Eureka/Ai Lettori

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Ai Lettori

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Edgar Allan Poe - Eureka (1848)
Traduzione dall'inglese di Maria Pastore Mucchi (1902)
Ai Lettori
Eureka Dedica
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AI LETTORI


In questa Biblioteca Universale furono già pubblicate tre successive raccolte di racconti di Edgardo Poe (N. 45. 143 e 283) che il pubblico accolse con crescente favore.

Le ragioni sono evidenti: ogni pagina di Edgardo Poe esercita sopra i lettori un fascino irresistibile. I racconti maravigliosi, terribili, grotteschi, sinistri, le visioni strane, melanconiche, opprimenti, gli incubi formidabili e morbosi, dànno allo spirito come un’acre voluttà del bizzarro, del terribile e dell’assurdo.

A ciò concorre uno stile nervoso, lucido e preciso, una composizione estremamente abile e premeditata a suscitare nel lettore il maximum d’ogni emozione, ad acuire il senso della curiosità superiore e febbricitante, organizzato come un meccanismo d’acciajo rigoroso, freddo, implacabile ed azzurro, sempre capace di produrre l’estrema vertigine della mente.

Ma questi documenti dell’opera letteraria di Edgardo Poe non bastano a presentarci tutta la complicata estetica, nè a definire il carattere psicologico della sua produzione. Il Poe è ancora un poeta, un grande poeta. Come tale non è quasi conosciuto in Italia.

Non basta. Al disopra di tutte le sue opere s’eleva ancora un poema cosmogonico in prosa che ci offre un Poe del tutto nuovo, inaspettato e profondamente originale: «Eureka

L’opera che compare ora per la prima volta tradotta in veste italiana suscitò vive ed importanti discussioni allorchè l’autore ne diede la lettura in una lunga lezione di ben due ore e mezzo [p. 4 modifica]consecutive alla Society Library di Nuova York il giorno 9 gennajo 1848, due anni circa prima della sua morte.

Discernere l’estetica sottile e perfetta di questo poema ci porterebbe troppo lontano, ma non sarebbe forse inutile per invogliare i lettori a superare certe pagine, in cui l’autore, sfidando le difficoltà più irte dell’astrazione, si perde come nelle nuvole tanto si eleva al disopra della volgarità. Riassumere in poche righe il grande poema sarebbe una profanazione. L’argomento è nientemeno che «l’Universo fisico, metafisico e matematico, l’Universo materiale e spirituale, la sua essenza, la sua origine, la sua creazione, il suo destino». Dalla creazione della materia cosmica nello stato perfetto di semplicità, l’unità originale delle cose si eleva alla infinita molteplicità delle relazioni; quindi la teoria degli assiomi, la teoria dell’astrazione e della repulsione universale, la teoria nebulare di Laplace, la teoria elettrica ed ottica, la teoria dell’etere, le leggi di Keplero, di Newton, di Bode, di Humboldt, di Bessel, la legge della periodicità, la critica ai sistemi filosofici di tutti i più grandi pensatori dell’antichità, la teoria dell’istinto analogico, simmetrico e poetico sono dominate con tale sicurezza e personificate con tanta fantasia, che allo spirito stupefatto del lettore si rivela quasi più visibilmente la grande macchina infinita dove «lo spazio ed il tempo sono la stessa cosa», dove «il semplice spostamento di un atomo cambierebbe il movimento della luna e del sole e di tutto l’Universo, e dove, secondo una frase sublime del poeta, «il Corpo e l’Anima camminano tenendosi per mano», dove tutto è Vita, Vita nella Vita, la minore nella maggiore e tutto nello Spirito di Dio».

Una incontestabile originalità letteraria e scientifica penetra tutto il poema e uno spirito arcano di misticismo ne costituisce il magnifico ritmo. L’opera si eleva sopra una solida base di assiomi, di cause e di premesse scientifiche, poi si svolge con una rete di ragionamenti sottilissimi, di intrighi abilmente sinuosi, riposa in amplificazioni sapienti, corre su piste laterali apparentemente devianti, si estende con accumulamenti bizzarri e apparentemente insolubili [p. 5 modifica]
di enimmi, di antinomie schiaccianti, poi d’un tratto ecco lo zampillo di una soluzione felice, tanto più gradita quanto meno prevista, poi ecco un getto rettilineo e vittorioso di conseguenze sconcertanti ma imperiose, rapide come un fuoco d’artifizio, poi una luce, tutta una raggiera di luce dove il poeta d’ascensione in ascensione canta un inno solenne alla straordinaria apoteosi dell’Universo.

Richiamiamo l’attenzione del sagace lettore sopra la gradazione sapiente delle frasi e sopra l’architettura intima delle prove che sono tutte un calcolo logico ed estetico premeditato ed una vera equazione in via di sviluppo. Ognuno avrà campo di ammirare in questo poema la sorprendente abilità di suscitare il colmo dell’interesse letterario, rifiutando ogni elemento sentimentale. Quel freddo piacere geometrico, direi quasi strategico, dell’attività cerebrale che il Poe ha perseguitato e descritto in molti de’ suoi Racconti straordinari, qui appare più che mai chiaro, atono e completo.

