotto più elevato di quelle medesime leggi dell’elezione naturale e dell’adattamento, che sovrintendono allo sviluppo dei fenomeni mentali degli organismi viventi. Ora, erano appunto questi caratteri psichici, questi poteri mentali che la scuola ortodossa riguardava come esclusivi dell’uomo; erano dessi, che per una causa apparentemente misteriosa e superorganica avevano dato origine ai fenomeni complicatissimi della vita sociale, alla civiltà, alla religione, alla morale, al diritto, alla stessa scienza. La teoria darwiniana non poteva, escludendo l’uomo, limitarsi ai soli esseri inferiori, né applicata ai caratteri organici poteva arrestarsi di fronte ai caratteri mentali: la riforma delle scienze biologiche supponeva una modificazione analoga delle scienze morali: risolto il problema dell’origine umana, ne venivano anche rovesciate le vecchie basi della psicologia, della storia, della giurisprudenza, della letteratura e dell’arte, ma, quel che è più, tutti i concetti della antica filosofia perdevano ogni valore. «In un lontano avvenire» scriveva ancora fatidicamente il Darwin «io veggo altri campi aperti alle più importanti ricerche: la psicologia sarà fondata sopra il principio già propugnato da Herbert Spencer, che cioè ogni facoltà e capacità mentale siasi necessariamente sviluppata a grado: si spanderà una viva luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia: noi potremo anche penetrare nel futuro, esser certi che nessun cataclisma venne mai a desolare il mondo intero, pensare con confidenza ad un tranquillo avvenire di lunghezza incalcolabile, infine riflettere che tutte le qualità del corpo e dello spirito tenderanno a progredire verso la perfezione».
È noto che l’opera del Darwin fu accolta dapprima nel mondo scientifico con uno scoppio quasi generale d’indignazione e di orrore. Soltanto pochi furono i naturalisti che sin d’allora ne riconobbero la grande superiorità su tutte le teorie precedentemente emesse intorno al problema dell’origine naturale delle specie: pochissimi poi coloro che ebbero il coraggio di accettarla e di farsene propugnatori. La storia delle lotte e delle fasi che ha dovuto subire la teoria darwiniana varrebbe a dimostrare nel modo più evidente tutti gli errori, le illusioni, le contraddizioni, dirò dippiù, tutte le temerità e le menzogne di che può essere capace lo spirito umano; ma il tempo di scrivere codesta storia non è forse ancora giunto, ed io voglio qui mettere in rilievo questo fatto solo: che la rapidità colla quale si è operato di fronte alla teoria evoluzionistica un cangiamento così profondo dell’opinione pubblica come quello degli ultimi quindici anni, basterebbe da sola a contrassegnare la nostra epoca fra le più grandi attraversate dal pensiero umano nel suo cammino progressivo. Nel 1868 la lotta fra darwinisti ed antidarwinisti era più accesa che mai e pareva pendere ancora a favore di questi ultimi, persino nei paesi ove si parlava la lingua materna di Carlo Darwin. L’Athenaeun inglese proclamava che oramai la teoria del Darwin era una cosa del passato, e che l’appoggio accordatole da alcuni naturalisti andava dileguandosi. E il Crawfurd al Congresso antropologico di Londra faceva smascellare dalle risa la dotta assemblea, mettendole avanti agli occhi, a