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Elettra (D'Annunzio)/Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo

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Nel primo centenario della nascita di Vittore Hugo
Nel primo centenario della nascita di Vincenzo Bellini Per la morte di un distruttore


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NEL PRIMO CENTENARIO
DELLA NASCITA DI
VITTORE HUGO.


C
OME sopra la forza del monte

tra la selva e il fonte,
tra la palude e il fiume,
in vista all’infaticato mare,
5nell’altezza dell’etra
venerabile, con suon di cetra
e di flauto, armoniosamente,
l’immune dalla morte
Eroe figlio del Nume
10edificava per l’industre
e pugnace sua gente,
e pel Fato, la città illustre
di molte porte e di molte are;
così edificò Egli
15nella luce e nell’ombra
l’opera d’eterne parole
che ingombra l’orizzonte
umano con la sua mole
immensa; e l’abitarono i vegli
20esperti d’infiniti mali,
le vergini vereconde, i lieti
pargoli, i guerrieri sanguigni,
e i mostri carnali senza fronte,

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che faceano insonni i profeti
25ne’ lor chiostri di macigni,
le onte irte d’artigli e d’ali,
di cigli e di rostri.

Nazione di Dante,
se l’anima tua non è morta,
30se il tuo braccio ancor vale,
se ancor la tua voce risuona,
se t’arde nella memoria
favilla del romano orgoglio,
o custode del Libro immortale,
35percuoti lo scudo raggiante
sospeso alla porta
del tuo Tempio ideale,
solleva una vasta corona
dal tuo Campidoglio,
40e grida: “Gloria! Gloria!
Gloria!„ come nei giorni
delle tue magnificenze;
perocché oggi ritorni
l’edificator Titano
45trasfigurato sopra gli anni
e i tiranni, spiriti adducendo
di amore su vènti di letizia,
nella sua pura vittoria

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le sacre invocando potenze
50testimoni al cruciato di Scizia:
“O Terra! O Madre!
O chiaro Etere! Mutato è in gioia
degli uomini quel ch’io soffersi
per la Giustizia.„

55Gloria all’esule Eroe che invoco,
Nazione di Dante, all’aedo
che seppe pur l’altra parola
del Portatore-di-fuoco!
“Più grato m’è l’esser prigione
60del sasso, che servo
del tuo signore.„ E sola
eragli intorno la rupe, e solo
eragli l’Oceano intorno
ululante; e il lamento
65dei popoli ignavi sul vento
ferivagli il cuore ferito;
e la nuvola del suo dolore
occupava il ciel taciturno
procellosa, di folgori spessa;
70e l’ira indefessa
latrava pel tragico lito
all’orrore notturno,
più trista che Niobe nel mito.

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Ma egli aspettò la sua vela,
75ospite sovrumano
del granito, come Eschilo a Gela
ospite fu del vulcano.
E le parole sue
costrinsero il Fato lontano
80a premere la ferrea mano
su l’impero di sangue e di lue.

O nembo sonante dell’Ode,
rischiara dei tuoi rotti lampi
l’immensità del suo cuore!
85La Gallia, distesa tra i campi
nubilosi e le prode
del Mediterraneo lucente,
nel suo cuore è compresa
con la profonda Ardenna
90e la Provenza serena
ove canta la cicala
d’Apolline all’olivo d’Atena,
e la Bretagna silente
dai candidi lini
95che prega rammemora e sogna
coronata di giunchi marini,
e la Borgogna che al ferro
duro partitor di retaggi

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è madre e alle vigne opime
100onde fiammea gioia s’esprime.
Integro nel suo petto
è il suo dolce paese;
e nell’anima sua ferve il solco
della nave focese
105che venne recando il perfetto
dell’Ellade fiore
nel seno petroso ove nacque
Massilia a specchio dell’acque.

Ma il tutto è in lui. Nel suo petto
110concluso è il mondo. Ogni raggio,
ogni tenebra in lui discende,
da lui parte. Il suo spirto selvaggio
e divino s’oscura e risplende
come la Notte, come il Giorno.
115Egli è Pan, la sostanza del Cielo
della Terra e del Mare,
l’Orgiaste, il Sonoro,
il Vagabondo,
il dio dal piè caprino, dal corno
120lunare, il signore del coro,
il duce dell’eterno ritorno,
che sopporta le stelle,
incita le stirpi,

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dischiude la porta
125delle eterne visioni.
Crescono in lui stagioni
ineffabili. La polve
dei secoli s’anima al fiato
della sua bocca e levasi in trombe
130impetuose. Le tombe
gli rendono i morti e i misteri.
Dal silenzio Egli trae tutti i suoni.
I novi pensieri suoi forti
per entro alle selve dei tempi
135si scagliano come leoni.

Sale il monte, scompare nell’atra
nube, parla con l’aquile e i vènti.
Dietro di sé lascia la turba
che latra, la città del sangue
140e del lucro, la femmina molle;
fa sosta ai torrenti.
Beve, come i profeti, nel cavo
della mano, mentre all’opposta
riva rugge il fratel suo flavo.
145Come l’artefice folle
del Macedone, ebro di fasto,
emulando con l’arte l’orgoglio,
foggia nel monte il colosso

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del suo desiderio inumano
150che cerca il dominio più vasto,
che anela il più fulgido soglio.
Come il dio degli eserciti, grida:
“Io ti darò una fronte
più dura che le fronti loro.„
155Veggon di lungi le genti
torreggiare quel suo simulacro.
Dicono: “Chi trasfigura il monte?„
I muscoli ingenti
constringono l’ardua ossatura
160terribili come i serpenti
che attorsero Laocoonte.
Guardan l’aquile il sacro lavoro.

