La Griselda/Nota storica

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Nota storica

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Atto III
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NOTA STORICA

Nel 1700 L. A. Muratori stampava nel tomo III delle Rime varie (Milano) di Carlo Maria Maggi una “tragedia” intitolata La Griselda di Saluzzo, composta dall’autore in giovane età, nello spazio “non più d’otto giorni” e recitata “pubblicamente da alcune Dame e Cavalieri” non senza plauso. Ci sembra strano che l’abate modenese, il quale poco dopo doveva farsi banditore di un programma di riforma delle lettere italiane contro il cattivo gusto del secolo precedente, accogliesse, fra le opere dell’amico, allora defunto, quel misero aborto, ridicolo per la puerilità delle scene e per la gonfiezza del dialogo. Piacque tuttavia l’argomento ad Apostolo Zeno che da qualche anno con molto impegno erasi fatto ristauratore del melodramma a Venezia; e nel 1701 pubblicò la sua Griselda, inspirandosi a sua volta dal Boccaccio, (sulle fonti del Boccaccio vedi p. es. A. Bertoldi, Rassegna bib.ca lett. it., 1914, pp. 101-102; vedi pure F. von Westenholz, Die Griselidis - Sage in der Litteraturgeschichte, Heidelberg, 1888, e altri cit.i da Louis - P. Betz, La littérature comparée ecc., Strasbourg, 1904, al nome Griselidis) benchè trasportasse l’azione dalla Corte di Saluzzo a quella di Palermo. Non esiste nessuna prova che lo Zeno avesse già a collaboratore nella versificazione Pietro Pariati di Modena, venuto sulle lagune fin dal novembre del 1699 (lo afferma il Goldoni nei Mémories, P. 1, ch. XXXVII, tradito forse dal ricordo lontano; guida molto più sicura le memorie italiane, vol. I della presente edizione, pag. 112).

Si sa che, passato l’Appennino, la Griselda dello Zeno ebbe alcuni ritocchi da Girolamo Gigli il quale, burlone per genio, vi aggiunse alcuni “intermezzi ridicoli”. “Ho letta la Griselda” scriveva il poeta veneziano all’amico A. F. Marmi di Firenze il 24 febbr. 1703, “e mi sono infinitamente piaciuti i ridicoli, che con tanta saviezza il Sig. Gigli vi ha aggiunti. I cangiamenti che per entro vi si son fatti, sono di sì piccola conseguenza, che non mi hanno dato fastidio, nè me l’han fatta parer diversa da quella, ch’io prima la pubblicai. Ho godimento che costì piaccia, dove per altro non sogliono piacere se non le cose ottime; non già che io creda esser tale il mio Dramma, ma tale il faranno parere la bontà della musica fatta dal Sig. Albinoni, da me oltremodo stimato, e la virtù degli attori” (Lettere di A. Zeno, II ed., vol I, Venezia 1785, p. 143. “Nella Griselda dello Zeno, del 1706” a Napoli, scrive il Croce, “parte della musica fu fatta da Domenico Sarro:” I teatri di Napoli, Napoli 1891, pag. 224). Sorte peggiore toccò al dramma dello Zeno nel 1735 da parte del Goldoni, che dovette accomodarlo al gusto e alla musica dell’abate Vivaldi, detto il prete Rosso, come racconta nelle memorie (vol. I della presente ed., pp. 108-109 e Mémoires, P. 1, ch. XXXVI). “Ho poi assassinato il Dramma [p. 262 modifica]del Zeno quanto e come ha voluto” confessa candidamente il buon Dottore ma l’Opera andò in scena durante la fiera dell’Ascensione e fu applaudita.

