La Stella Polare ed il suo viaggio avventuroso/Parte prima/4. Dallo Skager-Rak al mare del Nord

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Capitolo IV

Dallo Skager-Rak al mare del Nord

Al largo, il tempo, che fino al giorno innanzi si era mantenuto bellissimo, era minaccioso. Pel cielo correvano dei nuvoloni di brutto aspetto che parevano gravidi di pioggia e dalle coste della vicina Danimarca soffiava una brezza molto forte che poteva, da un momento all’altro, tramutarsi in ventaccio.

Probabilmente sulle spiagge danesi e della Svezia già pioveva, poiché in quelle due direzioni l’orizzonte appariva molto oscuro.

Il mare però non era cattivo. Qualche ondata sollevava di quando in quando la Stella Polare, facendola rollare vivamente, con poco piacere delle quattro guide alpine che si trovavano a disagio sull’infido elemento, e dei due cani donati al Duca da Nansen, nati a bordo del Fram.

Il Duca era sul ponte di comando e chiacchierava con Cagni; il tenente Querini invece passeggiava a prora assieme al dott. Cavalli parlando di ghiacci, di freddi, di nebbie, di orsi polari, di foche e di morse. [p. 30 modifica]

Cardenti, eterno chiacchierone, scambiava parole con gli uomini dell’equipaggio che ben poco lo comprendevano, ma che pure, per cortesia, lo ascoltavano egualmente, sorridendo.

Andresen, il giovane nostromo, che bene o male masticava la lingua francese, spiegava alle quattro guide alpine l’itinerario del viaggio, e s’ingegnava a dare loro una pallida idea delle regioni polari.

– Faremo molte fermate lungo la via? – chiedeva Ollier.

– Tre sole, – rispose Andresen, – oltre una piccola tappa a Laurvik.

– Ah!... Ci fermeremo ancora a Laurvik?

– Poche ore solamente. Questa notte salperemo definitivamente pel mare del Nord.

– E dove ci fermeremo poi?

– A Tromsoe, a Vardoe, e poi ad Arcangelo dove faremo le nostre ultime provviste di carbone, ed imbarcheremo i centoventi cani che ci condurrà Ivanowik Trontheim.

– Chi è quel signore? – chiese Petigaux, il più esperimentato delle guide alpine, che aveva già seguìto il Duca nella meravigliosa ascensione del Sant’Elia.

– Un allevatore di cani della Siberia occidentale.

– Che verrà con noi?... – chiese Ollier.

– Oh no, – rispose Andresen. – Egli non lascerà, a nessun prezzo, i suoi canili. Un gran brav’uomo d’altronde, che si vanta di possedere delle razze scelte, e che provvide anche il nostro Nansen.

– Ditemi, signor Andresen, – chiese Ollier. – È vero che i cani rendono preziosi servigi in mezzo ai ghiacci?

– Sì, se sono però di buona razza. Non fatevi tuttavia troppe illusioni sulla loro obbedienza. Sono molto selvatici, testardi, ed anche maligni, specialmente quelli di razza esquimese, i quali non derivano altro che da un incrocio di lupi, avendo la stessa taglia, l’egual pelame, e gli sguardi cupi, feroci. Però quelli che ci fornirà Trontheim devono appartenere ad una razza meno selvatica ed anche più robusta.

– Sono molto resistenti? [p. 31 modifica]

– Sono capaci di percorrere cinquanta e talvolta perfino ottanta chilometri al giorno, se il carico non è eccessivo.

– Quanti ce ne vogliono per una slitta?

– Generalmente in dieci trascinano un carico di quattrocento chilogrammi.

– Un bel peso, contacc!... – esclamò Ollier.

– E dopo Arcangelo andremo direttamente al polo? – chiese Savoi.

– Uh!... Correte molto voi, – disse Anton Torgrinsen, il secondo macchinista di bordo, che da qualche minuto si era unito al crocchio, e che, conoscendo anche lui il francese, aveva raccolta la domanda della guida. – Per quest’anno accontentatevi di giungere alla Terra di Francesco Giuseppe e di svernarvi.

– Svernare?... Cosa significa ciò? – chiese Savoi.

– Di passare l’inverno in mezzo ai ghiacci.