proposito della origine scimiana dell’uomo, il quadretto umoristico degli asini che vogliono diventare cavalli e dei majali che desiderano trasformarsi in elefanti. In America l’Agassiz, il campione più risoluto dell’ortodossismo, il continuatore delle tradizioni cuvieriane, l’inventore della teoria eclettica, un po’ cristiana un po’ pagana, dei centri di creazione, e ad onta di ciò uno dei più grandi naturalisti ed osservatori del secolo, scriveva ancora articoli serii sulla Contemplazione di Dio (nel «Kosmos christian Examiner» 4a serie, vol. XV) e sosteneva che la battaglia già vinta nel campo della metafisica doveva trasportarsi e vincersi anche nel terreno della scienza fisica. Nell’Europa continentale il darwinismo non era meno osteggiato sebbene già in Germania ed in Italia un certo numero di naturalisti e di critici si fosse schierato nelle ancora scarse fila dei sostenitori dell’evoluzionismo, e mi basterà citare i nomi rispettabili di De Filippi (1865), Trezza (1865), Canestrini (1865), Del- pino (1867) e Mantegazza (1868). Ma le ostilità maggiori venivano dalla Francia, cioè da dove le due scuole fin dai principii del secolo s’erano sempre trovate di fronte e dove la lotta era stata fatalmente decisa a favore del Cuvier. L’opposizione fatta al darwinismo dalla scienza francese fino a questi ultimi tempi è conosciuta da tutti: meno noti son forse gli attacchi che la teoria dell’evoluzione ha dovuto subire in Francia nelle aule universitarie e persino nelle sale dei tribunali. Sui primi del 1868, nel discorso d’apertura dell’anno giuridico, il procuratore generale Ducreaux proclamava che l’estendersi delle idee darwiniane era da annoverarsi fra le cause più sicure dell’aumento dei reati correzionali: accusa che rivelava soltanto però un aspetto dell’accanita e sistematica opposizione fatta ancora da certuni ai concetti della filosofia moderna in vista che essi costituirebbero la rovina della società e l’abbruttimento della specie umana!
Ma di queste ed altre simili argomentazioni antidarwiniane il tempo è già passato: il darwinismo trionfa in tutti i rami dello scibile, penetra nelle coscienze, sostituisce alle vecchie affermazioni dogmatiche un concetto più scientifico e positivo della vita, cangia l’indirizzo della storia e dell’arte, modifica le idee ed i sentimenti e si prepara per l’avvenire a produrre analoghe trasformazioni anche nei costumi e nelle leggi e nelle usanze. Io ho voluto ricordare queste lotte e questi trionfi solo per dire che il successo delle dottrine evoluzionistiche si deve quasi del tutto alla prudenza ed alla serenità, con le quali Carlo Darwin ha assistito impassibile alla tempesta che egli stesso aveva suscitata e in cui la parte più colta e civile dell’umanità ha visto sommergersi tutti i suoi vecchi ideali e far naufragio quasi tutto ciò che le proveniva dalla civiltà antica. Che cosa faceva l’autore dell’Origine delle specie, mentre a lui d’intorno s’agitava la grande battaglia e il suo nome dagli uni portato alle stelle veniva dagli altri fatto segno alle accuse più inique, ai sarcasmi più sanguinosi, alle imprecazioni e quasi all’abborrimento universale, così da divenire in breve per le coscienze timorate simbolo spaventevole di ateismo, di corruzione e di pervertimento?
