I moribondi del Palazzo Carignano/Hors d'oeuvre per le persone che non son serie

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I moribondi del Palazzo Carignano Hors d'oeuvre per le persone serie
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HORS D’ŒUVRE


PER LE PERSONE CHE NON SON SERIE.


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I.

Come bisogna sempre ascoltare

ciò che si dice in un wagon.


· · · · · · · · · · ·

Io mi risveglio, ed il grosso uomo parlava ancora.

— Io ho un vicino, raccontava egli al signore seduto al suo fianco, un vicino che chiamerei il mio onorevole amico, se io avessi l’onore di essere il signor Massari e se il mio vicino fosse ministro. Ma per i tempi che corrono, che la si figuri! il mio vicino non è neppure un martire. Egli è bene restato una dozzina d’anni in esilio, i suoi beni furono sequestrati, i suoi parenti cacciati in prigione, la sua casa ridotta ad albergo di sbirri e gendarmi, la sua fortuna ruinata; egli lottò bene e senza posa della penna e della parola contro il sovrano del suo paese.... ma e’ non si credette giammai abbastanza martire per domandare un posto nel paradiso del Bilancio, quando i martiri [p. 8 modifica]invadevano la patria come gl’insetti invadono i cenci del mendicante. Appena se lo nominarono deputato.

— Che razza d’uomo è dunque codesto vostro vicino? domandò un signore della compagnia.

— Veramente non è della pasta comune, risponde il grosso cicalone. Lo si direbbe fiero, ma io lo credo piuttosto un po’ timido. Non parla che con le persone che conosce. Un profondo sentimento del vero e della giustizia lo rende sarcastico e bilioso. Veramente affettivo, e perciò soggetto ad antipatie subite, a vive simpatie, all’entusiasmo ed alla collera. Egli preferisce un paradosso ad una trivialità. Ama il mondo e le brigate solazzevoli, e si rassegna alla solitudine per l’invincibile nausea che gli destano gli sciocchi ed i nojosi. La natura lo ha fatto infingardo; il bisogno, lavoratore e solerte. Il tedio lo invade facilmente. La gioja lo inebbria. Si accende subito, ma sa dominarsi. Alla Camera parla poco — nelle sue discussioni fogose e drammatiche. È indipendente e burbero. In fondo, affettuoso, uomo semplice, buon figliuolo, ma che ha dell’humour — come un inglese.

— Ella ne parla da amico, eh! interruppe un signore.

— Può darsi, continua il grosso galantuomo. Lo confesso, mia moglie ed io lo amiamo molto. La sera andiamo a prendere il thè in casa sua, ed a canto al fuoco, i piedi stesi al caminetto, cinguettiamo un po’ di tutto, fino ad un’ora del mattino, quando egli può dispensarsi dal lavorare. [p. 9 modifica]Mia moglie lo provoca, lo aizza con le sue indiscrezioni da comare. Ma che cosa vogliono? io non ho potuto correggerla, la mia povera moglie, di questo villano difetto — che non è solo! Essa si riscalda inoltre la testa con la politica, con i romanzi, con i giornali. Legge perfino la Stampa e l’Armonia. E sa di politica ad insegnarne a sette almeno de’ nostri ministri.

— Mio caro signore, la di lei Eva non è mica solazzevole! gli dice a bruciapelo un commesso per l’Assicurazione Paterna.

— L’è quanto mi dice altresì il mio vicino! Mia moglie farnetica inoltre per i deputati. Ella si è fatta di quegli individui e della loro missione ciò che ella chiama un tipo. E bisogna udirla a parlucchiare su questo tema e su la 443.ª parte della sovranità nazionale — come ella addimanda un onorevole della Camera Bassa.

