La Donna e i suoi rapporti sociali/La donna e la scienza

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La donna e la scienza

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LA DONNA E LA SCIENZA



Le donne antiche hanno mirabil cose
Fatte nell’arme e nelle sacre muse,
E di lor opre belle e glorïose
Gran lume in tutto il mondo si diffuse.

Ben mi par di veder ch’al secol nostro
Tanta virtù fra belle donne emerga
Che può dar opra a carta e ad inchiostro
Perchè ne’ futuri anni si disperga.
ARIOSTO, Canto XX.


Ridire tutto che fu detto, pensato e giudicato sulla creduta innettitudine dello spirito femminile alle produzioni dell’intelligenza, non è cosa che in due parole possa farsi. L’uomo, per fini che non è difficile troppo immaginare, tentò sempre persuaderselo, e colla forza e coll’autorità, colla potenza d’una opinione ingiusta, che egli diffuse in ogni modo, tentò persuaderlo alla donna altresì, la quale, a sua volta, siccome avviene che allo scoraggio ed al sentimento della propria nichilità tenga dietro una profonda ed assoluta atonia, principiò a persuaderselo ella stessa, e cadde così nella più funesta sventura che incogliere possa essere morale, nella completa [p. 146 modifica]incoscienza di sè, delle proprie facoltà, delle proprie forze.

Tutto congiurò ad annichilirla: e la forza brutale. che di null'altro curavasi che di porre a profitto le sue membra a vilissima servitù; e la perpetua soggezione, che la tiene sempre pendente dallo arbitrio altrui, epperò informata la vuole ad estranei interessi; e la incapacità legale, che le è aggiudicata senza restrizione o considerazione d’età o di individuo; e la scienza, che sebbene la vegga starsi coll’uomo in ragione di causa e d’effetto, pure facendo per lei eccezione all’ordine delle cose tutte, pretende che qui soltanto sia la causa d’altra natura dello effetto suo: e la letteratura, che null’altro mai trova di laudabile in donna che l’occhio, le carni, le chiome, il grazioso incesso e le tornite membra; e lo aborrimento che molta parte degli uomini si reca ai gravi studi, onde fastidiosa loro torna ed importuna la donna, il cui spirito serio e colto sentono di non potersi facilmente sedurre colla scarsa scienza di sciorinare scipiti complimenti, nè col natural dono di un prepotente polmone; e lo angusto confine dalle istituzioni d’ogni paese statuito alla femminile coltura; ed il poco caso che sempre se ne fece, sicchè dai corpi accademici perfino respinta, quasi gli allori da essi intrecciati non la scienza destinati siano a coronare, ma teste virili puramente e semplicemente.

Da tutta questa congiura contro la femminile intelligenza che ne emerse? Ne emerse, che i progressi dello spirito umano siano più lenti; ne emerse che ogni uomo, aventesi ai fianchi una donna, in luogo d’aversi lo aiuto a lui convenevole, s’abbia un ingombro; ne emerse che questa creatura, nella quale si innoculò con tanto studio il sentimento della sua innettezza, perda ogni dignità, e con la dignità ogni morale; ne emerse [p. 147 modifica]che lo spirito suo, avendosi pur d’uopo d’alimento, nel lusso lo cerchi e nella sola fama concessale di bellezza, e la bellezza procuri con la vanità, e con la vanità resti ogni amor di famiglia assorbito, e si persuada alfine dover ella unicamente, siccome una odalisca, ornarsi a piacere, d’ogni altra cura immemore e non curante.

Dietro simile educazione io non seppi mai concepire come si osi menar tanto scalpore del mal costume femminile e della poca costanza di sentimenti, e della mobilità dello spirito, e del vacuo cicalìo, e della inutile vita, e dei mille nonnulla di cui assidua la donna si circonda, così significativamente espressi e riepilogati dagli antichi romani con quel felice vocabolo di mondo muliebre! Forse che è lecito all’orticultore querelarsi di raccoglier cavoli dove piantò cavoli, e di non mieter che fieno dove non seminò che erba? Bisogna esser giusti! Cento volte lo dissi ed ancora lo ripeto: lo effetto tien natura della sua causa, e la conseguenza scaturisce spontanea dalla premessa.

Oggidì, a vero dire, s’è mitigato non poco il pregiudizio della femminile pochezza d’intelligenza; ma per essere la società nostra meno idrofoba su questo articolo, non è però più larga nell’offrir mezzi di coltura alla donna che, se ella tenta lo innato ingegno volgere ad utili studii, mille materiali e morali imbarazzi le è d’uopo superare e vincere.

Angusti e stinchi sono i programmi d’insegnamento che la riguardano. Le si parla di tutto, e quando comincia a comprendere le si chiude il libro dinnanzi e le si dice: basta; sicché, s’ella sortì da natura spirito generoso e nobilmente curioso di sapere, vedesi dannata alla pena di Tantalo, nè v’ha provvedimento alcuno che incoraggi il suo genio, quand’anche prepotente si [p. 148 modifica]manifesti in qualsiasi branca dello scibile, mentre centinaia d’uomini, che natura sortiva inetti di spirito ed angusti di mente, insegue inesorabile la sferza del pedagogo, e da lor s’affatica e suda il mal capitato maestro ad estrar lume d’intelligenza, che però mai non giunge.

Nè mi si dica che la baldanza del genio giunger deve a domare le difficoltà, a superare ogni barriera. Ciò è vero per alcuni, ma non lo può esser per molti, chè alla lotta non tutte le nature sortono inchinevoli, anche fra i parecchi che aver possono svegliata intelligenza; che se a cotal legge subordinar volessimo tutto il viril sesso (e lo fosse stato fin qui), l’umanità non avrebbe discorso pur la metà del suo intellettuale cammino, chè mancato avrebbe a tutte le intelligenze, che potentemente l’aiutarono, dottrina ed ispirazione.

Raffaello non raggiunse la perfezione dell’arte se non dopo aver visto le opere immortali del Buonarotti; Cristoforo Colombo immaginò un nuovo mondo, essendo già peritissimo nauta e geografo; Galilei scopriva il moto della terra, sendo profondissimo in fisica; così Newton l’attrazione astrifera, così Volta la pila elettrica, e così in tutto e sempre procede lo spirito umano dal noto all’ignoto, sendo egli debole nell’intuizione e potente nel raziocinio.

