I due Gentiluomini di Verona/Atto terzo

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Atto terzo

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William Shakespeare - I due Gentiluomini di Verona (1590-1596)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1859)
Atto terzo
Atto secondo Atto quarto
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ATTO TERZO


SCENA I

Milano. — Un'anticamera nel palazzo del Daca.

Entrano il Duca, Turio e Proteo

Duc. Messer Turio, vi prego di lasciarci soli un istante, abbiam bisogno di conferire insieme di negozii segreti. (Tur. esce) Ora ditemi, mio caro Proteo, che cosa volete?

Prot. Mio grazioso signore, quello che vorrei dirvi le leggi dell’amicizia m’imporrebbero di nasconderlo; ma allorchè rassegno colla memoria tutti i favori di cui m’avete colmato senza mio merito, il dovere m’impone di rivelarvi un segreto che tutti i tesori del mondo non varrebbero a strapparmi. Sappiate, illustre principe, che Valentino, mio amico, intende rapire questa notte vostra figlia, e che è a me che ei ne ha confidato il disegno. So che voi avete risoluto di darla a Turio, che la vostra amabile figlia abborre, e che vi sarebbe assai penoso nella vostra vecchiaia il vedervi rapire la vostra Silvia. Per adempiere quindi al mio dovere ho piuttosto voluto far andar a vuoto gli intenti del mio amico, che aggravare, nascondendoveli, il vostro capo d’un fardello di dolori, che vi farebbe soccombere prima del termine fermato dalla natura.

Duc. Proteo, vi ringrazio della vostra generosa affezione: in ricompensa disponete di me finchè vivrò. M’ero già avveduta dei loro amori quand’essi meno sel pensavano, e intendevo esiliar Valentino: ma temendo d’essermi ingannato, e di disonorare un giovine onesto (impeto di giudicare che fin qui evitai sempre) ho continuato ad accoglierlo con benevolenza, per vedere infine che è colpevole di quello che mi avete detto. Onde però conosciate quali erano intorno a ciò i miei timori, sapendo che la tenera giovinezza è facile a restar sedotta, io chiudevo tutte le notti Silvia in una torre elevatissima, di cui io stesso ho tenuta sempre la chiave; e così era impossibile ch’ei me la rapisse.

Prot. Sappiate, nobile signore, ch’essi hanno immaginato un mezzo col quale ei potrà salire alla di lei finestra, e ch’ei la farà quindi discendere con una scala di funi. Valentino è andato appunto ora a cercarla, e ripasserà fra poco qui, dove volendo [p. 170 modifica]lo potrete sorprendere. Ma, ve ne scongiuro, fatelo con tanti sagacità ch’ei non sospetti ch’io l’ho tradito. Perocchè è l’amore sincero che tì porto, e non un sentimento di odio contro il mio amico, che m’indusse a rivelarvi questo segreto importante.

Duc. Sull’onor mio! ei non saprà mai che voi me ne abbiate parlato.

Prot. Addio, signore; viene sir Valentino. (esce. Entra Valentino) Duc. Sir Valentino, dove con tanta fretta?

Val. Permettete, signore, è un messaggiere che aspetta per portar le mie lettere a’ miei amici: e vado per consegnargliene.

Duc. Sono dunque di così grande importanza?

Val. Non parlo in esse che della mia salute e dei benefizii di cui voi mi colmate alla vostra Corte.

Duc. Oh! non è quistione che di ciò? Voi potete restare un momento meco. Debbo parlarvi di alcuni negozii che mi rìsguardano da vicino, e pei quali vi chieggo il segreto. Voi non ignorate che ho desiderato di maritare mia figlia con Turio, mio amico.

Val. Lo so, mio principe, e certamente tale alleanza sarebbe bella e onorevole: quel gentiluomo è pieno di virtù, di bontà, di merito, e di altre qualità che son degne di fargli ottenere la mano della vostra leggiadra figlia. Or non potete voi, signore, indurla ad amarlo?

Duc. No; ella è sdegnosa, bisbetica, superba, disobbediente, contumace; obblievole sempre di essermi figlia, nè ha il rispetto e la tema che dovrebbe aver per me che sono suo padre: posso dirvelo, il suo orgoglio, facendomi aprir gli occhi, ha spento tutta la mia tenerezza per lei, e quando penso che nella mia vecchiezza ella avrebbe dovuto accarezzarmi con tutto l’amore di una figlia, son risoluto di ammogliarmi e di abbandonarla a chi vorrà prenderla. La sua bellezza dunque le serva di dote, poichè ella fa sì poco conto di suo padre e dei suoi possedimenti.

