La guerra (Goldoni)/Atto III

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Atto III

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Atto II Nota storica

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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa del Commissario.

Donna Florida sola.

Dacchè son nata, per quante disgrazie, per quante agitazioni d’animo abbia sofferte, mai più trovata mi sono nell’impazienza, che presentemente mi affligge. Mio padre è al campo, e non mi è lecito di vederlo. Trattasi o della resa, o di un estremo cimento, e non v’è alcuno che mi ragguagli di ciò che passa, di ciò che possa sperarsi. Un punto può decidere di me stessa, e questo punto mi è incognito, e son fra mille timori. Se tornano alle ostilità, alle rovine, il mio genitore è in pericolo, e non è salva di don Faustino la vita. E se la resa si compie, chi mi assicura che il genitore medesimo alle mie nozze [p. 414 modifica] acconsenta, e chi mi accerta che il giovane militare che mi ama, risolva tutto ad un tratto lasciar l’impiego, abbandonare le insegne, e preferir la mia mano all’idolo della gloria? Fra il turbamento de’ miei pensieri, non so s’io meglio desideri o un’incerta speranza, o un disinganno penoso. Sono due stati per me infelici, nè saprei sceglierne alcuno senza tremare. Ciò che potrebbe rendermi consolata, sarebbe il lieto suono di pace, l’assenso del padre, la docilità dello sposo; ma oh dio! sono immagini troppo incerte, sono lusinghe troppo lontane, ed il mio cuore è sì afflitto, che pria di giungere alla certezza del mio destino, abbandonarmi pavento alla più fiera, alla più dolorosa disperazione. (siede confusa)

SCENA II.

Don Faustino e detta.

Faustino. (Eccola qui, dolente al solito e lacrimosa. Oh cieli! ella mi ha fatto perdere quella ilarità, quella indifferenza, con cui soleva reggermi a fronte di qualunque destino). (da sè)

Florida. Venisse alcuno almeno per informarmi. (s’alza) Chi è di là?... (scopre don Faustino, e rimane confusa)

Faustino. Signora, se chiedete un servo, eccolo ad obbedirvi.

Florida. Voi qui! senza dirmelo? senza parlare? Qual novella recate? qual fu l’esito dell’abboccamento sul campo? Ah no, non mei dite; dall’insolita mestizia del vostro volto comprendo il mio infelice destino. Vuol guerra il mio genitore, e guerra piace al generale nemico, e voi forse sotto i fìnti colori di una simulata mestizia, applaudite alle stragi, e vi disponete con giubbilo alla battaglia. Via, non fate forza a voi stesso. Trionfi la vostra virtù. Usate liberamente quella barbara filosofìa, che vi fa essere lieto tanto coll’amor della figlia, quanto colla morte del padre: e se vi offende la mia tristezza, allontanatevi da quest’oggetto infelice. Seguite gli stimoli1 della vostra gloria, [p. 415 modifica] e risparmiatemi il crudo affanno di sentirmi vantare in faccia il vostro barbaro ed inumano coraggio.

Faustino. Calmate, o cara, gli sdegni vostri; non m’ingiuriate, ch’io non lo merito. Pur troppo le vostre lagrime e i vostri amari trasporti hanno avvilito la mia costanza, e più non riconosco me stesso. So che vi amo, ma so altresì che un uomo vile e codardo degno non può essere dell’amor vostro. Ma ho un inimico a fronte, che interessa le vostre cure, e non posso essere valoroso senza comparirvi crudele. Decidete voi, donna Florida, del mio destino. Piace a voi ch’io mi tolga la spada dal fianco, che la depositi a’ piedi del generale, che sottoscriva io medesimo il mio disonore, la mia viltà, e che mi esponga alle mormorazioni del campo, e senza poter rispondere agl’insultanti, soffrir io deggia i rimproveri, gli scherni, le derisioni? Mirate meglio lo stato mio; riflettete a quell’onorato carattere che mi fregia, compatite le dolorose mie circostanze, e se l’impegno, in che sono, non può meritare l’affetto vostro, sia degno almeno il mio cuore di pietà, di perdono. Sì, cara, da voi lo spero, e a’ vostri piedi con tenerezza e con fiducia lo chiedo. (s’inginocchia)

Florida. Oh dei! alzatevi.