– Credete che la Stella Polare verrà imprigionata dai banchi? – chiese Ollier.

– Certamente, – rispose il secondo macchinista. – Tra quattro mesi, se non prima, la nostra nave verrà asserragliata fra gli ice-fields e gli ice-bergs, e non potrà più muoversi.

– E rimarrà molto, prigioniera?...

– Fino all’anno venturo, se l’andrà bene.

– Volete dire?...

– Che non si è sempre sicuri di liberarsi dai ghiacci durante lo scioglimento. Certe navi sono rimaste prigioniere perfino tre anni di seguito.

– Ed allora?... – chiese Savoi, con una certa inquietudine.

– Oh!... Per voi poco importa, – disse Andresen. – Il Duca non ha intenzione di servirsi della sua nave per andarsene al polo. Saremo noi che rimarremo prigionieri.

– Sì, – disse Torgrinsen, – S. A. R. non ha alcuna voglia di seguire il piano del nostro Nansen. Mentre questi contava tutto sulla propria nave per potersi accostare al polo, il Duca non conterà che sulle proprie gambe e sulle vostre, signori.

– Il vostro Nansen ha però abbandonata la sua nave, – disse Petigaux. – Io l’ho udito raccontare. [p. 32 modifica]

– Sì, ma solamente quando si era accorto che i ghiacci cominciavano a trascinarla verso il sud.

– E come andremo innanzi noi?... – chiese Ollier.

– Con le slitte, – rispose Andresen. – Appena la buona stagione lo permetterà, S. A. R. lascierà la nave e cercherà di spingersiRitratti delle guide
Savoi Petigaux Fenoillet Ollier
verso il nord, attraverso i grandi campi di ghiaccio. Suo progetto è quello di scaglionare, possibilmente in terraferma, dei depositi di viveri, onde assicurarsi il ritorno. Un bel piano, in fede mia, che gli permetterà di spingersi ben lontano, senza il timore di trovarsi più tardi senza alimenti.

– Nessuno aveva mai pensato, prima di S. A. R., d’istituire dei depositi di viveri? – chiese Ollier.

– Oh, sì, – rispose Andresen. – Tutti gli esploratori polari che [p. 33 modifica]Veduta di Christiania
(La croce indica il luogo ove la Stella Polare era ancorata).
[p. 35 modifica]hanno cercato di spingersi verso il nord a piedi e con slitte, hanno avuto la precauzione di erigere qua e là dei cairn, ossia dei depositi di viveri, però sempre in proporzioni meschinissime. Il Duca invece farà le cose in grande, avendo cani sufficienti per trasportare con sè un bagaglio immenso.

– E nessuno danneggerà i nostri depositi?

– Non vi sono abitanti nella Terra di Francesco Giuseppe, – rispose Andresen. – Almeno Payer, tenente della marina austriaca, che pel primo corse quelle isole, non ne vide mai, e nemmeno il nostro Nansen che rimase colà parecchi mesi.

– E gli orsi? – chiese Petigaux.

– Oh non crediate che siano così numerosi da incontrarne uno ad ogni passo.

– Però ve ne sono.

– Sì, e ne cacceremo più d’uno. La loro carne è eccellente e varierà la minuta di bordo. Signori miei, tocca a me il quarto. Riprenderemo un’altra volta la nostra conversazione. –

Mentre a bordo passavano il tempo discorrendo, la Stella Polare, abilmente guidata dal capitano Evensen, filava con discreta velocità in direzione di Laurvik, dove contava di fare un’ultima fermata, prima di abbandonare definitivamente lo Skager-Rak.

Il vento favoriva la navigazione, quantunque la macchina non fosse stata ancora spenta. Qualche straglio e qualche flocco erano stati spiegati per aumentare la corsa e anche per dare alla nave una maggior stabilità.

Alle due pomeridiane già le isolette di Sandyfjord erano state superate, ed in lontananza cominciavano a disegnarsi sull’orizzonte le spiagge di Laurvik e le colline sovrastanti, cinte di pini verdeggianti.

Alle undici e mezzo della notte dopo d’aver costeggiata la penisoletta di Sandyfjord, la Stella Polare entrava nella baia di Laurvik, gettando l’àncora a breve distanza dal molo.

