Di una moneta inedita del 1663

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Giuseppe Ruggero

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XXV
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ANNOTAZIONI


NUMISMATICHE GENOVESI



XXV


DI UNA MONETA INEDITA DEL 1663

e del cambiamento di tipo nel 1637.



Nella collezione ligure del Cav. Cabella, Console Generale del Belgio in Genova, si conserva una moneta unica e pregevole, della quale il cortese proprietario già da qualche tempo mi aveva inviato un calco in carta, destinato al secondo fascicolo delle Tavole descrittive Genovesi. Ma poichè questa pubblicazione dovrà subire un ritardo considerevole, sebbene non imputabile ne a me nè alla Società Ligure1, così sollecitai ed ottenni dal Cav. Cabella [p. 168 modifica]licenza di far conoscere la moneta in una delle solite Annotazioni, tanto più che la sua importanza meritava una speciale illustrazione. Eccone dunque la descrizione complementare del disegno che ho tratto dal calco, e che figura in principio del presente scritto.

D/ – DVX * ET ♦ GVB ♦ REIP ♦ GEN. Scudo della Repubblica coronato ed ornato con cartocci.
R/ — IN ÆTERNVM ♦ VIVET ♦ 1663 • AB (Agostino Bonivento soprastante 1661-68). Scudo con libertas in banda, coronato ed ornato come quello al diritto.
Arg. — Peso gr. 2,20. — Titolo non bene accertato, ma che pare superi i 500 milligr. (Conservazione, a fior di conio).

Il diritto non presenta novità alcuna; il rovescio invece porta una leggenda nuova, ed un’impresa che figura sopra altre monete Genovesi, anteriori e posteriori a quest’anno.

Lo scudo con libertas, è talvolta isolato come in questa moneta, nel Realone da 8 Reali e spezzati del 1666 e nelle monetine per il levante del 1668 e 1669; e si trova altre volte accollato a quello della croce, cioè nella prima lira del 1641 colla Vergine, nello scudo dell’Unione del 1715, e nelle monete da 12 e da 24 soldi con S. Giorgio dal 1722 al 1725. Non so se molti avranno osservata una particolarità che distingue i due casi, cioè che la parola libertas [p. 169 modifica]è in banda nel primo ed in sbarra nel secondo. Non credo che possa esservi stato un motivo importante in questa distinzione, ma tuttavia non deve essersi fatta a capriccio. Inclinerei a riconoscere l’intenzione di seguire l’uso corrente nel caso dello scudo isolato (V. Bologna, Lucca, ecc.); mentre in quello dei due scudi accollati, mi pare che si abbia voluto usare una disposizione esteticamente più armonica nello insieme, non potendosi dare allo scudo della croce un posto secondario.

Per la conservazione della moneta, che è tale da far credere che non sia stata mai in circolazione, l’egregio possessore mi esprimeva il dubbio che si trattasse di un semplice progetto di nuovo tipo; ma per conto mio non condividerei quest’opinione. Che la coniazione di questo tipo non sia stata ripetuta: che sia rimasta limitata a questa specie: che la durata ne sia stata passeggera e quasi effimera, son tutte cose che si possono ammettere facilmente: ma non posso egualmente concedere che questa moneta rappresenti un semplice progetto.

Mi confortano in questo avviso due ragioni, una tecnica, l’altra storica. La prima è tratta dalla stessa moneta, la quale col suo peso e col suo titolo che si possono ben definire, rappresenta realmente un dato valore; mentre i progetti di nuovi coni cioè le prove sono generalmente di metallo puro, rame o argento. La seconda ragione è costituita dalla perfetta convenienza del nuovo tipo, date le condizioni locali politiche dell’epoca nella quale veniva ideato, come vedremo meglio più avanti.