Faustino. Perdonatemi.

Florida. Alzatevi per carità.

SCENA III.

Don Egidio e detti.

Egidio. Olà, che fate voi ai piedi di mia figliuola?

Faustino. (S’alza confuso.)

Florida. Oh adorato mio genitore!

Egidio. Tacete. Rendami conto quest’uffiziale nemico, con qual animo gettossi a’ piedi di una mia figlia.

Faustino. Signore, per darle l’ultimo addio.

Egidio. E dove siete voi incamminato? [p. 416 modifica]

Faustino. Ad assalire le vostra mura. A combattere contro i vostri soldati e contro di voi medesimo, se la sorte vi presenterà alla mia spada.

Egidio. Qual grado è il vostro?

Faustino. D’alfiere.

Egidio. Che pretendete voi da mia figlia?

Faustino. Il cuore e la mano: il primo lo chiesi, e l’ho ottenuto da amore. L’altra sperai averla dalla vostra bontà.

Florida. Deh caro padre... (a Egidio)

Egidio. Tacete. Con voi non parlo. (a Florida) Siete voi cavaliere? (a Faustino)

Faustino. Sì, tal sono. È cognito all’armata il mio nome.

Egidio. Chi siete?

Faustino. Don Faustino Papiri, duca d’Alba, signor di Conchiglia.

Egidio. Conosco il vostro casato.

Florida. Se conosceste le adorabili sue qualità...

Egidio. Tacete. (a Florida) Amate la figlia, e avete cuor di combattere contro il padre?

Faustino. Un capitan valoroso sa meglio di me i doveri di buon soldato: amore non mi comanda a fronte della mia gloria.

Egidio. Così parlano i valorosi. Siete degno della mia stima, siete degno del sangue mio.

Florida. (Oh cieli, secondate le disposizioni dell’animo del mio buon genitore).

Faustino. Signore, se tanta bontà vi anima in favor mio, promettetemi la vostra figlia in isposa.

Egidio. Sì, l’averete.

Florida. Quando? (a Egidio, con impazienza)

Egidio. Tacete. (a Florida) Lo stato in cui ci troviamo, non ci permette parlar più oltre di ciò. Fate il vostro dovere, assalite le nostre mura: sarò io stesso spettatore del vostro coraggio. Se il destino vi fa soccombere, la morte scioglie ogni nodo; s’io muoio, e voi vivete, valetevi della mia parola per conseguire mia figlia; s’ambi viviamo, terminata la guerra, dalle [p. 417 modifica] mie mani l’avrete. Dissi quanto basta ad un cavaliere, che per mio genero accetto; da questo punto noi ritorniamo nemici.

Florida. Oh cieli! quai funeste nozze son queste? Ah padre mio pietosissimo, non mi fate morire di spasimo, di dolore.

Egidio. Qualunque pena che voi provate, è dovuta alla vostra imprudenza. Acconsento alle vostre nozze: ma non do lode alla vostra condotta. Una donzella nobile, una figlia di don Egidio, una prigioniera de’ miei nemici, non doveva aprir il cuore agli affetti, mentre sudava il padre fra l’armi. La fortuna di aver incontrato in un amante nobile e valoroso non è vostro merito; e vi poteva lusingare un affetto indegno, come vi allettò una fiamma non indegna del sangue nostro.

Florida. Deh scusate, signore, la debolezza, l’incontro...

Egidio. Non chiedo scuse; voglio obbedienza.

Florida. Comandatemi.

Egidio. Venite meco.

Florida. Dove?

Egidio. Al castello.

Florida. Fra l’armi?

Egidio. Sì, fra l’armi.