Val. E in tutto ciò, signore, che vorreste ch’io facessi?

Duc. Vi è qui a Milano, mio caro Valentino, una donna ch’io amo; ma ella è assai ritrosa, e la fredda eloquenza della mia vecchiezza non giunge al di lei cuore. Vorrei quindi essere sussidiato dai vostri consigli (perocchè è lungo tempo che ho obbliato come si corteggino le signore, e inoltre la moda è mutata); ditemi come debbo io comportarmi per aiutare su di me i di lei sguardi celesti? [p. 171 modifica]

Val. Se le vostre parole non la possono commuovere, guadagnatene il cuore coi doni. L’oro e le gemme hanno un’eloquenza muta, che commuove il cuore delle femmine assai più dei migliori discorsi.

Duc. Ma ella ha sdegnato un bel presente che le avea inviato.

Val. La donna affetta spesso di sdegnare ciò che più le piace; mandategliene un altro, e non perdete mai la speranza; perocchè gli spregi con cui sarete trattato da prima, non servono che ad accrescere la violenza dell’amore. Se quella donna si mostra corrucciata, non è già perchè vi odii, ma è per forzarvi ad amarla ancora di più, accendendo i desiderii vostri: se vi garrisce, non crediate che voglia lasciarvi; perocchè potete esser certo che le povere femmine son disperate, quando si veggono sole. Non prendete congedo, checchè ella possa farsi. Dicendo, ritiratevi, ella non intende che ve ne andiate: adulate, lodate, vantate, esaltate le sue grazie; fosse ella più lurida dell’inferno, ditele che ha un volto da angelo. Ogni uomo che ha la lingua non è uomo, se colla sua lingua non sa guadagnare una donna.

Duc. Ma la mano di quella di cui vi parlo è promessa dai suoi parenti ad un giovine di buona nascita e di alto merito: e vegliano con tanta sollecitudine per allontanare dal suo fianco ogni uomo, che di giorno è impossibile aver accesso da lei.

Val. Cercate allora di vederla di notte.

Duc. Tutte le porte son chiuse.

Val. Salite nella sua camera per la finestra.

Duc. La sua camera è così alta, e le mura sì uguali che non si potrebbe tentar di salire senza arrischiare la vita.

Val. Una buona scala di corda, con due piccole àncore di ferro per attaccarla, vi servirebbe a dar l’assalto alla torre di un’altra Ero, se, nuovo Leandro, voleste intraprenderlo.

Duc. Tu, Valentino, che sei pieno d’intelligenza, insegnami dove potrei procacciarmi siffatta scala.

Val. Quando vorreste servirvene? Ditemelo.

Duc. Questa sera stessa; perocchè l’amore è come un fanciullo che arde d’impazienza per ottenere ciò che desidera.

Val. Verso le sette della sera avrete la scala.

Duc. Ma, udite, vuo’ andarvi solo; e come potrò recarvi la scala con sicurezza?

Val. Facilissimo; portatela sotto un mantello un po’ lungo.

Duc. Un mantello come il vostro potrebbe servire?

Val. Sì, certo, signore. [p. 172 modifica]

Duc. Lascia dunque ch’io lo vegga. Vuo’ prenderne uno della stessa lunghezza.

Val. Ogni mantello sarà al caso.