Dal peso della moneta in relazione al titolo apparente, si direbbe trattarsi di un pezzo da 5 soldi o quarto di lira, frazione che in quell’anno avrebbe dovuto contenere circa grammi 1,30 di argento fino. Fatto il dovuto conto per la diminuzione negli [p. 170 modifica]spezzati, si dovrebbe avere in questo caso per il da 5 soldi un titolo di circa 550 mill., che pare appunto sia quello della moneta.

Sarà questo l’unico rappresentante del nuovo tipo? La mancanza di altri pezzi analoghi per ora e la conservazione a fior di conio di questo, che farebbe pensare ad una durata effimera del corso di tale moneta, sembrano favorire questa ipotesi. Ma d’altra parte noi sappiamo benissimo di non poterci fidare alla mancanza di certe monete, mancanza che in un momento qualunque cessa di colpo alla scoperta di qualche nuovo ripostiglio. Dunque tutto è possibile, anche di vedere un giorno o l’altro il doppio della presente moneta e perfino la lira analoga: non dico lo scudo, perchè questo non può variare con eguale facilità il proprio tipo. Egli è vero che nel 1624 si ha una momentanea variante nella leggenda del rovescio in alcuni scudi e spezzati, ma questa non è tale da cambiare assolutamente il tipo2; non parlo qui del cambiamento generale avvenuto nel 1637, del quale tratterò in seguito.

Una maggiore libertà era dunque possibile nel tipo della lira e suoi spezzati, siccome quella che necessariamente era soggetta a variare anche nella legge di battitura. Ed a questo proposito non sarà male d’insistere sopra di questa distinzione, frutto del peccato originale in fatto di monetazione.

Il continuo deprezzamento della moneta che si traduce in aumento dei valori, ha dato luogo a tante perturbazioni nei sistemi monetari, per cui si ebbero numerose e continue varianti nelle specie monetali e nelle valutazioni. Le diverse zecche si trovavano [p. 171 modifica]costrette a variare ora le une ed ora le altre, per non aver pensato ad un sistema unico e costante. Ma per far questo, avrebbero dovuto riconoscere dapprima la legge naturale e fatale del deprezzamento invece di tentare continuamente ed inutilmente di opporvisi; poi, scegliere a base del loro sistema o la moneta stessa ovvero la valutazione. Nel primo caso, le specie coniate avrebbero dovuto mantenersi costanti ad una legge per il peso e per il titolo: nel secondo per contro, tenendo fermo il valore, si avrebbe dovuto modificare la legge di battitura ogni qual volta se ne fosse presentato il bisogno. Non essendo questo avvenuto, ne è seguita di necessità la confusione dei due metodi; e così, tutte le monete primitive e quelle che in seguito portavano gli stessi nomi della moneta di conto, oppur nomi equivalenti come denari, soldi, lire e cavallotti, petacchine ed altri, dovettero variare successivamente nella legge; e quelle designate invece con nomi indipendenti dalla moneta di conto, restarono, meno leggere modificazioni, costanti nella legge vaiiando la valutazione. A queste categorie appartengono le monete d’oro, genovini, fiorini, ducati e poi scudi, ed in alcune zecche, ma specialmente nella nostra, lo scudo d’argento, il quale sia col castello che colla Vergine, sia largo sia stretto, si mantenne inalterato dall’origine nella seconda metà del XVI secolo, alla fine nella prima metà del XVII I. Beninteso che non vi comprendo le monete speciali, e quelle che ritraggono dell’una e dell’altra specie.

Per conseguenza, vediamo da una parte la lira Genovese, già rappresentata all’origine nei suoi spezzati con grammi 88 circa di fino argento, discendere gradatamente in modo che alla fine del XV secolo potè essere moneta effettiva di poco meno che 13 gr. di fino; e continuando sempre a decrescere, [p. 172 modifica]trovarsi ridotta al principio di questo secolo a gr. 3,6973. Dall’altra parte il Genovino, emesso intero o nelle sue frazioni per 8 soldi sul principio del XIII, andò sempre aumentando di valutazione, raggiungendo la lira sul principio del XIV, e 3 lire e più al principio del XVI, quando cedette il posto ai diversi scudi d’oro. Ma ricomparve poi leggermente diminuito di peso ma costante nel titolo sotto il nome di Zecchino, il quale a sua volta rincarando, pervenne alla metà del XVIII colla valutazione di L. 13, e più. Egual sorte spettò alle altre monete d’oro, e per lo scudo d’argento basterà dire, che sorto a 4 lire nel XVI, finì a 9 e più nel XVIII.