Florida. Esposta mi volete ai pericoli?

Egidio. Maggiori saranno quelli di vostro padre e del vostro sposo. Seguitemi.

Faustino. Signore, abbiate riguardo al sesso, all’etade, alla complessione. (a Egidio)

Egidio. Il sesso, l’età, la complessione di donna Florida ha d’uopo di migliore custodia. Provvedo in tal modo al mio decoro e alla vostra quiete. Se avete animo da cavaliere, qual siete, non vi lagnate delle mie giuste, delle mie oneste deliberazioni (a Faustino) E voi seguitemi senza dimora. (a donna Florida)

Faustino. E come vi sarà permesso condur la figlia in castello?

Egidio. Non ci pensate. Mandai a chiedere al generale l’assenso.

Faustino. Non so che dire. Siete arbitro del di lei volere.

Florida. Mi abbandonate al mio crudele destino? (a Faustino)

Faustino. Obbedite ai comandi del padre. [p. 418 modifica]

Egidio. Non fate ch’io pratichi la violenza. (a Florida)

Florida. Ah no, signore; sono pronta a obbedirvi.

Egidio. Amico, il cielo vi benedica. (abbraccia Faustino, e parte)

Florida. Ah don Faustino!

Faustino. Ah donna Florida!

Florida. Il cuore mi dice, che non ci rivedremo mai più.

Faustino. Sperate, o cara...

Florida. Vengo, signore, vengo. (verso la scena) Addio. (a Faustino, e parte)

SCENA IV.

Don Faustino, poi donna Aspasia.

Faustino. Come mai si può vivere fra tanti affanni? Oh cieli, come potrò io salir quelle mura, se mi palpita il cuore, se il piè vacilla, se mi trema la mano?

Aspasia. Signor alfiere, appunto di voi cercava.

Faustino. Deh lasciatemi in pace.

Aspasia. Voleva dirvi, che quel che lasciaste in mano di donna Florida, fu da me custodito.

Faustino. Non m’inquietate per carità.

Aspasia. Non volete la scatola, l’orologio, gli anelli?

Faustino. (Ora conosco qual sia la forza d’amore).

Aspasia. Non li volete?

Faustino. (No; non è possibile ch’io resista).

Aspasia. No? avete detto di no? Se non li volete, li terrò io. Ma ripigliate almeno il vostro danaro.

Faustino. (Sì, il mio dovere mi sprona).

Aspasia. Sì? Eccolo. (gli vuol dare la borsa)

Faustino. Ma lasciatemi, non mi stancate, non mi fate uscir di me stesso. (ad Aspasia)

Aspasia. Se non volete, lasciate stare; ma che dirà donna Florida?

Faustino. Ah! dov’è donna Florida?

Aspasia. Dov’è donna Florida?

Faustino. Non è partita col padre? [p. 419 modifica]

Aspasia. Col padre?

Faustino. Non lo vedeste il di lei genitore?

Aspasia. Dove?

Faustino. Qui, in questa stanza.

Aspasia. Ditemi, don Faustino, ci sarebbe pericolo che l’amore vi rivoltasse il cervello?

Faustino. Ma dove foste finora?

Aspasia. Sono stata alla bottega di certa Orsolina, a provvedere dei nastri.

Faustino. Non lo sapete dunque quel ch’è accaduto?

Aspasia. Non so nulla; raccontatemi.

Faustino. Venuto è qui, non so come, il padre di donna Florida.

Aspasia. Oh capperi!

Faustino. Ha scoperto gli amori nostri.

Aspasia. Eh! cosa mi dite!

Faustino. Ed ha condotto seco la figlia.

Aspasia. Oh che caso! oh che disgrazia! oh che grand’accidente!

Faustino. Donna Aspasia, non so se mi deridiate.

Aspasia. Non rido, signore; ma in verità non posso poi nemmen piangere.

Faustino. Ah sì, avete l’animo avvezzo alle crudeltà.

Aspasia. Sì, credo di essere più guerriera di voi.