L’imperturbabilità logica di volare sopra ed oltre i confini del razionale è proprio il sigillo di questo stranissimo genio che ha avuto la fortuna di essere interpretato e compreso dai maggiori critici contemporanei dei due mondi, ma aspetta ancora un vate sacro che ne canti pienamente le lodi.

Ma più che un libro di Verità «Eureka» è il poema dell’ipotesi. Non per nulla il Poe ha voluto dedicarlo «a quelli che mettono fede nei sogni come nelle sole realtà»; maraviglioso romanzo metafisico in cui tu riscontri accanto a miracoli di congetture sagaci, congetture paradossali ed iperboliche che ti dànno le vertigini, poi intrecciati in certe prolisse e monotone stemperature letterarie che sembrano create appositamente per generare una specie d’ipnotismo spirituale necessario al rapimento che l’autore si prefigge in ogni sua opera — sogni e suggestioni inverosimili, petulanze scientifiche, malignità puerili, lampi di sdegno, ironie amare, induzioni e deduzioni potenti, fossili portentosi di sentimento, allucinazioni filosofiche, sacri furori, e sopratutto entusiasmi [p. 6 modifica]
scientifici straordinari, capaci di commuovere ancora una età scettica come la nostra.

Fin dalla prima dichiarazione poetica dell’argomento il lettore s’accorgerà che il poeta ricerca non il frammento ma l’organismo, non il passo ma il volo, non il particolare ma l’universale. Ma ciò che stupirà più che tutto è la dedizione teistica, anzi panteistica con cui il poeta chiude il suo mirabile edifizio. È vero che il suo panteismo pianta le radici nell’ideale della progressiva deificazione dell’Uomo, tuttavia il Poe finisce per inginocchiarsi davanti a quell’impervio mistero di Dio che per lui si drizza sempre nell’infinito regno del al di là, come una sfinge ombrata perennemente dall’ignoranza.

Certo i pensatori moderni hanno altri ideali ed altre pretese. Tuttavia l’opera del Poe anche da questo lato non è priva di ammaestramento. Perchè il poeta, anche quando è più temerario nelle affermazioni destituite di qualunque prova, non fa mai come il dogmatico prepotente che si butta addosso ai problemi credendo di poterli afferrare e risolvere per impeto di sorpresa, nè mai si abbandona con ingorda stupidità nell’abisso dell’ignoto. Il poeta mira sempre le cose da una tranquilla ed olimpica sommità, dove non arrivano più nè gli echi del dubbio, nè le imprecazioni impotenti del pessimismo, nè gli anatemi della fede più rabbiosa.

Quando la sua fantasia si sprofonda nell’infinito vivente, la ragione ricontempla ogni cosa con intuizioni sempre più acute e più vigorose. La sua frase è sempre qualcosa di alato, che vola in alto, verso la luce.

Son voli d’Icaro, ma che non si spennano mai alle prime prove. Il Poe ben sapeva che nelle indagini scientifiche conviene andar cauti, e così nelle sue scorribande uraniche non cessa mai di mirare a quella sintesi piena e feconda cui deve rivolgersi lo spirito umano. Tutta la sua creazione ha per tanto un carattere ed un valore ipotetico; ma il lettore si guarderà bene dall’accettare come assiomi ciò che l’autore medesimo ha dichiarato ed illustrato come semplici ipotesi e non mancherà di fare una riflessione profonda. [p. 7 modifica]

Che resterebbe nella scienza medesima se tu rimovessi ogni ipotesi?

D’altronde l’opera stessa del Poe è una storia documentata della creazione geniale. Ed è forse per questo che la portata di alcune ipotesi più felici, che ora pajono sì lontane dalla vera scienza, sarà riconosciuta molto più grande ed efficace di quel che ora si crede.

Qui si trovano i documenti più certi dell’ideale metafisico umano risvegliato nei brevi mattini della sua giovinezza.

Gli ammaestramenti scientifici si ricavano a piene mani. L’autore insiste continuamente sul fatto che le presenti leggi che regolano il mondo non sono altro che semplici ipotesi che noi trasferiamo nelle cose. Per quest’idea noi impariamo dal Poe il culto incondizionato della libertà del pensiero, non come una petulante fatuità filosofica, ma come un criterio di ricerca e di vera conquista scientifica.

Ciò che qua e là si riscontra intorno al problema del ragionamento umano, intorno al diritto analogico e alla teoria degli assiomi, potrebbe, raccolto e ordinato convenientemente, formare un interessantissimo saggio sopra l’evoluzione della logica.

Finiamo questi brevissimi cenni con un’avvertenza.

Per quanto Edgardo Poe ami far sue le parole di Kepler: «Non mi curo che la mia opera sia letta ora o dalla posterità. Posso avere il coraggio di aspettare per un secolo i lettori, quando Dio stesso ha aspettato mille anni un osservatore», questo poema cosmogonico è senza dubbio un lavoro di occasione — e per queste opere tutti vorranno ammettere che vi è un clima ideale che le genera ed un clima che le uccide.

Ora, date le virtù che racchiude tutta l,a mirabile opera del Poe, e date le condizioni della coltura contemporanei nostra, è lecito conchiudere che il giorno in cui tutta l’Italia conoscerà degnamente tutto il pensiero del grande poeta americano, Eureka troverà in Italia una seconda patria.

Maria Pastore Mucchi.