Vai al contenuto

Il mio delitto/III

Da Wikisource.
III

../II ../IV IncludiIntestazione 1 dicembre 2020 100% Da definire

II IV
[p. 25 modifica]

III.

La piccola Ilda era proprio degna di compianto; povera generalessa degradata!

Si trovava sola a quattordici anni senza un amico, senza uno sguardo di simpatia; anzi le pareva di leggere negli occhi delle compagne queste parole:

«Brava! ti credevi superiore a noi, avevi delle arie da regina; ed ora eccoti punita, il castigo è giusto!»

E le vedevo uscire liete nei giorni di vacanza e ritornare la sera piene di notizie raccolte, di divertimenti goduti in quelle ore [p. 26 modifica] di libertà. Dopo quella boccata d’aria libera avevano gli occhi più scintillanti e la faccia più fresca e sorridente e le loro chiacchiere erano più allegre e vivaci.

Negli altri giorni erano di tratto in tratto chiamate in parlatorio, ricevevano dei regali dai parenti e facevano sempre progetti per l’avvenire quando sarebbero uscite dal collegio. Uscire da quelle mura che m’opprimevano era un pensiero che spesso passava per la mia mente. Ma in che modo sarei uscita? con chi? Dove sarei andata? Ecco le questioni che si affacciavano sempre al mio pensiero, e l’idea di dover passare tutta la mia vita là dentro mi rendeva malata, nervosa, e mi riempiva di sgomento.

Avrei preferito la morte; ma intanto la mia vita era infelice e le passeggiate fatte in comune come un gregge di pecore erano un vero supplizio per me. [p. 27 modifica]

Pure, in mezzo a quel tempo tanto triste, vedo risplendere un bel raggio di sole. Una sera, ero malata moralmente e fisicamente, mi trovavo in quell’età in cui c’è uno squilibrio in tutto il nostro sistema nervoso e pure avendo visceri sani si soffrono mali incredibili, si sprezza la vita prima ancora d’aver vissuto, s’ha il cuore riboccante d’amore e s’odia tutto il genere umano, si ha bisogno di compagnia e la si sfugge, vengono le lagrime agli occhi senza saperne la ragione, e la vita diviene insopportabile se non si ha un cuore fidato in cui appoggiarsi.

Era un giorno di primavera e d’uscita. Le mie compagne erano andate tutte coi parenti e cogli amici a respirare l’aria dei campi rivestiti di nuovi fiori, a inebbriarsi di libertà, a far provvista di gioia per un mese. Io sola ero rimasta a passeggiare per [p. 28 modifica] quelle immense sale abbandonate. Verso sera dissi di non sentirmi bene e ottenni il permesso di coricarmi prima che le altre ritornassero. Non volevo sentire il loro allegro cicaleccio, il racconto dei divertimenti goduti.

Ma quando rientrarono la loro gioia era così rumorosa e avea tanto bisogno di espandersi, che avevo un bel nascondere la mia testa fra i guanciali: era come un ronzio di zanzare che sentivo intorno alle mie orecchie.

— Proprio noiose come zanzare, — dicevo fra me, mentre sentivo parlare di merende sull’erba, di gite, di scarrozzate, di fiori, di giardini incantati, d’un mondo insomma che non avrei forse riveduto più mai.

Ma chi è che viene a turbare i miei pensieri?

Non vi basta tormentarmi colla vostra voce, che, mi venite anche a toccare! via, zanzare, via! Credo d’aver dato un piccolo schiaffo a quella cosa ch’io sentivo accanto [p. 29 modifica] a me, ma quella cosa si fece più vicina ed ebbi il senso come di due braccia che circondassero il mio collo.

Fu la sensazione che ricordavo come in sogno d’aver provato quando era ancor viva la mamma. Alzai il capo e vidi due begli occhi neri, luminosi, fissarsi nei miei, e udii una voce dolce come una musica dire:

— Sai, Ilda; il babbo m’ha promesso di farti uscire con me la prossima volta, avevo bisogno di dirtelo subito. Addio, buona notte; — e via scappò nel suo lettuccio senza ch’io potessi nella mia sorpresa profferire una sola parola.

— Margherita, Margherita! — chiamai, ma vidi i suoi occhietti neri che mi facevano cenno di star zitta e per quella notte dovetti tener dentro di me la voglia che avevo di prendere quella testina bruna e mangiarla di baci. [p. 30 modifica]

Dunque qualcuno aveva pensato a me! E questa persona era la buona Margherita Arvedi, una fanciulla timida colla faccia da madonnina, che non era molto considerata in collegio perchè non avea nè molto ingegno nè molto spirito, e la direttrice parlando di lei diceva sempre:

«Quella fanciulla è tutto cuore, non le resta posto per altro.»

Quella sera fui proprio convinta della verità di queste parole, e la fanciulla della quale prima m’ero accorta appena, divenne la mia più cara amica e la mia sola consolazione. Quando mi sentivo sola, infelice, abbandonata, mi bastava rivolgermi dalla sua parte e vedevo sempre quegli occhi profondi fissi sopra di me, quei begli occhi che mi leggevano in cuore e si offuscavano o si rischiaravano secondo l’espressione della mia fisonomia. [p. 31 modifica]


Erano due punti luminosi nell’oscurità della mia esistenza e finchè erano là a consolarmi non mi sentivo affatto sola.

Tutte le mie compagne lasciavano ad una ad una il collegio ed io le vedevo passeggiare cento volte più belle nelle loro vesti eleganti, ma mi restavano i miei fidi occhi eloquenti e non le invidiavo.

Un giorno quei begli occhi vennero a me tutti lagrimosi.

— Coraggio, Ilda, — mi disse, — bisogna lasciarci.

Sentii una stilettata al cuore.