Carlo Darwin nel suo tranquillo ritiro di Down Beckenham, in mezzo alle gioie purissime della vita domestica, circondato dall’affetto e dalla venerazione dei figli, degli amici e di tutti i dotti, lavorava indefessamente intorno alla sua grande teoria, e in molti punti la completava, riunendo un numero straordinario di prove, facendo esperimenti, osservando la natura. Io non sò, ma questo vecchio, che affranto dagli studii, colla salute profondamente turbata, colla pazienza instancabile del romito, colla calma serena dell’eroe prosegue il suo cammino senza badare ai plausi ed alle imprecazioni della folla dei piccoli che gli si avvoltola sotto; questo ricercatore indefesso, che fiso lo sguardo ad una meta ideale mai s’arresta davanti agli ostacoli e va oltre, fermo e diritto, in mezzo alle tempeste e quasi in una oscurità tenebrosa fino a che si squarcino le nubi e splenda il primo raggio della verità ad illuminare il problema di tutta la sua vita, il problema dei problemi; questo lavoratore titanico, di cui ogni colpo atterra e suscita, disperde e vivifica allo stesso tempo, e che non sembra aver coscienza della sua forza, tanto essa è parte intima ed essenziale della sua potente individualità; quest’olimpico Darwin, che la nostra immaginazione non crea ma che i nostri occhi videro e riconobbero realmente, ha in sé qualche cosa di sì superiore, che io non saprei trovare nella storia del pensiero umano altra figura che l’agguagli, se pur non si voglia pensare a Socrate ed a Newton. Un fatto, che non mi par d’aver visto accennato ancora ad altri, è che se vi fu mai riformatore cui mancassero apparentemente l’entusiasmo e la fibra dell’apostolo, questi è certamente il Darwin, e in ciò egli s’assomiglia in tutto al suo grande compatriota che or nominai, e forse al Galileo Galilei e al Kant; si distacca invece da quanti altri ebbe la scienza umana di più grandi rigeneratori, specialmente nell’età antica. Socrate praticò, per esempio, un vero apostolato, e parlò piuttosto ai sentimenti che alla ragione: ma oggidì il carattere dominante della civiltà moderna è di tendere allo sviluppo dei poteri intellettuali a scapito e freno degli impulsi sentimentali; oggi l’osservazione dei fatti ci soddisfa assai più che non l’esposizione di un sistema o la proclamazione di un dogma. E Carlo Darwin, che fu di questa tendenza dello spirito moderno il più degno rappresentante, appunto per ciò, senza quasi lottare, si impose.
Noi abbiam visto negli ultimi anni come ciascuna sua opera non mirasse ad altro che a consolidare sempre più la sua teoria: ciascuna era anzi come un colpo di fulmine che il Giove della scienza moderna scioglieva di quando in quando dalla sua mano poderosa, portando lo sgomento nelle sempre più scarse fila dei suoi avversari. Io non dirò del valore di questi libri per rispetto alla teoria dell’evoluzione: essi possono assomigliarsi ai colpi distruttori d’un antico ariete, che cozza in silenzio e con tenacia terribile contro le mura d’un edifizio condannato a sfasciarsi, e continua in modo quasi maestoso la sua opera di distruzione in mezzo al bollore ed ai mille episodii del combattimento. Nessun grido di collera, nessuna esclamazione di disprezzo e di sarcasmo, nessuna parola d’impazienza è uscita mai dalla penna di questo uomo, che pure vedeva sorgere contro di sé tutto l’antico mondo dei pregiudizii e scorgeva il suo nome posto al bando dalla intolleranza, dalla malignità, dall’interesse, dall’ignoranza e dalla superstizione insieme collegate ai suoi danni: ma tutti questi libri del Darwin, che si succedevano regolarmente ad intervalli di uno, due o tre anni, movevano per vie diverse e talora indirette verso la grande meta, che ci s’era prefissa, così da servire come termini miliari per sempre irremovibili sulla via novella da lui aperta alla biologia.