SCENA V.

Il Conte Claudio e detti.

Conte. Povero don Faustino, me ne dispiace. (scherzando)

Aspasia. Lo sapete anche voi? (al Conte)

Conte. Sì, ho veduto passar donna Florida con suo padre, mesta, afflitta, grondante di lagrime, che faceva pietà.

Faustino. Ah, con qual barbara compiacenza venite, o Conte, ad inasprirmi la piaga?

Conte. Capperi! siete cotto davvero.

Aspasia. E cotto, biscotto, arso, inaridito.

Conte. Chi vi ha insegnato a innamorarvi come una bestia? [p. 420 modifica]

Faustino. Lasciatemi stare. (al Conte, passeggiando)

Aspasia. Il signor alfiere vorrebbe combattere sotto un’altra insegna.

Faustino. Contentatevi di tacere. (ad Aspasia, passeggiando)

Conte. Andiamo, andiamo, che il fumo dei cannoni farà svanire i fumi d’amore.

Faustino. A suo tempo farò il mio dovere. (come sopra)

Aspasia. Se va a combattere, avrà paura di offendere la sua bella.

Faustino. Ma non mi tormentate. (con sdegno a Aspasia)

Conte. Voi farete ridere la brigata.

Faustino. (Non posso più). (passeggiando)

Aspasia. Scommetto che gli fanno le pasquinate.

Faustino. Perderò la pazienza. (ad Aspasia, con sdegno)

Aspasia. Alla larga.

SCENA VI.

Don Cirillo e detti.

Cirillo. Animo, fratelli, coraggio. I guastatori lavorano. Gli artiglieri son pronti. Le scale son preparate. Si raccoglie l’esercito, ed a momenti si darà l’assalto.

Aspasia. Zitto, don Cirillo, che fate morire questo povero uffizialetto.

Cirillo. Ehi, l’ho veduta l’amica. (a Faustino)

Faustino. Voi non dovete entrare ne’ fatti miei. Ci siete entrato altre volte, ed a suo tempo me ne farò render conto.

Cirillo. Sì, quando volete. Pistola, e non ho paura. Uno, e un due. Mi ricorderò anche di voi, signor Conte.

Conte. Sì, quando volete. Ora voglio che siamo amici, e che confortiamo d’accordo questo povero appassionato.

Faustino. Non provocate la mia sofferenza.

Cirillo. Che diavolo volete che dica di voi l’armata? Siete innamorato? buon viaggio. Non vi saranno altre donne al mondo? Noi altri militari ne ritroviamo per tutto.

L’amore del soldà

Non dura neanche un’ora.

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Per tutto dove va

Si trova una signora lara
Lara lara lara lan là. (cantando e saìtuzzando2)

Faustino. Questa è un’impertinenza. (a Cirillo) (Suona il tamburo.

Conte. All’assalto, all’assalto. (corre via)

Faustino. Alla morte, alla morte. (corre via)

Cirillo. Alla guerra, alla guerra. (saltando via)

SCENA VII.

Donna Aspasia, poi don Polidoro.

Aspasia. Buon viaggio, buon viaggio.

Polidoro. Che cosa è stato?

Aspasia. L’armistizio è finito presto, per quel ch’io sento. La piazza non si vuol rendere; converrà che la prendano per assalto.

Polidoro. Eh, la guerra non vuol finir per adesso. (con allegria)

Aspasia. Io per altro, dopo questa campagna, vorrei che si andasse a quartier d’inverno.

Polidoro. A quartier d’inverno? a quartier d’inverno? Si ha da combattere colle nevi, col ghiaccio. Si hanno da vedere i soldati induriti dal gelo; le sentinelle hanno da diventar di cristallo. Gli uffiziali si provvederanno di buone pelliccie, ed io ne ho fatto una tale provvista, che spero di guadagnarvi più di mille zecchini.

Aspasia. Tutto va bene; ma io ho sempre da far questa vita?

Polidoro. E che cosa vorreste fare?

