Enrico/Atto II

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Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Le guardie del Re accomodano il trono e ordinano le sedie pei Primati

Enrico, Leonzio, Ormondo, Riccardo, grandi, popolo, soldati, e poco appresso Costanza dai suoi appartamenti, che nel mezzo della scena s’incontra col Re.
Costanza. Permettete, signor, che pria d’ogni altro

Io venga pronta1 a tributarvi omaggio.
Il Re mio genitor non potea darci
Più degno successor. Voi del suo sangue,
Voi ripien di virtù, voi giusto e saggio.
Voi sarete il piacer del nostro regno!

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Se Costanza, ch’è pur l’unica figlia

Dell’estinto monarca, avesse il dritto
Di far il Re, com’in più regni è l’uso,
Voi, lo giuro, il sareste, e avrei la gloria
D’esser vostra compagna in quella guisa
Ch’or vantarmi poss’io vostra vassalla.
Enrico. Principessa, comprendo in tali accenti
La vostra inclinazion. So che non merto
Tanta bontà; pur l’aggradisco, e bramo
Corrispondervi2 ancor. Rispetto in voi
Di Ruggiero la figlia, illustre figlia
Di colui che me scelse al regal trono;
Costanza. Questi titoli, o Sire, in me non spirano
La vanità che voi creder mostrate3.
Altro è, di cui mi pregio: il tempo forse
Vi dirà quel che i’ taccio.
Enrico.   (Assai comprendo
Anco quel che non dice).
Leonzio.   Al trono, o Sire:
S’avanza il dì.
Enrico.   Diano le trombe il segno.
(Al suono di trombe va il Re in trono, e tutti sedono a’ loro posti. Costanza s’asside vicino al trono. Leonzio s’alza da sedere per leggere il testamento del Re defunto.
Leonzio. Monarca eccelso, principessa illustre,
E voi primati, e voi guerrieri invitti,
Dell’estinto Ruggiero udite i cenni.
Questa pria di morir carta mi diede4,
Ed io, gran cancelier di tutto il regno,
Frango il regio sigillo, e a voi l’espongo.
Ecco le note sue: “Morir non deggio
“Senza lasciare un successore al regno.
“Privo di figli son, non di nipoti.

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“Due figli di Manfredi, Enrico e Pietro,

“Degni ne sono; e d’essi eleggo il primo.
“Dunque Enrico sia Re, purchè non sdegni
“L’unica figlia mia Costanza in moglie.
“Ricusando un tal nodo, abbia don Pietro
“Con tal condizion la sposa e il regno.
“Ruggiero”.
Enrico.   (Oh Dei, che sento!)
Costanza.   (Oh me felice!)
Leonzio. Ecco amici, il Re nostro. A lui palese
Feci di già del testator la legge;
Non ricusa eseguirla, anzi sospira
Alla figlia di lui, che Re lo fece,
Grato porger la destra.
Costanza.   (Io non sperava
Tanta felicità).
Enrico.   Leonzio, (oh numi!)
Sovvengavi del foglio, che segnato
Diedi in man di Matilde. (piano a Leonzio
Leonzio.   Eccolo, o Sire.
Illustre principessa, il vostro sposo,
Popoli, il vostro Re, di propria mano
Questo foglio soscrisse. Udite come
Generoso prevenne i vostri voti:
“Per quanto di più sacro ha il cielo e il mondo,
“Giuro sposar Costanza. In questo foglio
“Abbia la fede mia”.
(Suonano gli strumenti. Il Re scende agitato dal trono. Tutti s’alzano.
Popolo.   Viva il Re nostro.
Costanza. Or che, vostra mercè, Sire, poss’io
Libera favellar, pubblico rendo
Quell’ardor che per voi celava in petto.
Sì, mio caro, v’amai. Tutti i miei voti
Si formavan per voi: sian grazie ai numi.

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Ora de’ miei sospir5 raccolgo il frutto.

