Delle speranze d'Italia/Dedica seconda

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Dedica seconda

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Dedica prima Occasione di questo scritto

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A

VINCENZO GIOBERTI


Dedica Seconda


Quando voi, Signore ed Amico, mi faceste il favore d’accettar la mia prima dedica, voi mi esprimeste il generoso timore, che il vostro nome «recasse forse pregiudizio nel concetto di alcuni alle pagine mie». Ma uno più grave e più certo io ne previdi loro, dall’aver io mirato a moderazione politica non dissimile dalla vostra. È naturale, immanchevole: non si può camminar diritto in mezzo ad una via accalcata, senza urtare di qua e di là, dalle due parli, a destra ed a sinistra, bianchi e neri. E questa è anzi la bellezza, questa la fortezza della vera moderazione politica: che mentre le parti estreme non si propongono se non un avversario a rimuovere e combattere, la nostra se ne propone due. Noi dunque (se mi concediate continuar a mettere in queste cose il nome mio dopo il vostro) noi non abbiamo raccolto qui, [p. x modifica]se non ciò che seminammo; non abbiamo, se non la guerra che movemmo. Se non l’avessimo preveduta, noi avremmo avuta poca cognizione degli affari umani; se ce ne meravigliassimo ora, avremmo senno poco costante; se ci fermassimo o peggio ci arretrassimo, poco cuore.

In tutti i paesi dove duran parti (e patenti o latenti elle durano all’età nostra dappertutto), molti sono i quali amano la patria meno che non una frazione di essa, men che la parte o talora il ceto proprio; molti che amano la stessa parte propria, meno che non odiano gli avversari; molti che pretendono tutto conservare, e molti che tutto mutare; e molti che vorrebbero non solamente conservazioni o mutazioni, ma rivoluzioni od all’indietro od all’innanzi; e queste stesse, men come mezzi di profitti patrii che di proprii, profitti chi di roba, chi di gloria, chi di vendette. E a tutti questi è bello, è santo l’opporsi di qua e di là, il porsi fortemente in mezzo, in tutti i paesi del mondo. — Tuttavia, in quelli dove sono patenti le parti, dove apertamente si può combattere e per esse e contro ad esse, è minore il pericolo senza dubbio, e per ciò la fortezza de’ moderati. Colà essi possono colla parola, cogli scritti, colle azioni quotidiane e pubbliche, dimostrare la sincerità e virtù della propria moderazione; possono distin[p. xi modifica]guersi da tutti quegli uomini deboli, dubbi o doppi, che sono gl’impostori della parte moderata, il pervertimento della virtù della moderazione; e se non possono scartar tutta la noia vegnente loro e dagli avversari, e dalla «compagnia empia e malvagia» che è in qualunque parte anche buona, essi possono pur prevedere non lontano l’accrescimento ed in ultimo la vittoria della propria. Colà essi hanno compenso alle ingiustizie presenti, nella certa e non lontana giustizia de’ posteri.

Ma non così ne’ paesi, dove le parti latenti s’esagerano in quel segretume, che diventa lor necessità e natura. Sotto tal velo e scudo, sorgono di qua e di là quelle, come che si chiamino, leghe difensive ed offensive ma principalmente esclusive, che si rivolgono poi con ardore contra a chiunque lor non si affratella e le sdegna, contro a chiunque parla chiaro e pubblicamente: sorgono quelle purificazioni sempre stolte anche quando son fatte dalle parti vittoriose, più stolte quando dalle parti ancora combattenti, stoltissime quando non è instaurato nemmeno un aperto combattimento. Qui ogni anima sdegnosa, respingendo i segretumi, riman respinta da quasi tutti; rimane non solamente, come altrove, poco accompagnata, ma quasi solitaria; non ha per difendersi in suo modo aperto nè le opere che le [p. xii modifica]sono vietate sia che soverchi l’una o l’altra parte estrema, nè le parole che non vi son pubbliche mai; se scrive, ella ha contra se non una ma due censure, quella pubblica della parte soverchiante, e quella segreta della parte compressa; quella che sembra voler conservar tutto anche gli stranieri, e quella che tutto mutare anche gli strumenti da cacciar gli stranieri; volendo serbarsi pura secondo la propria coscienza, riman dichiarata impura di qua e di là; rimane quasi exlege, fuor delle caste onnipotenti, senza speranza di vincere vivendo la doppia guerra arditamente bandita, senza speranza di niuna giustizia di posteri vicini. — Non è dubbio; in tali paesi sono peggiori che altrove le condizioni de’ moderati; maggiori le difficoltà, i pericoli loro. E maggiore quindi il merito, la fortezza della moderazione.