Ora, che per aversi comunemente una fiacca opinione della capacità femminile, le si accumulino davanti gli ostacoli, le si tolga ogni mezzo, e le si allunghi il cammino, questo è ciò che non giungo a giustificarmi, chè sarebbe come spargere dei ciottoloni e dei macigni sul suolo dove il bambino muove i primi passi adducendo a ragione ch’egli non sa camminare. Se questo sia logicare ditelo voi?

Ma un cotal trasnaturamento dei semplici dettami della ragione non potè farsi universale [p. 149 modifica]coscienza, se non per quel difetto di principii che ci è tante fiate occorso di lamentare nel corso di questo lavoro. Gli uomini abbuiati dallo errore, e sedotti dagli interessi, non risalgono ai principii mai, si fanno sordi al dovere, giungono a scordarlo, quindi ad ignorarlo affatto, e la società scende alla fine a non essere altro che un meccanismo svolgentesi colle mobili e gratuite forme della convenzione.

Si è convenuto adunque che la donna non deve sapere: epperò si dirige in modo la sua intelligenza, o meglio se ne sopprime così lo sviluppo, da condurla alla perfetta evirazione. Che se alcuna giunge, mediante erculei sforzi, a districarsi da quegli impacci, che ingombrano il sereno ed ampio orizzonte della sua mente, eccole addosso l’opinione co’ suoi mille proiettili, ecco la critica coi suoi mille strali, la satira coi suoi morsi, la maldicenza coi suoi pungoli, il pregiudizio, lo scandalo e tutta la falange degli inutili e dei nocivi, di cui il mondo ha dovizia, che la lingua tengono nel nobile esercizio di parlare a proposito ed a sproposito di tutto, e di tutti, asserendo, condannando, ed assolvendo senza darsi briga nessuna di essere giusti e ragionevoli! E come lo sarebbero?

Codesta gente (Dio loro perdoni ) sono davanti all’umanità, che cammina verso la civiltà e verso il bene, come i ciottoli che si pongono davanti le ruote d’un veicolo; se questo nella sua corsa non riesce a triturarli, soverchiandoli rapidamente senza curarli, esso ne sarà arrestato. E ciò sia detto a voi, giovani mie lettrici, nel cui spirito per avventura allignasse nobile desiderio del sapere, e nel generoso intento veniste scuorate dal più o meno esteso pregiudizio. Coraggio, ed avanti! Il bene, è bene in sè stesso, ed a sè stesso basta, abbia o no l’applauso dei molti; e [p. 150 modifica]la coscienza del ben fare è largo compenso all’ignoranza, che non lo sa apprezzare.

Nè crediate che l’intelligenza e le sue produzioni siano un privilegio dell’altro sesso chè, abbandonandovi al letargo nella creduta impossibilità di molto fare, nulla poi fate, e ad ozio vergognoso passate i giorni, gli anni, e la vita. Se gli uomini tutti avessero la mente di Alighieri, di Vico o di Macchiavello, l’umanità per vero sarebbe a sufficienza servita, ma le sono queste unità colossali che tutti i secoli celebreranno, vedendosene assai di rado riprodotte le copie, mentre a centinaia ed a migliaia veggiamo intelletti ottusi e spiriti angusti, che appena bastano al disimpegno dei famigliari interessi o di materiali gestioni, che non sono che la quotidiana ripetizione dell’egual meccanismo; chè in quanto ai mille altri che pur raggiungono gradi accademici, quando si considerino i lunghissimi anni di pertinace studio, e i mille mezzi d’istruzione aperti alla viril gioventù, la congiura dei parenti e degli insegnanti, delle istituzioni e delle opinioni, dei mezzi e della necessità a spingerveli, sarebbe invero un disgraziato fenomeno se difettasse loro anche quella facoltà che è la memoria, e quel poco di criterio necessario a rendersi conto di ciò ch’ella ritenne.

Che se, dopo pochissima riflessione sul diverso procedere della educazione e dello insegnamento riguardo ai due sessi, veniste a stabilire, che l’uomo ha il privilegio dell’intelligenza; o che non sapremmo cosa pensarci del criterio vostro, o che saremmo indotti nel dubbio che, amando voi sopra ogni utile e nobile cosa la vacuità della vita e la inerzia dello spirito, onde almeno essere a voi conseguenti mostriate portar profonda la credenza della vostra nichilità.

Ma s’egli è questo basso fine che vi muove, l’onta vostra non estendete ad altrui, e non [p. 151 modifica]calunniate tutto il sesso vostro, che potentemente e vittoriosamente vi risponde col linguaggio dei fatti.

Sì, la donna, benché da mille materiali impacci circondata, a gran dispetto d’una educazione che altamente le raccomanda di saper meno che le sia possibile, di sotto all’immane pondo d’una opinione orba di senso morale, che le perdona più presto il mal costume che non il sapere1, ha saputo ben sovente giungere attraverso a mille ostacoli a mordere il pane della sapienza ed a ristorare le assetate labbra nelle onde immortali d’Ippocrene. Nè le scienze esatte, nè le speculative, nè le opere della fantasia, nè quelle del gusto, nè le arti estetiche, nè le strategiche la trovarono insuscettibile, laonde ciò veggendo cantava lo divino Ariosto:

«Le donne son venute in eccellenza
«In ogni arie dove han posto cura».

E questo vi ripete l’antica Didone, che fondava Cartagine e la sua prosperità.

La temuta Semiramide, che gettò le fondamenta di quello impero babilonico che assorbir dovea l’Asia tutta, ed i popoli civilizzò e le arti incoraggiò e protesse, e saggia legislazione impose, e vasti ebbe i concetti ed il braccio intraprendente.

La fortissima Zenobia, che tenne salde le conquiste del consorte, le estese, e gli eserciti [p. 152 modifica]sempre guidò con arte profonda ad infallibile vittoria.