Non si doveva fare che una brevissima fermata, perciò pochissimi dell’equipaggio poterono scendere a terra a dare l’ultimo saluto ai parenti ed agli amici.

Furono caricate in fretta alcune casse che erano state lasciate a [p. 36 modifica]terra e parecchie botti, contenenti per lo più pesce secco; poi, verso il mattino, in presenza della popolazione, che era accorsa in gran numero sulla gettata durante la notte, la Stella Polare levava silenziosamente le ancore, prendendo nuovamente il largo.

Qualche ora dopo, la nave si trovava già all’altezza del fjord di Langesund, baia assai profonda che mette capo ad una fiorente e graziosa cittadina: Porsgrund.

Il tempo si era un po’ rimesso al bello, però dal largo montavano ancora delle ondate, piuttosto grosse, le quali andavano ad infrangersi, con assordanti fragori, contro i frastagliamenti della costa.

La Stella Polare si comportava però splendidamente, quantunque fosse molto carica. Quella veterana dei ghiacci, malgrado i suoi numerosi anni, balzava agilmente sulle onde e le tagliava vigorosamente con la prora, facendo schizzare in alto sprazzi di spuma bianchissima.

Alcuni velieri apparivano verso il sud e anche verso l’ovest, diretti nel mare del Nord; a poppa della nave si vedeva, di tratto in tratto, montare a galla qualche grosso delfino.

In alto invece pochi gabbiani e qualche rara procellaria che fuggiva radendo quasi le onde.

La costa norvegese, che si disegnava nettamente alla distanza di poche miglia, offriva di quando in quando degli spettacoli bellissimi che attiravano l’attenzione perfino del Duca.

Le spiagge della Norvegia meridionale non sono frastagliate come quelle occidentali, però anche quelle hanno fjords numerosissimi che s’addentrano entro terra, come quelli di Kragerò, di Söndeled, di Christiansand e anche moltissime isole e isolette, che sembrano messe là appositamente per difendere le coste dagli urti poderosi e costanti dello Skager-Rak.

Entro quelle baie profonde, che s’addentravano fra colline e montagne coperte di pini e di larici, apparivano villaggi graziosi annidati fra le rupi delle spiagge, oppure si mostravano quasi improvvisamente delle cittadelle dinanzi alle quali si vedevano ancorati non pochi velieri, oppure delle barche pescherecce colle candide vele sciolte al vento.

Qualche volta la costa si alzava dirupatissima, frastagliata e [p. 37 modifica]tagliata quasi a picco; tal’altra invece scendeva dolcemente formando delle penisolette e delle insenature verdeggianti, d’un effetto bellissimo che contrastava vivamente con la tinta azzurro-cupa del mare.

La Stella Polare però non s’arrestava e proseguiva la sua corsa, frettolosa di solcare le acque del mare del Nord.

Sondeled, una bella cittadina, situata nel fjord omonimo, apparve per qualche istante, mostrando le sue bianche casette a punta; più tardi fu segnalato Grimstad, altra cittaduzza, frequentata per lo più da pescatori, e situata nel mezzo di un’ampia insenatura, quindi verso il tramonto le isole che chiudono il largo fjord di Christiansand, una delle più belle e anche delle più industriose città della Norvegia, che non la cede a Bergen ed a Stavanger.

L’indomani la Stella Polare, superato il capo di Lindesnas, navigava nelle acque del mare del Nord, uno dei più vasti dell’Europa, che bagna contemporaneamente le coste occidentali della Norvegia, quelle orientali dell’Inghilterra e quelle settentrionali della Germania, dell’Olanda, del Belgio e di parte della Francia.

– Che tinta cupa ha questo mare, – disse Harry Stökken, l’ingegnere di macchina, abbordando il capitano Evensen che stava osservando, con un cannocchiale, le coste norvegesi.

– Sì, più oscure di quelle dello Skager-Rak, – rispose il lupo di mare. – Forse qualche tempesta le ha scombussolate.

– Scoppiata molto lontana forse?