Peggio ancora ne’ paesi (come Italia) dove durando da lungo tempo la compressione e i segretumi, le parti estreme abbian fallito più volte l’una e l’altra nell’imprese che pretesero fare per la patria. Allora, provata da sè, dimostrata altrui, la propria impotenza esse sogliono attribuirla alla patria; allora molti di coloro di qua e di là a cui questa non diede retta, sorgono ad impedire che ella la dia a nessuno; allora di qua e di là si rivolgono molti non solamente contra chiunque fa o dice diverso da essi [p. xiii modifica](caso consueto dappertutto), ma contra chiunque fa o dice qualunque cosa in qualunque modo (caso eccezionale in questi infelicissimi paesi ); allora sorge e si spande non solamente la generazione degli indifferenti (caso consueto anche questo), ma la generazione de7 disperanti (caso eccezionale e pessimo fra tutti). Perciocchè è vero che alcuni disperanti talor si veggono anche ne’ paesi di parti patenti1; ma in quelli essi sono sempre pochi al paragone, non si moltiplicano, non fanno schiatta; nè il possono, spinte innanzi come sono ivi le parti dalle discussioni quotidiane. Ma ne’ paesi di parti compresse, latenti e fallite si moltiplicano, di qua e di là ed anche in mezzo, i disperanti. £ si dividono e suddividono allora in generi e specie numerose. V’è quello che si potrebbe chiamare il disperante truce; quello che ripete il detto classico «unica salvezza essere il disperare», che si rallegra ad ogni male sopravvegnente, ad ogni nuova inimicizia, ad ogni turbamento scoppiato, perchè son tanti passi alla desiderata di[p. xiv modifica]sperazione universale. V’è all’incontro il disperante languido, il quale langue a tutto ciò che desta l’altro, a tutto ciò che desta chicchessia; langue a tutti i fatti, a tutte le occasioni, a tutte le speranze; e quest’è la specie più numerosa e più volgare di qua e di là. E v’è di qua e di là il disperante importante, che della sua disperazione s’è fatta un1 autorità, una abilità, o come si suol dire una posizione; dalla quale poi egli guarda di su in giù, gravemente sorridendo, a chiunque non dispera sapientemente con esso. E vi sono i disperanti allegri, che si dan buon tempo; e i disperanti speciali, che non veggono speranza se non nella loro specialità (i men cattivi forse, perchè almeno operano in essa); e perfino i disperanti pretendenti religione, pretendenti smettere ogni pensiero della patria, verso cui è pure uno de’ primi doveri della cristiana carità. Tutti questi insieme poi fanno una massa, una pluralità, una generazione fatale alla nazione intiera, che incoraggiano allo scorarsi; fatale specialmente a chiunque fa, scrive o parla per incuorare; più fatale a chi incuora a ciò che sia da fare moderatamente, cioè immediatamente, continuamente, universalmente. — E in tal paese dunque è più bello che in qualunque altro il porsi forte contro ai disperanti di qua e di là, ed anche di mezzo. [p. xv modifica]

