Cristoforo Colombo (Correnti)/II

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I III

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II.


Riviviamo, o signori, colla fantasia nell’anno 1470, quando Colombo, oscuro avventuriero di mare, veniva a Lisbona.

I Portoghesi, schiacciati tra il mar Atlantico e la Spagna, aveano da 60 anni intrapreso con magnanima pertinacia di conquistare l’impero dell’Oceano, tragittarsi, girando l’Africa, alle Indie, e tirare per tal modo a sé i commerci delle spezierie, che da quattro secoli stavano in mano degli Italiani. Avevano da principio sperato di trovare poc’oltre la spiaggia Mauritana il mare equatoriale, che, secondo i cosmografi antichi, spartiva le due zone temperate: e sostennero quella speranza, voltando faticosamente i tempestosi promontorii, che fanno irta quell’inospite riviera, finché s’accorsero che al di là della Guinea continuava terra dritto verso mezzodì, senza indizio d’alcun passaggio all’Oceano indiano. Onde sembra che per alcun tempo cadessero di animo. In questo appunto Colombo fu a Lisbona. Accasatosi colla figlia d’un navigatore italiano che avea tenuto il governo di Porto-Santo, una delle Canarie, spesso stanziò in quell’isola allora dell’estremo Occidente. Di là potè vedere e sperimentare come lunga e perigliosa riuscisse la navigazione rasente l’Africa: là in faccia all’Atlantico inesplorato pensò pel primo il semplicissimo pensiero che quelle vaste acque dovevano stendersi fino ad un’opposta sponda; forse fino alle Indie. Ammessa la sfericità della terra, nulla di più naturale. Le Indie e specialmente [p. 12 modifica]le Isole delle Spezierie credevansi poste all’estremo Oriente: Colombo trovavasi sull’estremo lembo dell’Occidente. Ora non è egli evidente che due punti presi su un cerchio, quanto più s’allontanano da una parte, tanto più s’avvicinano dall’altra, finché, giunti all’estremo, si toccano e si confondano? Da quest’idea semplicissima, elementare, accessibile anche ad un’intelligenza puerile, partì l’uomo che dovea fare la più grande delle scoperte. E questo appunto ci spiega la lucidità e l’irremovibile fermezza del suo genio. Nella sicurezza della base teorica, nel concorso di fine e ripetute osservazioni, nel consenso di tutti i geografi, che allora avevano autorità, sta il segreto della sua ostinazione. No: né i visionarii, né i caparbiì non potranno invocare l’esempio di Colombo; perocché egli sentiva di essere null’altro che la conseguenza delle premesse, confessate da tutti i suoi avversarli. Infatti già da 1800 anni i filosofi greci avevano dimostrata la rotondità della terra. Nessuno, fuor di pochi teologastri, contraddiceva i maestri della scolastica. Alberto Magno, san Tommaso, gli Arabi consentivano cogli antichi; e nondimeno si continuava a parlare del lontanissimo Oriente come di un punto immobile ed estremo della terra. — L’Europa, credendosi confinata all’ultima plaga del mondo abitabile sotto il povero cielo settentrionale, teneva fissi gli occhi nel suo Oriente, alla terra del sole, dell’oro e delle spezie, cercando sguisciarvi rimpicciolita, supplichevole, tributaria traverso la Siria, l’Egitto, la Persia e la Tartaria, tenute da popoli barbari, potenti e irreconciliabili ai Cristiani. Colombo solo si rivolge all’Occidente, e grida: là è l’Oriente estremo; quest’essa è una nuova via per le Indie. Buscar el levante por el ponente! Voltar le spalle alla meta e far cammino a ritroso! Ben è dritto se lo [p. 13 modifica]schernivano i popoli, se lo inseguivano per via i fanciulli gridando al pazzo (El loco, el loco!) Buscar el levante por el ponente! Nondimeno chi oserà dire che la scienza d’allora, che lo stesso volgare buon senso potessero trovar qualche ragione, qualche apparenza di ragione da opporre alla dimostrazione geometrica di Colombo?

