Del principe e delle lettere (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo III

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Capitolo III

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Capitolo Terzo

Cosa siano le lettere.

Ma che sono elle le vere lettere? Difficilissimo è il ben definirle: ma per certo elle sono una cosa contraria affatto alla indole, ingegno, capacitá, occupazioni e desidéri del principe; e in fatti nessun principe non fu mai vero letterato, né lo può essere. Or dunque, come può egli ragionevolmente proteggere e favorire una sí alta cosa di cui, per non esserne egli capace, difficilissimamente può farsi egli giudice? E se giudice competente non ne può essere, come mai rimuneratore illuminato può farsene? — Per giudizio d’altri. — E di chi? — Di chi gli sta intorno. — E chi gli sta intorno?

Se le lettere son l’arte d’insegnar dilettando e di commuovere, coltivare e bene indirizzare gli umani affetti, come mai il toccare ben addentro le vere passioni, lo sviluppare il cuore dell’uomo, l’indurlo al bene, il distornarlo dal male, l’ingrandir le sue idee, il riempirlo di nobile ed utile entusiasmo, l’inspirargli un bollente amore di gloria verace, il fargli conoscere i suoi sacri diritti; e mille e mille altre cose, che tutte pur sono di ragione delle sane e vere lettere, come mai potranno elle un tale effetto operare sotto gli auspici d’un principe? e come le incoraggirá a produrlo il principe stesso?

L’indole predominante nelle opere d’ingegno nate nel principato, dovrá dunque necessariamente essere assai piú la eleganza del dire che non la sublimitá e forza del pensare. Quindi le veritá importanti, timidamente accennate appena qua e lá e velate anche molto, infra le adulazioni e l’errore vi appariranno quasi naufraghe. Quindi è che i sommi letterati (la di cui grandezza io misuro soltanto dal maggior utile che arrecassero agli uomini) non sono stati mai pianta di principato. La libertá li fa nascere, l’indipendenza gli educa, il non temer li fa grandi; e il non essere mai stati protetti rende i loro scritti [p. 115 modifica] poi utili alla piú lontana posteritá, e cara e venerata la lor memoria. Fra i letterati di principe saranno dunque da annoverarsi Orazio, Virgilio, Ovidio, Tibullo, Ariosto, Tasso, Racine, e molti altri moderni, che sempre temono che il lettore troppo senta quando vien loro fatto di toccare altre passioni che l’amore. Ma, que’ tòni di veritá, i quali, perché paiono forse meno eleganti, sono assai meno letti, e che essendo piú maschi, piú veritieri, incalzanti e feroci, sono assai meno sentiti dall’universale, perché appunto fan troppo sentire; quelli non sono mai di ragione di principe. Tali in alcuna o in tutte le parti sono, per esempio: Demostene, Tucidide, Eschilo, Sofocle, Euripide, Cicerone, Lucrezio, Sallustio, Tacito, Giovenale, Dante, Machiavelli, Bayle, Montesquieu, Milton, Locke, Robertson, Hume, e tanti altri scrittori del vero che, se tutti non nacquero liberi, indipendenti vissero almeno e non protetti da nessuno.