Fra le altre disposizioni intente a regolare le questioni solite tra le monete e le valutazioni, è curiosa quella del 9 Marzo del 1643 che ordinava la coniazione della lira o sesto di scudo. Notisi che la lira al nuovo tipo della Vergine si coniava digià4, ma qui è evidente l’intenzione di immobilizzare la valuta dello scudo. La nuova lira è differente dalla prima, avendo al dritto la cifra xx sotto la figura intera della Vergine, ed al rovescio rassomiglia alquanto al tipo dello scudo, colla differenza che invece delle stelle ha nei canti della croce le quattro lettere di lira5. Ma dopo 4 anni solamente, troviamo di nuovo cambiato l’impronto della lira, mentre lo scudo ha già aumentato di 10 soldi la valutazione.

[p. 173 modifica]E questo esempio di uno fra tanti falliti tentativi, valga per tutti gli altri.

Ho accennato più sopra alla ragione storica del tipo della presente moneta, cioè dello scudo col motto LIBERTAS, affermato dalla leggenda colla quale si esprime la speranza o la certezza che quella libertà vivrà in eterno. In questa, noi dobbiamo vedere una protesta di reazione contro i numerosi e quasi continui attentati alla libertà genovese, sia nel campo materiale, come in quello puramente di diritto, cioè della presunta dipendenza dall’Impero. Insomma, le cause determinanti questo nuovo ed insolito tipo, sono ancor quelle che determinarono il cambiamento generale del tipo monetale genovese ventisei anni prima.

E qui mi sia lecito aprire una lunga parentesi, circa la vera data dell’applicazione della legge che prescriveva quel cambiamento nel 1637. Le monete da noi conosciute, non ci permettevano fino ad oggi di affermare che l’innovazione si fosse effettuata nello stesso anno. Il Promis, nella sua Memoria sulla zecca di Genova nel 1871, pubblicava la lira del 1641 come la prima moneta del nuovo tipo della Vergine6. I raccoglitori genovesi possedevano invece le monete al nuovo tipo del 1638. All’epoca della compilazione delle Tavole, si credette dunque che solamente in quell’anno si fosse applicata l’innovazione prescritta nell’anno precedente; e pareva tanto più logica questa credenza, avendosi ancora per il detto anno 1638 un quarto di scudo al tipo abolito del castello7. Ma questa supposizione deve cadere in oggi, contro la testimonianza di uno scudo colla Vergine del 1637, appartenente alla stessa collezione del Cav. Gabella. [p. 174 modifica]Dunque, l’applicazione della legge fu immediata; e la esistenza del quarto di scudo d’antico tipo nel 1638, non deve meravigliarci di soverchio, come non lo devono fare tante altre anomalie, fra le quali mi sembra opportuno il rammentare la restituzione parziale del vecchio tipo, sopra alcuni cavallotti nel 1669 e 16708.

