Dal Trentino al Carso/La titanica lotta nel Trentino/La battaglia nella foresta

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La battaglia nella foresta

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La titanica lotta nel Trentino - Nella regione riconquistata La titanica lotta nel Trentino - La battaglia sulle vette

[p. 54 modifica] LA BATTAGLIA NELLA FORESTA.

Vicenza, 9 luglio.


Per lunghi giorni la grossa artiglieria si è inerpicata pesantemente alle nuove posizioni, con grande frastuono di trattrici automobili, e il lento giro dei cingoli incatenati alle ruote, appoggiando a terra le larghe suole quadrate di legno e di ferro, aveva la fatica di un passo greve, eguale, perseverante, profondo, le cui orme sono rimaste impresse sul terreno molle di sentieri alpestri.

Ultimi nell’avanzata, lenti come dei pachidermi, cercandosi ognuno un buon posto nei punti di ammassamento, fra le gole, al coperto, i cannoni da demolizione si sono piazzati, tutti vestiti di fronde, mascherati da boscaglia, e hanno aperto il fuoco. A mano a mano che arrivavano, entravano in azione, per inquadrare il tiro; provavano isolatamente la voce per il gran coro che si preparava. Poi tacevano aspettando i compagni. Si è sentito tuonare prima un fuoco di sezioni, poi un fuoco di batterie, ed ora anche i ritardatari, dietro agli altri, si sono appostati, e il coro è pieno.

Dopo il silenzio improvviso del 25 giugno, nel quale gli eserciti si misero in movimento, l’austriaco per ritirarsi, l’italiano per [p. 55 modifica] inseguire la battaglia è andata riprendendo gradatamente furore, a mano a mano che i cannoni si fermavano da una parte e dall’altra; ed ora, da tre giorni, essa è violenta, piena, tumultuosa, intensa, rombante, continua.

Fino nella pianura l’aria è scossa dai boati, e alla notte i vetri di Vicenza tremano all’eco di questa immane tempesta di fuoco. Tremano come quando il fumo delle granate austriache si sfioccava sul bordo azzurro dell’Altipiano. Ma questa volta sono le nostre, cannonate che ruggono più forte nella quiete notturna, siamo noi che assaliamo, che investiamo la linea fortificata della difesa nemica. La battaglia imperversa con maggiore accanimento all’ala destra.


Continua la manovra iniziata da Cadorna il 16 giugno. L’azione italiana preme sui fianchi. La ritirata del nemico non ha imposto alcun mutamento generale dei piani. Essa ha prodotto soltanto uno spostamento. La lotta ha fatto un balzo in avanti, ma sul nuovo terreno, essa si delinea nella stessa forma. Gli austriaci sono stati costretti ad arretrare la loro fronte minacciata ma hanno cercato di tenere solidamente le due estremità, ed è su quelle che il nostro attacco martella, ora alternativamente, ora sul medesimo tempo. Dopo i progressi italiani in Vallarsa, verso il [p. 56 modifica] Colsanto, appoggio della difesa nemica alla sinistra, si sferra adesso con rinnovata energia l’offensiva nostra alla destra, fra la Valle di Nos e la Valle Galmarara, contro tutto il baluardo di monti che si schiera sull’Altipiano di Asiago, da nord a sud, a sbarrare gli approcci della profonda spaccatura dell’Assa, della quale gli austriaci intendono fare il loro fossato. Si combatte nei boschi.

La battaglia è invisibile. Le granate austriache cercano i nostri pezzi, battono le retrovie, costellano la conca di Asiago di eruzioni e di nubi, bombardando i villaggi già demoliti, incendiano delle casette e delle ville saccheggiate, che conservano morendo il loro aspetto gentile e lieto di edifici fatti per godere la vita, un sorriso attonito e tragico di mura chiare e di verande fiorite, qualche cosa di femminile, di familiare, di dolce, che il massacro non cancella. Ma più in là, alle falde dei monti, la battaglia si nasconde nel folto della foresta, penetra nella moltitudine eguale e solenne degli alberi secolari, sparisce sotto la coltre verde e nuvolosa delle grandi chiome, e non si ha di fronte che una maestosa impassibilità silvana. Nessuna battaglia somiglia a questa.

Il combattimento è spezzato dai tronchi e dalle rocce; esso si suddivide in miriadi di episodi; ogni plotone, ogni pattuglia, ogni [p. 57 modifica] uomo talvolta, hanno la loro minuscola battaglia, con le sue tattiche e le sue manovre. Si combatte da albero ad albero, da masso a masso, da cespuglio a cespuglio, appiattati, annidati, arrampicati, lottando lungamente per la conquista di un pino o di un sasso. È una immensa, sterminata, formidabile guerriglia, che striscia, si agita, formicola, e che si indovina allo strepito. La foresta si direbbe deserta, scoppiettante e fumigante come per degli incendi che mordessero il piede dei tronchi freschi. La difesa austriaca di questo strano terreno è tenace ed abile, come sempre.