Debora che, giudicando Israele con ogni saviezza durante lo teocratico governo, cantava di sè stessa: «Le viilate in Israel erano venute meno, erano venute meno, finch’io Debora sursi, finch’io sursi per esser madre in Israel». Ella reggeva Israele nei difficili tempi, in cui stavasene travagliato dalla invasione di Jabin potente re di Canaan, che aveva sopra quel popolo spedito Sisara, del quale un’altra donna sbarazzava Israele.

Amalasunta, regina degli Ostrogoti, che saggiamente resse i Italia nella minorità del figlio Atalarico; e tentò civilizzare i suoi barbari popoli, ed il giovine principe educar fece, in-onta ai costumi della sua nazione, nella scienza e nelle arti.

La grande Isabella, che sortito avendo alti spiriti, cuor generoso ed indole intraprendente, sola fra i sovrani tutti d’Europa incoraggiava di protezioni e di mezzi Colombo all’alta scoperta, e finché visse lo coperse dalla vigliacca gelosia del consorte, e dalle basse persecuzioni dei grandi.

Pulcheria, imperatrice d’Oriente, che preceduta e seguita da una serie di principi inetti e viziosi, diede, nella durata del suo saggio reggimento, un’epoca di tregua e di prosperità al travagliatissimo impero.

Atenaide, quindi Eudossia, che portò sul trono l’amor del sapere, laonde sposa d’un principe inetto, quale si fu Teodosio, giovine e bella nella più svagata e molle e dissoluta corte, qual era quella di Bisanzio, seppe pure la vita nobilitare fra utili e serie occupazioni. Scrisse un poema sulla vittoria delle legioni latine sopra le persiane falangi (l’anno 421). Verseggiò i cinque libri di Mosè e le profezie di Zaccaria e di Daniele. Scrisse [p. 153 modifica]un poema in tre volumi intorno a S. Cipriano ed a Santa Giustina, e finalmente pubblicò il Centone di Omero, unica fra le opere di lei che ancor ci rimanga.

Elisabetta di Inghilterra, il cui talento politico potentemente si rivelò nei quarant’anni di prosperità che quel paese godè sotto il suo reggimento.

Bianca di Castiglia, che resse con forte braccio i Francesi tumultuanti ed insofferenti del suo impero, ed abbenchè piissima, pure liberò i contadini dalla ecclesiastica autorità, che degenerata era in barbara tirannia.

Maria Stuard, le cui sventure e la prematura tragedia impedirono solo di sviluppare i germi del raro ingegno. A quattordici anni conoscitrice di diverse lingue, con un’anima profondamente sensibile alle sublimi attrattive della estetica, arringava in purissimo latino la corte francese, che attonita l’udiva, davanti ai capi d’arte.

Catterina I, imperatrice di tutte le Russie, che sorta dal popolo, non mostrossi però spostata sul trono, eseguì, dopo la morte del magno Pietro, la sua politica civilizzatrice, fondando i primi corpi accademici a Petersbourg.

Catterina II, dal signor di Voltaire chiamata la Semiramide del Nord, che seppe sì gloriosamente regnare da farsi perdonare il violento colpo di Stato della notte dell’8 al 9 luglio, col quale sbarazzava il trono dell’inetto marito, e sola impugnava le redini dell’impero. Incoraggiò l’agricoltura, creò la marina, promulgò utili leggi per l’amministrazione e per la giustizia. Chiamò a Mosca i deputati di tutte le provincie allo scopo di riformare la legislazione, e presentò all’assemblea le istruzioni scritte di proprio pugno in francese, e che, traslate poi nel moscovita idioma, stanno deposte nella biblioteca dell’Accademia di Petersbourg. Allargò i confini del già vasto [p. 154 modifica]impero, legando a’ suoi successori l’indomabile orgoglio della conquista.

Cristina di Svezia, che portò sul trono un carattere intraprendente e fermo, e stese i confini del regno di molte provincie, resse con Saviezza, amò le arti e le scienze, ed ella stessa lasciò monumenti della sua robusta intelligenza in diverse produzioni.

Maria Teresa, che seppe con fermezza straordinaria, in freschissima età, resistere imperterrita a tutta l’Europa coalizzata, sostenendo, contro tutti, i diritti conferitile dalla Prammatica sanzione; ed all’ardua lotta si accinse col tesoro vuoto e 30 mila uomini male organizzati. Ridonata la pace all’impero, resse con scettro materno le diverse nazioni, e misera l’Italia se i suoi successori ne avessero tutti imitata la bontà e la saviezza: essi ci avrebbero adusi a baciare le straniere catene eternamente. Espulse i gesuiti, iniziando così quella riforma che Giuseppe II suo figlio proseguì con sì filosofico e felice ardimento.

Nè così presto la finirei, se tutte nominar dovessi le donne che felicemente ressero popoli e nazioni (2), e che nei politici accorgimenti si segnalarono, anche non essendo alla testa degli Stati; riportandomene sopratutto a quella Francia che con una inqualificabile inconseguenza, mentre nega [p. 155 modifica]a testa di donna la corona, ed a destra femminile lo scettro, decreta però a quella le cure della reggenza, ed in mano le pone le redini del governo, rendendo così giustizia alla sua capacità nel mentre la insulta coll’esclusione nominale, quasicchè, di fatto, alla suprema reggente d’uno Stato la cuffia differisca dalla corona.

Nè meno si segnalò la donna nelle scienze e nelle arti, alle quali ha pur chiuso affatto ogni cammino, e nelle quali non giunge a segnalarsi se non a patto di combattere da sola tutti gli ostacoli frapponentisi, di sollevarsi colla sola potenza del suo genio e della sua volontà, di sempre procedere nell’arduo sentiero senza maestro e senza guida.

Saffo di Mitilene, per la classica bellezza dei suoi versi, fu sopranominata la decima Musa.

La greca Aspasia salì in gran fama pel suo pubblico insegnamento di filosofia.

La celebre Isotta, signora di Rimini, in acerbissima età trattava familiarmente le lingue morte, e versatissima fu in molte scienze e specialmente nella filosofia morale, nella fisica e nella poesia.

Maria Cönnitz, versata nella scienza delle sfere, pubblicava, nel 1650, le sue riputate tavole astronomiche sotto il titolo di Urania propitia.

