Il Re Torrismondo/Atto quinto/Scena sesta

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Atto quinto - Scena sesta

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Atto quinto - Scena quinta
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SCENA SESTA

REGINA, CAMERIERO, GERMONDO,
ROSMONDA

REGINA

Deh, che si tace a me, che si nasconde?
Sola non saprò io, schernita vecchia,
Di chi son madre, o pur se madre io sono?

CAMERIERO

Regina, oggi la sorte il vero scopre,
Ch’a tutti noi molti anni occulto giacque.
Però non accusar nostro consiglio,
Ch’a te non fu cagion d’alcuno inganna;
Ma qui si mostri il tuo canuto senno.

REGINA

Se pur questa non è mia vera figlia,
Qual altra è dunque?

CAMERIERO

Partoristi un’altra,
Prima Rosmonda, e poi chiamata Alvida,
Del buon Re tuo marito, e Signor nostro;
Ma per sua poi nudrilla il Re Norvegio.

REGINA

Tanto dolor per ritrovata figlia,
E trovata sogella? Altro pavento,
Che disturbate nozze: altro si perde.

CAMERIERO

Oimè lasso!

REGINA

Qual silenzio è questo?
Ov’è la mia Rosmonda?

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CAMERIERO

Ov’ella volle.

REGINA

E Torrismondo?

CAMERIERO

In quel medesmo loco:
Ov’egli volle.

GERMONDO

Altre percosse in prima
Hai sostenute di fortuna avversa:
Ora questi soffrir più gravi colpi,
Che già primi non sono, alfin convienti,
O mia saggia Regina, e saggia madre;
Chè s’altri figli avesti, or son tuo figlio:
Non mi sdegnar, benchè sia grave il danno.

REGINA

Ahi, ahi! dice: Avesti!… io non gli ho dunque?
Non respiran più dunque sera
I miei duo cari figli ?

GERMONDO

Ahi, che non caggia.
Deh, quinei Torrismondo, e quinci Alvida,
Quindi, lasso! amicizia, e quindi amore
Fanno degli occhi miei duo larghi fonti
D’amarissimo pianto, e ’l core albergo
D’infiniti sospiri. E in tanto affanno,
E fra tanti dolori ha sì gran parte
La pietà di costei! Misera vecchia!
E più misera madre! Oimè, quel giorno,
Ch’ella sperava più d’esser felice,
È fatta di miseria estremo esempio.
Io sarò suo conforto, e suo sostegno;
Io farò questo, lagrimando insieme,

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Dolente sì, ma pur dovuto officio,
E pieno di pietà. Consenta almeno,
Ch’io la sostegna.

ROSMONDA

O foss’io morta in fasce,
O ’n questo giorno almen turbato, e fosco,
Mentre egli fu sì lieto, e sì tranquillo.
Bello, e dolce morire era allor, quando
Io fatto non l’avea dolente, e tristo.
Io misera! il perturbo, e l’alta reggia
lo riempio d’orrore, e di spavento:
Io la corona atterro, e crollo il seggio:
Io d’error fui cagione, or son di morte
Al mio Signore. Or m’offrirò per figlia
A questa orba Regina, ed orba madre,
La qual pur dianzi ricusai per madre?
E ricusai, misera me! l’amore,
E ricusai l'onore,
Serva troppo infelice!
Ch’era pur meglio, ch’io morissi in culla
Innocente fanciulla.

CORO

A pianger impariamo il vostro affanno,
Nel comune dolor, che tutti affligge.
Al Signor nostro omai quale altro onore
Far possiam, che di lagrime dolenti?
Al Signor nostro, il qual fu lume, e speglio
Di virtute, e d’onor, chi nega il pianto?

REGINA

Ahi! chi mi tiene in vita?
O vecchiezza vivace,
A che mi serbi ancora?
Non de’ miei dolci figli
Alle bramate nozze,

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Non al parto felice
De’ nipoti mi serbi.
Al duolo amaro, al lutto,
Alla morte, alla tomba
De’ miei duo cari figli
Or mi conserva il Fato.
Ahi, abi, ahi, ahi!
Ch’io non gli trovo, e cerco,
Misera me dolente,
Pur di vederli invano.
Ahi, dove sono?
Ahi, chi gli asconde?
O vivi, o morti,
Anzi pur morti.
Oimè!
Oimè!

GERMONDO

Quetate il duol, che tutto scopre il tempo.

REGINA

Signor, se dura morte
I miei figliuoli estinse;
( Chè non mel puoi negare,
E certo non mel nieghi,
Ma col pianto il confermi,
E co’ mesti sospiri )
Abbi pietà, ti prego,
Di me: passami il petto,
E fa ch’io segua omai
L’uno e l’altro mio figlio,
Già stanca, e tarda vecchia,
E sconsolata madre,
Meschina.

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GERMONDO

S’io potessi, Regina, i figli vostri
Colla mia morte ritornare in vita,
Sì ’l farei senza indugio; e ’n altro modo
Creder non posso di morir contento.
Ma poichè legge il nega aspra, e superba
Di spietato destin, vivrò dolente
Sol per vostro sostegno, e vostro scampo.
E saran con funebre, e nobil pompa
I vostri cari figli ambo rinchiusi
In un grande, e marmoreo sepolcro,
Perchè questo è de’ morti onore estremo;
Benchè ad invitti Re, famosi in arme,
Sia tomba l’universo, e ’l cielo albergo.
A voi dunque vivrò, Regina, e madre:
Voi sarete Regina, io vostro servo,
E vostro figlio ancor, se troppo a sdegno
Voi non m’avete. A voi la spada io cingo:
Per voi non gitto la corona, o calco:
Nè spargo l’arme sì felici a tempo:
E non verso lo spirto, e spando il sangue.
Pronto a’ vostri servigi, al vostro cenno,
Sin, che le membra reggerà quest’alma,
Sarà col proprio regno il Re Germondo.

REGINA

Oimè! che la mia vita
È quasi giunta al fine:
Ed io pur anco vivo,
Perchè l’amara vista
Mi faccia di morire
Viepiù bramosa
Co’ dolci figli,
Ahi, ahi, ahi, ahi!

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GERMONDO

Oimè! che non trapassi. O donne, o donne,
Portatela voi dentro: abbiate cura,
Che ’l dolor non l’uccida, o tosco, o ferro.
Oh mia vita, non vita, oh fumo, ed ombra
Di vera vita, oh simulacro, oh morte!

CORO

Ahi lagrime! ahi dolore!
Passa la vita, e si dilegua, e fugge,
Come gel, che si strugge.
Ogni altezza s’inchina, e sparge a terra
Ogni fermo sostegno:
Ogni possente regno
In pace cadde alfin, se crebbe in guerra.
E come raggio il verno, imbruna, e muore
Gloria, d’altrui splendore.
E come alpestro, e rapido torrente,
Come acceso baleno
In notturno sereno,
Come aura, o fumo, o come stral repente,
Volan le nostre fame, ed ogni onore
Sembra languido fiore.
Che più si spera, o che s’attende omai?
Dopo trionfo, e palma
Sol qui restano all’alma
Lutto, e lamenti, e lagrimosi lai.
Che più giova Amicizia, o giova Amore?
Ahi lagrime! ahi dolore!