Aspasia. Maritarmi.

Polidoro. Benissimo. E chi vorreste voi per marito?

Aspasia. Un uffiziale.

Polidoro. Per restar vedova dopo tre giorni?

Aspasia. Benissimo. [p. 422 modifica]

Polidoro. Figliuola mia, non vi consiglio di prendere un uffiziale.

Aspasia. E perchè?

Polidoro. Perchè gli uffiziali sono per lo più cadetti delle famiglie: ne hanno pochi da spendere, e sono avvezzi a scialare. Sono poi delicatissimi nel punto d’onore. Lasciano trattare, conversare le loro mogli per paura d’essere criticati di gelosia; ma niente niente che vedano che loro dispiaccia, in una mano la spada, e nell’altra il bastone. La spada per infilzare monsieur; il bastone per complimentare madama.

Aspasia. Oh, madama in quel caso saprebbe rispondere alle galanterie di monsieur. Sono avvezza all’armata, e non mi lascierei soverchiare. Avete capito?

Polidoro. Benissimo.

Aspasia. Il benissimo è così fatto, che io mi vo’ maritare, che mi avete a preparare la dote, e che se mai per avventura, per caso, per accidente, aveste la bontà di dirmi di no, ho dei protettori all’armata, che vi faranno dire di sì. Serva, signor padre. (parte)

Polidoro. La riverisco. Oh, l’ho fatta grossa io a condur costei all’armata. Merito peggio. Ecco la mia cara Orsolina: questa è donna di garbo, brava, economa, industriosa, e le voglio tutto il mio bene.

SCENA VIII.

Orsolina ed il detto.

Orsolina. Ah signor commissario.

Polidoro. Che cosa e’è?

Orsolina. Sono precipitata.

Polidoro. Che cosa è stato?

Orsolina. Dopo che si pubblicò l’armistizio, ho aperto due banche di faraone, ci ho messo sopra tutto quello che aveva, sperando di guadagnare moltissimo, sono venuti a mettere quattro uffiziali, e in un momento hanno sbancato i due tavolini, e sono rimasta senza un quattrino. [p. 423 modifica]

Polidoro. E i miei danari?

Orsolina. Il diavolo se li è portati.

Polidoro. Andate al diavolo ancora voi.

Orsolina. Via, ci vuol pazienza. Se ora è andata male, un’altra volta anderà bene. Vi ricordate quello che mi avete promesso?

Polidoro. Vi dico chiaro, netto, rotondo, che non ne vo’ più sapere.

Orsolina. Ed io vi dico chiaro, netto, rotondo, che se non mi manterrete quello che mi avete promesso, andrò dal generale, gli scoprirò tutti i monopoli che fate: il danaro ad usura al venti e al trenta per cento; che nel pane della milizia ci framischiate segala, veccia e lupini; che in vece di mandare a far la legna nei boschi, per risparmiar le vetture, fate devastar le campagne, tagliar le viti, e gli alberi, e i pali che le sostengono; che proteggete i malviventi all’armata; che siete interessato nei giuochi, nelle bettole, nei festini. Sì signore; e se questo è poco, ho una giuntarella segreta, con cui mi darò l’onor di servirla. La riverisco divotamente. (parte)

Polidoro. L’elogio non è cattivo; la minaccia è calzante; lo spirito è ben disposto; è donna, ha bisogno, le ho promesso, le ho fatte delle confidenze. Sa tutti i fatti miei, può rovinarmi; bisognerà ch’io pensi a quietarla. Benissimo. (parte)

SCENA IX.

Luogo remoto o sia bosco corto.

Don Ferdinando, un Aiutante, un Carluccio,
Soldati e tamburo.

Ferdinando. Sì, è un torto che mi vien fatto. (all’Aiutante)

Aiutante. Di che cosa vi lamentate?