– Lontanissima di certo, probabilmente nell’Oceano Artico. Voi sapete che le onde, quando non trovano sulla loro via delle terre di grandi estensioni, si propagano a delle distanze immense, – disse il capitano. – Nell’oceano Artico io ho veduto delle ondate che provenivano da una distanza di cinque o seicento miglia. Nel Pacifico poi, se ne sono osservate di quelle che avevano attraversata una distanza di mille e perfino di mille cinquecento.

– Incredibile.

– Ma verissimo, ingegnere.

– Ditemi, signor Evensen, è vero che il mare del Nord ha un livello inferiore a quello del Baltico?

– Ordinariamente quasi tutti i mari interni hanno una notevole differenza di livello in paragone di quelli aperti. Sembra molto strano [p. 38 modifica]che i mari, che comunicano tutti fra di loro, debbano avere un dislivello, eppure è precisamente così. Ne parlavo appunto ieri col tenente Querini. Per esempio il mare Mediterraneo è più basso dell’Oceano Atlantico, come pure il golfo del Messico è più alto dell’Oceano Pacifico.

– Differenze notevoli?

– Non trascurabili. Fra l’Atlantico ed il Mediterraneo esiste un dislivello di ben 72 centimetri. Anche quello del Baltico è diverso da quello del Mediterraneo, oltrepassandolo di 0,697.

– E da che cosa provengono queste differenze di livello?

– Molta influenza hanno le correnti, per taluni mari; in altri invece l’evaporazione o l’abbondanza delle acque versate dai fiumi.

– Anche le tinte dei mari variano, è vero signor Evensen? – chiese l’ingegnere di macchina.

– Sì, signor Stökken. Nel mar Rosso, per esempio, talvolta si sono osservate delle tinte porporine, dovute alla presenza di una specie d’alga colorante; nel Giappone l’acqua è molto oscura, talvolta quasi nerastra, mentre nel golfo di Guinea è spesso lattea.

– E l’Artico non ha alcuna tinta speciale?

– Solo una grande limpidezza, che non eguaglia però quella dell’Oceano Antartico, – rispose il capitano. – In certe giornate di calma, io ho potuto vedere dei delfini nuotare a cinquanta e talvolta a ottanta metri di profondità!

– E nell’Oceano Antartico è più limpida?

– Assai di più.

– E credete che sia anche meno sgombra di ghiacci?

– La regione Antartica?

– Sì, capitano.

– Non sembra, signor Stökken. Non si sa ancora per quale ragione esatta, i ghiacci galleggianti abbondano più nell’Oceano Antartico che nell’Artico. Probabilmente dipende dalla mancanza d’una grande corrente tiepida.

– Infatti, nell’Oceano Artico viene a morire quella del Gulf-Stream.

– Sì, ingegnere, e malgrado la lunga via percorsa, conserva ancora un po’ del calore raccolto nel golfo del Messico, sicchè i [p. 39 modifica]ghiacci che cercano di scendere verso il sud vengono più rapidamente sciolti, mentre quelli dell’oceano Antartico, trovando acque fredde, possono spingersi perfino al 55° parallelo.

– Forse quella è una causa delle poche spedizioni tentate nella regione Antartica.

– Sì, signor Stökken, ma un po’ dipende dal fatto che il continente australe non si presta a delle esplorazioni in causa dell’enorme barriera di ghiacci che si estende, come un muraglione impenetrabile, dinanzi alle terre. Però anche laggiù molte esplorazioni furono fatte e anche non poche riuscirono fortunate.

– Il punto più alto toccato, è stato finora?

– Il 78° 30’, raggiunto da James Roos nel 1842.

– Mentre nell’Oceano Artico?...

– Si giunse fino all’86° 13’ 36", – rispose il capitano.

– Raggiunto dal nostro Nansen.

– Sì, ingegnere, – rispose il capitano con orgoglio. – Se il nostro grande compatriotta avesse potuto superare quegli ultimi quattrocento chilometri, il polo non sarebbe più un mistero per la scienza.

– E noi, fin dove ci spingeremo?

– Chi può dirlo? Tutto dipende dalle circostanze; però io ho molta fiducia nel Duca degli Abruzzi e molta ne ha anche Nansen. È un giovane audace che andrà molto lontano, ve lo dico io, signor Stökken. –