Idillii spezzati/Per una foglia di rosa

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Per una foglia di rosa

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La stria Il testamento dell'orbo da Rettorgole

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Per una foglia di rosa




Una carrozza di Corte si fermò, verso mezzanotte, alla porta del palazzo Heribrand. Un ufficiale delle guardie ne saltò a terra, entrò nel palazzo e ricomparve dopo dieci minuti con un signore alto e magro che salì in carrozza frettolosamente e fu riconosciuto dai curiosi del vicino Caffè Orientale per il conte Maurizio Heribrand, generale a riposo, antico governatore, sotto il Re morto, del principe ereditario, ministro dell’interno nel primo anno del nuovo Regno e uscito poi dagli affari.

La notizia ch’egli era stato chiamato a Corte si diffuse in città prima che la carrozza fosse di ritorno al Palazzo Reale.

Quella sera tutte le birrarie, tutti i caffè della [p. 150 modifica]capitale erano pieni di gente e di rumore perchè nel pomeriggio la camera aveva rovesciato con quaranta voti di maggioranza, sopra una questione di politica estera, l’equivoco, impopolare gabinetto Fersen; e si sperava che S. M. avrebbe chiamato al potere il deputato Lemmink, capo dell’Opposizione, uomo di grande ingegno, di antica probità e di ferreo carattere, stato ancora ministro e noto per l’aspro contrasto a certe segrete debolezze del Re, cui il ministro Fersen, malgrado le sue velleità democratiche, si era sempre mostrato compiacente. Si sapeva che il generale Heribrand, ultra conservatore, era nemico personale del Lemmink, il quale una volta, da ministro, lo aveva trattato con pochi riguardi; e la sua chiamata a Corte dispiacque. — Si era tuttavia sicuri che egli avrebbe combattuto il Fersen, e sopratutto, la segreta influenza della principessa Vittoria di Malmöe-Ziethen, amica del Re.

La principessa, francese di origine, divisa dal marito, era antipatica al popolo, perchè straniera, perchè s'ingeriva negli affari di Stato e perchè impediva il passo ad una regina. Il popolo avrebbe [p. 151 modifica]più presto perdonato al Re molti amori passeggeri che questa grande passione costante da tre anni. Il Re conosceva e sdegnava ciò. Egli univa un ingegno non comune a molta bontà di cuore; non aveva un alto concetto della propria corona nè della propria spada, non sentiva ambizione; era piuttosto poeta e artista che Re; era anzi tutto un delicato, un raffinato, a cui le ordinarie cure del governo pesavano, a cui piaceva di regnare solo per il lusso artistico di cui poteva godere, per le intelligenze rare di cui sapeva cingersi; e perchè convinto di essere amato dalla principessa Vittoria come uomo e non come Re, si compiaceva di possedere, quale amante, questa suprema e singolare distinzione del trono. Egli era tuttavìa delicato e raffinato anche nella coscienza dei propri doveri, ciò che gli era cagione di lotte e di tristezze gravissime, poiché la sua nobile natura aveva una ingenita malattia mortale, il languore della volontà.

Lo scioglimento della crisi per la quale il generale Heribrand era stato chiamato a Corte, poteva decidere sulle sorti del paese. Il conte Fersen [p. 152 modifica]conduceva il Regno all’alleanza con la potente patria della principessa di Malmöe-Ziethen e quindi, data la situazione europea, alla guerra. Un Gabinetto Lemmink avrebbe significato riduzione delle spese militari e politica estera modesta. Tutti sapevano che il Fersen immediatamente dopo il voto aveva offerto le dimissioni del Gabinetto e posto S. M. questo dilemma: o accettazione delle dimissioni o scioglimento della Camera.

S. M. non aveva data una risposta definitiva e aveva conferito più tardi con i presidenti delle due Camere, i quali erano stati concordi nel consigliare un ministero Lemmink. Si sapeva pure che la principessa Vittoria era malata nella sua villa dell'isola Sihl. Una grande dimostrazione popolare era stata fatta al capo dell’opposizione, e vi si era gridato «abbasso la francese».

