Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro settimo – Cap. III

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Libro settimo – Cap. III

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Con quanto ingegno, cura, et diligentia si debba collocare un Tempio, et adornare, a quali Dii, et dove si ha a porre, et de varii modi de facrificii.

cap. iii.


I
N tutta l’arte del fabbricare non è cosa alcuna dove bisogni havere maggiore ingegno, cura, industria, et diligentia, che nel porre, et adornare un Tempio, perche lasciando stare che un Tempio certo ben fatto, et bene adorno sia veramente il maggiore, et il principale ornamento che habbia una Città, egli certo è pur veramente la casa de gli Dii. Et se noi adorniamo, et pariamo dilicatissimamente le case dove hanno ad habitare i Re, et gli huomini grandi, che faren noi a quelle de superni Dii? i quali vogliamo che invocati venghino a nostri sacrificii, et esaudischino le nostre preci, et le nostre orationi, che se bene gli Dii non stimeranno quelle cose caduche, da gli huomini stimate assai, si moveranno non dimeno da la purità de le cose splendide, et da quella veneratione, et reverentia, che si harà verso di loro. Certamente che per indirizzare gli huomini a la pietà, sono molto a proposito i Tempii, i quali dilettino sommamente gli animi, et gli intrattenghino con gratia, et maraviglia di se stessi. Usavano di dire gli Antichi che a l’hora si rendeva honore a la pietà quando che si frequentavano i Tempii. Et perciò vorrei io che nel Tempio fusse veramente tanto di bellezza che e’ non se ne potesse [p. 160 modifica]immaginare in alcuno altro luogo alcuna maggiore, et vorrei che e’ fusse da ogni parte cosi ordinato che e’ porgesse a que’ che vi entrano dentro stupefatti, spavento, per la maraviglia de le cose degne, et eccellenti, et che a gran pena si ritenessero, che non dicesero con maraviglia alzando la voce questo certo è luogo degno di Dio. Strabone dice che i Milesii feciono il Tempio tanto grande, che per la sua grandezza non lo poterono coprire di tetto. Ilche io non approvo. I Samii si gloriavano d’havere un Tempio maggiore di tutti gli altri. Non mi dispiace già che e’ si debbino collocare talmente che a gran fatica si possino accrescere. L’ornamento certo è una cosa infinita, et sempre ne Tempii ancor piccoli rimane qual cosa che e’ ti pare che, et vi si possa, et vi si debba aggiugnere. Nondimeno a me piacono assai quei Tempii, che secondo la grandezza de la Città, tu non gli desidereresti maggiori, et infra l’altre cose mi offende assai la smisurata grandezza de tetti. Ma sopra tutto desidero che nel Tempio sia questo, cioè che tutte quelle cose che ti si appresentano dinanzi a gli occhi, sieno talmente fatte che tu habbia ad havere difficultà a deliberare se e’ sarà da lodare più l’ingegno, et l’artificio del Maestro, o lo studio de Cittadini, in havere ordinato, et dedicate in esso Tempio cose singularissime et eccellentissime. Et se le medesime cose si affaranno più a la gratia, et a la leggiadria, o pure al dovere essere eterne, a la qual cosa si in tutte l’altre fabbriche, et publiche, et private, si massimamente ne l’edificare i Tempii, si debbe di nuovo et da capo havere cura oltra modo diligentissima. Perche egli è certo ragionevole che le tante fatte spese, sieno fortissime da reggere contro a tutti gli accidenti, accioch’elle non si perdino. Et credo io che la antichità non arrechi manco autorità, che si faccia l’ornamento degnità, a Tempii. Ma gli Antichi ammaestrati da la disciplina de Toscani, non giudicarono che e’ fusse bene statuire in ogni luogo Tempii a tutti gli Dii, percioche giudicarono che fussi bene che dentro al circuito de le mura si dovessino collocare i Tempii a gli Dii de la Pace, et de la Pudicitia, et a gli altri che fussino avvocati, et Tutori de le buone arti. Ma a quelli Dii avvocati de Piaceri, de le Inimicitie, et de li