Enrico. Ah Leonzio crudel! Così tradite (piano a Leonzio
Il vostro Re? Voi stesso? Il vostro sangue?
Questo soglio serbato era a Matilde;
Voi perdete così...
Leonzio.   Sire, pensate (piano ad Enrico
Meglio alla vostra gloria. Se negate
Di Ruggiero eseguir la data legge,
Tutta perdete la ragion del trono. (si scosta
Enrico. (Legge troppo crudel!)
Ormondo.   (Sembra confuso
Questo novello Re). (piano a Riccardo
Riccardo.   (Spesso la gioia,
Quand’è improvvisa, l’anime confonde)6.
Costanza. Deh fate almen che il labbro m’assicuri
Della sincerità di queste note.
Non dubito di voi, caro, ma dolce7
Sarebbe all’alma mia sentir voi stesso
Col bel labbro ridir: Costanza, io t'amo.
Enrico. Altre cure per or m’occupan troppo.
Tempo verrà... (Ma che dirò? Che penso?...
Che risolvi, mio cor?... Fingasi affetto;
Stabiliscasi il regno, indi la forza
Vendicherà quest’ingiustizia).
Costanza.   Ah Sire,
Che vuol dir quel silenzio? Ah non tenete
Più sospesa così l’anima amante
Di chi langue per voi. Pentito forse
Siete voi della fè che a me giuraste?

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SCENA II.

Matilde dal suo appartamento, la quale resta in disparte, e detti.

Enrico. Fate torto, Costanza, al vostro merto

Nel dubitar. Della mia fede un pegno
Pubblico aveste; or lo conferma il labbro.
Voi Regina sarete, e ben v’accerto
Che a porgervi la destra mi consiglia
L’interesse d’amor, più che del regno.
Matilde.   (Ah traditor!)
Costanza. Me fortunata appieno!
Piacemi il vostro cor più assai del trono,
E ben questo darei per aver quello.
Enrico. Arbitra del mio cor, de' miei pensieri,
La mia sposa sarà. (Ma la mia sposa
Tu non sarai).
Matilde. (Oh mentitor! non posso (s’avanza
Soffrirti più). Di vostre gioie a parte
Deh piacciavi, signor, che venga anch’io.
Mi rallegro con voi della corona
Degnamente acquistata, e mi rallegro
Della sposa gentil che scelta avete.
Vi feliciti il Ciel con quella pace
Che meritate. Il vostro core ottenga
La sua giusta mercede.
Enrico.   (Oh vista! Oh voce
Che mi piomba sul cor!)
Matilde.   Arresto il corso
Ai piacer vostri coll’aspetto mio?8
Partirò, se v’aggrada.
Enrico.   Ah no, Matilde...
Anzi... (che mai dirò?)

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Leonzio.   (L’alma in periglio

Scorgo d’Enrico; ei di soccorso ha d’uopo).
Matilde. Donde nasce?...
Leonzio.   Matilde, omai volgete
Alla vostra Regina il guardo umile:
Ecco del nostro Re la degna sposa.
Seco con più decoro impiegarete9
Questi teneri uffizi. A lei pregate
Tutte del ciel le grazie, e d’imeneo
Le dolcezze più care.
Matilde.   (A che m’astringe
Dura necessità!) Regina... Il Cielo...
Sparga... doni...
Costanza.   Sì, sì, doni a voi pure
Il Cielo ciò che far vi può felice10.
Leonzio. Deh perdonate l’innocenza, in cui
Visse per studio mio.
Costanza.   Così innocente
Con Enrico non parve.
Leonzio.   Itene, amici,
Che già declina inver l’occaso il sole.
Tempo è omai che ciascun lasci il Re solo.
Costanza. Sposo, vi lascio in libertà per l’alte11
Cure del vostro regno. Al nuovo sole
Ci rivedrem; parto, ma con voi resta
Tutta l’anima mia. Se vivo, è solo
Perchè informa il mio cor la vostra immago;
Altrimenti morrei, che sol voi siete
L’idol mio, la mia pace e la mia vita.
(entra nel suo appartamento

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SCENA III.

Enrico, Matilde, Leonzio, Ormondo, Riccardo, popolo ecc.