Duc. Ma come farò a portarlo; consentì che mi provi il tuo. (gli toglie il mantello) Oh! che lettera è cotesta? Che veggo? a Silvia! ed ecco la scala appunto che mi servirà pel mio disegno. Ben mi permetterete di leggere questa lettera. (legge) «I miei pensieri si librano tutta la notte sulla mia Silvia, e sono come tanti schiavi che le invio in imbasciata. Oh! se il loro signore potesse andare e venire con volo del pari leggero, come volentieri si porrebbe nei luoghi in cui essi stanno invisibili. I pensieri ch’io t’invio riposano sul tuo bel seno, intanto che io, che li deputo, maledico il favore che loro è concesso; invidio la sorte de’ miei schiavi; felice sorte di cui sono privo! e mi rimprovero perchè essi possono andar dove il loro signore vorrebbe egli pure andare». Che vuol dir ciò? «Silvia questa notte stessa io ti libererò». Oh nuovo Fetonte! osi tu aspirare a condurre il carro dei cieli, e colla tua folle temerità ad abbruciare il mondo? La tua mano vuol essa strappare gli astri, perchè ti prodighino la loro benefica luce? Vil seduttore, vilissimo fra gli schiavi! va a recare le tue carezze, il tuo sorriso alle donne tue pari; e credi che devi alla mia pazienza, ben più che al tuo merito, il favore di uscire da’ miei Stati. Ringraziami di questo benefizio, più che di tutti gli altri che troppo generoso sparsi su di te. Se però tu resti ne’ miei dominii più tempo che non se ne richiegga per la partenza più precipitosa, la mia collera, pel Cielo! soperchierà l’amore che avessi mai sentito per mia figlia o per te. Fuggi, perch’io non intenda le tue vane scuse, e se ami la vita, affrettati a lasciare questi luoghi. (esce)

Val. E perchè non morir, piuttosto che vivere fra i tormenti? Morire è un essere bandito da me stesso; e Silvia è me stesso; esiliarmi da lei, è esiliarmi da me; mortale esilio! Che mi cale della luce, se non veggo Silvia? Che delle ricchezze e della gloria, se non le divido con lei, se pensar non posso ch’ella vive all’ombra di queste care cose? Se non istarò la notte vicino a Silvia, non vi sarà per me melodia nel canto del rosignuolo; se il giorno non vedrò Silvia, il giorno non splenderà per me; ella è la essenza della mia vita, ed io cesso di esistere, se la dolce influenza della sua beltà non mi rianima, non mi riscalda, non mi alimenta. Non eviterò la morte, evitando la sua condanna. Qui restando, aspetterò il mio fine; partendo da questi luoghi, andrò ad incontrarla io stesso. (entrano Proteo e Launzio) [p. 173 modifica]

Prot. Corri, Launzio, corri e ritrovalo.

Laun. Olà! olà!

Prot. Chi vedi?

Laun. Quello che cerchiamo: non vi è un solo capello che non sìa un Valentino.

Prot. Valentino?

Val. No.

Prot. Chi dunque? Il suo spirito?

Val. Neppure.

Prot. Chi dunque?

Val. Nessuno.

Laun. Può nessuno parlare? Padrone, lo debbo io battere?

Prot. Chi vuoi battere?

Laun. Nessuno.

Prot. Mariuolo, astientene.

Laun. Ma, signore, non batto nessuno? Vi prego.....

Prot. Ribaldo, ristatti dico. Amico Valentino, una parola.

Val. Le mie orecchie sono chiuse, e non possono udire buone novelle, tante furono le tristi che già le ferirono.

Prot. In un muto silenzio sepellirò dunque le mie, avvegnachè son aspre, cupe e dolorose.

Val. È morta Silvia?

Prot. No, Valentino.

Val. Non v’è più Valentino per Silvia. — Mi ha ella tradito?

Prot. No.

Val. Quali sono dunque le vostre novelle?

Laun. Vi è una grida che dice che siete svanito.

Prot. Che siete bandito è la novella: bandito da qui, da Silvia e da me, vostro amico.

Val. Oh! la mia anima è già piena di tale sventura, e l’eccesso del dolore mi opprimerà. È consapevole Silvia del mio esiglio?

Prot. Sì, ed ha offerto, per mutare questa condanna che resta irrevocabile, un oceano di perle che lagrime da alcuni si appellano: ella le ha versate a torrenti a’ piedi dell’inflessibile suo padre, prostrata dinanzi a lui in umile positura, torcendosi le mani, quelle belle mani d’alabastro, che il dolore sembrava aver fendute anche più bianche. Ma nè la sua attitudine, nè le sue pure mani alzate verso di lui, nè i suoi tristi sospiri, nè i suoi lunghi gemiti, nè i flutti argentei delle lagrime sue valsero ad intenerire il cuore del suo inesorabile padre. Ah Valentino! se preso sei, convien che tu muoia; e le preghiere di Silvia per te han talmente infellonito il duca, ch’egli ha ordinato venisse [p. 174 modifica]chiusa in una torre, colla minaccia crudele di non uscirne mai più.