La carrozza che portava Herìbraod entrò nell'atrio del Palazzo Reale a mezzanotte, mentre una carrozzella da nolo, a un solo cavallo, ne usciva. Il generale dovette attendere cinque minuti nella sala degli aiutanti prima di essere fatto entrare nel Gabinetto di lavoro del Re. Il gabinetto, poco spa[p. 153 modifica]zioso ma molto alto, sta nell’angolo nord-est del Palazzo Reale, proprio nella torre. Ha due balconi immensi, uno sul mare, aperto, l’altro sulle grandi terrazze che degradano verso il porto militare; e ha, fra i due balconi, un caminetto di marmo nero dove quella sera, benché si fosse alla metà d’aprile, ardeva il fuoco. Una lampada elettrica sospesa in alto illuminava meglio il palco di ebano scolpito, a rosoni d’argento, che la snella persona del Re, ritta davanti al caminetto.

S. M. stese la mano al vecchio generale, che con la sua allampanata figura, con la sua magrezza portentosa, con i suoi lineamenti esagerati, pareva lo spettro di Don Chisciotte.

— Caro generale — diss’egli con voce affettuosa, ma vibrante di emozione — mi perdoni se l'ho incomodata a quest’ora. Avevo bisogno di Lei.

Heribrand rispose, alquanto freddo, ch’era sempre agli ordini di S. M.

— Non ho bisogno di un suddito — replicò il Re, gelando alla sua volta. — Ho bisogno di un amico. Lei è in collera con me? Il generale protestò e S. M. lo interruppe di[p. 154 modifica]cendo — venga qua — gli prese il braccio, lo fece sedere in una delle sue poltroncine accostate per fianco al balcone sul mare, sedette egli stesso nell'altra e incominciò a parlargli della situazione. Riferì i suoi colloqui col ministro e coi presidenti delle due Camere, disse che sentiva di trovarsi di fronte all’atto più grave, probabilmente, della sua vita, che era atterrito dalla propria profonda perplessità; che sperava da Heribrand un giudizio, un consiglio sicuro, e che non aveva saputo aspettarlo fino all’indomani.

Il generale lo ascoltò impassibile e rispose semplicemente: — Sire, bisogna chiamare Lemmink.

Il Re si fece scuro in viso, tacque e, dopo un momento, alzatosi senza dir parola, si allontanò a lenti passi, andò a contemplare il fuoco del caminetto.

Anche il generale si alzò e, girata rapidamente con gli occhi la stanza, guardava, fermo al suo posto, il Sovrano. Il suo sguardo e l’alta, leale sua fronte avevano una singolare espressione di gravità e di severità.

— Lei non sa tutto — disse finalmente S. M., sempre pensieroso e senza guardare Heribrand. — [p. 155 modifica]Lei non sa cosa si prepara in Europa. Lei non sa gli impegni che abbiamo.

— Sire — rispose subito il generale — se vi hanno impegni del ministero Fersen, sono caduti; se vi hanno impegni di V. M., mi permetto di chiedere rispettosamente perchè mi sia fatto l’onore d’interrogarmi.

Un lampo di sdegno passò sul viso del Re. — Io non prendo impegni personali — diss’egli concitato — io sono fedele alla Costituzione. Lei mi doveva intendere, signor generale. Lei dovrebbe sapere che un governo può prendere certi impegni non formali, non scritti, ma che non possono lasciarsi cadere tanto facilmente.

Il generale rispose che il voto della Camera aveva implicitamente disapprovati questi impegni. — Non mi parlate della Camera! — esclamò il Re. — Non è possibile che la politica estera sia fatta dalla Camera. Non si guidano cavalli mal sicuri per strade difficili, stando in un landau chiuso.

— Non si guidano i cavalli, Sire, ma si sa dove si vuole andare e lo si dice al cocchiere. Il paese non vuole andare alla guerra. [p. 156 modifica]

Il Re tacque.

— Io non posso assolutamente — riprese Heribrand — dare a V. M. il consiglio che desidera.

— Che desidero! — esclamò il Re sdegnosamente. — Che desidero! Guardi là quel vapore coi fanali rossi che fila adesso nel chiaro di luna. Là vi è un ragazzo che va a studiare l’arte a Roma con i denari miei; desidero esser lui! Ecco quello che desidero! Scusi, generale, Lei sa che Le ho sempre voluto bene, Lei è il primo cui mi rivolgo dopo i personaggi ufficiali, il primo a cui domando un consiglio, e mi parla così!

