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In memoria di Aurelio Saffi

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Algernon Swinburne

1890 1892 Mario Rapisardi Indice:Opere di Mario Rapisardi 5.djvu Poesie Letteratura In memoria di Aurelio Saffi Intestazione 25 maggio 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta L'Empedocle ed altri versi


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IN MEMORIA DI AURELIO SAFFI


(dall’inglese di A. Ch. Swinburne)

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Il mondo, ch’è del nostro assai maggiore,
     Ecco un’anima accoglie, onde la vita
     Su la terra fu tutta uno splendore.

La giornata dell’uom d’ombre è finita,
     Ma se Amor gli sorrida, invan l’avara
     Morte lo spinge all’ultima partita.

Fede, Speranza, Amore, oltre la bara,
     Al ciel della memoria alzar le penne
     Miran questa ognor viva alma preclara,

Ch’alto lo scudo e il roman brando tenne,
     Quando un’orda francese, il patto infranto,
     La libertà di Roma a spegner venne;

E il maggior dei mortali erale accanto,
     A cui diè casa il cielo or son già nove
     E nove anni. Splendea qual per incanto

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La terra, e allo spirar dell’aure nove
     Sopra tutte sublime essa il vol prese
     In vista al cielo e a primavera; e dove

Nell’esultanza del futuro attese
     Ridono l’alme, ad ascoltare è sorta
     L’armonie che da noi non sono intese.

Or con Lui vive ove la morte è morta,
     E quanti ebbero braccia e cor d’eroi,
     D’una luce, che i nostri occhi conforta,

Splendono e tal virtù piovono in noi
     Per che scorgiam quanta speranza inondi
     Chi sciolse nella fede i lacci suoi,

E libero si fe’, qual ne’ profondi
     Sonni ci avvien, se come ciel sereno
     S’aprano i sogni nostri alti e giocondi.

Ahi, sol da pochi giorni un mese è pieno,
     Che la sua destra in cari segni espresso
     Mi sigillò l’antico affetto in seno!

Tanto dunque alla terra il cielo è presso
     Quanto alla riva il mar? Simili a sposi
     Strette son Vita e Morte in dolce amplesso?

Ma qual sole che squarcia i tenebrosi
     Nembi e l’aria raccheta e il polo accende,
     La tua scritta parola i procellosi

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Dubbj in me sgombra, e allor più viva splende,
     Che la Fede, onde fiamma e luce avesti,
     Tra speranza e timor trepida pende.

O di torbidi affetti, o di funesti
     Fermenti immacolata anima schietta,
     Chi per sentier’ più erti e più rubesti

Attinse mai la gloriosa vetta,
     E la vita acquistò ch’eterna dura,
     E paradiso dalla terra è detta?

Paradiso d’amore, ove ognor pura
     Arde la luce, e in sua giustizia incede
     Il Tempo che l’oneste opre infutura;

E di ciascun, che in terra esempio diede
     D’alta virtù fra generose lotte,
     Il nome incide e non oblia la fede.

Forse i rosei mattini oblia la notte?
     Forse l’animo nostro il sole oblia,
     Perchè s’immerga nell’equoree grotte?

O perchè delle nubi il popol sia
     Sparso ampiamente su la terra e il mare,
     E spenti i fuochi dell’eterea via,

Sì che il ciel resti come fosco altare,
     Scordan l’onde e le glebe il bel turchino,
     Per cui sì vago il lor sembiante appare?

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Trionfa il sole in suo fulgor divino;
     Passa l’ombra e la morte, e la vitale
     Forza procede per fatal cammino.

Non può loco aver morte entro immortale
     Spirto, che vinto ogni feral ritegno,
     Vittorioso al cielo agita l’ale;

E dispergendo con sublime sdegno
     L’ombre, ond’è infetto ed annebbiato il lume
     Che guida i cori insonni ad arduo segno,

Dalla tenebra immane erge le piume
     Alle nitide altezze, ove disciolto
     D’ignei vapori e di maligne brume

E in estasi divina il terror vòlto,
     Mira quel Ver, che sogno parve al mondo,
     In una gloria di bei raggi accolto.

Fede, Giustizia, Amore e quel fecondo
     Odio in ciel nato, ch’ogni grande affetto
     Tempra nel foco suo chiaro e profondo,

Ebbero in quest’altera alma ricetto.
     La qual ne fu, quando tra noi vigea,
     Di riverenza e di stupore oggetto;

E nella luce d’una eccelsa Idea
     Ne avvivò gli occhi ad ammirarla intenti
     Salda in quell’odio, onde l’amor si crea:

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Odio dell’odio, non odio a’ viventi,
     Che velenoso e viscido spumeggia
     Su la lingua de’ preti e de’ serpenti,

E l’aria ammorba alla romana reggia,
     Ov’or non pienamente empie sua fame
     Il bieco dio che trucida e festeggia:

Poi che scarso di preci e di carname
     Stride il suo stuolo ingordo, e striscia e balza
     Di preda in cerca e di lussuria infame.

E intanto la marea splendida s’alza,
     E il torvo nume e la vorace schiatta
     Indeprecabilmente a morte incalza.

L’Ombra, da cui sbucò, la Chiesa allatta;
     S’apre ansante l’Abisso, e nel perduto
     Seno agogna la prole egra e disfatta.

Il magico poter, ch’ebbe polluto
     La terra e il ciel di colpe e di vergogna,
     Come la morte eternamente è muto;

Dell’error sigillata è omai la fogna;
     Di terror fredde e come cener bianche
     Le labbra in cui ghignò l’empia menzogna;

E colei ch’agitò su l’alme stanche
     Il vessil della notte e del terrore
     La tempia ha rotta e le rapaci branche.

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Quando naquer gli eroi, che dell’Errore
     Debellarono il regno, appena a’ venti
     D’Italia in nome ardía lagnarsi Amore;

Curvi tra ceppi e di speranza spenti
     Gemeano i petti, che alla regia zanna
     Cadean venduti come vili armenti

Dal prete rio, cui l’uman sangue è manna,
     E di cui la vittoria al mondo è lutto,
     Gloria l’offesa e il benedir condanna.

Ma or che l’alta Idea reca il suo frutto.
     Può la Storia negar lode immortale
     A quanti all’alta Idea diêro il cor tutto?

Sacra non fia la lor memoria quale
     D’Alighieri la vita, onde l’accorto
     Pensier già parve a’ vaghi sogni eguale?

L’astro di libertà per loro è sorto,
     Sorta Italia per loro in regal manto;
     E fin che il ciel non sia rigido e morto,

Splenda il lor nome al sol d’Italia accanto!