— Vedete, signora, sclama infine una sera il mio vicino impazientato, voi m’inasprite. Vi domando scusa, ma voi non osservate che la superficie. Voi non vedete in tutto ciò che un signore il quale recita, bene o male, un discorso innanzi a qualche centinajo di suoi colleghi, i quali conoscono già di lunga mano ciò che egli va a dire, ed un rispettevole pubblico, il quale sovente non capisce che a metà. Ma andate al fondo, cercate nella vita di questo povero galeotto della sovranità nazionale, e vi persuaderete che la sua posizione non è punto da invidiare. Il più piccolo dei minimi giornalisti — nella sfera politica — è più felice che lui. [p. 10 modifica]

— Ah! voi esagerate, risponde mia moglie mandando in aria un globo di fumo della sua sigaretta. Voi siete abituato alle amplificazioni, ed a tutti i topi della rettorica. Io persisto nella mia opinione.

— A vostro piacere! sclama il mio vicino sorbendo un sorso di thè. Quanto a me, io non auguro ad un cane di canonico le piccole e grandi miserie della vita di un deputato.

— Ma quali dunque, Dio mio, quali dunque? domanda mia moglie gittando la sigaretta nel fuoco. Voi andate ai balli di corte; voi andate alle ricezioni del barone Ricasoli; voi partecipate a taluni pranzi diplomatici, a certi banchetti nelle grandi occasioni. Voi siete invitati a tutte le feste. Voi viaggiate gratuitamente. Voi non pagate spese di posta. La vostra medaglia in oro è un passa-pertutto, generalmente rispettato. Voi non potete essere giudicati per tutto il tempo che dura la sessione. — Voi potete fare dei debiti, si fa credito a un deputato! Il telegrafo trasporta il vostro nome in tutti gli angoli del globo, ove stampisi un giornale. Voi avete un palazzo principesco per andarvi a leggere i giornali, parlare, fumare — senza parlare dell’acqua zuccherata a discrezione e, durante le sedute, ben anco dei liquori. Voi siete ben riscaldati. Voi avete una biblioteca. Le ballerine del Teatro Regio sono ghiotte di deputati, perchè avete la riputazione di gente ricca e non taccagna. Vi domandano a fare il vostro ritratto per nulla. I giornali non parlano che di voi, come del fiore della nazione. Anche la [p. 11 modifica]caricatura vi tratta con riguardi, vedete Ricciardi! Siete indicati a dito quando passate per le strade. Il vostro Presidente vi regala di raout, donde, egli è vero, sono escluse la gajezza, le donne ed i rinfreschi confortevoli, ma dove sono ammessi il sigaro, i canonici ed i guanti sporchi. Voi troneggiate nel vostro circondario elettorale. Vi si danno dei banchetti, trascinano a braccio la vostra vettura, vi fanno dei toast. Voi potete perfino accomodarvi un ricco matrimonio! facendo valere la possibilità d’essere un giorno ministro, o il favore di un ministro. In una parola, voi siete una potenza, una forza, un favorito, una gloria.

— Ah! signora, sclama con un sospiro il mio vicino, voi mi fate rimpiangere sempre più che le donne siano escluse dall’onore di rappresentare la nazione. Io vado adunque a raccontarvi una giornata della mia vita, perchè voi venite di abozzare un quadro sì fresco, sì raggiante di felicità. Si direbbe che voi leggete avidamente nel poema della vita di qualche deputato della maggioranza. Voi traducete liberamente Poerio, Massari, Caracciolo, e chi so altro. Ebbene, signora, obliate l’oasis, e percorrete il deserto.

Il mio vicino riempì la sua tazza di thè e continuò:

— Di ritorno dall’esilio, io mi occupavo a ristaurare la mia fortuna intaccata al vivo e ad accomodarmi con creditori e debitori. Nel frattempo, la mia penna andava, andava sempre, metteva giù di tutto, toccava all’America, all’Inghilterra, [p. 12 modifica]alla Francia, alla Russia, all’Italia. La mia penna era il mio feudo il più reale, e mi produceva diecimila lire all’anno, senza pagare un soldo d’imposte al rapace signor conte Bastogi. Poi indrogavo i miei malati nelle ore di ozio. Tutto contato, installato ove io mi ero, il mio piccolo cervello mi metteva in misura di rosicarmi quattordici o quindicimila franchi l’anno.