Ferdinando. Mentre gli altri vanno all’assalto, perchè destinarmi a presidiar questo sito? Non ho io valore che basta per quell’impresa? Non ho dato bastanti prove del mio coraggio? Don Faustino è alfiere dopo di me: perchè dar a lui la gloria di ritrovarsi all’assalto, e spedir me a questo posto avanzato? [p. 424 modifica]

Aiutante. Scusatemi, mi pare sia più decoroso il comandare a un picchetto, di quel che sia andare in truppa scalar le mura di una fortezza.

Ferdinando. No; colà vi è maggior onore, dov’è maggiore il pericolo. Don Faustino non mi doveva essere preferito.

Aiutante. E pure so che il generale fa stima di voi, e giudico certamente, che dandovi questa commissione abbia inteso di darvi un posto d’onore.

Ferdinando. Del generale non mi lamento.

Aiutante. Di chi dunque?

Ferdinando. Di don Faustino, che maneggiandosi per essere fra gli assalitori, ha inteso di soverchiarmi.

Aiutante. Io credo tutto al contrario. Don Faustino ama donna Florida, e donna Florida è stata condotta da suo padre in fortezza: pensate ora con qual piacere può andargli incontro colla spada alla mano.

Ferdinando. È vero quel che mi dite?

Aiutante. Verissimo. (SI ode suonare un cornettone da posta)

Ferdinando. Donde viene questo suono?

Aiutante. Da quella parte.

Ferdinando. È un uomo a cavallo.

Aiutante. E corre a carriera aperta.

Ferdinando. Carluccio, riconoscete quell’uomo.

Carluccio. (Sì avanza.)

SCENA X.

Un Corriere a cavallo di galoppo, e detti.

Carluccio. Chi va lì?

Corriere. Corriere.

Carluccio. Dove andate?

Corriere. Al campo.

Carluccio. Chi domandate?

Corriere. Ho un dispaccio per il generale.

Carluccio. Ha sentito? (a Ferdinando) [p. 425 modifica]

Ferdinando. Fatelo accompagnare da due soldati.

Carluccio. A voi, accompagnatelo al quartier generale. (a due soldati)

Ferdinando. Che nuove portate? (al corriere)

Corriere. La pace.

Ferdinando. È fatta la pace?

Corriere. È fatta la pace.

Ferdinando. Presto, che salgano due soldati a cavallo, e lo accompagnino velocemente al quartiere.

Carluccio. Subito. Fermatevi voi. Andate voi altri. (partono altri due soldati)

Ferdinando. Sollecitate la corsa. (al cantere)

Corriere. Son cascato due volte. Non ho più fiato. (parte)

Aiutante. Avete piacere, che sia seguita la pace?

Ferdinando. Ho piacere che don Faustino non possa vantarmi in faccia il merito di un assalto. Ritiriamoci nel fortino ad aspettare i comandi del generale. (parte)

Aiutante. L’invidia regna per tutto, ma all’armata poi si attacca come la pece. (parte con soldati)

SCENA XI.

Campo di battaglia con batterie di cannoni. Fortezza senza bandiera bianca.

Don Faustino, il Conte, don Fabio. Soldati in atto di dar l’assalto alle mura. Soldati su la Fortezza, che si difendono al suono di tamburi.

(Il suono delle trombe fa cessare i tamburi e s’odono voci per il campo, che gridano Pace, pace.

(Gli assalitori abbandonano il posto, si ritirano al campo, si mettono tutti in ordinanza ecc. [p. 426 modifica]

SCENA XII.

Don Sigismondo e detti.

Sigismondo. Amici, ecco il dispaccio regio, ecco la pubblicazion della pace. Lodo il vostro coraggio, ne darò parte al Sovrano, e sperar potete la ricompensa al vostro merito ed al vostro valore dovuta.

Faustino. (Il cielo ha secondato i miei voti).

Sigismondo. Don Fabio, sia vostra cura far ritirare i feriti, e sotterrare gli estinti.

