Donne illustri/Donne illustri/Teresa Bandettini

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Teresa Bandettini

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CC entusiasmo degli improvvisi si è freddato assai in Italia. Il Gianni, lo Sgricci fecero sforzi così meravigliosi, che i loro discendenti sono come i Greci del campo troiano rispetto a quegli eroi più antichi, di cui favoleggiava Nestore. La Milli, venuta all’ultim’ora, è più ammirata per la squisitezza de’ sensi, e la forbitezza dello stile che per la vena. Altri furono i trionfi di Corilla Olimpica, della piena di un Dio Temira Parrasia e di Amarilli etrusca, che nel loro abito d’ogni giorno si chiamavano Maddalena Morelli Fernandez, Fortunata Fantastici e Teresa Bandettini.

La Bandettini sfolgorò quando la Corilla avea già smesso. Desiderata da lei, improvvisò in sua casa e n’ebbe lodi, doni, [p. 28 modifica] carezze. Temira venne a gara con Amarilli, ma fu talmente sconfitta che cadde in deliquio e la trassero svenuta fuori della lizza. Nè le fu di conforto che la sua vincitrice avesse già sgarato il Mollo, perchè le donne credono lor proprio il dono fatidico dell’improvviso.

Teresa Bandettini era nata in Lucca il 12 agosto 1763 e spirò la notte tra il 5 e il 6 aprile del 1837. Mortole il padre otto giorni dopo la sua nascita, rimase in cura di Maria Alba Micheli sua madre. Il Petrarca, il Tasso e Dante le rivelarono il suo genio poetico. Datasi, per vivere, al ballo, tra una danza e l’altra leggeva la Divina Commedia. Esordì a Bastia, dove la chiamavano La Ballerina letterata e fu dal generale Marboeuf avviata alla conoscenza delle lettere francesi. Ballò poi a Firenze, a Bologna, a Venezia, ove fu tentata invano d’amore da Giovanni Pindemonte e da Alberto Fortis. Non era bella; ma


I caldi occhi movean voci e parole,


come cantò un senatore bolognese, ed il Cerretti che s’ideò di rispondere a quello sfavillìo, lanciandole un motto ardito all’orecchio, n’ebbe in cambio uno schiaffo. Ella sposò un suo concittadino, Pietro Landucci; abbandonò poi il teatro e si diede all’improvvisare.

Il Fornaciari racconta che ella non avea il gesto aggraziato nè voce chiara: non bella: e tuttavia il suo fascino era irresistibile, e piacean senza fine

Gl’incolti fior che del Parnaso in vetta
Nascean, figli dell’estro e dell’istante.

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Un generale francese, il Miollis, che civettava co’ letterati italiani, n’andò preso, raccolse i versi di lei, fino ai frammenti, rimasti nella memoria degli ammiratori di cento città, e questo Nembo in guerra e zeffiretto in pace, come lo chiamava la poetessa, li soffiò nel pubblico in una bella edizione veronese nel 1801. V’è secondo l’uso del tempo troppa mitologia — non della mitologia viva, rinnovata dalla scienza moderna, sì di quella che fioriva nei boschetti di Arcadia. Ma i lampi di fantasia abbondano: v’è affetto, delicatezza, e sopratutto una vena facile e pura di verso. Ella improvvisava davvero. Appare chiaramente, come notò il Fornaciari, da quel fare repente, brusco, e quasi di torrente, ch’alta vena preme.

Messa alla tortura di mille prove e riprove, non fece mai fallo. A Roma in un’accademia trattò uno stesso tema otto volte, in vario metro. Onde non è da stupire che menasse gli spirti con la sua rapina. Il cardinal Bernis in piena Arcadia disse che in altri tempi, per quelle sue magie poetiche, l’avrebbero arsa. Ella conquistò i suffragi non solo del Pignotti, del Bettinelli e del Monti, ma del Parini e dell’Alfieri, che lodò colei che tanto valea

                                      nell’arte perigliosa

In cui l’uomo insanisce in vaghe tempre,


e con quel suo fare originale dicea dell’etrusche improvvisanti strozze:


Nasce appena il pensiero, e già s’innostra
Di poetico stil, nè mai vien mozza
La voce, o dubitevole si prostra,

Nè mai l’uscente rima ella ringozza.
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Si leggano i primissimi saggi della Bandettini, impressi nel 1799, e si vedrà quanto vivace fosse la sua fantasia e spontaneo il verso. La Caduta dei giganti, in ottave, è bella: ma sopratutto ci piace quel Lamento di Clizia (del girasole), che comincia così:

A te intorno ognor m’aggiro,
O diletto ingrato amante,
E se celi il tuo sembiante
Scolorita io ne sospiro,

          A te intorno ognor m’aggiro.

Croceo il crine e croceo il volto
E son fatta un molle fiore!
Serbo ancor l’antico ardore,
Nè il vital tutto m’è tolto,
Croceo il crine e croceo il volto.

          . . . . . . . . .

Se pian pian mormora l’onda,
Rivolgendo argenteo il passo,
E sospira ad ogni sasso,
Più il mio crine allor s’imbionda,

          Se pian pian mormora l’onda.

Chi direbbe che d’amore
Si pascessero le piante,
E che un tronco fosse amante,
E che amante fosse un fiore?
          Chi ’l diria, se non Amore?


La Bandettini, scorsa l’età del furore poetico, si diede a [p. 31 modifica] poetare pensatamente. Scrisse due tragedie: il Polidoro, al quale alcuno accoppiò una terza, il Polinestore, (non rammentando Polinestor ch’ancise Polidoro), e Rosmunda in Ravenna. Il Polidoro fu replicato con plauso per tre sere in Milano, città letterata, come il Fornaciari la chiama. Istruita in latino ed anche in greco, tradusse liberamente l’Inno a Venere e i Paralipomeni di Quinto Smirnèo.

Dettò poemi — uno in quattro libri, in ottave, sopra gli amori di Venere e di Adone, tema trattato deliziosamente da Shakespeare; altri minori ed uno lunghissimo in venti canti, il Teseo — Così il Bagnoli scrisse il Cadmo tanto limato e tanto lodato, ma che non è letto da alcuno — In questi rifacimenti epici il poeta crede talora suo debito di ricopiare al possibile il carattere dell’età, le tradizioni classiche, e non riesce — Shakespeare che trasforma l’antico, e quasi conquistatore della natura dispone a sua voglia della terra e dei mari (ne mise uno fra Verona e Milano), scrisse lavori immortali — Il suo genio vi trasfondea l’antico come egli se lo sognava, e il moderno come ei lo sentiva.

La Bandettini nella sua più tarda età ebbe gravi dolori d’animo: le morirono tre figliolette e poi il marito — Ella patì di un tremolìo in tutta la persona che per reggersi dovea puntellarsi al braccio degli altri — Ella dicea scherzando che finiva come avea cominciato: ballando. Con più mirabile costanza sopportò i dolori e i tagli di uno scirro al petto. La guarì, almeno in apparenza, un erbolaio: ma presto la sua luce si estinse — Ella scrisse versi fino all’ultimo — La sua vita fu un canto — Se l’eco n’è ora spenta, non crediamo però che essa non possa ridestarsi, e che quella [p. 32 modifica] mancanza di cedro che disse un biografo italiano debba impedirlo — Abbiamo veduto in Francia rinnovarsi la gloria di Ronsard e di altri esimi poeti del secolo decimosesto — Chi può dire che un Sainte-Beuve non raccenda l’âre a questi idoli, che il villano martello dei positivisti ha franti e sparsi al vento?