— Come! — gridai, — tu esci? che sarà di me?

— Il babbo lo vuole, — rispose, e sentii le due braccia morbide stringersi intorno al mio collo e la voce soave che diceva: — Coraggio! Verrà quel giorno anche per te.

Anche per me! Ma in che modo sarebbe [p. 32 modifica] quel giorno? Chi mai avrebbe aperto il mio carcere? Come intanto avrei potuto vivere senza il mio bel raggio di sole?

Perché, o alte mura del collegio, mi sembraste da quel giorno più soffocanti? Perchè mi parve più goffa la divisa che si vestiva sempre, bigia l’estate e turchina l’inverno? Perché desideravo la morte come una liberazione? Qualche volta la mia mente fantasticava e mi pareva d’essere una principessa dei racconti delle fate imprigionata in un castello incantato e aspettavo un principe che venisse a liberarmi. Ma passavano i giorni, i mesi e gli anni, e il principe tanto desiderato non veniva; doveva essere ben crudele o aver altre faccende pel capo, se non ascoltava le invocazioni d’una fanciulla di diciott’anni.

Qualche volta nel silenzio della notte altre idee strane mi passavano per la testa, [p. 33 modifica] ora mi veniva una voglia prepotente di fare una corda colle lenzuola e fuggire dalla finestra e poi correre alla ventura per l’aperta campagna, oppure pensavo ad un incendio, ad un terremoto che facesse crollare quelle mura divenute odiose per me e mi fosse possibile trovare fra quelle rovine la morte o la libertà. Erano tutte fantasticherie che si dileguavano colla luce del sole ed io allora m’immergevo nello studio per non pensare più a nulla.

È inutile ch’io ripensi a quello che ho sofferto in un’età che dovrebbe assere per tutti un sorriso. È certo che se avessi continuato per un pezzo a vivere fra quelle quattro mura sarei impazzita o intisichita; intanto m’inselvatichivo ogni giorno di più e diventavo irascibile e stizzosa.

Una mattina fui molto sorpresa di sentire che c’erano in parlatorio persone che

cordelia. Il mio delitto
[p. 34 modifica]

chiedevano di me. Non poteva essere Margherita, perchè era come di casa e veniva a sorprendermi in qualunque posto mi fossi trovata, e poi, la sua istitutrice la lasciava venire molto raramente. Dopo molti anni che nessuno veniva a vedermi, a quella chiamata mi sentii battere forte forte il cuore come se scoppiasse e pensai al principe dei miei sogni.

Fui molto sorpresa di trovare la zia Paolina, una sorella di mio padre, che non s’era mai curata di me, dedita com’era ad una vita tutta mondana.

— Zia! — esclamai tutta confusa.

— Ti sorprende la mia visita? — mi disse, — ma tutti questi anni ho viaggiato, sono stata tanto occupata che non ho potuto venire a vederti, del resto sapevo che stavi bene.

Me ne stavo tutta imbarazzata perchè non avevo in lei molta confidenza avendola veduta soltanto un paio di volte molti anni prima. [p. 35 modifica]

— Andiamo, via, coraggio, — disse aprendomi le braccia, — dammi un bel bacio e ricordati che ora dobbiamo essere amiche; — poi continuò colla sua usata volubilità guardandomi in faccia. — Ma sai che ti sei fatta carina? e come sei cresciuta! ora non permetto più che tu stia camuffata a quel modo, nè che tu rimanga in quest’orribile collegio; io se fossi stata ne tuoi panni a quest’ora sarei scappata chissà dove. Alla tua età star rinchiusa con quel visino? Non lo posso permettere.

— E perché non mi conduci via subito, — diss’io.

— Non posso, domani verrò a prenderti, intanto avvertirò la direttrice.

— No, no, domani, — diss’io colle lagrime agli occhi, — subito, ti prego, domani non ti ricorderai più di me, sei stata tanto tempo senza venire. [p. 36 modifica]

— Che sciocca! allora eri una bimba e m’annoiavo a parlare con te, e poi i bimbi non mi piacciono, strillano, toccano tutto, sono irrequieti, ma ora sta tranquilla che non ti abbandonerò più, mi piaci tanto tanto e sarai la mia compagna, ci ameremo come due sorelle. Addio, a rivederci domani, trovati pronta, perchè non ho pazienza d’aspettare, — e scomparve come una bella visione.

Dunque era vero, finalmente si schiudevano come per incanto le porte della mia prigione! Quel giorno vissi come in un sogno, e come in un sogno udii le parole che mi andava dicendo la direttrice.

— Ero proprio fortunata, — diceva, — infine andar colla zia era la miglior cosa che mi potesse capitare; la zia, è vero, non passava per una donna molta seria, anzi avea fama d’esser piuttosto volubile, ma avea cuore e non m’avrebbe certo abbandonata, poi era [p. 37 modifica] la sola guida conveniente per fare i primi passi nel mondo, in questo mondo pieno di pericoli. Poi mi raccomandò di ricorrere a lei se avessi bisogno di qualche consiglio e terminò con una specie di sermone che non mancava mai di fare alle fanciulle che uscivano dal collegio.

Ma perchè, al momento tanto desiderato di lasciare quel luogo dove avevo passato dodici anni, perchè, pure avendo il cuore riboccante di gioia, ebbi un momento di debolezza, io, la figlia d’un militare e mentre la carrozza mi trasportava volando attraverso la città, perchè dovetti nascondere la faccia sulla spalla della zia per ricacciare una lagrima che mi spuntava in un angolo delle ciglia?

Era forse in causa dei luoghi lasciati, forse per l’ignoto a cui andavo incontro, non so! È un enigma al quale ho pensato spesso e non sono mai riuscita a spiegarlo.