Il generale esitò un momento e rispose quindi con voce sommessa, ma ferma:

— No, Sire non sono il primo.

Il Re trasalì e piantò gli occhi in faccia a Heribrand che non abbassò i suoi.

— Che ne sa Lei? — diss’egli fieramente. Il generale allargò le braccia e chinò la testa come per dire: me ne rincresce, ma è inutile; lo so.

— Crede Lei — riprese S. M. con voce sconnessa dall’emozione — crede Lei avere il diritto? Non compì la frase, ma tenne addosso al generale gli occhi irritati. [p. 157 modifica]— Nessuno ha osato mai! — diss’egli.

-— Sire — rispose Heribrand, rialzando il capo — la mia coscienza non è a disposizione di V. M., ma il mio grado e le mie decorazioni lo sono.

— Questa è una risposta da scena — esclamò il Re — e non una risposta per me che ho una coscienza come la Sua.

Il generale, pallidissimo, pregò il Re di voler piuttosto punire che oltraggiare un vecchio servitore sincero, e gli chiese licenza di ritirarsi. Il Re rifiutò con un gesto violento.

— No, — diss’egli — voglio essere più generoso di Lei e mostrarle che vi è un’altra persona superiore alle sue insinuazioni, ai suoi sospetti, a tutte le bassezze di cui è pieno il mondo!

Ciò detto si sbottonò il soprabito in fretta e in furia. Il generale porse le mani come per trattenerlo; allora il Re gli stese con impeto subitaneo le sue.

— Ma senta! — diss’egli passando dalla collera all’affetto, — non mi irriti, dimentichi un momento ch’io sono il Re, mi tratti come si tratta un eguale, apra il Suo cuore come io sono disposto ad aprirle [p. 158 modifica]il mio! Apra il Suo cuore, ch’io senta una parola calda! Dica tutto quello che sospetta, tutto quello che teme, ma parli come un amico, capisce! Ma se io amo, merito io dunque il Suo sdegno? E mi creda, La scongiuro, Lei si inganna, Lei non La conosce, voglio che Lei sappia, voglio che lei veda! Sicuro che mi ha scritto, sicuro che mi ha consigliato! Ma come? Una donna che mi ama con tutta l’anima sua, è lontana da me e non mi manderà una parola in un giorno come questo? Ma generale, maestro mio, non è uomo, Lei? Non è stato giovane, Lei?

E aperse le braccia al generale che, non persuaso, ma commosso, abbracciò il suo antico allievo.

Il Re si sciolse per il primo, trasse dall’abito aperto un portafogli, e dal portafogli una lettera, e la porse a Heribrand.

— Legga — diss’egli.

Heribrand prese la lettera, ma per leggerla gli occorrevano gli occhiali e non gli riusciva nella commozione di trovarli, se ne impazientiva, ciò che fece sorridere il Re e finì di rinfrescare il [p. 159 modifica]sangue ad ambedue. Finalmente gli occhiali si trovarono ed il generale potè leggere questo biglietto della principessa di Malmöe-Ziethen:

«Silh, villa Victoria, le 14 avril»

Sire,

«Mon oncle de Ziethen vient de m’apporter les nouvelles de la capitale. On va voter aujourd’hui méme et ce sera l’opposition qui l’emportera. — On fera beaucoup de bruit pour avoir M. Lemmink aux affaires, mais la velche, c’est aìnsi que dit la ville, mais l’étrangère, c’est ainsi que dit la Cour, n’en voudra pas. Ce n’est pas M. de Fersen qu’on renverra, c’est la Chambre.

Mon Dieu, que j’ai prevu tout cela!

J’en ai le coeur navré. Pas à cause de moi, j’ai trop méprisé ces grands artistes en méchanceté, pour qu’on me soupçonne jamais de faiblir devant eux. C’est à cause de Vous, Sire. Je ne me soucie guère de la sottise publique ni de la perfidie de quelques misérables; je redoute Votre coeur même, ce que j’ai de plus cher au monde, [p. 160 modifica]ce grand amour où il fait si bon de sombrer avec son âme, son honneur et sa vie. M. Lemmink me déteste. C’est un terrible homme, paraît-il; il arrive appuyé par una foule grondante, il ne ménagera pas Vos sentiments, il voudra m’éloigner de Vous.