Ma fra l’una e l’altra terra, fra l’ultima regione orientale e l’ultima occidentale, s’interpone un mare ignoto, fino a quei giorni intentato, forse immenso, forse innavigabile. Ecco l’altra parte della quistione. A scioglier la quale non può negarsi che entrassero errori, come altri vollero chiamarli, fortunati; ma Colombo non vi mise di suo, che la limpida perspicacia, la fermezza logica e lo spirito di osservazione. Consultate gli antichi; l’India secondo essi tanto era vasta che quattro mesi di cammino appena bastavano a traversarla (Nearco) e teneva certo una metà dell’Asia (Ctesia) e forse la terza parte di tutta la sfera (Onesecrito: Plinio). Guardate la geografia e il mappamondo di Tolomeo; l’India stendesi fino al limite orientale del nostro emisfero, né ancora se ne trovano segnati i lidi estremi. A questa sconfinata grandezza aggiungevano presunzione di grandezza maggiore le notizie che gli Arabi, i Missionarii cattolici, i mercanti viaggiatori aveano diffuse sulle meraviglie del prete Janni e sull’impero del Gran Kan che regna i cento re dell’Oriente. S’aggiungevano i racconti sull’immensa estensione e popolazione del Cataï, non creduti a Marco Polo, ma che allora ripetuti e confermati da molti altri, non si potevano più volgere in ischerno. Ora ben oltre quel vastissimo paese (che teneva la parte più orientale del continente e non si trovando nella geografia e sulle carte di Tolomeo abbraccianti tutto il nostro emisfero, doveva supporsi proteso nell'emisfero [p. 14 modifica]emisfero opposto) correva sicura fama che giacesse sempre più verso Oriente la vasta isola del Cipango; e più in là ancora e però sempre più vicine all’Occidentale Europa altre isole disperse per grande spazio di mare, delle quali si conoscevano anche i nomi (Java maior, Java minor, Angava, Candia). Se a tutto ciò s’aggiunga, che i calcoli degli arabi astronomi, adottati da’ più autorevoli cosmografi cristiani, facevano la circonferenza della terra minore un migliaio di miglia della misura assegnatale da Tolomeo, si vedrà come tutta la scienza del tempo necessariamente portasse alla persuasione, che le terre incognite dell’India e le sue isole più orientali doveano protendersi di contro all’Occidente fino ai mari, dove Colombo credeva trovarle e dove invece giacciono le Antille.

Rinfiancava Colombo codeste ragioni ed autorità colle osservazioni ch’egli stesso aveva raccolte ne’ suoi lunghi viaggi dall’Islanda alla Guinea. Gl’isolani delle Azore gli aveano narrato che le correnti pelagiche, venute dall’ovest, gettavano spesso al lido tronchi d’alberi ignoti e canne gigantesche e cadaveri d’ uomini che a nessuna razza europea od africana sembravano appartenere: che alcuna volte, portate dalla forza di tempi avversi, navi di forma strana s’eran viste errare per le acque dell’Atlantico; che altre volte in alto mare, soffiando ponente, eransi pescati frammenti di legno lavorati ad arte, e a quanto pareva, senza ministero di ferro. Altri indizii studiosamente ravvicinava Colombo; e notò il nome di molti piloti, che il caso o la curiosità aveva spinto più dentro mare; e non ignorò che a settentrione, più in là dell’Islanda, giacevano altre terre; e fin delle tradizioni popolari tenne conto e de’ varii tentativi e delle allucinazioni. Parranno minuzie: ma di minuzie vive [p. 15 modifica]l’osservazione; la quale tanto più è da lodarsi, quanto più piccoli od ovvii sono i fatti da cui trasse conseguenze grandi e inaspettate.

Cognizione perfetta dei materiali preesistenti, induzione sicura ed irrecusabile, conferma di numerosi indizii sperimentali, ecco gli elementi della grande ipotesi di Colombo che può servire di modello a tutte l’altre ipotesi scientifiche e pratiche. Perciò non parve indegno di molto studio il seguire la serie de’ pensieri di Colombo anche nelle più riposte loro particolarità; e l’Humboldt con influita pazienza scese fino a precisare le edizioni dei libri che Colombo debbe aver consultati; ma né il tempo né il luogo concederebbero a me di seguire le traccie di cotesta alemanna scrupolosità. Nondimeno accennerò sorvolando le opinioni che correvano tra i geografi sulla distribuzione e sulla forma della terra e dei mari. Il che varrà a spiegare le fallaci analogie che traviarono molti eruditi, e ingossarono d’inutili dubbii la storia della scoperta dell’America.