Val. Basta, mio caro Proteo, a meno che la parola che stai per pronunziare, non abbia il potere di darmi la morta. Se questo puoi, proferiscila, te ne scongiuro, e toglimi all’agonia del mio eterno dolore.

Prot. Cessa di gemere invano sopra una sventura che non ha riparo, e cerca di salvar la tua vita, finchè lo puoi. Il tempo cova, e fa venire in luce tutti i beni. Se qui resti non rivedrai la tua amante, e perderai la vita. La speranza è l’appoggio che sostiene un amatore; afferrala, e giovatene per allontanarti di qui, e per difenderti contro pensieri troppo truci. Le tue lettere possono qui venire, e tutto che mi sarà indiritto lo deporrò nel bel seno della tua fanciulla. Tempo non è di querele. Vieni, ti condurrò alle porte della città, e prima di separarci conferiremo insieme sopra tutto quello che interessa il tuo amore. Per l’amore, se non di te, almeno di Silvia, pensa a vivere; fuggi il pericolo e seguimi.

Val. Ti prego, Launzio, se vedi il mio paggio, digli di affrettarsi a raggiungermi alla porta del Nord.

Prot. Vallo a cercare, mariuolo. Vieni, Valentino.

Val. Oh mia cara Silvia! Me sfortunato! (esce con Prot.)

Laun. Io non sono che un pazzo, e nondimeno ho bastante spirito per pensare che il mio padrone è una specie di scellerato, forse il maggiore degli scellerati. Non vive ancora quegli che sa ch’io amo: nondimeno amo; ma una coppia di cavalli non mi strapperebbe questo segreto, nè m’indurrebbe a nominare l’oggetto ch’io amo, quantunque sia pure una femmina. Chi sia tal femmina neppure a me stesso lo rivelerò, e nondimeno è una fanciulla che sa spremere il latte, quantunque dalle ciance di alcune comari dubitar si potesse s’ella sia fanciulla, e se oltre a spremere il latte non ne abbia dato del suo. Ella ha però più ingegno di un giumento che va ad abbeverarsi; locchè è molto in una cristiana. Ecco la nota (traendo un foglio) delle sue buone qualità. In primis, sa andare a cercare e portare. Un cavallo non ne farebbe di più. Il cavallo porta solo, e non cerca; ergo ella è da più d’un cavallo. Item, sa spremere il latte; amabile Tìrtù in una fanciulla che possegga leggiadre mani. (entra Speed)

Sp. Come, come, signor Launzio? Quali notizie della vostra padroneria1. [p. 175 modifica]

Laun. Del vascello del mio padrone? È già in mare.

Sp. Il tuo solito vizio di frantendere. Quali cose stanno dunque in quel foglio?

Laun. Le cose più nere che udissi mai.

Sp. Come nere?

Laun. Nere come l’inchiostro.

Sp. Lasciamele leggere.

Laun. Arrossisci, giumento; tu non sai leggere.

Sp. Menti, so.

Laun. Vuo’ metterti alla prova; dimmi chi ti ha generato?

Sp. Il figlio di mio nonno.

Laun. Oh stolto! fu invece il figlio dell’avola tua: ciò prova che non sai leggere.

Sp. Va, pazzo, va; ponmi alla prova col tuo foglio.

Laun. San Niccola t’aiuti.

Sp. In primis ella sa spremere il latte.

Laun. Sì, questo sa.

Sp. Item, sa fare eccellente birra.

Laun. Da cui il proverbio: benedizione al cuore che sa fare la buona birra.

Sp. Item, sa cucire.

Laun. Diverrà masseriziosa.

Sp. Item, sa far le calze.

Laun. Non vi sarà più povertà, perchè suol dirsi che la povertà non sta che colle calze rotte.

Sp. Item, sa lavare e asciuttare.

Laun. Egregia virtù, perchè così non abbisognerà di essere lavata e asciuttata.

Sp. Item, sa filare.

Laun. Perciò potrà prendere il mondo come viene, dacchè saprà intesser tanto da alimentarsi.

Sp. Item, ha molte virtù che non han nome.

Laun. Quest’è quanto dire virtù bastarde, perchè non conoscono il loro padre, e perciò non han nome.

Sp. Vengono ora i di lei vizii.

Laun. Rasenti alle calcagna delle sue virtù.

Sp. Item, non può esser baciata a digiuno a motivo del suo alito.

Laun. Tal difetto può emendarsi asciolvendo bene; continua.

