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Il Bardo della Selva Nera/Canto I

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Canto Primo

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Dedica Canto II
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IL BARDO


DELLA SELVA NERA.




CANTO PRIMO.




I VATICINJ.




Quando al terzo di Marte orrido ludo
Dal Britannico mar sul congiurato
Istro discese fulminando il sire
Delle battaglie, e d’atro nembo avvolta
5Al fianco gli venìa la provocata
Dal Tedesco spergiuro ira del cielo,
Sentì dall’alta Ercinia la procella
De’ volanti guerrieri il Bardo Ullino;
Ullin germe di forti, ed animoso
10Cantor de’ forti, e dello spirto erede
Dell’indovina vergine Velleda,

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Cui l’antica paura incensi offrìa
Nelle selve Brutere, ove implorata
L’aspra donzella con responsi orrendi
15Del temuto avvenire aprìa l’arcano.
     Sopra una vetta che d’Albecco e d’Ulma
Signoreggia la valle, e i cristallini
Bei meandri dell’Istro in lontananza
Salìa tutto raccolto in suo pensiero
20L’irto poeta, e dietro gli recava
L’arpa Cherusca la gentil Malvina;
Alle cui rosee dita il dolce tocco
Insegnò della lira Ullino istesso;
E dilettoso il suon delle sue corde,
25Più che quello del padre, al cor scendea.
Nuda il veglio ha la fronte, e su la fronte
Gli tremula canuto il crin, siccome
Onda di nebbia che il ciglion lambisce
Di deserto dirupo, e l’occhio invita
30Del vïandante a contemplar la brulla
Maestà de’ suoi fianchi. Antica e rozza
Di sua stirpe divisa dalle terga
Pende il bardo cucullo. Ispido e stretto

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Da croceo cinto sul confin dell’anca
35Gli discende al ginocchio, e appena il tocca
Il Germanico sajo. Era l’aspetto
Nobilmente severo; era l’incesso
Grave; e seco nel cor venìa volgendo
L’inique e turpi di cotanta guerra
40Rivelate cagioni, e il vil di sangue
Anglico patto, e la più vile assai
Ragion di Stato che ne tolse il prezzo.
Ciò pensando, mettea lungo la via
Sospir profondi, e gli scaldava il petto
45L’ira un giorno bollente nelle vene
Del fiero Bardo, che l’Arvonie rupi
Fe’ d’acerbi sonar carmi tremendi,
Quando alle Furie consecrò del primo
Edoardo la stirpe. Per dirotto
50Faticoso sentier giù dall’alpestre
Balza di Snowdon conducea le folte
Sue piumate falangi a ingiusta guerra
L’orgoglioso tiranno; e ritto intanto
Sovra uno scoglio che l’acuta fronte
55Su gli spumanti vortici protende

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Del muggente Conway, vestito a bruno
Stava il bieco profeta e rimirava.
Insanguinate e su le nubi assise
Gli fean cerchio le truci ombre gementi
60Degl’inulti fratelli; e il vate ordiva
Su le corde dell’arpa dolorosa
Di regali sventure e di delitti
Una terribil tela, a cui le Dire
Porgean le fila nel sangue tuffate
65De’ Britannici re; mentre all’orrendo
Lavor placate sorridean le lunghe
Larve fraterne, e su i deserti letti
Cessava il pianto delle Cambrie spose.
     Giunto Ullino su l’erta, il guardo spinse
70Giù nella valle, e ritto in piedi, e l’arco
Spalancando del ciglio e palpitando,
D’armi vide e d’armati tuttaquanta
Ondeggiar la pianura, e starsi a fronte
Già minacciosi, già parati al cozzo
75Gli eserciti rivali; e li movea
Non eguale virtù. Guatava il veglio
Le Germaniche file; e poichè l’ebbe

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Corse e ricorse: Oh sventurati! ei disse,
Voi non venite a giusta pugna: io veggo
80Passar veloce su le vostre fronti
Una mano di fuoco, che con negro
Stile vi scrive una fatal sentenza.
Qual rio s’è fatto qui di voi mercato,
Sventurati fratelli! E sì dicendo
85Torse lo sguardo inorridito, e pianse.
     Si volse poscia alle contrarie schiere,
Che miglior causa e Dei migliori all’armi
Spingean. Sereno su que’ volti tutti
Lampeggiava il coraggio, e quella franca
90Securtà di valor, che pria del fatto
Al cor ti dice: Il vincitore è questi.
Venìan siccome a nuzïal carola
I valorosi, e dalle dense usciva
Mobili selve de’ lucenti ferri
95Lampi intorno e paure. Alto tremava
Sotto l’ugna de’ fervidi cavalli
La terra; e chiuse ne’ romiti alberghi
Di Vertinga le madri e di Gunsburgo
Si stringean trepidando i figli al seno.