La più gran parte di queste opere tratta argomenti di botanica, che fu la scienza prediletta di Carlo Darwin; anche perché la vita di campagna gli porgeva il destro di imaginare e ripetere continue esperienze sulla fisiologia vegetale. Uno dei più notevoli risultati degli studi botanici del Darwin, dal punto di vista della filosofia scientifica, fu di avere sempre più diminuita la distanza fra gli animali e le piante, dimostrando l’esistenza di funzioni analoghe di sensibilità, di movimento, di nutrizione e di assimilazione, di adattamento alle condizioni esterne e perciò di variabilità in ambo i grandi regni del mondo organico, fra i quali prima codeste funzioni parevano creare una divisione insuperabile. Un giudice competente come l’Hooker ha detto che queste ricerche di biologia vegetale del Darwin costituiscono i più grandi acquisti fatti dalla botanica nell’ultimo quarto di secolo. Tre anni dopo il libro sull’origine delle specie, il Darwin ne pubblicava uno sulla Fecondazione delle Orchidee per opera degli insetti e sull’utilità dell’incrociamento (1862), la quale valse a dimostrare come molti fatti biologici mal conosciuti o posti in non cale dai naturalisti avessero invece una importanza ben più grande delle loro aride ed artificiose classificazioni. Egli intraprese questo studio per provare che la stessa pianta non è sempre fecondata dal suo polline e che la natura provvede con disposizioni speciali per favorire l’incrociamento degli individui anche ermafroditi, come le Orchidee. Dapprima intraprese ricerche sulle sole specie inglesi, ma a mano a mano che ei s’andava interessando all’argomento estese anche le sue indagini all’intera famiglia. Si può dire, senza tema di errare, che l’opera del Darwin illumina la struttura e le funzioni degli organi di questa immensa famiglia di piante meglio che non lo avessero fatto tutte le ricerche antecedenti. Oltre a ciò, Darwin indicò nuovi campi di indagine e scoperse principii nuovi ed inaspettati applicabili all’intero regno vegetale, mettendo in chiaro i maravigliosi rapporti che ne legano i caratteri morfologici e funzionali coi costumi di date classi d’insetti, e perciò anche con i caratteri di forma e funzione del regno animale. Le Orchidee sono costrutte in modo da costringere gli insetti che le visitano a farsene i pronubi, trasportando il polline da un fiore all’altro, impedendo le nozze consanguinee e l’autofecondazione, e facilitando così l’incrociamento che è fonte di robustezza e di fertilità per la specie. Il Darwin pubblicò poi una memoria («Journ. of Linnean Society» 1862, VI, p. 77) su due varietà notissime di primavere, e provò che esse sono sessuali e complementari, che cioè le loro funzioni diverse consistono nell’assicurare una completa fecondazione, la quale non ha luogo se non per mezzo degli insetti. Questo scritto pone poi fuor di dubbio l’esistenza nel regno vegetale di unioni amorfiche o legittime e di unioni eteromorfiche o illegittime, e illustrava anche la curiosa struttura dei grani pollinici. Ora queste scoperte erano tali da destar meraviglia nei botanici; le due varietà di primule erano tanto comuni che tutta la loro storia naturale pareva già completata, né si sarebbe creduto possibile lo scoprire fatti di così vitale importanza come quelli osservati dall’occhio acutissimo del romito di DownHouse. Né posso tacere di un altro scritto meno conosciuto del Darwin sui fiori della canapa e sui loro congeneri («Journ. of Linnean Society», VII, pag. 69), nel quale è pubblicata la sorprendente scoperta che nella canapa comune il polline d’un fiore è assolutamente impotente alla fecondazione quando è posto sul suo stigma, mentre feconda in modo sicuro se portato sullo stigma di altro fiore; frattanto, anche adoperando i più forti ingrandimenti microscopici è impossibile trovare la minima differenza fra i pollini o gli stigmi dei due fiori.