Fabio. Saranno eseguiti gli ordini vostri. (parte)

Sigismondo. A voi, don Faustino, do l’onorevole incarico di recar i capitoli della pace al difensor valoroso della fortezza. (gli dà un foglio)

Faustino. (Oh comando per me felice! oh momento che mi ricolma di giubbilo e di contentezza!)
(Corre verso la Fortezza. Fa cenno col fazzoletto. Gli calano i ponti sopra la breccia, suonano sul Castello le trombe, ed egli entra.)

SCENA XIII.

Don Cirillo, don Polidoro e detti.

Cirillo. La pace. La pace; e viva la pace. (saltando)

Polidoro. Signor tenente, è fatta la pace? (al Conte)

Conte. Domandatelo al generale.

Polidoro. Eccellenza, perdoni, è seguita la pace? (a Sigismondo)

Sigismondo. Sì, la pace è conclusa.

Polidoro. Benissimo. (con un poco di dispiacere)

Sigismondo. Questo è il dispaccio che ha recato al campo la novità, ma nel dispaccio medesimo ve n’è un’altra, che risguarda voi solamente.

Polidoro. Benissimo. (confuso)

Sigismondo. Mi viene ordine dalla Corte di rimuovere la vostra persona dal posto di commissario, sostituendone un’altra.

Polidoro. Benissimo. (con gran dispiacere) [p. 427 modifica]

Sigismondo. E di più, vi è una piccola giuntarella.

Polidoro. (Povero me!)

Sigismondo. Dovete render conto della vostra amministrazione; e resterete sotto sequestro, fino a tanto che siano i vostri conti appurati.

Polidoro. (Rimane mortificato, e si ritira un poco.)

Cirillo. Benissimo.

Conte. (Questa volta gli faranno scontar le usure).

SCENA XIV.

Orsolina e detti.

Orsolina. (E bene, signor commissario, che cosa mi dite? Mi confermate quello che mi avete detto?) (piano a Polidoro)

Polidoro. (Sì, vi ho mandato al diavolo, e vi ritorno a mandare).

Orsolina. Parlerò al generale. Signore, sappia che don Polidoro... (a Sigismondo)

Sigismondo. Don Polidoro è licenziato dall’armata, e voi che siete a parte de’ suoi interessi, partirete seco dal campo.

Orsolina. Pazienza. Don Polidoro, sentite? Converrà ch’io torni a fare la lavandaia.

Polidoro. Benissimo; ed io il mulattiere.

Orsolina. Benissimo. (parte)

SCENA XV.

Donna Aspasia e detti.

Aspasia. Ah Eccellenza, mi è stato detto l’accidente di mio padre. Io non dirò, se sia giusta o ingiusta la sua disgrazia; so bene ch’io resto una miserabile, e che non so qual abbia da essere il mio destino. (a Sigismondo)

Sigismondo. So che ci siete, ed ho pensato già a provvedervi. Maritatevi, e dai beni di vostro padre farò io che si estragga la dote.

Polidoro. Ma, signor generale.... [p. 428 modifica]

Sigismondo. Tacete.

Polidoro. Benissimo. (parte)

Aspasia. Ringrazio la carità di Vostra Eccellenza. Voglia il cielo che presto mi si presenti qualche partito.

Cirillo. Eccomi; son qua io. (a Aspasia)

Aspasia. Grazie. Non mi comoda uno stroppiato.

SCENA XVI.

Don Ferdinando, Carluccio e detti.

Ferdinando. Eccomi, ai comandi di V. E. (a Sigismondo)

Sigismondo. Don Ferdinando, so che di me vi siete doluto.

Ferdinando. Signore, vi chiedo scusa...

Sigismondo. Compatisco l’intolleranza del vostro spirito. Il posto che vi aveva affidato, era onorifico bastantemente, ma il desiderio di segnalarvi nell’assalto della fortezza, vi ha fatto credere diversamente. Dono l’imprudenza all’ardor della gloria. Ma in avvenire rispettate meglio gli ordini di chi comanda, e fatevi merito coll’obbedire.