E ciò avete fatto voi, Signore ed Amico, indubitabilmente nel vostro libro del Primato; ciò spero anch’io, or seguendovi ed ora osando scostarmi da voi. E quindi non è la dedica, è il titolo stesso quello che potè nuocere al libro mio; è quella parola di Speranze sollevata contro a tutti i disperanti d’Italia. Ed io la sollevai, confesserollo, con imprudenza compiuta; non pensai, nè incominciando nè innoltrando ai disperanti. Mi rivolsi, incominciando, contro a coloro che trovan tutto bene in Italia, e non pensai a coloro che trovano tutto male; mi rivolsi, innoltrando, contro a coloro che han troppe speranze, e non pensai a coloro che non ne hanno nessuna: non pensai vivesse uno che disperasse intieramente di una nazione di 20 e più milioni d’anime, in questa età progressiva, in questa operosità universale. Stolto io! or m’avveggo, ne sono molti: alcuni alti ed altissimi, alcuni bassi e bassissimi; alcuni dentro, alcuni fuori; alcuni bianchi, alcuni neri; moltissimi. Delle Paure, e non Delle Speranze d’Italia avrei dovuto intitolare e fare il libro mio, per costoro; e lusingando negli uni la paura dello spauracchio nero, negli altri la paura dello spauracchio bianco, avrei servito a tutte le paure; servito forse a quelle persecuzioni ed a quegli apparecchi di vendette che sono sole ed impotenti operosità degli uni e degli [p. xvi modifica]altri disperanti; servito almeno all’ozio universale, figliuol consueto delle reciproche paure. Peccato, ch’io non abbia pensato in tempo a tutti costoro, a tutto ciò!

Ma ora non v’è rimedio: il libro è fatto ed è lì; manifesto di speranze moderate, co’ suoi tre capitoli rivolti contro a quelle di tutto mutare, e co’ suoi dieci contro a quelle di tutto conservare; ondechè il meglio che se ne possa fare oramai, è compararlo co’ manifesti delle due parti estreme. Perciocchè molti di questi furono fatti da gran tempo; e si possono fare facilmente da destra e da sinistra tutto dì, che che si dica in contrario. Que’ di destra si possono fare e pubblicare più facilmente in Italia, que’ di sinistra più facilmente fuori, che non si potè da me. Il mio libro ebbe incontro a sè, quelle due censurerà pubblica e la segreta, testè dette; mentre i libri estremi non avrebbero se non l’una o l’altra. Ma il fatto sta, che non sono queste censure altrui, l’impedimento massimo a far libri di parti estreme; è la censura propria, è l’impossibilità di far gravi, sinceri, leggibili, o almeno durevolmente letti tali libri. Di corsa, in segreto, tra pochi, tra consenzienti e confratelli tutto è facile ad esprimersi, tutto facile ad esagerarsi; e l’una esagerazione s’accavalla anzi sull’altra continuamente. Ma in iscritto, ma in istam[p. xvii modifica]pa, in un libro che pretenda a qualche gravità, crescono per le mani poi le difficoltà e talora le impossibilità intrinseche agli scrittori estremi, ma sinceri. Ed a questi è ch’io dico: vogliate prendere la penna in mano e distribuir capitoli ed argomenti, e pesar ragioni l’une con l’altre, e cassare contraddizioni, ed aggiungere complementi; e vedrete quali libri usciranno dalle esagerazioni; o piuttosto vedrete, che non farete libri o che vi modererete da voi. — In tutto il corso del presente scritto io ho fatto poca conto di letterati e di libri, e il rifò; perchè un libro è in somma poca cosa dappertutto, pochissima in Italia, dove colle due censure un libro di interessi Italiani è ingrato a fare, difficile a pubblicare, impossibile a diffondersi, ondechè non può avere se non effetto minimo sull’opere nazionali. Ma i libri, inutili sempre a chi non li legge, poco utili talora a chi li legge, hanno almeno questo di buono per chi li fa: che non si posson fare, se non più moderati di gran lunga, che non i semplici detti, e talor che le azioni; hanno questo vantaggio, di non potersi scrivere da niun uomo sincera senza moderar le proprie opinioni. Ei fu già osservato e detto da gran tempo: che la pratica degli affari pubblici suol moderar gli uomini più estremi; che le opposizioni venute al governo si moderano naturalmente. Ma la pratica dello [p. xviii modifica]scrivere modera e deve moderare anche più: chi scrive non ha nè verso altrui, nè verso la propria coscienza la scusa qual che ella sia delle passioni momentanee2. — E fu pur detto che la carta tollera tutto, ed è vero; ma quella che tollera troppo riesce poi intollerabile e non è a lungo tollerata.