Dallo stesso melodramma zeniano ci ricorda pure il Goldoni che “una tragedia in prosa” aveva tratto il Pariati, per uso dei comici del teatro di S. Samuele: la quale “avea piaciuto per qualche tempo” fin che il pubblico non s’annoiò. Per fortuna questo copione che il Goldoni potè leggere, non fu mai stampato e andò perduto. Abbiamo, per compenso, un’altra Griselda, una “tragicommedia italiana in cinque atti” in prosa, del comico Luigi Riccoboni, detto Lelio, pubblicata a Parigi nel 1718 con di fronte la versione francese (Nouveau Théatre Italien etc., t. I). Nella prefazione l’autore così si vanta: “Cette Pièce est la première que j’ay composée: le sujet en est tiré d’une nouvelle de Boccace etc.”: ma si guarda bene dal ricordare lo Zeno che segue fedelmente nelle scene principali. Vero è che aggiunge Giannolle, il padre di Griselda (detto Giannucolo dal Boccaccio), il quale trovasi collo stesso nome nell’opera giovanile del Maggi; e aggiunge il Pantalone e l’Arlichino, servi di corte (che corrispondono a Elpino “servo faceto”), e modifica il nome di Gualtiero in Godofredo: ma gli altri personaggi, Ottone Corrado Roberto Costanza, sono gli stessi, e non vi manca nemmeno il piccolo Everardo; e quelle sono le scene, e l’azione si svolge ancora in Sicilia. Può essere presunzione la mia, ma il sospetto che questa Griselda del Riccoboni somigli molto a quella scomparsa del Pariati mi è venuto più di una volta, e non deve meravigliarsi chi sappia come gli antichi comici non avessero troppi scrupoli intorno alla proprietà letteraria. (Noto qui come Naborre Campanini nel suo saggio sul Pariati, Un precursore del Metastasio, Firenze, Sansoni, 1904, p. 25, interpretando a torto le parole dei Mémoires, cadesse in errate affermazioni, ripetute anche in questa li ed., sebbene lo correggesse il dott. Luigi Pistorelli, I melodrammi di A. Zeno, Padova, 1894, pp. 19-21).

Per accontentare l’attrice Cecilia Rutti, detta la Romana, il Goldoni riprese nelle sue mani il dramma dello Zeno, trasportò l’azione dalla Sicilia in Tessaglia, conservò, si può dire, tutte le scene, conservò dei versi quanti più potè, rimaneggiandoli però liberamente, allungò i dialoghi più importanti, cercò di dare maggiore severità ai personaggi e all’azione, levò via il servo Elpino che si permetteva qualche scherzo comico, aggiunse qualche scena (la 1.a del I atto, la lunghissima scena 3 e le due ultime del II), aggiunse un personaggio nuovo, il padre di Griselda (vedasi Pistorelli, l. c., p. 20, n. 1). “Questo vecchio” ricorda il Goldoni (v. vol. I, pp. 112-3) “piacque infinitamente ma quasi certo era nella tragedia in prosa del Pariati, e lo abbiamo visto in quella del Riccoboni, benchè si chiami ora Artandro in vece di Giannolle. Come mai il pubblico veneziano potesse divertirsi a udire da costui la descrizione della vita pastorale, non può capire chi non pensi ai belati d’Arcadia nel Settecento e al bravo attore Casali che declamava da pari suo l’idillio campestre. Io credo che il giovane Goldoni molto si compiacesse di quel frammento poetico il quale è tutto suo, anche se è tutto falso, com’è tutta falsa la Griselda, misero lavoro di rabberciamento di un misero modello. Il Pistorelli afferma volentieri che il Goldoni “corresse e migliorò il melodramma” (p. 20), nè io mi oppongo; dico solo che la lettura della Griselda di A. Zeno si sopporta meglio perchè più breve e perchè fra quella polvere e quella muffa di teatro antico [p. 263 modifica]si pensa almeno alle carezzevoli note musicali, e si cantano involontariamente i versetti dolci e malinconici sospirati da qualche Eurilla od Irminda dei dì lontani: “Gualtiero Vago sei, volto amoroso; - Ma ti affligge un non so che. - Dillo a me per tuo riposo: - Quell’affanno, e che cos’è? Costanza Sento anch’io nel mio contento, - Che mi affligge un non so che. - S’io nol so, che pur lo sento, - Chi può dir, che cosa egli è?” (a. I, sc. 9). Oppure: “Griselda Care selve, a voi ritorno - Sventurata pastorella. - Quello è pure il patrio monte; - Questa è pur l’amica fonte; - E sol io non son più quella” (a. II, sc. 5). Per la storia è da notare un leggero tentativo di satira dei rilassati vincoli coniugali che il giovane Goldoni, sulla traccia dello Zeno, osa introdurre nella sc. 6 dell’atto I e nella sc. 7 del III. Io credo che i signori mariti veneziani battessero con vero trasporto le mani al grande esempio dell’eroica fedeltà di Griselda.