Maria Angela Ardinghelli, napoletana, fu celebre nelle scienze fisiche e nell’algebra.

La nobile Maria Gaetana Agnesi di Milano, fiorita nel principio dello scorso secolo, pubblicava, nell’età di 9 anni (!) una orazione latina in difesa della donna. Negli 11 anni conosceva il greco, tanto da gustarne gli autori e parlarlo speditamente (le lingue morte sono pure i due martirii della studiosa gioventù!) e conobbe il francese, lo spagnuolo, l’ebraico ed il tedesco, quindi l’animo volse a severe discipline. In età di 16 anni traslatò i supplementi del Freinsemio al Q. Curzio [p. 156 modifica]in quelle quattro lingue. Nel 1748 pubblicava il suo testo delle Istituzioni Analitiche, tanto di poi riputato, per cui Benedetto XIV la chiamava a coprire la cattedra onoraria d’analisi nell’università di Bologna. Non vuolsi ommettere, che questa rara donna accoppiò allo splendore dell’intelligenza la più profonda modestia, e la più integra virtù ad una peregrina bellezza, cose tutte che, per esperienza della pochezza della umana natura, sembrano, se non elidersi, certo almeno ben difficilmente accoppiarsi.

Giuseppina Renier, della famiglia dei dogi Renier, donna di finissimo spirito, del quale fanno chiarissimo testimonio le opere da lei lasciateci e specialmente la sua accreditatissima storia: Delle origini delle feste Veneziane.

Tullia d’Aragona, autrice del poema epico il Meschino, e chiara in ogni poesia.

Teresa Bandeitini, poetessa estemporanea. Tradusse i Paralipomeni e pubblicò il poemetto l’Adone del Teseide, del Montramito e del Viareggio. Fu eccellente nella lirica e nelle cantate, nelle odi e in ogni forma poetica.

Properzia dei Rossi, fu, nel secolo XV, pittrice e scultrice di molta fama.

Rosalba Carriero, giunse a grande fama d’artista nella miniatura e nel pastello.

Anna Monticelli, napoletana, fu chiara nel diritto.

Pellegrina Amoretti, fu laureata in legge nell’università di Pavia, ed a profitto dei poveri sempre volse la rara eloquenza.

Suor Maria Dominici, Ginnasi Catterina, Angela Cantalli Cevazza, Camilla Lauteri, Elisabetta Lazzarini, Isabella Pozzo, Lucia Scalini, Lucrezia Quistelli, Annida di Massimo, Arianna Maria Galli, Luigia Capomazza, Ginevra Gentosoli, Francesca Fantoni, Barbara Longhi, [p. 157 modifica]Veronica Fontana, Teresa Muratori, Teresa dal Po, Maria Robusta Tintoretta, Elena Recca, Lucrezia Scanfaglia, Flaminia Reggio e le tre sorelle Siriani, tutte, coltivarono con fortuna la pittura e tutte nel secolo XVI, secolo che altre assai ne conta, ma troppo lungo sarebbe lo annoverare.

Maria Teresa Agnesi coltivò la musica, e delle sue composizioni ancor ci rimane la Sofonisba. La francese letteratura illustrarono la Scudery, la Fayette, Ninon, madama di Sevigné (le cui lettere sono tuttavia testo di stile epistolare), madama di Montespan, madama Maintenon, madamigella Lolotte.

Nella filosofia morale si distinsero madama Neker, che nel suo trattato d’educazione rivaleggiò il famoso Emile di Rousseau; la marchesa di Sablè, madama Genlis.

Nella filosofia sociale: madama Staël, e quel sommo intelletto che oggidì illustra la Francia sotto il pseudonimo di Giorgio Sand, Anna Dupin, baronessa Du Devaent, che tanta luce profonde sulla filosofia razionale, nei suoi numerosissimi lavori.

In Italia coltivarono filosofia: Vittoria Colonna, la Stampa, la Gambaro, ed oggidì trattano morale filosofia la Guidi, la Ferrucci, la Torsellini, ed altre assai che la vita consacrano allo insegnamento della femminil gioventù.

L’Irlanda vanta: in Maria Edgewort, T inventrice del romanzo storico ed il fecondo ingegno che una miriade nel popolo ne diffuse a piacevolmente istruirlo.

L’Inghilterra, le cui donne sono colte, ci mostra con orgoglio miss Witt Mario, vasto e profondo intelletto che dalla cattedra di New-York dettava all’accorsa gioventù i dettami del viver civile: e l’America del Sud, nel giorno in cui si leverà, colla schiavitù dei negri, la macchia che la [p. 158 modifica]deturpa, ergerà un monumento a miss Beecker Stow che le fa, col potente e benefico ingegno, da sentinella avanzata della civiltà. E dopo tutto il fin qui esposto ed il molto più ancora taciuto, che però le mie colte lettrici non ignorano, sulla potenza del femminile ingegno, non ci sembrerà certo adulazione ciò che Ariosto scrisse, ma essere pura e semplice verità.

«Le donne son venute in eccellenza
«In ogni arte dove han posto cura».

Perchè, mai adunque non porrebbero desse cura a coltivare in sè stesse, dalla età tenera, questi preziosi doni di cielo? Non sapete voi che l’umanità si travaglia per penuria d’intelligenza, e che la civiltà non potrà mai rapidamente universalizzarsi finchè non si generalizzi nella donna l’amor del sapere? Che non mai tanto l’uomo sarà punto a generosa emulazione, come quando temerà di vedersi per ogni dove dalla donna superchiato? Che non mai sarà la umana società tanto felice come quando l’uomo volgerà le sue mire conquistatrici al nobile primato dell’intelligenza, più non curando il primato del muscolo? Nè mi fate le timidi obiezioni dell’opinione, della critica, del biasimo. Per dio! siamo abbastanza numerose da formar noi pure un’opinione, un criterio, una coscienza; siamo una massa abbastanza compatta e potente da combattere con vantaggio e con successo contro la guerra di polmoni, che ci può muovere la opinione, che in molta parte da noi stesse è formata.