Ma andiamo più oltre, ed aggiungiamo arditamente, che fra speranze destre, sinistre e moderate, queste hanno pure più probabilità di adempimento; non solo ne' paesi dove sono costituite e patenti le parti, ma in quegli stessi dove elle sono latenti. In politica come in meccanica due forze perfettamente eguali ed opposte producono immobilità senza dubbio; ma per poco che sieno disuguali, l’una avanza moderata dall’altra, e per poco che sieno non opposte del tutto, ne risulta in mezzo una forza diagonale. Non chiamerò a testimonianza tutte le età; per non rifare di que’ sommari storici, in che (cedendo forse troppo agli abiti dell’arte mia) io abbondai. Bastino pochi esempi contemporanei, più alla mano per gli uomini di pratica, e più convincenti per tutti. — Cinquanta ed alcuni anni fa, incominciarono in Francia le due parti estreme che volean tutto mu[p. xix modifica]tare e tutto conservare, e quella di mezzo che mutar solamente il necessario. E vinse prima quella del tutto mutare; e si mutò tutto, repubblicanamente prima, imperialmente poi, essendo fatale, che chi muta tutto sia tutto mutato, facilmente e sovente. Poscia vinse la parte del tutto o almen troppo conservare. Ma si tornò in ultimo al mutare ciò all’incirca, che avevan desiderato i moderati primitivi del 1789. — In Inghilterra, già costituite e patenti e combattenti da cent’anni alla medesima epoca le parti mutatrice e conservatrice, erano molto meno estreme tutte e due; e tuttavia, anche fra queste, sorse una parte di mezzo moderatrice. E chi vinse anche là? Anche questa indubitabilmente. E quanto alle mutazioni che pur vi si desiderano di qua e si respingon di là, ogni probabilità è, che elle si faranno di nuovo moderatamente. — In Ispagna all’incontro, dove non era stato mutato nulla da secoli, sorsero intorno al 1809 molto estreme le due parti mutatrice e conservatrice; tanto che non sorse, o si ridusse a pochissimi scelti (quasi a due, un Jovellanos ed un Saavedra) la parte moderatrice. E quindi molte vittorie di esagerati si contano, o piuttosto sono innumerevoli ne’ 35 anni corsi d’allora in poi; tantochè quella si potrebbe dire a’ nostri dì la terra classica delle esagerazioni e di lor conseguenze, le [p. xx modifica]rivoluzioni, le purificazioni, le persecuzioni. E tuttavia (contro all’affettata commiserazione d’alcuni) in quel tempo comparativamente breve de’ 35 anni, quella nobile e troppo disprezzala nazione sembra giunta alla vittoria de’ moderali. Che anzi! un grande insegnamento esce da queste vicende spagnuole. Questo periodo de’ 35 anni è la media contata da tutti per la mutazione d’una generazione in un’altra:, e questo è forse appunto il normale, a compiere colla moderazione una rivoluzione incominciata dalle parti estreme, perchè il periodo necessario a mutar le vite, a mutar gli esagerati primitivi in moderati nuovi, una nazione vecchia in una giovane. Chi nasce in una nazione invecchiata è sopra ogni cosa ferito dai vizii vecchi, e per rinnovarla vi fa rivoluzioni; ma chi nasce in mezzo a queste è ferito dai vizii. nuovi e le fa cessare. Noi avemmo nomi ed imposture di giovani Francie, giovani Germanie, giovani Italie esagerate; ma tutte queste giovani sono ora vecchie; e il progresso naturale della nostra età fece nascere una giovine Spagna moderata.