Dice bene il Bonfanti: “Nè, per la Griselda, il Goldoni e lo Zeno eran atti a rendere veramente poetica quella dolcissima figura di donna; non avevano ali da giungere a tanta altezza” (La donna di garbo, Noto, 1899, p. 40. - E strano che Mario Penna nel suo Noviziato di C. Goldoni, Torino, 1925, ricordasse appena la Griselda a pag. 34). Ma difficilissima da rappresentarsi anche nella novella, quasi impossibile riusciva sulle tavole del palcoscenico, sebbene tante volte vi si provassero letterati e musicisti. A proposito della nuova Griselda di Hauptmann ricordò G. Caprin (nel Marzocco, 14 marzo 1909) l’antico mistero francese, Grisèlidis, nel secolo decimoquarto, e in Ispagna l’Esemplo de casadas y prueva de la paciencia di Lope, e in Inghilterra la Pleasant comedy of patient Grissil di Dekker (1603), e in Germania, nell’ottocento, Gustavo Schwab e Achim von Arnim. Ma ecco, per esempio, fra noi La Griselda del Boccaccio, tragicomedia morale di Paolo Mazza, edita a Bologna nel 1620, dove Gianucole, padre di Griselda, e il servo Panurgo e il dottor Timeo parlano il dialetto bolognese (vedasi O. Trebbi, Contributo alla storia del teatro bolognese del sec. XVII, estratto dagli Atti e memorie della R. Deputaz. di Storia Patria per le Romagne, Bologna, 1926, pp. 17-24); ed ecco un’altra Griselda tragicomica nel 1630, di Ascanio Massimo da Saluzzo (v. Allacci, Drammaturgia)’, ecco nel 1752 a Napoli la Griselda di Antonio Palomba (v. le opere di Scherillo e di Croce); ecco la musica fortunatissima del Paër (Parma, camev. del 1783; poesia di Ang. Anelli, col titolo La virtù in cimento, ossia la Griselda. A Milano si continuava a recitare nel 1799, nel 1805, nel 1815: v. L. Romani, Teatro alla Scala, cronologia di tutti gli spettacoli, Milano, 1862) e del Piccinni (Venezia, autunno del 1793; poesia di Anelli) e di Guglielmi figlio (Firenze, carnev. 1795-96; poesia del noto ab. Gaetano Sertor: Fr. Piovano, in Rivista Musicale Italiana, anno XVI, 1909, fase. 2, pp. 261-2). Una Griselda, forse nel 1794, fu compilata o ridotta dal De Gamerra a Vienna (Masi, Sulla storia del teatro ital. del sec. XVIII studi, 1891, p. 343, n. 4). E in Francia, prima del Goldoni, ricordiamo la Griselde, ou la Princesse de Saluces, commedia di 5 atti in versi, della signora Saintonge, rappresentata e stampata nel 1714, a Digione (v. Dictionnaire portatif des théâtres, di Léris, Parigi, 1754; e altri).

Del resto se i Veneziani approvarono nell’autunno del 1735 il nuovo saggio drammatico del Goldoni, se il buon successo della Griselda fu quasi pari a quello del Belisario (vol. I, p. 116), meglio così: contento l’autore; [p. 264 modifica]contenti gli attori: il Casali, la Romana (Mém.es, partie Ia, ch. XXXVIII) il Vitalba (un ottimo Gualtiero: Mém.es, l. c.; e v. la sua lett. al Vendramin nel 1757, ed. da Aldo Ravà, Marzocco, 20 luglio 1913); contento più di tutti il capocomico, l’Imer. Che cosa dicesse propriamente lo Zeno, non sappiamo; ma ai 27 settembre di quell’anno il vecchio letterato scriveva da Venezia al marchese Gravisi di Capodistria: “A V. S. Ill.ma scrissi più volte, che delle mie cose drammatiche io fo presentemente sì poco conto, che anzi che nudrirne compiacimento di averle scritte, ne ho pentimento e disprezzo: talchè a chi si ponesse a criticarle e a dirne male, io quasi ne avrei più obbligazione, che a chi ne prendesse la difesa, e ne dicesse ogni bene. Trattone alcune poche, io le considero sconciature ed aborti” (Lett. cit., V, 152-3). Solo aggiungeva: “Posso però dire, che il maggior numero de’ miei Drammi è di mia invenzione, e del tutto miei”: (p. 153. Sullo Zeno, oltre Pistorelli cit., vedasi Max Fehr, A. Z. und seine Reform des Opern-textes, Zürich, Rascher u. C., 1912).