Ferdinando. Signore, confesso il mio torto, e do lode alla vostra bontà. Ma perdonatemi, come mai giungeste a sapere questo mio importuno risentimento?

Sigismondo. Al campo non mancano esploratori, ed io ne sono assai provveduto.

Carluccio. (Se non vi fosse qualche incerto, cosa si può avanzare colla paga di caporale?) (da sè)
(Si sentono suonar le trombe sul Castello, e poi si vede scendere ecc.)

SCENA ULTIMA.

Don Egidio, donna Florida, don Faustino, Soldati ecc.
Rispondono le trombe del campo, poi i tamburi.

Egidio. Signore, godo di nuovamente vedervi, e potervi essere amico. (a Sigismondo)

Sigismondo. Ammiro sempre più il vostro coraggio, e mi è cara la vostra amicizia. (a Egidio) [p. 429 modifica]

Egidio. Vi presento mia figlia.

Sigismondo. Mi congratulo seco lei di un genitore sì valoroso.

Egidio. E vi presento in essa, quando l’autorità vostra il consenta, la sposa di don Faustino.

Faustino. Signore, spero che mi renderete giustizia, per la parte del mio coraggio e del mio dovere. Una maggior prova ne sia aver intrepido assalite codeste mura, dove chiudevasi l’amor mio: quel cuore medesimo che affrontò coraggioso i perigli di Marte, non ha potuto difendersi dal seduttore Cupido, e se con gloria ho terminato la guerra, spero non poter esser rimproverato, se mi abbandono alla mia passione.

Sigismondo. Sì, gli amori onesti non sono indegni di un eroe militare. La sposa che vi eleggeste, è figlia di un prode guerriero che onora le vostre nozze, ed io volentieri colla mia autorità vi concorro.

Faustino. Grazie alla vostra bontà.

Florida. Ringrazio anch’io l’amorosa condiscendenza di un generale pio, valoroso e cortese. Chiedo perdono al padre d’aver arbitrato senza di lui del mio cuore, e impegno alla loro presenza al mio caro sposo la mano.

Cirillo. Viva l’amore, viva la pace. (saltando)

Faustino. Don Cirillo, siamo amici, o nemici?

Cirillo. Amici, amici; con voi, col Conte, con tutto il mondo: viva la pace, viva l’amore.

Conte. Caro don Faustino, mi rallegro con voi; a quartier d’inverno mi permetterete ch’io sia della vostra partita?

Faustino. Sì, della mia, ma non di quella di mia consorte.

Florida. Nè io voglio più trattar militari.

Aspasia. Donna Florida, mi consolo, saremo amiche.

Faustino. A proposito. Favorite poi di rendermi le cose mie. (ad Aspasia)

Aspasia. Sì, sì, ve le renderò. (Credeva se le fosse dimenticate).

Sigismondo. Andiamo al quartiere. Colà, sposi felici, si concluderanno le vostre nozze. [p. 430 modifica]

Florida. Sì, andiamo pure giacchè, per grazia del cielo, trionfa la pace ed è terminata la guerra. Signori miei benignissimi, che con tanta bontà soffriste la rappresentazion della Guerra, deggio pria ringraziarvi umilmente di tutto cuore, indi vi ho da fare una scusa. L’autore di questa commedia si è scordata una picciola cosa. Si è scordato di dire di qual nazione fossero i combattenti, e il nome della piazza battuta. Noi commedianti non possiamo dirlo, senza suo ordine; ma dirò bensì, che poco più, poco meno, tutte le nazioni d’Europa guerreggiano ad una maniera, e sono tutte forti, valorose, intrepide e gloriose; ed auguriamo a tutti la pace, siccome a voi, umanissimi spettatori, preghiamo dal cielo la continuazione di quella tranquillità, che è frutto di sapere, di prudenza e di perfetta moderazione.

Fine della Commedia.


Note

  1. Nell’ed. Pasquali è stampato i stimoli, e più sotto i scherni.
  2. Zatta: saltucciando.