Ma un altro esempio mi si affaccia qui così bello, che quantunque antichissimo non so trattenermi dal ricordarlo per dimostrare: antico essere questo costume della Provvidenza di mutar le generazioni per adempiere i suoi disegni. Quando il popolo di Dio [p. xxi modifica]giunse la prima volta all’orlo della terra a lui promessa, molti furono che vollero contro ai divini cenni immediatamente progredirete molti, che spaventati degli stranieri occupatori di quella terra vollero all’incontro indietreggiare. E i primi, acceleratori de’ disegni di Dio, furono puniti da Lui colla sconfitta; Dio parve unirsi ai proprii nemici. Ma contro ai dubitatori di sua Onnipotenza e Provvidenza, Dio si rivolse in modo speciale, e se sia lecito esprimerci così, inventò allora questo modo, consueto poi, di rinnovar le generazioni. «Vivo Io», diceva divinamente eloquente il Signore: «Vivo Io, e della gloria Mia si empierà tutta la terra. Ma tutti costoro che videro la mia maestà, e i segni ch’io diedi in Egitto e nella solitudine; e tentarono me già dieci volle, e non obbedirono alla voce mia; non vedranno la terra per cui giurai a’ padri loro, nè la vedrà nessuno di coloro che da me detrasse...... In questa solitudine giaceranno i cadaveri vostri; di tutti voi quanti siete di venti anni e sopra, e mormoraste contra me..... I vostri pargoli, di cui diceste che sarebbon preda de’ nemici, questi introdurrò io, affinchè veggano la terra che a voi dispiacque. I cadaveri vostri giaceranno nella solitudine3». — Che più? Mosè il Duce del popolo, [p. xxii modifica]Aronne il gran Sacerdote, che s’eran tenuti fermi contro à quelle prime dubitazioni, dubitarono una volta della Provvidenza divina; ne dubitarono un sol momento, e così tacitamente che non è nemmeno chiaramente espresso nella Storia! E Duce e gran Sacerdote trassero pure contro a sè la medesima riprovazione: «Perchè non fidaste tanto a Me da santificarmi dinnanzi ai figli d’Israello, non introdurrete voi questi popoli nella terra ch’io darò loro4». — L’esempio mi sarà scusato naturalmente, non solo da voi sacerdote, a cui mi rivolgo, ma da tutti que’ leggitori i quali pur credono duri quella medesima Provvidenza; e quanto agli altri è inutile, ch’io mi scusi; siamo troppo discosti per intenderci mai.

E ritorno ai nostri tempi, alla patria. Cinquanta e più anni fa si progrediva, si mutava troppo lentamente (a parer mio), ma in somma moderatamente in Italia. È fatto a cui mi son riferito parecchie volte, e che è ad ogni modo incontrastabile a chiunque abbia qualche memoria o lettura del secolo scorso. Di fuori ci vennero le due parti estreme, del tutto mutare, e del tutto conservare; nativa Italiana è la sola parte moderata; e ciò è naturale perchè l’Italia è antica, è la primogenita tra le nazioni moderne in [p. xxiii modifica]quella civiltà, che è sopra ogni cosa, moderatrice. Ma mosse di fuori, soverchiarono le due parti estreme a vicenda per molti anni; sieno trenta o quaranta, che non mi fermerò a disputare; ma in somma da 10 o 15 o più, è innegabile la ripresa delle mutazioni lente (troppo lente e troppo poche pure a parer mio) ma ad ogni modo reali e moderate; ed è innegabile l’accrescimento che si fa della parte moderata a spesa e diminuzione delle due estreme. — Lasciamo dire, lasciamo tentar di fare. Anche qui, anche nella misera e dipendente Italia, vien meno la generazione degli esagerati; sorge dopo una giovine Italia esagerata, una più giovane moderata.

£ quindi anche qui a malgrado gli svantaggi e gli accoramenti presenti può, deve sorgere a’ moderati una speranza di giustizia ultima, più o men lontana. Saranno essi ascoltati? riusciranno a distorre la patria da quelle due male vie, che conducono del paro a rivoluzioni, e quindi inevitabilmente a delitti, vergogne e danni? Allora que’ moderatori che abbiano dinnanzi a sè una vita sufficientemente lunga, vedranno forse sè stessi giustificati come accennatori della buona via da’ contemporanei riconoscenti; ed essi e i troppo vecchi morranno almeno colla certezza d1 essere così giustificati da’ posteri. — Non saranno eglino all’incontro ascoltati, seguiti? Le [p. xxiv modifica]esagerazioni, originariamente straniere, riprenderanno elle forze da noi? Allora, oh allora sì, più certamente che mai, i loro nomi saranno giustificati pur troppo, da’ rincrescimenti, da’ patimenti di coloro che patiranno or nell’una or nell’altra delle due male vie. — Quale delle due giustificazioni è più probabile? Se guardiamo al passato, certo l’ultima ed infelice; se al progresso presente, universale ed Italiano, forse la prima e felice. Ma pronta o tarda, felice od infelice, la giustificazione de’ moderati è immanchevole anche in Italia.