Enrico. Oh Dei! potessi almen... Ma il popol tutto

In me fissa Io sguardo.
Matilde. (Ingrato Enrico!) (piange
Ormondo. Voi piangete12, Matilde? E donde nasce
La cagion di quel pianto?
Matilde.   Un tristo sogno
È la ria fonte ond’il mio duol deriva,
E sia larva o vision, m’empie d’orrore.
Enrico. Deh palesate a noi ciò che v’affligge!13
Matilde. Lo volete? Il farò14. Era in quel punto
Che divide dal dì la fosca notte
L’alba sorgente15; oh fatal punto! in cui
Chiara fassi la mente, e di future
Cose presaga, spesso adombra il vero.
Mi vidi presso un garzoncel gentile
Di verde etade, di parlar soave,
D’occhio vivace, i cui moti eloquenti
Tutta l’anima mia tenean sospesa16.
Mi tinsi di rossor, tremante, incerta,
Lo mirai sospirando: e co’ suoi vezzi
Tanto egli fe’ che alfin mi rese amante.
Se n’accorse lo scaltro, e per sedurmi,
Troni, scettri, corone, e quanto puote
Render felice un cor, tutto m’offerse.
Vieni meco, mi disse; e la sua mano
Porgendo alla mia man, seco guidommi
Per un calle fiorito all’alta cima

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D’un monticel di verdi piante adorno.

Oh come lieta rimirai sull’alto
Un magnifico trono, un aureo scettro,
Un popolo festoso, un bel concerto
Di giocondi strumenti! Era già presso
Ai gradini del soglio, allor che l’empio
Mio condottier, tutto cangiato in viso,
Strascinommi dal sito ov’io saliva,
E giù per l’altra parte, ove scosceso
Dirompeva quel monte in cupa valle,
Precipitommi il traditor, dicendo:
Va, che indegna tu sei di regal serto.
Mi svegliai lacrimando, e parmi ancora
Rotolar da quel monte, e i sterpi, e i sassi,
E l’effigie dell’empio ho ancor presente.
Enrico. (Il rimprovero intendo). Eh non vi turbi
Questa larva mendace. Aprite gli occhi.
Voi distante così forse non siete
Da quel ben che sognaste...
Leonzio.   Ah Sire, udite:
(lo tira in disparte
Condonate il mio zelo, e non m’ascolti
Altri che voi. Mai si principia, o Sire,
Dalle fievoli cose una grand’opra;
Chiede tutto voi stesso il nuovo regno.
Re non v’ha che non abbia i suoi nemici,
E nel numero ancor de’ suoi vassalli
Conoscerli conviene. Un Re sagace
Li vince con i doni, o col castigo.
Tocca a voi confermar le antiche leggi,
Stabilirne di nuove, e le severe
Moderar con giustizia. I magistrati
Pendon dal vostro cenno; il popol tutto
Curioso attende i primi ordini vostri
Per giudicar di voi. Fate che siano

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Del nuovo Re contenti; e stabilite

Questa massima in voi: ch’è Re felice
Quel che regna nel cuor de’ suoi vassalli.
Enrico. Non avranno a dolersi i miei vassalli
Di me, com’io di voi dolermi è forza.
(piano a Leonzio
Matilde, l’amor mio...17
Leonzio.   Seguite, amici,
Il vostro Re. Darà ben egli al mondo
Prove del suo gran cor.
Enrico.   Sì, miei fedeli,
Vostro padre sarò più che Re vostro.
Le notti veglierò per vostro bene,
I giorni suderò per vostro scampo.
Serberò a mio poter l’amica pace;
Ed a chi osasse minacciar la guerra
Porterà lo spavento il braccio mio.
Premierò gl’innocenti; a’ contumaci
Sarò giusto con pena; e dì felice
Quello per me sarà, in cui io possa
Beneficare alcuno. Aperta sempre
Fia del regio favor la porta a tutti.
Prevenirò talvolta anco il rossore
Degli oppressi ritrosi. Altro tributo
Io non chiedo da voi, che l’amor vostro.
Cercherò meritarlo. I miei difetti
Tollerate, miei figli, ed io prometto
I vostri tollerar, quando non siano
Dannosi ad altri, o di perverso esempio.
Chi gravato si lagna, a me suoi torti
Venga ad espor. Contro me stesso ancora
Un tribunal dalla ragione eretto
Nel mio seno averò.

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Popolo. Viva il Re nostro!