Oh, Sire, mais la majorité de la Chambre lui est acquise, et si ce n’est pas la gioire, si ce n’est pas la grandeur, c’est du moins le bien-être, c’est la sécurité qu’il apporte! Il faut le prendre, Sire. Prenez-le, faites le bonheur de Votre peuple; le mien sera de Vous y avoir aidé! C’est bien la tâche d’une reine et Vous n’avez que cette couronne à m’offrir. Je vous la demando, mon ami, le sourire aux lèvres.»

Victoria»


Il generale rilesse lo scritto, poi presolo fra due dita, e alzatolo con un lungo sospiro, con un lungo eh dubitativo, lo lasciò cader sulla scrivania.

— Cosa? — fece il Re. [p. 161 modifica]

— Ah, Sire, — rispose Heribrand — se mio figlio mi facesse vedere una lettera, simile, gli direi « non ci credere, è tutto falso, anche questi segni di lagrime fra l’ultima parola e la sottoscrizione! Non senti» gli direi «che artificio di stile e di chiusa, non senti che persino queste lagrime sono politiche? — Maestà — esclamò egli a una violenta interruzione del Re — a mio figlio direi così! A V. M. posso dire invece, e forse chi sa? accostandomi di più al vero: questa donna non è sincera, ma crede di esserlo, crede alle proprie frasi, s’inebria all’immaginazione di un sacrificio che poi V. M. non le permetterà di compiere; si intenerisce sopra sé stessa e queste gocce cadute così presso al sourire aux lèvres sono propriamente lagrime. V. M. mi ha domandato se sono mai stato giovane; credevo sapesse che lo sono stato troppo. Ebbene, di tante donne che ho amate, più o meno, una sola sapeva di recitare la commedia, e due sole veramente non la recitavano. Le altre erano attrici senz’accorgersene, come la principessa. Ma poi, Sire, se credete in Lei, perchè non l’ascoltate? Perchè non le date questa co[p. 162 modifica]rona che domanda? Se la principessa è sincera, è eroica e poche regine avranno fatto altrettanto per un Re e per un popolo! V. M. ha l’animo grande, si compiacerà di essere amato da un altro animo grande che non solo immagina il sacrificio, ma lo compie. Coraggio, Sire! Sarebbe forse stato meglio non dirle, quelle altre cose amare. V. M. mi ha chiesto di aprire il cuore e l’ho aperto. Mi sarò ingannato, crederò anch’io tutto ciecamente, ammirerò la principessa, ma si faccia dunque ciò che dice lei! Non si giuoca una piccola posta, qui. Fersen giuoca il paese a rouge et noir; se esce rouge sarà una gloria sterile o quasi, e pagata cara; se esce noir sarà un disastro immenso. Sire, se parlassi da capo a mio figlio gli direi «il tuo dovere è di non permettere questo giuoco».

— La ringrazio — disse il Re — Lei ha detto alcune cose che io credo molto ingiuste, duramente ingiuste, ma è stato leale e adesso ha parlato col cuore. La ringrazio. Del resto non credo che Lei sia giusto neppure col ministero.

E qui si diffuse sui possibili effetti d’una guerra fortunata, parlò di una grande unione polìtica che [p. 163 modifica]avrebbe potuto costituirsi intorno al suo trono, di un impero del Nord ch’era già l’oggetto di trattative segrete colla Francia. Si capiva che la sua parola tepida rifletteva idee altrui, le ambizioni di un ministro e d’una donna anziché quella del futuro imperatore.

— Sire — disse Heribrand dopo aver ascoltato rispettosamente — se non temessi di offendere V. M. direi un’altra cosa.

— Dica.

— Direi che questa non è l’ultima comunicazione della principessa.

Il Re arrossi e s’imbarazzò un poco.

— Lei deve aver incontrato una carrozza, venendo qua — diss’egli. — È per questo che adesso..

— No, Sire — rispose Heribrand — non è per questo.

Gli occhi suoi si fermarono sopra un punto della scrivania. Il Re guardò subito dove guardava il generale, e, non potendo vedere, si tradì.