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     100Stette immoto alcun tempo a riguardarli
L’attonito cantor. L’avida vista
Senza batter palpebra, or da quel lato,
Or da questo invïava: e per la mente
Scorrean frattanto, e s’accendean veloci
105Le profetiche vampe. Alfin rapito
Da subito furore, alla seguace
Vergin si volse, ,e, Porgimi, le disse,
Porgimi l’arpa de’ guerrieri, o figlia,
Che un Dio per mezzo a quegli armati io veggo,
110Un terribile Dio, che li conduce,
E pentiti farà nel suo disdegno
I giurati potenti. Incontanente
Pose Malvina nelle man del padre
Il fatidico legno. Ed ei gli arguti
115Nervi scorrendo col maestro dito
Sposò la voce al suon delle percosse
Fila, seguaci della calda mente:
     Porgete attente
          L’orecchie; e il fato,
          120Che vi sta sopra, o re fanciulli, udite.
          Dell’innocente

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     Sangue versato
     In scellerata guerra
     Conta il cielo le stille, e le schernite
     125Lagrime tutte della stanca Terra.
Lassù, dov’anco
     Il muto arriva
     Gemer del verme che calcato spira,
     Del Nume al fianco
     130Siede una Diva,
     Che chiusa in negro ammanto
     Scrive i delitti coronati, e all’ira
     Di Dio presenta delle genti il pianto.
Ed ella il carco
     135D’igniti strali
     Ferreo turcasso agli omeri sospeso,
     Scende; e dall’arco
     Fischiar fa l’ali
     Dell’ultrice saetta.
     140Vanno in polve i diademi, e dell’offeso
     Popol si sfrena la fatal vendetta;
Che su gli scossi
     Troni s’asside

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     Inesorata; e sul castigo e l’onte
     145De’ re percossi
     Fiera sorride.
     Poi rifatto in sembianza
     Più bella il solio, su vi scrive in fronte:
     Re caduti, lasciate ogni speranza.
150Tu che all’Anglo mercatore
     Per iniqui altrui consigli,
     (Ahi perduto antico onore!)
     Vendi il sangue de’ tuoi figli,
     E ti dava il ciel clemente
     155Regal senno e cuor che sente;
     Ti ricorda, incauto Sire,
     Ch’anco i regni han morte e tomba.
     Odi il turbine ruggire,
     Mira il fulmin che già piomba.
     160Sire incauto, il Giglio spento
     Ti riempia di spavento.
Quei che nulla in alto vede
     Egualmente il guardo volve
     Di Rodolfo all’unto erede,
     165E all’insetto della polve.

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     Di Rodolfo augusto figlio,
     Ti spaventi il morto Giglio.
A che poni tua speranza
     Nel crudel feroce Scita?
     170Perde il nome la Possanza,
     Che di barbari s’aíta:
     Vile è il trono, a cui sostegno
     Son quell’armi, ed onta il regno.
Ahi demenza! i cervi imbelli
     175Congiurati assalto han mosso
     Al lion che arruffa i velli,
     Al lion che ancora ha rosso
     Di lor strage il forte artiglio,
     E la morte ha nel cipiglio.
180Ei già rugge: fuggite, fuggite,
     Sconsigliati; le frasche sentite
     Ruinose con alto fracasso
     Atterrarsi, e dar loco al suo passo.
     Vedi, vedi, egli spira dagli occhi
     185Fiamme orrende: nessuno lo tocchi;
          Chè signor delle selve
          Valor lo fece, ed arbitro
          Dell’altre belve.

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     Tale il Bardo proluse, in sacra nebbia
190Avvolgendo gli accenti. Ardea frattanto
In val d’Istro la pugna. E qual tra vili
Minuti augelli piomba la grifagna
Degli strali di Giove arrecatrice;
Tal si scaglia per mezzo alla nemica
195Folta il Francese combattente, e armato
Più di cor che di ferro, altro non teme
Che gir secondo ad incontrar perigli.
     Già fulminava di Vertinga i campi
Procelloso un Guerrier, che della prima
200Strage Alemanna sanguinando il piano,
Del primo arringo si cogliea gli onori,
E le schiere rompea; pari al veloce
D’ogni gagliardo domator Pelide,
Quando tutti di Grecia alla vendetta
205Precorrendo gli eroi stirpe di Numi,
Per le Frigie contrade orrendamente
Facea l’ugna sonar di Balio e Xanto
Immortali destrieri. Emula corre
Di Teutonico lauro a ghirlandarsi
210Degli altri duci la virtù. D’Elchinga,