(Al suono degli strumenti, il popolo si divide in due file verso l’appartamento reale; Enrico s’avvia pel mezzo, ma prima guarda sospirando Matilde, ed essa pure sospirando lo mira. Tutti seguono il Re, fuorchè dessa e Leonzio.

SCENA IV.

Leonzio e Matilde.

Leonzio. Ah Matilde, Matilde, i vostri sguardi

Sono del vostro cuor gli esploratori.
Voi nutrite nel sen l’ingiusta fiamma;
Voi, lo veggo pur troppo, ancor seguite
A compiacervi d’un amor funesto.
Ma così della mente avete chiuso
L’orecchio alla ragion? Sì poco in voi
Puote il dover, puote del padre il cenno?
Orsù; m’udite. Io tollerar non posso
D’arrossirmi per voi. Veggo il periglio
In cui sta vostra fama, e vi provvidi.
Al più degno d’amor18, al più glorioso
Cavalier di Sicilia, al più felice
Per fortuna, per sangue e per virtute,
Sposa vi destinai. Sì, sarà Ormondo,
Pria che termini il dì, lo sposo vostro.
Matilde. (Oh Dio! che sento mai! Qual freddo orrore
Mi ricerca le vene? Io sposa? Io d’altri
Che d’Enrico sarò? Mancava questo
Tormento all’alma mia!) (piange
Leonzio.   Voi lacrimate?
Capace non credevo il vostro cuore
Di cotanta viltà. V’amo, e mi sento
Trapassato nel sen dal dolor vostro.

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Tutto farò per voi, siete mio sangue;

Ma l’affetto del padre a tal non giunga,
Che tradisca l’onor. Passai con gloria
Quasi all’estrema età! Deh non vogliate
Che finisca con scorno i giorni miei.
Matilde. Mi vergogno, signor, nel farvi nota
Tanta mia debolezza. Ah so pur troppo
Che maggiore virtù vantar dovrebbe
Di Leonzio la figlia. Non temete:
Già vicina ho la morte. A’ miei tormenti
Ella verrà a dar fine, e voi sarete
Libero presto d’un’ingrata figlia.
Leonzio. Che dite di morir? No, no, vivrete;
E la vostra virtù sul vostro cuore
Ripiglierà l’abbandonato impero.
Uno sposo vi do, di cui più degno
Darvi non vi potria. Questi è il partito
Più felice del regno; e, ve lo giuro,
Figlie più illustri invidieran tal sorte.
Matilde. Venero Ormondo e la sua destra estimo,
Ma il Re mi fe’ sperar...
Leonzio.   Figlia, v’intendo:
Il Re vi fe’ sperar d’esser Regina:
Nè vi condannerei, se più felice
Congiuntura s’offrisse ad desir vostro.
Sollecito e geloso io più d’ogni altro
Procurarvi saprei l’onor del trono,
S’altra donna di già non l’occupasse.
Lo sapete: Costanza è la Regina
Fatta già da suo padre, anzi Costanza
Quella è che porta al regal trono Enrico.
Sperate invan, che di Sicilia al regno
Voi preferisca. Ma giacchè non puossi
Andar contro il destin, fate uno sforzo
Che vi acquisti nel mondo eterna fama.

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Apprendete da Enrico. Ei v’abbandona,

E19 si sposa a Costanza, e per lo trono
Non rammenta la fede a voi giurata.
Via, seguite ad amar con quest’esempio
Un amante sì fido. Orsù, più invano
Trattenermi non vuo’. Voi m’intendeste20
Ebbe di già la mia parola Ormondo;
Ritrattarla non posso. Amata figlia,
Porgetegli la destra, io ve ne priego,
E se il priego non basta, io vel comando.
(parte per la porta comune


SCENA V.




Matilde sola.



Misera, che farò? Chi mi consiglia
Nello stato infelice in cui mi trovo?
Ahi spietato destin! perchè nutrirmi
Di sì dolci speranze? E tu, crudele,
E tu, perfido amante, il giorno istesso
Che a me giuri tua fede, in faccia mia
Porgi ad altra la destra? Ah per punirti
Del tradimento rio, faccian le stelle
Che il tuo letto nuzial cangi in feretro.
Sian veleno al tuo cuor della novella
Tua sposa i vezzi. Orribile ti sembri
Quest’imeneo che a me ruina apporta.
Faccia un divorator rimorso eterno
Nel tuo squarciato sen le mie vendette21.
Sì, traditor, sarà mio sposo Ormondo;
Ormondo che non amo, anzi abborrisco.