Egli sa ciò che deve perire,
e il segreto travaglio onde nasce
165la nova speranza o la nova
beltà su la doglia del mondo,
ora curvo come sotto il pondo
di popoli morti, d’immensi
tumuli, d’infami ruine,
170or raggiante di vite future.
Legioni di re, coorti
di pontefici e d’imperatori
ebri di lutti e d’incensi,

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lordi di menzogne e di fuchi,
175torme di carnefici sordi,
d’eunuchi infermi di paure,
moltitudini di meretrici
fameliche come le tombe,
si mutano in tacita polve,
180nelle profondità delle vie
nascoste; e la polve,
sitibonda sorella del fango,
riceve il pianto dei cieli; e il suono
d’una parola
185v’è seminato: “La spada
si torce, la tiara si offusca,
la corona si apre,
la catena si spezza, il supplizio
si arresta. Gloria alla Terra!„

190Egli canta: “Gloria alla Terra!
Benigna è la madre e severa
alle sue schiatte,
incorruttibile e certa.
Ama il figlio che pensa e che spera,
195che opera e che combatte;
e l’innocenza offerta
a tutte le vite è il suo latte,
e la giustizia è la sua mammella.„

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Canta: “Ogni alba è novella.
200La vittoria è nel grembo dell’alba
fecondata dal sogno del forte.
O Spirto, vinceremo noi
l’immite elemento, e la morte
informe che in fiumi d’oblìo
205i solchi profondati agguaglia.
L’un sotto il giogo dell’uomo
si curverà come giumento;
l’altra si farà bella del canto
che eterna il cuor degli eroi.
210L’inno del divino
ordine sorgerà dal grido
rauco, dal fragor della battaglia.
E la bianca rondine che vola
verso l’eternità, la Speranza
215del giusto, farà il suo nido
nelle fauci inerti del Destino.„

Canta: “Il bisogno, aratro
infaticabile, travaglia
le moltitudini folte,
220fremebonda gleba.
Innumerevoli mani
levate alla minaccia
son le spighe ond’è irto

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il sanguineo campo fenduto.
225Noi getteremo, o Spirto,
il seme per altre raccolte.
Bandiremo conviti d’amore
con beatitudini molte.
Tesseremo la bianca tovaglia
230con una invisibile spola.
Il nostro puro fromento
non patirà la mola
per convertirsi in pani.
Il ramoscel cresciuto
235all’ombra del dio che consola
ornerà, con l’alloro e col mirto,
le mense pie di domani.
Il lin sincero e la lana rude
al conviva saran vestimento.
240Su la porta che mai non si chiude
ove l’uom dice: –Entra e rimani–,
sarà scritta la grande parola
Cominciamento.„

Ed Egli tace, nella grazia
245della terra vestita di cielo,
simile al fiume che sazia
di sé le moltitudini e i campi.
Tutto il Bene è nell’occhio profondo.

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La pagina del suo vangelo
250palpita come l’ala
che in aere si spazia,
splende come velo che avvampi.
Tace Egli e guarda.
Il suo petto titanico esala
255il soffio pacato d’un mondo.
Tace e contempla. Una scala
sorge nel suo sogno, diritta,
di crisòlito e di diamante.
All’imo un re moribondo
260v’è senza eredi; e confitta
da presso v’è l’onta
d’un pastor senza legge, che spinga
i suoi cotti piedi
come quei nella bolgia di Dante.
265Ma stirpi ansiose in catena
infinita vi salgono. Al sommo
dell’ansia il miracolo sta:
la suprema bellezza, la gioia
suprema, la gloria suprema:
270nella Luce la Libertà.

O libera forza dell’Ode
che precipiti sopra le turbe
estuose e fai tua rapina

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dei cuor maschi, e il lor palpito s’ode
275fra i tuoi gridi intermesso,
e teco li traggi ed esalti
insino all’ardor che commuta
in una adamantìna
tempra il desire e il volere,
280o Ardente!, quali faci arderemo
noi, quali fuochi, quali alti
roghi, quali incendii vasti
accenderemo noi presso e lunge,
su i colli dell’Urbe, alle prode
285del Tevere, nei paschi
dell’Agro, oggi, per questo che giunge
di torri incoronato
ospite del Campidoglio?
Ecco le terme, ecco i circhi, gli archi,
290gli acquedotti roggi,
vertebre dei secoli, orridi ossi.
Ma se Roma si levi dal soglio
per lui onorare, oggi eretta
apparirà più grande
295a questo che vien d’oltremonte
fabro di colossi,
con fragore di scudi percossi.

“Patria! Patria!„ gridavan gli Ellèni

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percotendo gli scudi sospesi
300alle porte dei templi,
quando escivan dal bianco Teatro
pieni il petto del ditirambo
religioso
cui Eschilo dato avea l’angue
305e la torcia dell’insonne Erinni.
“Patria! Patria!„ E con ambo
le braccia cingean le colonne
pure, sorelle degli inni.
Percotiamo gli scudi chiamando
310il dolce e terribile nome,
suggello di labbra più sante.
Colui che oggi sale il Monte
Tarpeo, l’amò d’alto amore
ché l’udì dalle labbra di Dante.
315“Italia! Italia!„
Una voce d’iroso dolore
dall’adriatico mare,
dal mare che chiude altri morti,
dal mare che vide altre onte,
320ripete oggi il grido, ahi, vano. E il cuore
anco spera? E la fede non langue?
Calpesta dal barbaro atroce,
o Madre che dormi, ti chiama
una figlia che gronda di sangue.