— Le è bastato un fil di seta — diss’egli, arrossendo più di prima... [p. 164 modifica]— Mi è bastato meno — rispose il generale con un sorriso — il filo di seta non c’è più come non c’è più il fiore.

Il Re si avvicinò alla scrivania, vide due filuzzi di musco e una lieve macchia umida sul cuoio dell’impiallacciatura.

— Non l’ho nascosto — replicò vivamente — entrando l’avrebbe anche potuto vedere.

Infatti, non proprio nell’entrare ma poco dopo, girando la stanza con gli occhi, il generale aveva scoperto sopra una mensola, di fianco a un grande stipo, il lagrimatoio d’alabastro di Volterra che aveva questo fiore misterioso.

— Ecco — disse il Re, andando a pigliare il vasetto antico.

Era un’opulenta, magnifica rosa, allentata e come languente nei petali più esterni e chiari, appena socchiusa nel denso cuore con una voluttuosa espressione d’invito.

— La conosco — disse Heribrand, odorando il flore. — Amo anch’io le rose. È la France. Magnifica! Meglio allearsi a questa Francia qui che all’altra. L’altra ha troppe spine. [p. 165 modifica]Odorò il flore, si avvicinò al Re, e gli parlò per un quarto d’ora, mostrando l’inopportunità dell’alleanza francese con parola chiara, calda, convincente.

— E se pigliassi Lei, generale? — disse il Re, sentendo di piegare, aggrappandosì a Heribrand per non cadere a Lemmink, i cui modi rudi gli erano intollerabili.

— No, Sire — rispose il vecchio — io sono troppo impopolare, sono troppo amico di tante cose passate, e poi non sarei più indulgente di Lemmink colle rose parlanti. Bisogna chiamare lui.

— Le giuro che non sapevo il nome di quella rosa! — esclamò il Re con impeto — e Lei è sicuro che sia la France? Ci pensi!

E si mise a camminare su e giù, a capo chino, dall’uscio al caminetto, ripetendo macchinalmente ad ogni tratto «ci pensi!» mentre il generale protestava di esserne sicuro. Finalmente gli si fermò davanti e gli stese la mano dicendo:

— Credo che Lei, domani, sarà contento di me. E allora spero che sarà contento pure della principessa, non è vero? [p. 166 modifica]— La venererò, Sire — rispose Heribrand.

Prese congedo.

Nell’uscire gli sovvenne degli occhiali che aveva lasciati sulla scrivania, ritornò indietro, e nella fretta del riprenderli, urtò involontariamente con la manica il piccolo vaso antico che si capovolse lasciando cadere a terra la rosa. Il generale si chinò, con una esclamazione di dispiacere, a raccoglierla; e, brancicando sul pavimento, invece di pigliare il gambo, pigliò il flore. Lo rimise a posto presso che incolume; solo un petalo, dei più aperti, n’era rimasto sgualcito e quasi staccato.

S. M. vide tutto e non si mosse, non disse parola. Il suo sentimento poetico della perfezione, la sua raffinatezza femminile si offendevano incredibilmente di ogni goffaggine, di ogni menoma distrazione altrui. Gli si sarebbe guasta l’ammirazione per un uomo d’ingegno vedendogli scotere sul tappeto la cenere d’una sigaretta, e la più seducente signora avrebbe molto perduto del suo fascino, se, parlando con lui, si fosse versata sull'abito una goccia dì thè. Quando Heribrand fu uscito il viso del Re si colorò di malcontento. La vista di quella foglia cadente, di quella rosa bran[p. 167 modifica]cicata gli dava fastidio. Prese il flore, ne trasse il bocciuolo interno e gettò il resto sulle brage del caminetto. Poi, ripensando al colloquio recente, quel fastidio gli si mescolò, nella memoria, alla figura e alla voce del generale, ne rese ancora più sgradite le parole severe e meno gradite le affettuose; tanto che sentendo crepitar la rosa sulla brage, odorandone la lieve fragranza resinosa diffusa in aria e vedendovi balenare sul nero le ultime faville, ripensò di proposito a quel caso e gli venne il sospetto che vi fosse stata intenzione. Lo cacciò subito, era un sospetto troppo ignobile; ma gliene rimase questa spiacevole idea che la sbadataggine del generale fosse stata offensiva. E in pari tempo, questo intenso desiderio sorse nel suo cuore: oh se fosse venuta lei invece di mandar la rosa, se entrasse adesso, se l’avessi qui, almeno fino a giorno, prima di pensare alla politica!