— Mica male! sclama mia moglie sorridendo.

— Non molto, no! continua il mio vicino, ma in fine, per un uomo che aveva vissuto Dio sa come nell’esilio per parecchi anni, questa piccola rendita era il riposo, l’indipendenza, la comodità. Le elezioni arrivano. I cittadini del mio villaggio, i quali pensano come voi, signora, sulla vita dorata di un deputato, credendo farmi onore, e me ne facevano di fatto, mi nominano loro rappresentante al primo Parlamento italiano.

— Magnifico! l’interrompe mia moglie.

— Certo, signora, certo, continua il mio vicino, ma e’ bisognava rendersi a Torino. Ora, come io non poteva invaligiare e trasportare meco i miei malati a Torino, ecc., in ventiquattro ore, un terzo del mio reddito tagliato via.

— Ma la vostra penna? insisteva mia moglie.

— Sicuro, la mia penna era bene nel mio baule, dice il mio vicino; però essa non aveva più la medesima importanza. La mercanzia ch’essa produceva non era più dimandata. Là ove io mi recavo i miei committenti avevano le loro pratiche di già. Ecco dunque, in ventiquattro ore, un secondo terzo delle mie rendite. L’ultimo terzo [p. 13 modifica]cessava poi anch’esso, perocchè il tempo che io occupavo alle mie bisogne bisognava consacrarlo alla patria.

Ed eccomi in via per Torino.

Enfin! sclama mia moglie.

Hélas! soggiunse il mio vicino. Eccomi anzi a Torino. Gli onesti abitanti di quella città avevano onestamente quadruplicato il prezzo del fitto, e bisognava collocarsi con una certa convenienza. Tutti gli oggetti necessari alla vita erano augumentati. Ed un deputato, perchè deputato, è taglieggiato con avidità dovunque e da tutti. Dunque, non più rendite, e la spesa spinta innanzi con la forza di cinquecento cavalli. Ma un buon cittadino deve ruinarsi per l’amore del suo paese — ciò è nel Credo.

— Hum! cominciava a borbottare madama.

— Nondimeno, tutto questo non è nulla, dice il mio vicino. Si va come si può. Eccomi quindi installato. Io che amavo tanto a vaneggiare, a rever nel mio letto il mattino, alle sette sono ora in piedi. Il mio portinajo mi porta su una intimazione del mio uffizio onde mi renda quivi alle dieci e mezzo per discutervi, se il comune di Monmilone ha il dritto di riunirsi al comune di Monmiletto. E poi prendere in considerazione, che so io? la legge sulla instituzione delle colonne Vespasiane a Napoli, che è piaciuto ad un Baldacchino o ad un De Cesare qualunque di presentare all’onorevole Parlamento. La lettura di questa roba, condita di sbadigli da scantonare Palazzo vecchio a Firenze, mi ruba un’ora. Poi me ne vo. [p. 14 modifica]

La mia prima visita è alla posta. Vi trovo in media da quindici a venti lettere ed una dozzina di giornali. Le lettere che noi riceviamo non pagano nulla: noi paghiamo invece quelle che spediamo, ciò che occasiona una spesa di due o tre lire al giorno. Siano due lire: e cominciamo la lettura.

— Vediamo! sclama mia moglie.

— Sì signora, il conte Coletti, in casa del quale io passai, dodici anni fa, una notte, essendo in viaggio, si ricorda di me e mi domanda che gli faccia ottenere un posto di Maggiordomo maggiore di S. M. Vittorio Emanuele II, il re riparatore. Il signor conte occupava lo stesso posto alla Corte dell’ex principe! Io rispondo che re Vittorio è un gran borghese, il quale non ha di queste funzioni nella sua Corte. Il signor conte replica, che io sono un ignorante ed un ingrato.