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Punirommi così d’aver mal scelto

Di mia folle passion l’indegno oggetto.
Se ancor serbi per me, spietato Enrico,
Qualche stilla d’amor, vuo’ che tu frema
Veggendomi per sempre altrui legata22.
E se, ingrato, di me tutta perdesti
La dovuta23 memoria, almen potrassi
La Sicilia vantar d’aver prodotto
Una femmina tal, che al suo decoro
Seppe sacrificar la propria vita.

SCENA VI.

Ormondo dalla porta comune, e detta.

Ormondo. Ecco, Matilde, un vostro servo; e quando

Non sdegnate l’offerta, il vostro sposo.
Fe’ sperarmi Leonzio una tal sorte,
Nè sol24 quanto s’estenda il suo potere.
Promise a me la vostra man; ma ancora
Egli m’assicurò del vostro affetto.
Da voi però bramo saperlo. Io v’amo,
Quanto amar si può mai; ma non per questo
Usar voglio violenza al vostro cuore.
Matilde. Signor, figlia son io; del padre adoro
L’autorevole cenno: eccomi pronta
A porgervi la destra. Io dico quanto
Basta per esser vostra. Altro non lice
Dirvi per or d’onesta figlia al labbro.
Ormondo. Basta così per farmi lieto. Al tempio
Vostro padre ci attende.
Matilde.   Andianne. Io seguo
L’orme de’ vostri passi.

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Ormondo.   Oh me felice!

Giunsi alla fine a posseder quel core
Per cui tanti impiegai voti e sospiri.
(s’avvia per la porta comune
Matilde. Crudo amor, tu strascini al sacrificio
Questa vittima sua. L’ara fatale
Arda d’orride fiamme, e sian funeste
D’Enrico agl’imenei, come lo sono
Di Matilde infelice al cor tradito.
(segue Ormondo per la medesima porta


Fine dell’Atto Secondo.

  1. Ed. Bettinelli, 1740: Venga Costanza.
  2. Bett.: corrisponderle.
  3. Bett.: a me non sono — Di tanta vanità, qual vi pensate.
  4. Bett.: ecco il decreto. — Questo pria di morir diede in mie mani.
  5. Bett.: del mio sperar.
  6. Bett.: Spesso confonde — Una grande allegrezza ì cuor più saldi.
  7. Bett.: Deh fale almen che il vostro labro esprima — La bontà che per me chiudete in seno. — Certo, di Vostra fè mi rende il foglio: — Non pavento di voi, ma un bel conforto ecc.
  8. Bett.: Disturba forse — Di Matilde l’aspetto il goder vostro?
  9. Così il testo.
  10. Bett.: Ciò che farvi potria felice il Cielo.
  11. Bett.: dell’alte.
  12. Bett.: piagnete.
  13. In luogo di questo verso, si legge nell’ed. Bett.: “Leonzio Cotesto vaneggiar lascia a fanciulli„.
  14. Bett.: Udite il sogno, e giudicate allora — S'ò ragion di tremar ecc.
  15. Bett.: sorgendo.
  16. Bett.: Vidimi presso un di gentile aspetto, — Di verde etade, in ragionar cortese, — Che con l'occhio vivace e il bel crin d’oro — Tutta l’anima mia tenea sospesa.
  17. Bett: N’intendete il perchè.
  18. Bett.: e vi providi — Spero con piacer vostro.
  19. Bett.: Ei.
  20. Bett.: So con chi parlo. — Parlo con una figlia assai capace — Per comprendere e far quel che più deve.
  21. Bett.: Sian veleno al tuo cor della novella — Tua Sposa i vezzi. Orribile li sembri — Quest’odiato Imeneo. Faccia il rimorso — Nel tuo perfido sen le mie vendette.
  22. Bett.: vuò, che tormento — Siati il vedermi ad altro Sposo in braccio.
  23. Bett.: tutta obliasti — La dolente ecc.
  24. Così il testo nelle edizioni Bettinelli e Zatta. Noi preferiamo leggere so.