I Greci, nell’età poetica, immaginarono la terra circolare come l’Orizzonte visibile, e stesa in piano come anche oggidì appare ai sensi; e fantasticarono che le girasse d’intorno l’Oceano, fiume o mare o sorgente di mari che lo credessero. Al di là poi collocavano una terra che tutto abbracciava l’Oceano, la quale perciò ebbe nome di continente, nome, che ancora oggi si conserva, con manifesta contraddizione, alle due più vaste isole del globo. A questa vetusta e mitica geografia appartengono quei continenti transoceanici di cui parlano Platone, Plutarco e Teopompo. Ma quando prevalse nelle scuole greche la dottrina della sfericità della terra, alla quale condusse irresistibilmente il diverso aspetto del cielo nelle diverse regioni, e l’osservazione comparativa del nascere e [p. 16 modifica]del tramontare degli astri, si cominciò a pensare che l’azione del sole distribuita simmetricamente sulla sfera terraquea dovesse produrre anche nell’emisfero opposto le stesse vicende di stagione e di clima, che presenta l’emisperio da noi abitato: cosicché il globo veniva ad essere diviso in due parti, l’australe e il boreale, dalla zona mediana dell’equatore, intransitabile agli uomini per la soverchia calura. Onde l’alter orbis di molti antichi scrittori, e il loro mondo degli antipodi, non si ha mai ad intendere, come molti hanno fatto, per l’America: ma sibbene per la zona temperata posta al di là degli ardori equinoziali. Perocché gli antichi non conoscendo per esperienza più che l’ottava parte della spera procedevano con ipotesi arrischiatissime; fra le quali è singolare quella di Macrobio che, sviluppando l’idea simmetrica delle zone, suppone la terra quadrifida, o distribuita in quattro gruppi; il che si trova essere pressoché conforme al vero.

Marino da Tiro e Tolomeo invece, preoccupati forse dall’ antica tradizione del continente mitologico, inclinano a mutare in seno chiuso e mediterraneo ogni mare e a supporre negli spazii inesplorati vaste estensioni di terra. Per altra via tornarono alle fantasie dell’età poetica i primi scrittori cristiani: i quali combatterono l’idea del doppio emispero e delle due zone divise ed incomunicabili perchè offendeva il dogma dell’unità del genere umano: ma poi trascendendo, avvolsero nella medesima riprovazione la teoria della sfericità della terra, si rappresentarono il mondo colle idee infantili, immaginando un piano rettangolare cinto tutto intorno dai mari, e al di là di esso il Paradiso terrestre; e infine una gran muraglia che sorreggesse la solida vôlta del firmamento. Appena si crederebbe che lo spirito umano abbia potuto, dopo Aristotile e [p. 17 modifica]Strabone, tornare a tanta ignoranza. Ma veramente i due che ora nominammo, seppero per forza di buon senso tenersi lontani da ogni errore sistematico; e credettero il mare uno, vastissimo, circonfuso intorno alle terre. Strabone aveva anche mirabilmente preveduto l’esistenza o almeno la possibilità dell’America. «In questa zona temperata, dic’egli, che è nell’emisfero boreale oltre la terra che abitiamo, vi potrebb’essere un’altra terra, principalmente vicino al circolo che passa per Tine ed il mare Atlantico.» Davvero è forza convenire che Strabone nella sua ipotesi riesce assai più preciso di Colombo, perocchè egli aveva preveduta la grand’isola americana. Ma che perciò? . . . . . Il letterato dei tempi d’Augusto soggiunge subito dopo con profonda indifferenza: «Codeste ricerche nulla hanno a fare colla geografia positiva; e se pur quest’altre isole vi sono, non potrebbero nutrire popoli della nostra stessa origine, e si avrebbero a guardare come un altro mondo.»

Il mondo che Strabone abbandona. Colombo lo raccolse: perchè non basta indovinare la verità, non basta, quasi dissi, toccarla; bisogna amarla d’amore operoso, bisogna sopratutto venire a tempo. Che avrebbe fatto Augusto d’un nuovo mondo, egli che decretava non doversi più allargare i confini dell’impero? Ma nasceva a’ suoi giorni un’idea che aspirando al dominio di tutte le anime non doveva conoscere altri confini che i confini del mondo, altri interessi che gli interessi dell’umanità; e Colombo fu anch’esso apostolo di questa idea. «Veramente ei fu Colomba, dice suo figlio Ferdinando; poichè per grazia del Divino spirito scoperse il nuovo mondo e vi fece conoscere il Figliuol eletto di Dio che ivi non si conosceva; e portò sulle acque dell’Oceano l’ulivo e l’olio del battesimo per l’unione e la pace di quelle genti [p. 18 modifica]fino allora escluse dall’arca fraterna della Cristianità.»