Alcuni anni più tardi anche la Rosa Scalabrini, che nel ’66 consolò e sposò il vedovo Medebach, faceva piangere il pubblico recitando la Griselda (Bartoli, Notizie istoriche de’ Comici Italiani, Padova, 1782, t. II, p. 164). Ma il Goldoni nelle citate memorie protestava che quelli onori “dovevansi in parte all’Autor primiero” e nell’87, stampando le Memorie francesi, si sdegnava che nell’edizione torinese del suo teatro (1777) gli fosse attribuita la Griselda (“...Je déteste les plagiats, et je déclare que je n’en suis pas l’inventeur”: partie 1, ch. XXXVII). Vero è che anche lo Zatta la ristampò nel 1792 senza ricordare il nome dello Zeno. Un’altra recita trovo per caso a Venezia ai 4 ag. 1800, sul teatro S. Cassiano, da parte della compagnia volante di Teresa Consoli.

Il popolo predilesse in ogni tempo questa figura nata quasi dal suo seno. Non senza audacia la virtù plebea di Griselda è contrapposta alla corruzione della Corte; e resta vinto il pregiudizio della nascita. Griselda precorre Pamela. “Griselda, l’eroina impassibile tra gli assalti della varia fortuna nella novella del Boccaccio e negli autori tragici” scrive alquanto prolissamente la signora O. Marchini-Capasso “che da povera contadina levata alla gloria del trono, ritorna rassegnata ai campi per evitare il malcontento del popolo, soffrendo in pace la perdita d’ogni bene ecc. ecc. riappare in tutte le donne goldoniane, rappresentanti l’amore costante messo alla prova, sul tipo della Moglie saggia o della Bona mugier, ferme nel sopportare rassegnatamente le dissolutezze del marito, e i più duri dispregi coniugali. Così la virtù della tolleranza, col piacevole esempio della commedia, fu predicata specialmente alle donne, dinanzi alle quali, dopo la successione dei casi disastrosi, l’eroina rifletteva trionfando: Quante volte in un giorno - Cangiò faccia il destin! ecc. ecc.” (Goldoni e la Commedia dell’arte, Napoli, 1912, pp. 178-9).

Tutto bene, ma il signor Giulio Trento pubblicando nel 1768 a Treviso certo libro Della Commedia, dedicato all’Albergati, borbottava: “Abbiansi adunque codesti panegiristi della virtù i lor sermoni. Per me, dove si faccia a imitare i costumi del popolo, più gradirò e pregiarò le malizie del Gianni e le arguzie del Pantalone, che la pazienza di Griselda o la costanza della Moglie amorosa” (p. 40). In fatti nei tempi moderni anche il popolino non [p. 265 modifica]volle più saperne dell’umile marchesana di Saluzzo; e nel 1869 finì male la Griselda d’un certo Salvatore D’Aquillo, dove il Costetti pur trovava “versi buoni e condotta regolare” (Il Teatro Italiano nel 1800, Rocca S. Casciano, 1901, p. 327), precipitando e ruzzolando “senza spinta per tutte le innumerevoli scale” del Teatro delle Logge, nella città del Fiore (Yorick, Vent’anni al Teatro, Firenze, 1885, vol. II, p. 89). Così nel 1909 cadde a Berlino e a Vienna la Griselda germanica di Hauptmann; e forse soltanto le note musicali di Massenet salvarono nel 1901, nel teatro dell’Opera Comica a Parigi, la Griselda gallica di Armando Silvestre ed Eugenio Morand.

G. O.




La Griselda del Goldoni fu stampata la prima volta nel t. XIV (1775) dell’ed. Pitteri di Venezia, corrispondente all’ed. Savioli; e fu ristampata a Torino (Guibert e Orgeas, t. XI, 1777), a Venezia (Zatta, cl. III, t. I, 1792), a Lucca (Bonsignori, t. XXX, 1792), a Livorno (Masi, t. XXX, 1793), a Bologna (G. Lucchesini, s. a.) e forse altrove nel Settecento: ma sempre poco correttamente.