Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XVII

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CAPO XVII.

Entrata di Cosroe nella Colchide ed ubbidienza prestatagli dal re Gubaze. — Assedio della città di Pietra con grave perdita delle truppe reali. — Minata, arrendesi per capitolazione.

I. Cosroe passata l’Iberia e giunto sulle frontiere de’ Colchi pose mano ad atterrare gli alberi, gittandoli nei precipizi, e ad aprirsi una via per quei luoghi sino allora inaccessibili 1. Pervenuto quindi nel mezzo del [p. 213 modifica]paese, famosissimo per le avventure di Medea e Giasone2, ebbe a suoi piedi il re Gubaze, giunto colà per fargli omaggio della sua corona.

II. Avvicinatosi con nuove marce a Pietra, altre volte oscuro villaggio sulle rive del Ponto Eussino, ed ora, abbellito e fortificato da Giustiniano, pregevole citta della Colchide, e sentendola guardata da romano presidio avente a duce un Giovanni3 vi spedì Aniavedo con soldatesca per assaltarla; ma Giovanni avvisato della venuta e dello scopo di quelle truppe comandò ai suoi di tenersi armati ed in perfetto silenzio presso delle porte senza uscir fuori o mostrarsi dall’alto delle mura. Il nemico arrivatovi e suppostala deserta, non vedendo guerrieri nè ascoltando rumore alcuno, subito vi rizzò [p. 214 modifica]le scale nella speranza di entrarvi, con ogni agevolezza Cosroe, informato anch’egli di tutto, inviò al duce rinforzi, e l’ordine di adoperarsi con istraordinario coraggio per vincerla; mandovvi eziandio un ariete a fine di abbattere alcuno, degli ingressi, ed in tanto da luogo elevato e’ stava mirando la impresa. Ma la guarnigione spalancate improvvisamente le porte avventossi contro gli assalitori e miseli in fuga4. Il Persiano allora fece appiccare per la gola Aniavedo in pena dell’essersi lasciato sorprendere da un uomo sì ottuso ed inesperto com’era il duce romano: si pretende tuttavia da altri che il gastigo non colpisse Aniavedo, ma il sovrastante all’ariete. Circondate di poi col nuovo giorno quelle mura, gli assediatori principiarono a tirarvi dentro incessantemente, e gli assediati a difendersi con ogni lor mezzo, dapprima forte molestando il nemico senza riportarne danno, favoriti dalla opportunità di saettare dall’alto al basso; ma quando fu trafitto il comandante loro da una freccia nella gola ed ucciso, e’ caddero nella massima costernazione, ed un fato avverso rendeva la perdita della città inevitabile: sul far della notte i barbari tornarono al campo, e colla dimane s’accinsero a formare una mina del tenore seguente. [p. 215 modifica]

III. Nessuno può accostarsi alla città vuoi dal lato, marino, vuoi dal lato della scogliera, ed avvi un solo adito angustissimo tra due monti, del quale profittarono i suoi fabbricatori, desiderando munirla da questa banda, per innalzare un gran muro da poggio a poggio avente alle sue estremità due torri di sasso ben duro e non cedente all’ ariete. Il nemico pertanto minata una di esse torri, e levatevi dalle fondamenta molte pietre la puntellò, e compiuto il lavoro mise a fuoco i sostegni. Consumatosi ben presto il legname, precipitò l’intiero edifizio, accordando ai suoi difensori appena il tempo di campare la vita: i cittadini veduto il portentosissimo effetto di quell’artificio capitolarono, arrendendosi a patto di non soggiacere a morte ed alla perdita dei patrimonj loro. Di tal guisa il Persiano conquistò Pietra e con essa tutti i tesori lasciativi da Giovanni; guardossi nondimeno dal metter mano sopra gli averi de’ cittadini, scrivendo unicamente nel ruolo delle sue truppe una parte de’ soldati prigionieri.

Note

  1. V. cap. 14, § 3, di questo libro.
  2. Regnava nella Colchide Eeta quando approdovvi Giasone per ottenere il vello d’oro appeso entro un bosco sacro a Marte, e custodito da un drago che mai dormiva. Il re udita la costui domanda promise di compiacerlo quando il rivedrebbe vittorioso in due propostegli imprese molto simili alle tante di Ercole. Or mentre Giasone andava seco stesso pensando al come riuscirvi, Medea, figliuola del re, innamoratasi di lui e giunta a riportarne parola di nozze, appalesògli all’insaputa del genitore i mezzi per riuscirvi. Mancatogli però allora di fede Eeta, l’amante stessa di nottetempo condusselo nel bosco, e con veneficio fatto addormentare il drago s’impadronì del vello, e montata con Giasone sulla nave salpò alla volta di Iolco (V. Apollonio, Biblioteca, lib. I). Così però Appiano: «Scorrono giù dal Caucaso molte sorgenti con arene invisibili d’oro, e gli abitanti v’affondano groppi lanosi, onde le arene vi s’implichino e le raccolgano; e forse tale era il vello d’oro d’Eeta» (Guerra Mitridatica).
  3. V. cap. 14. § 2, di questo libro.
  4. Marcello valendosi del medesimo stratagemma in Nola contro i Cartaginesi, riuscì ad ingannare l’accortissimo duce loro ed a liberare quelle mura dall’assedio: o Fu questa la prima volta, scrisse Plutarco, in cui le truppe di Annibale vinte restarono, e respinte fino al campo con grave loro perdita, ascendendo questa a cinque mila uomini, mentre i Romani non ne perdettero che cinquecento.» (V. di Annibale, trad. del Pompei).