Sarebbe una ingiustizia verso di noi e una menomazione del nostro valore, disprezzare il nemico che vinciamo. Ci deve bastare odiarlo. Esso sa adattarsi alle varie forme di lotta con un grande spirito organizzativo e un’abbondanza straordinaria di mezzi che rivelano una preparazione antica e studiata, un ordine meticoloso, una grande cura dei particolari, una perfezione di macchina che compensa il sentimento dei combattenti. L’elemento umano nell’esercito austriaco non è che una specie di munizione. È come una di quelle polveri moderne da cannone, terribili quando sono adoperate nell’arma, e che fuori non sono che materia inerte, grigia, che brucia senza far male, a piccolo- fuoco. L’organismo è tutto. [p. 58 modifica]Qualunque sia la sua razza, qualunque siano i suoi pensieri, le sue aspirazioni, i suoi ideali, il suo coraggio, sia tedesco o slavo, italiano o tseco, l’austriaco, preso nei meccanismi del suo esercito, è costretto ad essere un buon soldato, magari con le mitragliatrici che gli sparano alle calcagna.

Quando si vedono e si interrogano i prigionieri, catturati spesso dopo strenue lotte, si è sorpresi dalla loro assoluta indifferenza per la causa austriaca e dal loro egoismo. Sono al primo momento pieni di idee false su di noi, temono la ferocia italiana della quale hanno sentito tanto parlare, e non di rado il loro eroismo non era che paura, paura di arrendersi. Anche questo fa parte dell’organizzazione; si creano errori e spaventi di menzogna nell’animo delle truppe come si mettono dei reticolati. Una volta sotto il reticolato delle false idee, l’anima è presa e non c’è più niente. Il prigioniero si preoccupa della sconfitta del suo paese come del prossimo eclissi solare.

La lotta è dura nelle foreste, preparate in pochi giorni alla resistenza, piene di sorprese inimmaginabili. Le raffiche delle pallottole arrivano da direzioni inaspettate. Scende dall’alto il loro sibilo ronzante, che fa pensare alla vibrazione breve di immense corde musicali tese nello spazio, al suono dei fili telegrafici toccati da un sasso; i ramoscelli e le foglie [p. 59 modifica] stroncati fioccano lentamente da tutte le parti, e non si vede niente fra i tronchi e per le scogliere tappezzate di musco. Poi ci si accorge che il nemico è appollaiato sulle cime delle piante. Delle mitragliatrici sono issate lassù e dei tiratori scelti sono appollaiati nel fogliame.

Come per certe cacce alla posta, gli austriaci hanno sistemato fra i rami alti delle posizioni di agguato. Vi hanno creato impalcature, pianerottoli mascherati di frasche, collegati da telefoni, e spesso, dove il bosco è più folto, delle tavole e delle corde tese ad appoggiamano fanno da ponte da albero ad albero, permettono dei rafforzamenti o dei ripiegamenti aerei.

Bisogna combattere con gli stessi mezzi, e l’ascia dei nostri soldati risuona nei burroni. Si tagliano alberi, si costruiscono enormi e rudi scale che fanno pensare alla preparazione di un antico assalto alle mura merlate di qualche, castello, e su, verso le creste flagellate, nella boscaglia tenebrosa e rombante, le schiere grigie trascinano scale e tavole. Sulle vette di abeti e di pini secolari i soldati si arrampicano a creare le loro trincee pensili, e la battaglia stravagante infuria da nido a nido. I feriti vengono discesi con corde, legati alle ascelle, come dei frutti giganti colti dalla mitraglia.

In basso, le trincee nemiche, cumuli di sassi, di musco e di fronde, sono invisibili, introvabili, tanto hanno l’apparenza naturale di [p. 60 modifica] scogliera assecondando gli aspetti del terreno. Esse sbarrano ogni varco, ogni passaggio, e fermano l’assalto finché le vampe non si sono viste, e delle manovre ardite, delle ascensioni lente e caute sui fianchi non hanno condotto a sopraffare i difensori a colpi di granata a mano.

Certe resistenze d’imboscata sono affidate a tiratori scelti, per lo più tirolesi, pagati con soprassoldi vistosi e compensati con premî speciali. Sono lasciati nelle anfrattuosita dei ciglioni, nei punti dai quali qualche radura permette di dominare gli approcci dei valloni. Hanno cumuli di munizioni e di viveri, provviste d’acqua, e rimangono lì, alla caccia, dietro al loro fucile di precisione a cavalletto, per giorni interi. Quando sono catturati, poiché finiscano quasi sempre per essere catturati — abbiamo dei soldati che sanno come andarli ad acciuffare, con una pazienza ed una sagacia da pellirosse — si mostrano gradevolmente sorpresi di vedere che nessuno taglia loro il naso. Hanno l’aria di dire: Ah! Se lo avessi saputo prima! — Si sono battuti come leoni per difendere ad oltranza un naso che nessun pericolo minacciava.