Il signor Ribaldi, mio elettore — che ha votato pel mio competitore! — mi scrive per dirmi che l’Italia se ne va, che il barone Ricasoli è un balordo, che la maggioranza è assurda, che la minoranza va a tastoni, che il ministro de Sanctis non capisce niente. Io rispondo che l’Italia non se ne va, perchè è stazionaria; che il signor Ricasoli è un galantuomo, che la destra fa il suo mestiere e la sinistra quello che può, e volendo esser cortese, per non aver l’aria di contrariare in tutto il mio elettore, ammetto che, quanto a De Sanctis, e’ potrebbe al postutto avere un tantin di ragione. Il signor Ribaldi replica: che io sono sulla china di bassare le armi al Ministero. [p. 15 modifica]

Il signor curato mi domanda una sovvenzione per il campanile del suo villaggio, il quale non gli pare così compito come quello della Cattedrale di Milano.

Il signor mio compare mi prega di sollecitare appo i ministri certe petizioni che e’ si dette la pena d’indirizzar loro. Il mio compare fu ritenuto per ventiquattro ore al corpo di guardia, nel 1848, e da quinci in poi egli si reputa furiosamente martire. E come egli ha ogni specie di capacità, così domanda a questo ministro una carica di presidente della Corte di Cassazione, a quello un posto di consigliere di Stato, a Ricasoli di esser prefetto, a Bastogi di essere direttore, a De Sanctis infine, non volendo gran che onorare così piccolo ministro, chiede una cattedra per insegnare il dialetto del suo villaggio, cui egli crede una lingua primitiva. Io rispondo al mio compare che le sue domande sono tutte modestissime e perfettamente scusate, ma che non ci sono posti per il momento. Il compare replica che io non ho nè mente nè cuore, che quanto a me sono soddisfatto e non mi curo più dei martiri.

E poi le lettere anonime che c’insultano a grossi fiotti: le lettere che ci danno consigli: le lettere che ci minacciano. Ma non ve n’è una la quale infine non c’incarichi di domandare qualche cosa o di fare qualche istanza presso dei ministri! Il deputato è il domestico naturale — la serva ad ogni occorrenza dei suoi elettori!

Ma come fra tante avidità vi è sempre qualche lamento ragionevole, dei torti a far riparare — [p. 16 modifica]l’estenuante bisogna negli uffici terminata — eccomi in volta per i ministeri. I colleghi, le persone indifferenti che veggono un deputato in quelle anticamere lo guardano di una maniera significativa; e se il deputato siede alla sinistra, un mormorio bisbiglia che significa: non vel diceva io? egli emigra!

Il ministro, dal canto suo, mi riceve con un sorriso fino e sarcastico sulle labbra. Egli è cortese — troppo cortese — mi fa degli elogi che hanno l’aria di un rimprovero — perchè il giorno innanzi io lo aveva attaccato a fondo. Egli si mostra sollecitissimo a darmi soddisfazione. È impossibile di essere più amabile, più semplice, più bravo uomo, più insinuante, più piaggiatore. Egli mi dà perfino ragione sulla giustizia dei miei attacchi!

Un uomo forte si rileva contro queste trappole di cortesia perfida, e non lascia il suo andazzo. Ma gli uomini forti son dessi numerosi? Prendete su un buon borghese, il quale piova dritto dal fondo della Calabria o della Sicilia, un bravo diavolo che abbia sempre considerato un ministro come un essere soprannaturale, mettetemi codesto sere negli artigli di un ministro scaltro, come Peruzzi, per esempio: questo ministro lo volgerà, lo rivolgerà, l’ammalierà, quel suo intrattabile deputato dell’estrema sinistra, il quale tornerà via dalla sua visita al ministro abbacinato, cangiato, mistificato, dicendosi nella sua coscienza: «ma non sono poi mica sì tristi questi signori!»