Circa agli avvenimenti genovesi del 1637 ed al cambiamento dell’impronta delle monete, noi possiamo attenerci specialmente al Compendio del buon padre Accinelli9, che se non può dirsi aureo per la forma, merita tuttavia la nostra considerazione per le piìi minute ricerche da lui fatte sui documenti, e specialmente per il sentimento che l’ha dettato. E tanto l’amor patrio che traspira in ogni pagina, che ci piega al rispetto verso l’autore ed alla fede nella coscienza sua di esporre la verità, null’altro che la verità come egli la giudicava, guidato da due sentimenti egualmente nobili; l’amore alla religione e quello verso la repubblica. Se in parte è giustificato l’appunto che vien fatto ai Genovesi di quei tempi, di aver troppo curato certe meschine questioni di cerimoniali, di insegne e di ridicole formalità, mentre le antiche virtù erano in decadenza, non è detto perciò che manchino attenuanti in loro favore. Va soggetto ad errare chi nel considerare i fatti di epoche passate, pretenda servirsi dei criteri con cui si considerano i contemporanei: e tanto maggiormente conviene andar cauti nel giudicare di un’epoca di generale decadimento, quale fu il XVII secolo. Allo stesso modo che non si può negare come nel campo letterario ed artistico, fiorissero anche allora autori ed artisti che tra le esagerazioni ed i contorcimenti dei [p. 175 modifica]concetti, delle frasi e delle linee, gettassero a volte sprazzi vivissimi del loro forte ingegno; così devesi riconoscere che anche in fatto delle civili e politiche virtù, il decadimento genovese non sia stato tanto compiuto e generale, da impedire che rimanesse alcuna traccia dell’antico amore alla patria libertà, e specialmente tra il popolo. E questo sentimento che in causa delle condizioni della Repubblica non sapeva e non poteva estrinsecarsi in maniera più degna, è naturale che si appigliasse a tutti quei meschini artifizii, che erano la caratteristica dell’epoca, e che il nostro autore ci descrive minutamente. Accennerò solamente ai principali.

Il Doge, che fin dal 1533 aveva già indossato la veste togata, cum manicis ad istar campane redolentibus Maiestatem Ducalem; e che nel 1536 aveva aggiunto il privilegio di portare biretum cum circulo aureo et cum cuse honorabili in signum libertatis et potestatis nostrae Reipublice, ottiene finalmente dall’Imperatore nel 1580 il titolo di Serenissimo10.

Nel 1637 la Repubblica assume il titolo e la corona regia per il regno di Corsica, e con solenne funzione ed atto pubblico a’ 25 di Marzo, fa dono dello Stato alla Vergine; quindi con legge degli 8 di Maggio si prescrive di improntarne l’effigie sulle monete in luogo del castello o grifo, abolendo la leggenda CVNRADVS REX ROMANORVM.

Basandosi sulla conferma della libertà genovese fatta nel 1530 da Carlo V colle parole cum ab immemorabili tempore citra esse in possessione libertatis, ed a furia di brigare e di spendere, si ottiene l’abolizione di ogni vieta formola di dipendenza imperiale [p. 176 modifica]sulle scritture; e nel 1641 alla dieta di Ratisbona, l’imperatore conferma al Doge il titolo di Serenissimo. L’Accinelli ci riferisce che la Repubblica grata per tale concessione regala 300,000 fiorini all’imperatore, ma non ci può dire se la Camera imperiale ignorasse a priori l’intenzione dei Genovesi circa questo regalo.

Tralascio tutte le altre questioni di precedenze, di onori agli ambasciatori, di saluti tra le navi, ecc., ecc.

E con tutte queste ostentazioni di forme e privilegi più o meno importanti, Genova riteneva in buona fede di aver raffermata la libertà propria; libertà che si manteneva più per le diffidenze e gelosie reciproche degli altri Stati, che per mancanza di attentati, o per forza che rimanesse ai Genovesi ad opporvisi vittoriosamente. I tentativi non mancarono per fermo, a cominciare subito dopo la riforma. Prima la congiura Fliscana cui poco mancò per riuscire, seguita da audaci propositi della Spagna; e su questi fatti, vennero a gettare la più chiara luce gli importanti documenti dell’archivio di Simancas11. Più tardi, nuove insidie spagnuole, alle quali fan seguito quelle del vicino Duca di Savoia, ripetute poi nel 1620. Guerra franco-savoiarda nel 1625. Ricominciano gli Spagnuoli, e dopo avviene la congiura del Vacherò. Nel 1648, congiura del Balbi per Francia, e poi le liti colla Spagna per il mare Ligustico. Dopo il 1671, nuove contestazioni col Duca di Savoia e congiura del Della Torre; e qui basterà per non allontanarci di troppo dall’epoca presa in esame.