Sp. Item, ha una bella bocca.

Laun. Questa ripara al fiato cattivo.

Sp. Item, parla dormendo. [p. 176 modifica]

Laun. Non vale, purchè non dorma quando parla.

Sp. Item, parla adagio.

Laun. Oh stolto! che pone tale qualità fra i suoi vizii. Parla: adagio per una donna è una virtù. Cancella ciò di lì, e ponila fra le sue doti più cospicue.

Sp. Item, è superba.

Laun. Cancella anche questo: fu un legato di Eva, e non può esserle tolto.

Sp. Item, non ha denti.

Laun. Non me ne cale, perchè amo la crosta.

Sp. Item, è maledetta.

Laun. È bene allora che non abbia denti per mordere.

Sp. Item, loda spesso il vino.

Laun. Se il vino è buono deve farlo: se nol facesse ella, lo farei io avvegnachè le buone cose debbano essere celebrate.

Sp. Item, è troppo liberale.

Laun. Di parole è impossibile, perchè è scritto più su, che parla adagio; di danaro nol potrà, perchè lo terrò io sotto chiave: delle altre cose lo sia, io non saprei come impedirgliene. Continua.

Sp. Item, ha più capelli che spirito, più difetti che capelli, più scudi che difetti.

Laun. Basta così; la sposo. Due o tre volte a quest’articolo aveva detto che era, e che non era mia. Rileggilo, se ti piace.

Sp. Item, ha più capelli che spirito.....

Laun. Più capelli che spirito,... può essere: la proverò: la superficie del sale cuopre il sale, ed è perciò da più del sale; i capelli che cuoprono lo spirito, sono da più dello spirito; perocchè il più grande nasconde il più piccolo. Cosa segue?

Sp. Più difetti che capelli.....

Laun. Ciò è mostruoso: così non fosse!

Sp. Più scudi che difetti.

Laun. Quest’ultima qualità rende i difetti graziosi e scarsi. Bene; l’avrò; e si conchiude il matrimonio, come spero...

Sp. Ebbene?

Laun. Fattolo appena ti dirò che il tuo padrone ti aspetta alla porta del Nord.

Sp. Aspetta me?

Laun. Te, sì; chi sei tu? In mancanza di un buono aspetta un tristo servitore.

Sp. E debbo io andare da lui?

Laun. Devi correre da lui, perchè ti sei fermato già troppo, e andando soltanto giungeresti tardo. [p. 177 modifica]

Sp. Perchè non mei dicesti prima! Peste a’ tuoi biglietti d’amore! (esce)

Laun. Sarà trattato come va per aver letta la mia lettera. Quel villano indiscreto vuol entrar a parte d’ogni mistero! Vuo’ seguirlo per rallegrarmi, vedendolo flagellato. (esce)

SCENA II.

Una stanza nel palazzo del Duca.

Entrano il' Duca e Turio; Proteo sta dentro.

Luc. Messer Turio, voi non avete più nulla a temere. Ella vi amerà ora che Valentino è bandito.

Tur. Dopo il suo esilio, ella mi disprezza anche di più; detesta la mia passione, e mi tratta ccn tanto sdegno, che ho infine perduta ogni speranza di ottenere il suo cuore.

Duc. La debole impressione dell’amore è come una figura disegnata sul ghiaccio, che un raggio di sole cancella. Un po’ di tempo scioglierà il gelo del suo cuore e l’indegno Valentino sarà ebbliato. — Ebbene, messer Proteo? È partito il vostro concittadino secondo i miei ordini?

Prot. É partito, mio buon signore.

Duc. Mia figlia geme per la sua lontananza.

Prot. Un po’ di tempo dissiperà il suo dolore.

Duc. Io pure lo credo, ma messer Turio non pensa così. La buona opinione che ho di voi, Proteo (avvegnachè voi mi avete data prova del vostro affetto), mi sprona ognor più ad accordarvi tutta la mia confidenza.

Prot. Possa il momento in cui mi troverete infedele ai vostri interessi, signore, esser l’ultimo della mia vita!

Duc. Voi sapete quant’io desidererei di stringere un’alleanza fra Turio e mia figlia?

Prot. Lo so, mio principe.

Duc. E credo non ignoriate neppure quanto ella resista a’ miei voleri?

Prot. Vi resisteva almeno, allorchè Valentino era qui.