Di tanto in tanto, poi, si è di fronte alla siepe rugginosa di un reticolato. Qualche volta sono dei reticolati portatili, che gli austriaci hanno la costanza di trascinare anche all’assalto. [p. 61 modifica] Somigliano un po’ a quelle reti sulle quali i terrazzieri gettano a palate la sabbia per stacciarla. Sono dei grandi rettangoli di legno, nei quali si intreccia del filo di ferro spinato, che vengono tenuti in piedi con dei puntelli. Rappresentano un reticolato da pattuglia, una prima difesa contro quella maledetta baionetta italiana che è sempre pronta a luccicare.

Ma nella foresta, il reticolato più comune non ha ordine, non ha allineamento, si appoggia agli alberi, sorge improvviso come una immensa rete di ragno tesa fra tronco e tronco ad altezza d’uomo. Non si vede da lontano, l’ombra e gli arbusti lo nascondono, e quando uno sbalzo avanti sembra possibile, i nostri esploratori debbono essere sguinzagliati alla ricerca delle barriere sottili, la cui presenza indica sempre qualche appollaiamento di mitragliatrici.

Sono per tutto le mitragliatrici. La forza di armamento dell’esercito austriaco si è aumentata col decrescere della sua forza umana. Esso è andato compensando il logorìo fatale delle truppe con una quantità sempre maggiore di armi potenti e di munizioni. Gli uomini che si diradano hanno a loro disposizione mezzi automatici più grandi di difesa e di offesa. I nostri progressi in armamento sono pure vasti, ma è bene non perdere di vista nella nostra preparazione incessante le proporzioni della preparazione nemica. Noi non l’abbiamo [p. 62 modifica]superata sebbene ne trionfiamo per l’eroismo magnifico delle nostre truppe. Approfondendo l’organizzazione austriaca, la sua grandiosa e formidabile possanza, precisa e meccanica, noi vediamo ingigantire gloriosamente nel nostro concetto, più che il peso inesorabile della nostra macchina di guerra, il valore del soldato italiano e la genialità dei suoi capi, che portano ad una perfezione trionfale lo sfruttamento delle disponibilità.

La difesa austriaca, che noi spezziamo lentamente alle sue giunture come si spezza un reticolato per aprirvi dei varchi, è fatta con quel lusso inaudito di mezzi che caratterizzò l’offensiva. Il solo trasporto del filo di ferro spinato, che a centinaia di tonnellate il nemico sperpera in zone aspre, montuose, poco accessibili, trasporto che viene eseguito sacrificando i trasporti di cibo e di acqua per le truppe, dimostra come ogni preoccupazione umana passi in seconda linea di fronte al freddo, inflessibile e feroce calcolo delle possibilità della lotta. Rivela anche la impossibilità di affidare qualsiasi posizione alla difesa pura e semplice dei soldati senza il soccorso di barriere inanimate.

Quando si passa dove la battaglia ha fatto le sue soste si trovano le tracce della macchina austriaca. Sono cumuli di munizioni e depositi di granate a mano adunati in poche [p. 63 modifica] ore, sono reticolati di ogni genere, sono casse di razzi segnalatori, sono chilometri e chilometri di filo telefonico, un filo sottilissimo e bianco come uno spago nel quale continuamente si inciampa. All’inizio della guerra ogni compagnia austriaca aveva il suo telefono, corredato da 62 chilometri di filo. Ora anche le pattuglie in avanscoperta hanno il telefono Un soldato marcia col ricevitore e il microfono fissati al petto, il rocchetto di filo sulle spalle come uno zaino. Questo spiega la immediatezza di certi movimenti e la prontezza e la precisione dei concentramenti di fuoco delle artiglierie.

Ma nulla resiste a lungo ai nostri colpi di maglio. Gli austriaci sono costretti a mantenere il grosso delle loro forze sulla fronte italiana per ritardare la nostra avanzata. Sembra che soltanto dai grandi nuclei della riserva alcune divisioni siano partite per la Bucovina, ma che le truppe di prima linea siano interamente inchiodate dalla nostra offensiva vigorosa. Piccole carovane di prigionieri scendono dai boschi fra le scorte, e non si sono mai visti dei tipi più inselvaggiti, più abbrutiti, più sporchi di questi prigionieri che ci manda la foresta.

Hanno nel viso lo stupore delle bestie snidate nel buio. E sono infatti snidati come fiere. Si è tentato pure di cacciarli alla guisa di una [p. 64 modifica]selvaggina incendiando il bosco. Ogni giorno qualche nuova vetta cade in nostro possesso e le notizie delle vittorie corrono festosamente nelle retrovie. Sarebbe però imprudente aspettarci dei progressi veloci. Ci battiamo sulle posizioni più difficili del mondo. E il passo che segue è sempre il passo più duro.