«Non distrugge città guerra di lingue»

come non consuma i libri la critica più spietata, come il sole non perde pur uno de’ suoi raggi per agglomerarsi di basse nubi. [p. 159 modifica]

È d’uopo che la donna alfin si sollevi al sentimento del suo intrinseco valore, e sè stessa estimi per quel che vale, e non dall’altrui giudizio sempre servilmente aspetti ed apprenda la cifra del suo valore.

Si parlò da molti, e noi stessi parlammo, della influenza della donna nella famiglia e nella società, influenza che ogni esistenza esercita sulle vicine direttamente od indirettamente pel natural ordine delle cose, e nel caso nostro anche infinitamente più sentita, sendo i rapporti della donna coll’uomo tutti affettivi, epperò questo ascendente suo potente e diretto.

Ma avviso nostro non è soltanto, che educare e coltivar si debba la donna, affinchè miglior utile rechi all’uomo, e più così a lui s’aggiunga di potenza morale chè, quando tutti qui fossero i motivi, che portar debbono la donna alla scienza ed allo sviluppo delle sue morali facoltà, rispondendo lo egoismo femminile degnamente al virile, potrebbe dessa, con qualche ómbra di ragione, ricovacciarsi per altri secoli nella sua tranquilla nullità, dicendo: se l’uomo tentò abrutire il mio spirito, perchè mi affannerò io a produrre per lui; raccolga egli ciò che ha seminato, non trovi che nullità ove non piantò che ignoranza, e vizio mieta dove non seminò che pregiudizio. Perchè mi sacrificherei alla famiglia? Perchè ogni dolore incontrerei lieta per una prole che, adulta, imparerà dalle istituzioni del suo paese ad avermi in poco conto; per un consorte, che verso di me modestamente s’intitola padrone unico ed assoluto? Perchè sentirei io pietà del povero, mentre la mia stessa proprietà è soggetta all’arbitrio altrui, ed in faccia allo Stato tutti i danni soffre, e non gode nessun dei vantaggi? Perchè lo egoista istinto materno immolerei alla patria; e l’oro e le gioie e l’opera le con[p. 160 modifica]sacrerei, se la schiavitù mia sta sotto ogni forma di governo nazionale o straniero, laonde le patrie questioni non sono per me che tesi astratte e di remotissimo interesse? Perchè ogni impulso di natura aggiogherei, tiranneggiando me stessa, per piacere ad un uomo che non si dà per me l’egual pena, creando a sè una morale dagli ampii margini, mentre a me disegna i confini più angusti appena escogitabili dal personale arbitrio?

E la donna così pensando, ed operando in conseguenza, scarsa vendetta farebbe delle patite enormità; e non potrebbe l’uomo troppo lagnarsene: ed ella avrebbe il pien diritto di cavare cotali conclusioni dalla lunga storia de’ suoi martirii. Ma oltrecehè la donna, fornita ben più dell’uomo d’animo generoso, di raro i conti suoi fa colli interessi, e sempre col cuore; ella così facendo non farebbe che ribadire le catene della sua schiavitù, ed affermare la nullità della sua intelligenza. Laonde non quei soli indiretti motivi portarla debbono a coltivarsi, ma altresì lo suo stesso interesse e diritto e dovere.

E dicemmo diritto e dovere; e questo diritto e questo dovere stanno, in onta alla secolare oppressione in cui giacque la intelligenza femminile. Ed egli è appunto perchè il sapere è suo diritto e suo dovere, che vani riescirono tutti gli ostacoli, deboli i ceppi, sprezzate le autorità, superate le barriere, vinte le lotte, il sarcasmo domato e spuntati i ridicoli. Gli è appunto perchè il sapere è suo diritto e suo dovere, che l’uomo ragionevole ed equo piega alfine la vinta cervice innanzi allo splendido vero, alla evidente affermazione del fatto. Gli è appunto perchè è suo diritto e suo dovere, ch’ella pronta e spontanea rispose all’appello della civiltà, e di sè ingombra infinite scuole, dove la filosofia parli al popolo [p. 161 modifica]un benemerito; ed atto assiduo di presenza fa agli atti del nazional parlamento, rendendo talora più significativo il contrasto fra le affollate tribune e i vuoti stalli. Sì, il diritto ed il dovere sono ovunque dall’ordine delle cose posti in rapporto di causa ed effetto. Le attribuzioni dell’essere o della cosa determinano la sua destinazione, ed ecco il dovere; la potenza di porre quelle attribuzioni in moto a raggiungere quella destinazione, ecco il diritto.

La donna, dotata d’intelligenza, ha tracciato il dovere nello sviluppo e nella applicazione di codesta medesima intelligenza, e nessun dovere mai fu sì fecondo in diritti. Lo sviluppo dello spirito e l’applicazione utile ed assidua delle sue facoltà importa l’affermazione del suo intrinseco valore donde l’estimazione, donde la consacrazione della sua autonomia, la abolizione della sua perpetua minorità, la libertà de’ suoi atti, un diritto civile, un diritto politico, un più lato programma d’insegnamento, un vasto orizzonte discoperto alla nobile curiosità della mente, un utile e fecondo riempitivo alla sua vita, un rimedio potente e certo contro l’irrefrenabile sbadiglio cui è dannata dalla sua presente nullità.

Oh venga presto quel giorno, che deve certo venire, nel quale la donna, profondamente compresa dalla coscienza de’ suoi destini, e della propria virtù, forte del sentimento del proprio diritto, sorga a rifarsi con assiduo e nobile lavoro della nichilità morale di tanti secoli!

Sorga quel giorno, che certamente verrà, nel quale la donna trovi nel tesoro della sua intelligenza la leva potente a sollevarsi dal petto quella pietra sepolcrale che la segrega, siccome cosa spenta, dal consorzio dei viventi alla vita morale!

Oh spunti quel giorno, di cui già si traveggono i felici albori, nel quale la donna ogni [p. 162 modifica]ammirazione volgendo al genio ed alla virtù, si sbarazzi all’intorno di quei sdulcinati ed imbelli. amatori, che nulla di meglio nè in sè, nè in lei ora trovando, cantano in essa:

«Stelle gli occhi, arco il ciglio, e cielo il viso,
«Tuoni e fulmini i detti, e lampi i guardi,
«Bocca mista d’inferno e paradiso;
«E che i sospiri son bombe e petardi,
«Pioggia d’oro i capei, fucina il petto
«Ove il magnano amor tempera i dardi».