Si spiega quindi benissimo come in queste lotte continue, in queste continue e serie apprensioni per la libertà, abbia avuto luogo nel 1637 l’elezione della [p. 177 modifica]Vergine a capo dello Stato. Pare che quel provvedimento dovesse costituire un argine insuperabile alle altrui mire insidiose; ma si vede che i Genovesi avevano dimenticato l’inutilità di un precedente analogo in Firenze io8 anni prima. L’elezione di Cristo a Re, non aveva impedito la caduta della libertà fiorentina voluta dal suo Vicario: non era da sperare che l’elezione della Vergine avesse meglio protetta la libertà genovese.

Si comprende il conseguente cambiamento del tipo delle monete, importante specialmente per l’abolizione del nome del Re Corrado, onde non avesse a prestare il più lontano appiglio ai sostenitori della dipendenza dallo Impero. Ma anche questo non ha impedito ad alcuni e per ultimo al Senckenberg di servirsene appunto a questo fine12. Per ultimo si comprende egualmente, come dalle stesse cause abbia potuto venir fuori il tipo speciale che diede argomento a questo articolo; tipo che è l’espressione di un voto e di una speranza dei Genovesi nell’avvenire, incoraggiati dal vedere che dopo tante traversie più o meno felicemente superate, la libertà della Repubblica non avesse naufragato.


Note

  1. La necessità di far seguire una seconda parte alle Tavole, si manifestava e per le nuove monete e varianti che si sarebbero scoperti in seguito, e perchè non si poteva dichiarar chiuso il Volume, prima di aver avuto tempo ed opportunità di esaminare alcune altre raccolte. Tra queste, spiccava quella ricchissima formata a prezzo di grandi fatiche e spese dal compianto Marchese Baldassare Castagnola da Spezia, collezione, che fino all’anno scorso io speravo di poter visitare. Ma le pratiche fatte a questo scopo presso gli eredi non riuscirono; e sebbene la risposta in forma cortese non sia stata apparentemente un vero rifiuto, pure ho dovuto convincermi, che quella insigne collezione rimarrà per lungo tempo ancora chiusa per tutti. Dovendosi adunque rinunziare al contingente che quella avrebbe dato di certo al fase. II delle Tavole, e non avendo potuto raccogliere fino ad ora che 180 numeri circa per la pubblicazione, si rende inevitabile l’accennato ritardo.
  2. V. nelle Tavole descrittive Genovesi, ai num. 1451, 1452 e 1453, due scudi ed un ottavo colla leggenda al R. in . hoc . salvs . mvndi.
  3. Ripeterò qui quanto dichiarai nelle precedenti Annotazioni, per evitare che mi si accusi di dimenticare l’unicuique suum. Per tutto ciò che riguarda le valutazioni, mi attenni al Desimoni, in Appendice al Belgrano, Vita privata dei Genovesi. Genova, 1878.
  4. V. Tavole descr. Genovesi, n. 1581; e forse altri tipi anteriori ancora sconosciuti corrispondenti ai da io e 5 soldi nn. 1560, 1561, 1562, 1571 e 1572.
  5. V. Tavole, n. 1593 e col. osservazioni corrispondenti.
  6. Dell’origine della zecca di Genova, etc. Torino, a p. 41 in fine n. 51.
  7. V. Tavole, n. 1545.
  8. V. Tavole, nn. 1749, 1750, 1766 e 1767.
  9. Opera citata, Vol. I.
  10. Ho rettificato le date dell’Accinelli, riferendomi a quelle citate dal Desimoni. V. Sui più antichi scudi d’argento, in Giornale Ligustico. Anno IV (1877).
  11. Vedi Atti della Società Ligure di Storia patria. Vol. VIII. Genova, 1872,
  12. V. Imperii Germanici ius de possessio in Genua Ligustica eiusque ditionibus. Hannover, 1751.