Ancora più notevoli e pazienti sono le osservazioni originali del Darwin sul Lythrum salicaria, di cui scoperse il trimorfismo dei fiori e l’esistenza in ciascun fiore di tre sorta di stami differenti di forma e di funzioni, cosicché quella pianta singolare avrebbe sei sorta di pollini e tre forme di stili. Onde provare queste differenze e dimostrare che l’adattamento di tanti stami e pistilli era essenziale per la fertilità del Lythrum, il celebre scienziato dovette eseguire duecento sedici esperimenti: ora, coloro che conoscono la difficoltà di esperimentare sull’ibridismo d’una pianta a fiori larghi, semplicissima di forma e di struttura, comprenderanno quanta attenzione e quanta delicatezza furono necessarie per allontanare ogni sorta di errori. Ma intanto il Darwin scoprì la ragione di molti fenomeni oscuri della biologia vegetale e provò come la natura sapesse armonizzare tutte le più complesse modificazioni degli esseri organici per il loro adattamento continuo alle condizioni di esistenza, e com’essa vi pervenisse col mezzo degli insetti. Certo nulla è più naturale di questa funzione di pronubi esercitata dagli animali a favore delle piante; ma ciò che a prima vista sembra assai semplice è sempre al contrario il risultato delle scoperte di uomini di genio. Così è agevole comprendere adesso perché le piante a fiori brillanti, con forti olezzi o con secrezioni zuccherine siano fecondate per mezzo degli insetti, e perché invece le piante a fiori oscuri, o con polline poco coerente, lo siano invece per opera dei venti; ma intanto da un fatto così tenue all’apparenza, Carlo Darwin trasse la conclusione che prima dell’esistenza degli insetti nutrientisi di miele, la vegetazione del globo non poteva portare nessun fiore splendido per colore ed odore, ma doveva invece consistere in piante analoghe agli attuali pini, quercie e simili.
Si può dire che fino al 1865 la biologia discuteva ancora, senza speranza di risolverlo, il problema delle differenze fra gli animali e i vegetali, giacché il movimento e la sensibilità elevavano, secondo alcuni, una insuperabile barriera fra i due regni; ma l’opera che il Darwin pubblicò allora sulle Abitudini e sui movimenti delle piante rampicanti (1865) tolse ogni valore alla distinzione basata su quelle due funzioni. La struttura e le funzioni degli organi diversi per mezzo dei quali le piante si arrampicano e si attaccano agli oggetti esterni od alle altre piante, studiate da lui in tutte le famiglie del regno vegetale e secondo tutte le modificazioni che esse subiscono, rivelarono che le piante si arrampicano per arrivare, in mezzo agli ostacoli, alla luce, e per esporre colle loro foglie una più larga superficie alla sua azione ed all’aria con molto risparmio di sostanza organizzata e perciò con notevole vantaggio nella lotta per l’esistenza sopra le piante dotate di tronchi massicci e di rami pesanti. Questo vantaggio spiega la frequenza delle piante rampicanti in tutte le regioni della terra; ma, quel che è più, esso è acquistato e mantenuto per mezzo di speciali movimenti che la pianta esegue nell’arrampicarsi a seconda dei suoi bisogni, e per mezzo d’una particolare sensibilità di alcuni dati organi (rami, pezioli, peduncoli), i quali essendo sensibili al tocco si piegano verso la parte toccata e producono così la disposizione tutta speciale delle piante rampicanti. Ora queste scoperte scientifiche, anche prescindendo dall’immenso loro valore per rispetto all’evoluzionismo, distruggevano intieramente le osservazioni grossolane e le spiegazioni ipotetiche di tutti i botanici precedenti; rivelavano l’esistenza di organi, di strutture e di funzioni non mai immaginate per l’innanzi; arricchivano di leggi nuove la biologia, infine aprivano l’adito a inaspettate applicazioni pratiche. È utile rammentare per chi nol sapesse, e a confutazione degli avversarii del darwinismo, che le scoperte del Darwin sulle piante rampicanti attrassero ben tosto l’attenzione degli orticoltori ed agricoltori pratici, i quali poterono conoscere nella scarsità d’alcuni raccolti l’effetto delle leggi rivelate dal naturalista inglese. Così la scienza teorica giova di continuo ai progressi della civiltà umana, aumentando il benessere dei popoli civili; e altrettanto fu utile la teoria dell’evoluzione all’economia rurale, come lo furono alla industria le indagini elettriche del Faraday.