Oh vergogni ogni donna di non ispirar nulla di meglio che di codesta roba! sì, meschina lei, finché nuli’ altro trovasi di laudabile in lei fuorché ciò che non è suo. Non è possibile dirle più civilmente, con la migliore volontà del mondo, non posso farmi più onore di tanto, con sì meschino e sgraziato argomento.

Giovani colte e lettrici mie, a voi tocca, ed a voi sopratutto importa che quel giorno presto si levi sull’orizzonte; e da voi eziandio affatto dipende. Oh spogliatevi delle inutili vanità, sgombrate il cieco pregiudizio, scuotetevi di dosso la indolenza dello spirito, fortificatelo ai gravi studii, volgetelo alle severe discipline, e sorgendo voi a nuova vita, un vivo impulso darete a tutta quanta l’umanità, che il vostro morale intervento aspetta, a completare l’opera sua col concorso di tutti gli elementi che la compongono.

So che pur troppo tutto da voi non dipende; so che un dovere finora trascurato dalla società è la istruzione vostra, la quale non è per ora che un semplice dirozzamento, e quasi non basta neppure a darvi la coscienza del troppo che vi manca.

Urge, per dio! che la coscienza pubblica si pronunci su questo bisogno! La donna è dalla legge punita quando trovasi in contravvenzione, eppure [p. 163 modifica]non le si dà nozione alcuna del diritto; la civil società la respinge siccome incapace, ma nulla le si insegna di ciò che può farla capace: l’opinion generale diffida della sua intelligenza ad onta dei fotti che l’affermano, ma non le si presenta niun mezzo di sviluppo e d’applicazione.

Dichiarata non responsabile ed incapace in ogni atto che le dà dignità e le suppone intelligenza, responsabilissima reputata in ciò che la infama, e capacissima di ciò che la fa punire o spregiare, ella è veramente in faccia alla umana dignità il Paria e l’Ilota, col quale sì la legge che l’opinione non si danno pena alcuna d’esser logiche, conseguenti ed eque.

L’istruzione ed il lavoro, ecco le sole forze che possono e debbono risollevare la donna ed emanciparla. Finchè la società non l'avrà fatto, nessun argine resisterà al torrente della corruzione, niuna diga si opporrà al degradamene morale e materiale della specie.

Nè la legislazione potrà dirsi filosofica e razionale finché di tutti i componenti la società umana non avrà tenuto conto, e non tutti avrà veracemente tutelato; nè le istituzioni potranno dirsi libere fino a che un elemento così numeroso qual è il femminile, dovrà tutte subirle, senza contribuire alla formazione loro; nè la civilizzazione potrà dirsi, non che compiuta, neppure iniziata, finchè tanto resta nella società, che civile si chiama, d’ignoranza procurata, di forzata servitù e di insultante ostracismo sopra umane creature: nè un secolo potrà dirsi illuminato se non riconosce il diritto dell’intelligenza ovunque si trova.

Istruite la donna! Se la natura non l’ha fatta pel sapere, ella non risponderà all’appello della scienza; ma s’ella vi risponde, allora è nell’ordine di natura e di provvidenza ch’ella concorra al sociale edificio. [p. 164 modifica]Ella ha diritto al più pronto sviluppo delle sue facoltà; vi ha diritto morale e giuridico.

Lo Stato paga delle università per gli uomini, delle scuole politecniche per gli uomini, dei conservatorii d’arti e mestieri per gli uomini, degli istituti d’agricoltura per gli uomini. E per la donna? Potrà egli seriamente dirsi che lo Stato si occupi di lei? Le scuole primarie! Ecco tutto.

Eppure lo Stato le impone delle leggi, la punisce nelle contravvenzioni, ha per lei dei tribunali, delle prigioni, e per la sua proprietà della imposte. O non si consideri la donna neppur nei doveri, o le si accordino anche i diritti, senza di che lo Stato è colpevole verso di lei di violenza e di furto! E come noi severamente giudichiamo l’antica e barbarica tirannia, i posteri così giudicheranno quella del secolo XIX. Finirò colle parole di Fourier nel suo libro: Thèorie des quatre mouvemens.

«Che gli antichi filosofi di Grecia e di Roma abbiano sdegnato gl’interessi della donna non ci sorprende, dacché questi rettori erano tutti partigiani innoltrati della pederastia, ch’essi avean levata in grand’onore nella bella antichità. Essi gettavano il ridicolo sulla frequentazione della donna, ed era questa passione considerata ignominiosa. Costumi siffatti ottenevano l’unanime suffragio dei filosofi che, dal virtuoso Socrate fino al delicato Anacreone, non proclamavano che l’amor sodomita ed il disprezzo della donna; la quale, quindi, relegata ad un secondo piano e rinchiusa siccome in un serraglio, era bandita dalla società degli uomini».

«Siffatti bizzarri gusti, non essendo in favore presso i moderni, non si può a meno di meravigliare che i nostri filosofi abbiano ereditato rodio di quegli antichi sapienti per la donna, al proposito di astuzie, alle quali è forzata dall’ [p. 165 modifica]oppressione che sopra le gravita, e dacché le si costituisce un delitto d’ogni pensiero o parola conforme al voto della natura.

«Chè di più inconseguente dell’opinione di Diderot, dove pretende che per iscrivere alla donna è d’uopo intinger la penna nell’Iride e spolverare lo scritto col pulviscolo delle ali della farfalla?

Le donne possono rispondere ai filosofi: «La vostra civilizzazione ci perseguita dacchè obbediamo alla natura; ci si sforza ad assumere un carattere fittizio, a non ascoltare che impulsi contrarii ai nostri desiderii. Per farci gustare dottrina siffatta è ben d’uopo mettere in giuoco le illusioni ed il menzognero linguaggio, come fate al soldato per illuderlo sulla sua misera condizione. S’egli fosse davvero felice, potrebbe accogliere un linguaggio semplice e vero, che hassi gran cura di non tenergli. Lo stesso è della donna; se libera fosse e felice, ella sarebbe meno avida d’illusioni e di moine, e non sarebbe d’uopo, scrivendole, di porre a contributo nè l’iride, nè la farfalla». — Pag. 146 e 147.