Io non dico nulla come mai questo povero deputato, questo povero Adamo sotto l’albero della [p. 17 modifica]scienza! debba sentirsi rimescolato se ha il padre, il fratello, un parente qualunque, a cui s’interessi, preso nel vischio del budget. Il ministro lo sa: egli ha anzi perfino la bontà feroce di domandarne notizia, non importa che non l’abbia mai veduto, d’informarsi se colui è contento del suo destino. Il povero deputato dell’opposizione, che smaltisce giusto un prossimo discorso contro una legge di quel ministro, preferirebbe il posto di S. Lorenzo sulla graticola. Ora in tutta la Camera non vi sono venti deputati i quali non abbiano, direttamente o indirettamente, per mezzo dei loro parenti, un punto di contratto col bilancio. Un ministro abile, che sapesse il suo M. Guizot a menadito, darebbe all’Europa il singolare spettacolo di un Parlamento senza opposizione, proprio come quello di Parigi, ovvero sgraverebbe il budget di parecchi milioni. E basterebbe dire: «Signor deputato, ella è uomo indipendente poichè siede alla sinistra; ora, come il pubblico maligno potria sospettar del disinteresse della S. S., io le vengo in ajuto. Ella è funzionario; il padre di lei è ricevitor generale, magistrato, il fratello di lei è prefetto: io li metto in disponibilità!» Eh! credete voi che gli eroi piovano sui banchi della sinistra, in presenza di un discorso così eloquente del ministro Cordova, per esempio, che è di taglia da farlo?

— Malanno! considera mia moglie: al postutto si ha un cuore da disponibilità? Perdere dodici o quindicimila lire l’anno?...

— Non è vero, signora? soggiunge il mio vicino. Ebbene, nè i parenti, nè gli amici, nè gli elettori [p. 18 modifica]si curano di tutto ciò. Essi desiderano tutti un deputato libero, indipendente.... che domandi e riceva dei piccoli servigi dai ministri e che faccia tutti i loro affari! Ed ecco sotto qual fuoco incrociato mettono ogni mattina il povero deputato quindici o venti lettere che gli capitano da tutti gli angoli d’Italia.

— Ma voi volete dunque che un deputato diventi un misantropo? sclama con calore mia moglie.

— Nient’affatto, signora, riprende il mio vicino. Dio me ne guardi! Ma allora perchè si fischia a Napoli il Pisanelli, si dà una berlina al Vacca e si maldice del Massari! Ma usciamo dalle residenze dei ministri e ritorniamo alla Camera. Bisogna leggere i giornali.

— Ah! non direte poi che non è lusinghiero di trovare il suo nome, i suoi discorsi, le sue opinioni lodate o discusse in tutti i giornali! dice mia moglie. Non direte che non sia questo, poi, un confortevole compenso.

— Peste e ruina ai giornali, signora! grida il mio vicino furioso. Francamente, se coloro che leggono il conto-reso delle nostre sedute nei giornali, non si dicono poi che il Parlamento italiano è la più completa riunione d’idioti, bisogna confessarlo, il senso comune non è più di questo mondo. I giornali contrari ci sfregiano a disegno, onde farci sembrare ridicoli: i giornali amici, per balordaggine, per ignoranza. Ci si cacciano in bocca delle enormità, delle stolidezze, dei controsensi a dar l’itterizia. Persuadetevene, signora, il vero quarto d’ora di Rabelais, del povero [p. 19 modifica]deputato, è quello appunto in cui legge il conto reso del suo discorso. Quello è il suo Golgota!

— Ma! che volete voi al postutto che un giornale vi dia per un soldo! domanda mia moglie.