Durante dieci anni, cioè fino al 1875, il Darwin non pubblicò alcuna memoria esclusiva di biologia vegetale; ma egli continuò sempre le sue indagini ed esperienze botaniche fino agli ultimi giorni della sua vita, ed anche nel redigere le opere più generali relative all’evoluzionismo di cui parlerò fra poco, non tralasciò mai d’occuparsi dei suoi studi di predilezione. Nel 1875 un nuovo libro sulle Piante insettivore (Insectivorus Plants) veniva a distruggere per sempre un altro dogma della vecchia biologia: che cioè la digestione delle sostanze organiche per mezzo di succhi preparati dall’individuo vivente fosse propria solo degli animali. I naturalisti conoscevano l’esistenza di piante, le cui foglie a contatto di qualche corpo straniero, per esempio d’un insetto, si contraevano e lo imprigionavano fra i loro peli per qualche tempo, finché fosse avvenuta la sua morte: tali alcune specie di Droseracee, come la Dionea, la Sarracenia, la lingtonia, i Nepenthes, e non poche specie d’Utricularie. È notevole come Erasmo Darwin nel 1761 si contentasse di supporre che la Dionea si circondava di tali tranelli per difendersi dagli insetti depredatori, ma Carlo Darwin, centoquattordici anni dopo il suo celebre avolo, forniva ben altra e più esatta spiegazione del fenomeno. Egli, dopo lunghe esperienze continuate per molti anni, provava come mettendo delle sostanze albuminoidi sulle foglie e negli utricoli di queste curiose piante, ne avvenisse una vera digestione ed assimilazione per opera dei succhi segregati dalla superficie interna degli organi di ricatto e di presa, come la sensibilità della Drosera non fosse svegliata invece da corpi inorganici, e come questa funzione digestiva fosse utile alla intera pianta: in altre parole, ogni vegetale insettivoro o carnivoro discioglie e digerisce le sostanze proteiche allo stesso modo con cui lo stomaco degli animali dissolve e chimifica gli alimenti. Però occorre notare che i processi di nutrizione delle piante sono in generale assai differenti da quelli degli animali ed hanno luogo soltanto per combinazioni chimiche molto semplici: nullameno può il protoplasma degli animali, di guisa che le piante carnivore, con tanto acume e novità di indagini illustrate dal Darwin, costituiscono un nuovo anello nella catena continua degli esseri viventi.
Uno scritto del 1876 (The effects of Cross and Self-fertilisation in vegetable Kingdom, London) contiene una serie numerosissima di ricerche dirette a risolvere il quesito dei vantaggi della fecondazione incrociata nel regno vegetale. Sebbene in natura a meglio assicurare la riproduzione delle piante serva il loro ermafroditismo, basta l’osservazione più semplice per convincersi che l’autofecondazione è assai meno vantaggiosa all’individuo dell’incrociamento, e che la natura aborre in generale dalle nozze consanguinee. La dicogamia di moltissime specie, la deistogamia o esistenza in una stessa pianta di fiori sterili e di fiori fecondi (scoperta anch’essa dal Darwin), l’utilità degli insetti pel trasporto del polline da un fiore all’altro e da una pianta all’altra, ed altri fatti simili furono il punto donde prese le mosse il Darwin per istudiare l’interessante problema. Durante undici anni e colla cura più scrupolosa egli esperimentò su 2177 piante spettanti a 57 specie e a 52 generi di tutte le parti del mondo, tenute sotto osservazione dalla germinazione fino alla maturità delle sementi: e solo dopo tutto questo lavoro potè giungere alla conclusione generale, che nella grande maggioranza dei casi gli individui ottenuti con una fecondazione incrociata sono più robusti, più alti, più vigorosi, e posseggono più sementi che non quelli prodotti coll’autofecondazione. I vantaggi dell’incrociamento debbono attribuirsi, secondo il Darwin, a ciò che gli individui incrociati furono sottomessi a condizioni diverse di ambiente e che esisteva un certo grado di differenzialità fra i loro prodotti sessuali; di guisa che una limitata modificazione nelle condizioni di vita appariva, dopo tali scoperte, utile agli organismi, e così pure si scorgeva vantaggiosa alla specie la fusione di due individui alquanto differenti fra loro. Basta enunciare codesto principio per comprendere com’esso si applichi in modo più generale anche ai progressi derivati dal differenziamento dei sessi nella serie animale e come valga anche per rispondere alla obbiezione dell’ibridismo.