«Quando la filosofia satirizza e schernisce i vizii della donna, essa fa la sua stessa critica; è dessa che produce quei vizii per un sistema sociale che, comprimendola, fin dall’infanzia e durante tutto il corso della sua vita, l’astringe a ricorrere alla frode per abbandonarsi alla natura.

«Voler giudicare la donna sul viziato carattere ch’essa spiega nella civilizzazione, equivarrebbe al voler giudicare la natura virile sul carattere del contadino russo, che non ha idea nessuna di libertà e d’onore, e sarebbe come giudicare il castoro sull’imbecillità che mostra nello stato domestico, mentre che nello stato di libertà e lavoro combinato, esso è il quadrupede più intelligente. Lo stesso contrasto apparirà fra le donne [p. 166 modifica]schiave della civiltà e le donne libere dell’ordine combinato (3)».

«Esse sorpasseranno gli uomini in industria, nobiltà e lealtà, ma fuori dello stato libero e combinato, la donna diviene come il castoro famigliare ed il contadino russo, un essere tanto inferiore ai suoi destini ed a’ suoi mezzi, che si inchina a spregiarla, quando dalle sole apparenze e superficialmente si giudichi». — Pag. 147.

«Una cosa sorprende ed è, che le donne sonosi ognora mostrate superiori agli uomini, quando poterono sul trono spiegare i loro naturali mezzi, dei quali il diadema garantisce loro il libero uso. Non è egli certo che, sopra otto sovrane libere e senza consorte, sette hanno regnato con gloria, mentre sopra otto re contansi generalmente sette sovrani inetti? Le Elisabette, le Catterine non facevano la guerra, ma sapevano scegliere i loro generali, e basta per averli buoni. In ogni ramo d’amministrazione, le donne non hanno desse ammaestrato gli uomini? Qual principe ha superato in fermezza Maria Teresa, che in mezzo a supremi disastri, davanti alla vacillante fedeltà dei sudditi, in mezzo a ministri, come percossi da stupore, sola intraprende di tutti incuorare? Ella sa intimidire la dieta d’Ungheria, indisposta a suo riguardo, arringa i magnati in lingua latina [p. 167 modifica]e conduce i suoi propri nemici fino a giurare sulle loro spade di morire per lei. Ecco un sintomo dei portenti che opererebbe la femminile emulazione in un ordine sociale che lascierebbe un libero sfogo alle sue facoltà». — Pag. 148.

«E tu, sesso oppressore, non sorpasseresti tu i difetti rimproverati alla donna, se una servile educazione ti informasse per crederti, siccome lei, automa fatto per obbedire a tutti i pregiudizii, e per strisciare davanti ad un padrone che lo azzardo ti darebbe? Non si sono esse viste le tue pretese di superiorità confuse da Catterina, che si pose sotto i piedi il sesso virile? Istituendo dei favoriti titolati ella ha trascinato l’uomo nel fango, ed ha provato così, che l’uomo può, nella sua piena libertà, annichilirsi egli stesso al disotto della donna, il cui avvilimento è forzato, e per conseguenza perdonabile».

«Sarebbe d’uopo, per confondere la tirannia degli uomini che esistesse per un secolo un terzo sesso, androgino, e più forte dell’uomo. Questo nuovo sesso proverebbe a colpi di bastone agli uomini, ch’essi son fatti pel piacer suo quanto le donne. Udrebbersi allora gli uomini protestare contro la tirannia del sesso ermafrodita e confessare che la forza esser non debbe l’unica norma del diritto. Ora questi privilegi, questa indipendenza, ch’essi reclamerebbero contro il terzo sesso, perchè rifiutano essi d’accordare alla donna?» — Pag. 148.

«Segnalando quelle donne, che seppero prendere un libero slancio, dalla virago, come Maria Teresa, fino alle tinte più dolci, come le Ninon e le Sevigné, sono in diritto di dire, che la donna in istato di libertà sorpasserà l’uomo in tutte le funzioni dello spirito e del corpo che non siano di competenza della forza fisica.

«Già l’uomo sembra presentirlo; e si sdegna [p. 168 modifica]e si allarma quando la donna smentisce col fatto il pregiudizio che le accusa d’inferiorità. La gelosia virile si è sopratutto manifestata contro le autrici: la filosofia le ha espulse dagli onori accademici, e rinviate ignominiosamente al domestico focolare».— Pag. 148.

«Qual’è oggi l’esistenza delle donne? Esse non vivono che di privazioni; anche nell’industria l’uomo ha tutto invaso fino alle minute occupazioni dell’ago e della penna, mentre veggonsi donne sobbarcate ai penosi lavori dell’agricoltura. Non è egli scandaloso di vedere atleti di trent’anni aggomitolati davanti ad un banco, o vettureggiando colle braccia vellose una tazza da caffè, come se mancassero donne o fanciulli per le occupazioni del banco o della casa?» — Pag. 159.

«Quali sono dunque i mezzi di sussistenza per la donna priva di mezzi? La conocchia ed i suoi vezzi quando ancora ne ha. Sì, la prostituzione, più o meno velata, ecco l’unica risorsa che la filosofia loro ancora contende; ecco la sorte abietta ove le riduce questa civiltà, questa conjugale schiavitù ch’esse non hanno pure pensato ad attaccare» — Pag. 150.

Fin qui Fourier, ed io, donna, a nome di tutto il mio sesso me gli protesto ben riconoscente, che la penna eloquente abbia impiegata per una causa, che interessar deve ogni spirito equo e generoso.