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E di Gunsburgo su i tremendi ponti
Già batte la novella Aquila i vanni
D’ostil sangue roranti, e nell’antica
Figge ardita così l’ugna sovrana,
215E la squarcia, e la spenna, e le rabbuffa
Sì la corona sulla doppia cresta,
Che fuggitiva a rimpiattarsi d’Ulma
Ne’ mal chiusi ripari la costrigne.
La vincitrice intanto a maggior preda
220Sovra il balzo d’Albecco apre l’artiglio.
     Ivi in pugna crudel prodigio apparve
D’infinito valor. Contra se’ mila
Impetüoso e quattro volte tanto
Combattea l’Alemanno, e non lasciava
225Dubbia la speme l’inegual conflitto.
Ma numero che val contra virtude?
Veder la numerosa oste, e primieri
Assalirla, spezzarla, e sgominarla,
E far che molti mordano la polve,
230Molti cedano il ferro, e il resto compri
Col fuggir ratto una codarda vita,
Fu per que’ pochi eletti un breve affanno,

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Anzi un tripudio, chè i perigli sono
La danza degli eroi. Vide il bel fatto
235Il Bardo spettator dalla sua rupe,
E le nobili piaghe a mezzo il petto
Del vincitor; le vide, e su le pronte
Corde sonore fe’ volar quest’inno:
     Oh illustre pugna! oh splendide
          240Ferite generose
          Alle ferite simili,
          Che le Laconie spose
          Baciár sul largo petto
          Dei trecento allo stretto.
     245Raccogli, amor di patria,
          Quel sacro sangue, e al ciglio
          De’ giovinetti mostralo
          Nel marzïal periglio.
          Da mortal vena, il giuro,
          250Mai non uscì il più puro.
     Vedrai repente accendersi
          Tal ne’ garzoni ardire,
          Tal nella mischia fervere
          Di gloria un bel desire,

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          255Che sorriso del forte
          Diventerà la morte.
     Valle d’Albecco, i tremoli
          Vegliardi un dì col dito
          T’insegneranno; e il postero
          260Di santo orror colpito
          Ricercherà la fossa,
          Che degli eroi tien l’ossa.
     Coprirà l’erba, e il tribolo
          Le mute spoglie, ed irti
          265Per le notturne tenebre
          Vagoleran gli spirti,
          Che morti ancor daranno
          Spavento all’Alemanno.
     Ma l’alto ardire, ond’inclito
          270Suona d’Albecco il campo,
          No, non fia sol. Già folgora
          D’emule spade il lampo,
          Già in Cremsa si rinnova
          La memoranda prova.
     275Fragor percuotemi
          D’armi terribile:

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          Veggo di barbari
          Immenso un nugolo,
          Che in Diernestèino
          280Su pochi intrepidi
          Piomba. Ne tremano
          Di Cremsa i colli;
     Ma non i Gallici
          Brandi, che agognano
          285Andar di Getico
          Sangue satolli.
     Ecco, già brillano
          Nudi, già al sonito
          Guerrier s’abbassano,
          290Già van, già rapidi
          Fan piaga, e perdono
          Dentro le perfide
          Vene del truce
          Scita la luce.
295Scita crudel, di Tauride non sono,
     Della Vistola, no, queste le prode,
     Ove usurpasti fra’ turbanti e un trono
     Da tre percosso del valor la lode.

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300Qui t’hai, mal giunto, quelle spade al petto,
     Che due volte fer tristo il tuo destino,
     Quando atterrato, e di catene stretto
     Il Batavo ti vide, e il Tigurino.
Ti coprì nudo, libertà ti rese,
     305D’armi ti cinse il vincitor. Che festi
     Di quell’armi, o fellon? Contra il cortese
     Donator sì bel dono, empio, volgesti.
E i petti a ferir corri, in cui spietato
     Pietà trovasti, e a quei difesa hai porto
     310Che ti fur chiusi. Or va: t’aspetto, ingrato,
     In Osterlizza, e l’aspettar fia corto.
Questi all’arpa fidava il Bardo austero
Vaticinj sdegnosi, e confondea
L’arcano canto col fragor del fiume,
315Che lamentoso con vermigli flutti
Nunzio corre di stragi alla superba
Vindobona, e di guerra infauste e dure
Primizie apporta all’atterrito Sire.
     Pallido intanto su l’Abnobie rupi
320Il Sol cadendo raccogliea d’intorno
Dalle cose i colori, e alla pietosa

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Notte del Mondo concedea la cura.
Ed ella del regal suo velo eterno
Spiegando il lembo raccendea negli astri
325La morta luce, e la spegnea sul volto
Degli stanchi mortali. Era il tuon queto
De’ fulmini guerrieri, e ne vagava
Sol per la valle il fumo atro, confuso
Colle nebbie de’ boschi e de’ torrenti:
330Eran quete le selve, eran dell’aure
Queti i sospiri; ma lugubri e cupi
S’udìan gemiti e grida in lontananza
Di languenti trafitti, e un calpestìo
Di cavalli e di fanti, e sotto il grave
335Peso de’ bronzi un cigolío di rote,
Che mestizia e terror mettea nel core.


Fine del Canto Primo.