Non meno nuove ed importanti sono le ricerche sulle differenti forme di fiori che presentano le piante della stessa specie (The different forms of Flowers on Plants of the same species, London, 1877). Già Linneo aveva distinto i fiori in ermafroditi ed unisessuali, e le piante che portano questi ultimi in monoiche, dioiche e poligame: ma il Darwin fino dal 1862, come dissi, poi anche nel 1868, ristudiando questa parte oscura della fisiologia vegetale, ci mostrava come le forme floreali presentate dalle piante d’una stessa specie sieno ben più variate di quanto supponeva il celebre Svedese. Così fra le piante a fiori ermafroditi, cioè con pistilli e stami, come fra quelle unisessuate monoiche e dioiche, non che fra le poligame, il Darwin scopriva numerose e varie combinazioni nella struttura delle forme florali (dimorfismo e trimorfismo), determinando anche il valore fisiologico di queste differenze strutturali negli organi di riproduzione. Le osservazioni e le esperienze sulla Primula veris, che egli fece allo scopo di verificare i vantaggi della fecondazione fra i fiori di tipo dissimile (fecondazione incrociata o legittima) su quella fra fiori simili (fecondazione diretta o illegittima), resteranno modello insuperabile di esattezza e di pazienza per tutti gli sperimentatori. Sono pure ammirabili e nuove le indagini sull’utilità degli insetti nell’agevolare la fecondazione crociata, specialmente nei fiori a lunghi stami e a lunghi stili; donde la conclusione che in molte piante la riproduzione sarebbe impossibile senza l’intervento degli insetti. Trovava poi con pazienti statistiche che la fertilità delle piante ottenute mercè la fecondazione illegittima era minore che in quelle nate per incrociamento, ravvicinandosi in tal modo alla scarsa fertilità degli ibridi provenienti da due specie differenti. Il valore di queste scoperte, per rapporto alla teoria dell’evoluzione, non è contestato da alcuno, e si può asserire che esse davano l’ultimo crollo ai concetti prevalenti nelle vecchie classificazioni sistematiche per riguardo alle differenze morfologiche e fisiologiche fra le specie e le varietà.
L’ultima opera di biologia botanica del Darwin è quella pubblicata da lui in collaborazione col figlio Francesco sul movimento delle piante (The Power of Movement in Plants, London, 1880). Essa può riguardarsi come una continuazione dell’altra sulle piante rampicanti. Vi è fatto un esame sperimentale ingegnosissimo del modo onde lo stelo, le foglie e le radici delle piante si muovono durante la crescenza, e vi si ricercano le cause di questi movimenti. I due Darwin scopersero che ciascuna parte d’una pianta, mentre si sviluppa, è in continua circum-mozione, cioè descrive una figura circolare ed ovale in causa del gonfiarsi delle cellule prima da una parte, poi dall’altra. Così nella cima e nelle foglie, come nelle radici di ogni vegetale, le influenze esterne, luce, calore, umidità, gravitazione, producono speciali fenomeni di movimento assai vantaggiosi allo sviluppo ed alla vitalità della pianta, nella quale sembra esistere un certo grado di sensibilità per dirigerla nella ricerca dei mezzi utili alla sua esistenza. La sommità d’una radice nell’atto della crescenza può essere quasi equiparata al cervello di un animale inferiore, e la botanica impara in tal modo a considerare le funzioni della pianta da un aspetto più largo e giusto che non sia quello della semplice dipendenza dalle leggi fisico-chimiche. Uno certo dei titoli maggiori del Darwin sarà quello di avere dato vita colle sue stupende esperienze ad una scienza quasi nuova, la biologia vegetale.
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