Cioè, a coloro, che si sieno assicurati l’attenzione de’ posteri. Perciocchè guai ai poco attesi; meglio era per loro essere dimenticati. Chi non fa nulla ed è dimenticato non ha almeno bisogno di giustificazione; ma chi fa poco ed oscuramente, sia scrittore, uomo di stato, o principe, egli avrebbe bisogno di giustificazioni sovente, e negletto non le suole ottenere. Una grande azione o almeno un grande scritto si vuole aver fatto, o almeno una grande ingiustizia sofferta, per isperare attenzioni e giustificazioni da’ posteri. E voi, Signore ed Amico, vi siete già assicurata tale attenzione co’ vostri lavori filosofici e co’ politici, e principalmente (se mi concediate scegliere tra’ vostri scritti) con quella Teoria del Soprannaturale, di che avete dimostrata la necessità nella filosofia, e [p. xxv modifica]con quel libro su’ destini d’Italia, che aprì una carriera nuova di moderazione politica agli scrittori Italiani. E voi siete de’ maggiori e più generosi di quella letteratura Italiana esterna, che mi pare una delle più vicine e più feconde speranze Italiane; ondechè siete voi stesso una di queste nostre speranze. E voi giovane e forte ancora avete, così Dio voglia, lunghi anni da emulare e superare voi stesso; e così (se di nuovo mi facciate lecito esprimervi un voto di molti amici vostri), così lasciando i vostri avversari voi vogliate rivolger tutta a nostro pro quella vostra forza e potenza. E ad ogni modo, e per quel che farete e per quello che avete fatto, non può mancare a voi morto la gloria, a voi morente la coscienza d’aver bene e grandemente operato per la patria. — Vecchio combattitore di parte moderata, e per ciò appunto cacciato già dalia vita attiva, ed entrato tardi in quella di scrittore, io non lascerò nome che giunga al tempo della tarda giustizia. Ma che importa? Se avrò anch’io a difetto del talento moltiplicato l’obolo commessomi? Se avrò recato, secondo mie forze, un sasso all’edilizio, un rivo al fiume, un seme al campo? Se avrò la coscienza che quel sasso è «tetragono», quell’acqua è limpida, quel seme non è di danni, infamie o delitti alla patria nostra? [p. xxvi modifica]

Del resto, ho parlato qui di quelli fra gli avversari vostri e miei che sono avversari della moderazione politica in generale; perchè mi parve degno assunto da trattare in capo a un libro fatto appunto per istudiare in che stia ora, da noi, questa moderazione. Ma di rivolgermi poi agli avversari particolari del libro mio, alle critiche più o men generose mossemi, io non mi sento nè voglio farlo; salvi pochi luoghi, ove il pensier mio mi pare gravemente alterate, e dover restituirlo. E queste stesse risposte ho fatte in note a’ lor luoghi, affinchè sien men noiose a chi voglia pur leggerle; ovvero, anche meglio, sien facilmente tralasciate. — Andiamo avanti, anzichè tornar su’ nostri passi; non rimaneggiam le idee già espresse, cerchiamone piuttosto delle ulteriori; ed anzichè disputare, correggiamo ed accresciamo. Ciò ho tentato fare nella presente edizione. Così possa ella aggiugnere a quel poco di bene, che voi, ed alcuni altri buoni, speraste dalla prima. — Uno di questi ne giudicava già colle poche parole: Gutta cavat lapidem. Io accetto il giudicio, e l’augurio; e continuo.

5 luglio 1844.


Note

  1. M.r Guizot has, in one of his admirable pamphlet, happily and justly described M.r Lainé, as «an honest and liberal man discouraged by the revolution». This description at the time when M.r Dumont’ s Memoirs were written (a.° 1799), would have applied to almost every honest and liberal man in Europe; and would beyond all doubt have applied to M.r Dumont himself (Macaulay’s Essays. Paris, Baudry, 1843, p. 183).
  2. It is a fine and true saying of Bacon: that reading makes a full man, talking a ready man, and writing an exact man (Macaulay’s Essays. Paris, Baudry, 1843, p. 378).
  3. Num. XIV, 21-32.
  4. Num. XX, 12.