Incendii come Venere, Marte, et Vulcano, giudicarono che stessino meglio a collocarli fuori de le mura. A Vesta, a Giove, et a Minerva (da Platone chiamati i Defensori de le Città) gli collocavano in mezo del Castello, et de la Roccha, a Pallade avvocata de lavoranti, et a Mercurio al quale sacrificavano i Mercatanti di Maggio, et ad Iside gli collocavano nel Foro, a Nettunno sopra il Lito del Mare, et a Iano in cima de più alti Monti, ad Esculapio collocarono il Tempio ne l’Isola del Tevere, percioch’e’ giudicavano che la principal cosa, di c’havessino ad havere bisogno gli ammalati fusse l’acqua, in altri paesi, dice Plutarco, che egli erano soliti di collocare il Tempio a questo Dio fuori de la Città, per esservi l’aria migliore. Oltra di questo pensavano che a varii Dii si havessino a fare, et convenisseno varie forme di Tempii: Percioche lodavano che al Sole et a Bacco era bene di farli tondi. Et Varrone diceva che il Tempio di Giove era bene che in alcun lato fusse scoperto, conciosia che egli è quello, che apre i scemi di tutte le cose. A la Dea Vesta pensando che ella fusse la terra, facevano il Tempio tondo come una Palla. A gli altri Dii superni si ponevano con gli edifici sollevati alto da terra. Alli Dii Infernali gli facevano sotto Terra, et a Terrestri gli ponevano a piano. Avenne ancora accioche io cosi lo interpetri che a varie sorti di sacrificii trovarono varie sorti di Tempii. Percioche altri bagnavano gli altari di sangue, altri con Vino, et con una Torta sacrificavano. Altri di giorno in giorno si dilettavano di nuovi modi. Postumio fece appresso de Romani una legge che sopra il fuoco con che gli abbruciavano i corpi non si spargesse Vino, et perciò gli Antichi non erano soliti sacrificare con vino, ma con latte. Nel Mare Oceano ne l’Isola Hiperborea dove dicono che nacque Latona, era la Città Regale consecrata ad Appolline, i Cittadini de la quale [p. 161 modifica]per essere soliti a cantare ogni giorno le lodi del loro Dio, erano quasi tutti suonatori di lira. Truovo in Teofrasto Sofista che ne la Morea erano soliti sacrificare al Sole, et a Nettunno con ammazzare una formica. A li Egitii non era lecito placare i loro Dii con alcuna altra cosa dentro a le loro Città, salvo che con le orationi, et per potere sacrificare a Saturno, et a Serapi con le Pecore collocarono i lor Tempii fuori de la Cittade. Ma i nostri cominciarono a poco a poco a servirsi de le Basiliche, per sacrificare, et feciono questo si perche e’ si erano avvezzi da principio a ragunarsi, et a ritrovarsi insieme ne le Basiliche de Privati si ancora perche in quelle si collocano gli Altari suso alto in cambio del Tribunale con gran maiestà, et attorno a gli Altari ancora s’accommoda eccellentemente il Coro. Il restante de la Basilica come sono le Navi, et il portico, parte slavano apparecchiate a servire a chi passeggiava, et parte a chi stava attento a sacrificii. Aggiungevacisi che la voce del Pontefice mentre ch’egli parlava si comprendeva meglio in una Basilica con i palchi di legname, che non faceva ne Tempii in volta: Ma di queste cose tratteremo altrove, faccia hora a nostro proposito ch’e’ dicono che a Venere, a Diana, a le Mufe, a le Nimphe, et a le Dee più dilicate si debbono dedicare Tempii, che con lo sesser loro vadino imitando quella verginale schiettezza, et quel fiore de la loro età giovenile: Ma ad Ercole, a Marte, et agli altri Dii maggiori, si hanno a dedicare Tempii di sorte che si habbino ad arrecare indietro per la gravità loro autorità, più tosto che gratia per la loro bellezza. Ultimamente quel luogo dove tu harai a collocare un Tempio, bisogna che sia luogo celebrato, illustre, (et come si dice) superbo, et espedito da ogni contagione di secolari, perciò habbia dinanzi una spatiosa, et degna piazza, et sia accerchiato di strade larghissime, o più presto di piazze grandissime, talmente che da ogni banda sia bello a vedere.