Se non che. rivolgendomi di bel nuovo alla donna, le ricorderò, che se è dovere dell’uomo l’essere giusto; se sostituire dovunque il diritto alla forza è compito della filosofia; se l’uguagliare tutti gli individui dello Stato davanti alla legge, è opera doverosa della legislazione; è però dovere, diritto, interesse supremo e vitale della donna, che la iniziativa di queste riforme vengano da lei stessa. [p. 169 modifica]La storia ve lo ripete ad ogni pagina, ad ogni riga. I diritti e le libertà ottenute in dono sono illusorie; esse così sciolgono dalla servitù materiale, per travolgere sotto una schiavitù morale colui, che fu abbastanza codardo da non conquistarsela colla propria virtù.

Il dono addormenta la coscienza del dovere e del diritto in luogo di svegliarla; ci adusa a lasciarci tutelare; ci sninnola in grembo ad un illusorio ottimismo, e così, coll’atonia dello spirito, ci riconduce pian piano alle catene.

La donna fece sopra sè stessa, ed a sue spese, questa triste esperienza. Nel Medio Evo le corti d’amore diedero alla donna il nome di regina e di signora, essa fu elevata, fu magnificata, fu idolatrata. Ma quel culto era gratuito, era dono dell’uomo, di quell’essere bizzarro che, mentre allora si faceva trafiggere da mille spade, per meritarsi uno sguardo dalla donna de’ suoi pensieri, trova ora esorbitante che ella voglia essergli compagna piuttosto che schiava.

Ora la donna non si curò in allora di affermare la propria individualità; e sebbene delle più o men numerose unità sorgessero qua e là a tener desta e viva nel mondo l’idea della sua potenza intellettiva e morale, la massa femminile, cullata fra le nenie dell’amore, le si affidò all’intutto, e si addormentò di sonno profondo nel grembo di quella deità capricciosa.

Avvenne ciò che avvenir dovea. Ella si destò, ma la sua condizione era affatto cangiata. Amore e Mammona occuparono il suo posto sull’altare venerato, l’uomo fu sacerdote, ed ella l’ostia ch’egli immolò in omaggio a quella copia mostruosa.

Niun diritto, niuna libertà è potentemente affermata se a quella libertà non si accoppia la coscienza, a quel diritto non si aggiunge la potenza e la volontà di esercitarlo. Ora questa potenza, [p. 170 modifica]questa volontà, questa coscienza non può essere impartita che con una seria educazione, colla innoculazione della sapienza.

Madri! se punto vi preme che le figlie vostre siano più felici di voi, oh non tardate a procurare alle loro facoltà il più pronto e più lato sviluppo. Sopra di voi, sulla tenerezza vostra, sulla vostra coscienza riposa tutto l’avvenire di una generazione.

Madri! se punto vi preme e v’importa la riverenza dei vostri figli, oh! risollevatevi agli occhi loro colla forza della volontà e colla coltura dello spirito; che se adulti vedere dovranno il vituperio, che aduna sulle vostre fronti una generazione ingenerosa, ne tocchino però essi stessi con mano la flagrante ingiustizia, e si preparino a riscattarne le loro spose, figlie e sorelle.

Ricordatevi che l’ignoranza, e la servitù della donna suonano ineluttabilmente, per lei, avvilimento, miseria, prostituzione; per l’uomo, corruzione, abrutimento; per la specie, degeneramento; per la filosofia un problema vitale insoluto; per la civiltà, una impossibilità di avvanzamento; per tutta l’umanità, un immenso ritardo nel suo cammino.

Finirò col rivolgere a tutte le donne che trattano la penna, quelle severe parole di Fourier, amico generoso del sesso femminile, e verso il quale ogni donna, che ha un cuore, tiene un debito di gratitudine. Rimproverando egli loro con amarezza, di occuparsi così poco dei loro stessi interessi, egli scrive:

«La loro indolenza in questo argomento è una delle cause, che hanno aumentato il dispregio dell’uomo. Lo schiavo non è mai più spregevole che quando, colla cieca e muta sommissione, persuade l’oppressore che la sua vittima è nata per la schiavitù». — Pag. 150. [p. 171 modifica]Infatti che fa la penna in mano alla donna, se non serve per la sua causa come per quella di tutti gli oppressi?

Non basta che la donna, colle molteplici produzioni della sua mente, porti ogni giorno davanti alla società una nuova affermazione della sua intelligenza. Ciò sarebbe come pretendere che un popolo si sbarazzi da uno straniero dominio a furia di legali dimostrazioni. Lotta, lotta aperta vuol essere contro l’ingiustizia e la prepotenza. Non vedete che ogni dispotismo non allarga d’un anello le catene della sua vittima che quando sente stringersi al collo il nodo scorsoio?

Temete forse l’opinione, il sarcasmo, il ridicolo che l’uomo tenta gettare a piene mani sulle aspirazioni della donna onde scoraggiarla dal generoso assunto? Tenetevelo per fermo, egli avrà ben più voglia e diritto di sorridere se non lo fate. Il vantaggio sarà tutto suo.

  1. Thòmas nel suo Essay sur les femmes, pagina 196, scrive: «Dans les siècles les plus eclairés on ne pardonnera pas aux femmes de s’instruire. Le gout des lettres a été regardé comme une sorte de mésalliance pour les grands ed un pédantisme pour les femmes. Quelques unes bravérent ce prejugé, mais on leur en fit un crime.
  2. (1) Montesquieu scrive al cap. XVII dello Spirito delle leggi. «Nelle Indie trovasi altri sommamente pago del governo delle femmine; ed è quivi stabilito che i maschi non regnino se non vengono da una madre del sangue medesimo e succedano le fanciulle che hanno madre del sangue reale. Secondo Smith, trovansi i popoli d’Africa molto contenti del governo femminile. Se si aggiunga l’esempio della Moscovia e dell’Inghilterra si rileverà come riescano esse del pari nel governo moderalo e nel governo dispotico».
  3. (1) A chi sembrassero oscure quelle parole, stato combinato, gioverà accennare che, l’impronta della scuola Falansteriana è la libertà individuale basata sulle seguenti nozioni: Tutte le nature son buone; esse non si pervertono che funzionando in un cattivo elemento. Nessun individuo rassomigliando perfettamente agli altri, ciascuno è solo giudice possibile delle proprie attitudini e non deve ricever leggi che da sè stesso. Le attrazioni sono proporzionate ai destini.