— Proprio nulla, signora, replica il mio vicino. Ciò sarebbe più economico! I dispacci telegrafici bastano. Ma continuiamo la nostra giornata. Ed io vi fo grazia del lavoro negli uffici. Tre ore assiso per udire un notaro che parlavi di ferrovie, un medico che discute di enfiteusi, un canonico che spippola cannoni rigati! Ah! io preferirei un manigoldo che mi descrivesse le gioie e le glorie del paradiso! Ma eccomi là a gittar qualche appunto sulla carta per il discorso che debbo improvisare nella seduta. Un usciere arriva. Un signore mi domanda. Io interrompo il mio lavoro e vo fuori. Gli è un qualcuno il quale viene a pregare umilmente la mia signoria illustrissima di andare a posare da un fotografo.

— Ma io non ho mica desiderio di farmi ritratto, io — dico io.

— Ah! signore, il pubblico lo desidera! insiste qualcuno.

— Il pubblico è ben cortese e ben curioso, signore! replico io.

— Esso ha sete dei suoi grandi uomini, signore. E come la S. S. Ill....

— Comprendo, caro, dico io sorridendo, voi volete far quattrini del mio sgorbio. Sia pure.

Quel cotale mi conduce in non so che sito. Il fotografo mi accomoda a modo suo. Mi ferma la testa in un mezzo cerchio di ferro, onde io non [p. 20 modifica]muovami. Mi si prega di restare immobile; e, di botto un grande occhio nero e lucido si divarica dinanzi a me, che divora la mia persona. Quell’occhio fascinatore, vampiro, mi dà il brivido — io resto come preso. Tutto ad un tratto, una testa sbuca fuori di sotto di un panno verde, all’altra estremità dell’occhio ironico che mi aveva fissato per due minuti, e quella testa soddisfatta sclama:

— L’è fatto! grazie, signore..

Io respiro. Io mi sento sollevato da una inquietitudine, ed a passo frettoloso me ne torno alla Camera. Qualche giorno dopo, io discerno nelle mostre di un cartaio qualche cosa, cui l'etichetta scritta di sotto assicura di essere io. In quella cosa io non ho occhi, la mia bocca smorfia di traverso, non si distingue il mio naso dalle mie orecchie.... non importa! il venditore della mia laidissima figura giura che l’è proprio la mia.

— Corbezzoli! che volete voi dunque per un ritratto gratuito, alla fine? grida mia moglie.

— L’è giusto, signora, replica il mio vicino. La vanità o la bonomia consigliano talvolta delle ben grosse scioperaggini! La seduta comincia. Il mio sarto mi ferma nell’anticamera per domandarmi un biglietto per la tribuna dei diplomatici: quegli per chiedermi conto della salute del Ministero e del Governo: questi per assicurarmi che fa caldo o freddo. Poi chi si raccomanda per essere raccomandato al ministro, ed ha percorse trecento leghe per ciò. Altri mi propongono una sottoscrizione per un’opera pia, il sollievo delle [p. 21 modifica]vittime cristiane del Giappone, per esempio! o un incoraggiamento a dar ad un signore il quale ha inventato il concime profumato. Un terzo m’impegna a prendere un viglietto per un berretto da notte lavorato dalla signora duchessa e messo in lotteria a benefizio dei tisici del Brasile. Un quarto mi passa dodici viglietti per la serata di un’artista.... Dio mi perdoni! si è venuti perfino a propormi di far la conoscenza di una ballerina, alla modesta ragione di dieci napoleoni le ventiquattro ore! Io caccio storditamente questa istanza nella saccoccia: mia moglie la ritrova.... Voi capite il resto.

— Non avevate proprio nulla a rimproverarvi, eh! domanda ridendo la mia incorreggibile moglie.