Si strinse poi sulle labbra un foglietto, la lettera venuta col fiore; sulle labbra, sul cuore, sulla fronte, come per illuminarsi la mente con l’amore; poi sulle labbra ancora, più forte di prima. Il sottile profumo della carta, l’odor di mughetto caro [p. 168 modifica]alla principessa lo faceva palpitar di passione, gli annebbiava il cervello. Mise un profondo sospiro come in cerca d’aria e di vita e rilesse la lettera che diceva:

«C’est arrivé, donc! Du courage, Sire, faites votre devoir; ce sont vos amours qui Vous en supplient. Je souffre, mon ami, car je t’aime comme une folle et je voudrais venir me jeter dans tes bras. Je ne viendrai point, jamais je ne saurais m’en arracher! Jet’envoie une rose pour le vase d’albàtre, tu sais, pour le charmant petit vase aux larmes, qui lui convient. Elle en a eu, de larmes. Et de baisers, donc! Elle est heureuse, pourtant, de passer la nuit avec toi et de mourir demain.

«Adieu, Sire. Si Votre choix est arrété, faites-le- moi connaìtre bien vite. N’éteignez pas de la nuit Votre lampe; je comprendrai que M. Lemmink sera ministre. Je la vois de ma chambre, Votre lampe, à l'aide d’un binocle. C’est mon étoile, elle n’aura jamais été si pure, si haute!

Victoria.

L’odor di mughetto gli aveva ridato nella fantasia il corpo della principessa e queste paroline [p. 169 modifica]scritte in fretta, a grandi tratti impetuosi, tutte inclinate come da un soffio di passione, gliene ridavano l’anima. Già inebriato, si sentì nella coscienza domandar debolmente se non fosse male di lasciarsi trasportare così, di smarrire, in un desiderio di amore, ogni calma e ogni forza quando più ne aveva bisogno. Si rispose ch’era dolce perdersi a quel modo, che forse l’amore lo avrebbe ispirato meglio; e fece tacere con un colpo di volontà, la debole voce molesta.

Adesso fu nel ritratto di lei che volle affissarsi, negli occhi pieni di dolcezza e di fierezza che lo guardavano da quel noto viso, più signorile e delicato che bello, chiuso nel capriccioso disordine d’un velo nero. Quindi, sentendosi ardere, aperse il balcone a mare e uscì fuori nel vento rigido, nel fracasso cupo, misurato delle onde che si rovesciavano sulla scogliera. La luna era nascosta fra le nuvole; però l’isola Sihl si vedeva benissimo, nera, a breve distanza. Il vento freddo ristorò un poco il Re, ma le tenebre, per la loro virtù demoniaca di oscurar nell’uomo il sentimento del futuro e di esaltargli i desideri amorosi, cospiravano coll’isola Sihl. In quel luogo, in quell’ora [p. 170 modifica]le combinazioni politiche parevano al Re niente, e l’amore tutto. Dopo cinque minuti rientrò nel gabinetto, si giustificò, per parere onesto a sé stesso, di ciò che stava per fare sfiorando rapidamente col pensiero gli argomenti malfermi che ne aveva, gl’impegni del ministro, l’impero del Nord, e, posto un dito sul bottone elettrico, senza voler più riflettere, spinse.

Era il tocco e cinquanta minuti. La cameriera della principessa di Malmöe-Ziethen avvertì subito la sua signora che alla finestra dello studio di S. M. non si vedeva più lume. La principessa balzò dal letto, afferrò il cannocchiale che l’altra le porgeva e spalancò le invetriate. L’appartamento reale non aveva più che undici finestre illuminate delle solite dodici; la dodicesima, quella della torre d’angolo, era oscura. Vittoria abbracciò la ragazza, guardò ancora col cannocchiale, lo gettò da sé, ritornò palpitando a letto, felice; e, mentre colei chiudeva stupefatta la finestra, le domandò se avrebbe paura d’una gran guerra vicina.

Dodici ore dopo, la Gazzetta ufficiale pubblicò il decreto di scioglimento della Camera, controfirmato dal conte di Fersen.