Duc. Ma ella persevera anche adesso nella sua ostinazione. Che potremmo noi imaginare per fare obbliare Valentino a Silvia e farle amar Turio?

Prot. La via più breve è di accusarlo di essere infedele, di esser vile, e di appartenere ad una sciagurata schiatta; tre difetti che le donne abborrono mortalmente. [p. 178 modifica]

Duc. A meraviglia; ma ella crederà che lo calunniamo per odio.

Prot. Sì, se fosse un nemico di Valentino che lo dicesse: ma bisognerebbe che siffatte cose le venissero rivelate da un uomo che ella credesse invece amico di Valentino.

Duc. Forza è dunque che voi vi assumiate di calunniarlo.

Prot. È cosa, mio principe, che farò con molta ripugnanza: è parte troppo abbietta per un uomo di onore, sopratutto contro un intimo amico.

Duc. Allorchè tutti i vostri elogi non possono fargli alcun bene, le vostre calunnie non possono certamente nuocergli. Tale parte diviene quindi indifferente, specialmente quando è il vostro amico che vi prega di compierla.

Prot. Sia come volete; ella non lo amerà lungamente, ve ne fo fede, dopo tutto quello ch’io dirò in suo danno. Ma se avviene, ch’io strappi dal di lei cuore l’amore che nutre per Valentino, non ne verrà per ciò ch’ella ami Turio.

Tur. Ma quando le avrete divelto tale amore, per tema cbe l’opera non riesca inutile, sarà vostra cura di ispirarle affetto per me, cosa che ben potrete, lodandomi in ragione dei biasimi di cui opprimerete Valentino.

Duc. Ah mio caro Proteo! noi possiamo riporre cotesti interessi fra le vostre mani, perocchè, da quello che ci ha detto Valentino stesso, voi siete uno dei più fedeli sudditi dell’amore, e in cui breve tempo la vostr’anima non potrebbe mutarsi, o divenire spergiura. Sicuri dei vostri sentimenti, noi non temiamo di darvi accesso da Silvia, e libertà d’intrattenerla lungo tempo; perocchè ella è addolorata, languida, malinconica; e in contemplazione del vostro amico sarà ben lieta di vedervi. Con arguti discorsi potrete racconsolarla e persuaderla di odiar Valentino e di amar Turio.

Prot. Tutto quello che potrò fare lo farò. Ma voi, messer Turio, non siete abbastanza insistente. Voi pure dovreste gettare le vostre reti, e incatenare i suoi desiderii con sentiti lamenti, le di cui rime amorose non esprimessero che le sue lodi e i vostri voti.

Duc. Infatti la celeste poesia esercita molto potere sui cuori.

Prot. Dite a Silvia che sull’altare della sua bellezza voi immolate le vostre lagrime, i vostri sospiri, il vostro cuore; scrivete finchè il vostro inchiostro sia finito, e le vostre lagrime riempiano il calamaio, e vergate alcune linee di sentimento che valgano ad attestare la vostra sincera affezione. La lira d’Orfeo era fornita [p. 179 modifica]di corde poetiche, che sapevano intenerire il ferro e gli scogli; domare le tigri; attirare dai profondi abissi dell’oceano enormi cocodrilli, e farli danzare sopra rive sabbiose. Dopo le vostre lunghe e dolenti elegie, venite quando annotti sotto le finestre della vostra amata: offritele i più dolci concerti: al suono degli istrumenti unite alla canzone querula e lugubre, il tetro silenzio della notte è propizio ai dolci lai degli amanti infelici: se con tali mezzi non giungete a commuovere il suo cuore inflessibile, non potrete più nulla sperare.

Duc. Questi consigli provano che siete stato innamorato.

Tur. Questa sera medesima li porrò in atto. Onde, mio caro Proteo, mio Mentore, andiam tosto alla città per trovarvi qualche abile musico. Ho un sonetto che mi gioverà per praticare i vostri buoni suggerimenti.

Duc. Andate, signori, accudite a ciò tosto.

Prot. Noi resteremo presso di voi, mio principe, fin dopo la cena; e ci rimarrà ancora bastante tempo per condarre a buon termine i nostri disegni.

Duc. No no; poneteli ad esecuzione senza dormire. Vi dispenso dal seguirmi

(escono)




Note

  1. Mastership, che diviso vale padrone e vascello, onde l’equivoco succedente.