— Innocente come Gesù Cristo, signora! replica il mio vicino ridendo anch’esso. Ma la seduta è cominciata. Io ho la parola. Il subjetto è grave. Io ho bisogno di raccogliere le mie idee, di tenere la mia attenzione concentrata. Un usciere viene a mettermi sotto il naso la sua coppa all’acqua zuccherata, e m’interrompe. I miei vicini parlano a voce alta. I miei colleghi, alle spalle, mi suggeriscono delle considerazioni, che io non sollecito e che frastornano l’ordine dei miei pensieri. I miei colleghi, di sotto, vanno, vengono, rimuovonsi, leggono i giornali e mi confondono, mi forviano. Il presidente strimpella col suo campanello. Gl’intolleranti interrompono. Si rumoreggia, si strepita, si sbadiglia — ohimè! si sbadiglia — ciò che è la più oltraggiosa di tutte le opposizioni. In verità, io non [p. 22 modifica]come un deputato possa combinar due idee di seguito in mezzo a questo frastuono. Io mi sieggo alla fine, stanco, scontento. Un usciere mi annunzia che qualcuno chiede di me. Vo: il signore, fastidito di attendere, è ito dicendo, che io mi sono un mal creanzato. Rientro, si vota. Un usciere mi rimette un viglietto di visita. Non posso uscire. All’indomani ricevo una lettera di rimproveri: ho perduto un amico! infine si passa ai voti. Nell’emiciclo gli zelanti della maggioranza mi camminano sui calli dei piedi, perchè si ha fretta. Sono le sei. Gli onorevoli hanno fame. Anche io corro a casa spossato, ansante.... mia moglie porta il broncio, i miei bimbi piangono, la mia fante borbotta che il suo pranzo è ito a malora.... la minestra è fredda!

— Ma perchè arrivate voi così tardi, infine! dice mia moglie per stuzzicare. Quando si apparecchia per le sei e si vuol poi mangiare alle sette!...

— Poffar Iddio! signora, esclama il mio vicino impaziente; è colpa mia se il signor Valerio ha cominciato a parlare alle cinque? Per me, ne ho le mascelle dislogate! Infine, ingollo la mia pappa, e respiro. Mi si presentano, col caffè, delle lettere arrivate dalla Camera. È il signor presidente, il quale in nome di S. M. m’invita al ballo a corte e mi domanda il nome di nascita di mia moglie, se mi piace condurla meco. Figuratevi un po’, miei cari, l’imbarazzo di un povero diavolo che abbia una moglie nata, per esempio, Troia, Porcella, Vacca! Figuratevi il dispetto di un uomo che [p. 23 modifica]abbia sposato la sua cuciniera o si sia semplicemente maritato alla leggiera, a passo di carica! Andate poi a persuadere ad una donna, dopo questo invito, che si debba rinunziare all’onore di ballare da S. M.! Di qui, delle baruffe, del dispetto.... E poi, infrattanto che il signor deputato difende alla Camera la causa dell’istruzione primaria, l’amico di famiglia o il cugino di sua moglie può dare in casa a questa onesta creatura, come alla moglie di ogni altro semplice mortale, un corso pratico d’istruzione superiore — di fisica per esempio — insegnandole la misura della superficie con quel metodo che si può leggere in un canto di Voltaire, ma che io non oso ricordar qui.

— Voi calunniate le donne, signore, grida mia moglie.

— E gli amici di casa sopra tutto. Perdono, signora — replica il mio vicino. Ma poichè S. M. vuol bene ammettere in casa sua una Troia o una Vacca, prendiamo il nostro coraggio a due mani e rassegniamoci. Ma pensiamo innanzi tutto alla toeletta di madama. Un flagello, parola d’onore! Essa ne ebbe di già una per il ballo della Città; poi un’altra per il ballo del presidente del Consiglio; la terza per il ballo della Filarmonica.... Può dessa, la povera donna, presentarsi a Corte con una toeletta mostrata in così bassi luoghi? Le moine di madama raddoppiano: e la pioggia delle note dei mercanti diventa un diluvio. No, il posto di deputato non è tenibile....

Qui il treno si arresta. Si annuncia che noi [p. 24 modifica]siamo a Vercelli. Il mio grosso compare saluta la compagnia, pigia il piede in passando ai suoi vicini, e discende.

Le sue parole mi avevano colpito....