La palingenesi/Canto I. La tradizione

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Canto I. La tradizione

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La palingenesi Canto II. Il Colossèo

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CANTO PRIMO


LA TRADIZIONE


                                                              Così dirai a’ figli d’Isdraello: Colui che
                                                                  è mandò me a voi.
                                                                                       Esodo, cap. III, v. 14.

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Sia principio da te, luce inconsunta
     Di Verità: coeva a Dio tu splendi
     Per la notte dei tempi, e tu mi svela
     Per che lunga d’inganni ombra si trasse
     5La traviata umanità soffrente,
     Quando, stolta, obliò la sua celeste
     Origine, sul suo capo infelice
     La giusta provocando ira di Dio.
     Fra le terrene tenebre un errante
     10Popolo abbominato il tuo sorriso
     Primamente recava, e dall’eccelso
     Mistico Sina, qual perpetua stella,
     Guidavalo Mosè, fin che tra l’ombre
     Vaticinato e sconosciuto apparve
     15Chi col suo sangue il mondo empio redense.

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     Quinci del Lazio i novi lauri e il novo
     Regno d" amor, fin che vorace in petto
     Ambizion, terrene ansie accendendo
     Nei pastori di Cristo, in reo mercato
     20Tramutò le inconcusse are e le soglie
     Del paradiso. Erse la fronte e il giogo
     Ferreo tentò l’intrepida Ragione,
     E oppressa parve, e trionfò: lontana
     L’ora non è (già non fallaci e chiari
     25Segni ne parla Iddio) che le smarrite
     Proli d’Ausonia torneranno al puro
     Evangelico fonte, e su l’eterno
     Vatican sorgerà l’ara del mondo.
     Or tu, possente Verità, che i petti
     30A sì grande di casi ordin prepari,
     I tuoi sacri responsi alle custodi
     Gentili Arti confida, e a me l’insegna,
     Che assiso all’ombra de l’etnee mie valli,
     Pensieroso t’invoco, e credo, e canto.
35Dolce compagno mio, sola e modesta
     Gioja a questi miei giorni egri, tu al novo
     Sacrificio convieni, ove più chiuso
     Agl’increduli volghi arde l’eterno
     Santuario del Vero. A te i fecondi
     40Silenzj, a te gli arcani ardui son cari
     Di Sofia rigorosa; e già nel regno

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     Dell’essenze immortali arditamente
     Spingi per tempo il giovinetto ingegno,
     Mio secreto e superbia. Amor, da cieca
     45Plebe incompreso, amor sereno e santo
     La severa Sofia stringe e collega
     Alle muse gentili; amor su’ nostri
     Petti la luminosa ala distende,
     E concordi ne guida a’ generosi
     50Libamenti del Vero; onde nè riso
     Di prospera fortuna, o fuggitivo
     Plauso terreno, ma soave e pia
     Carità d’operosi ozj e d’affetti
     Fia che ne allegri il faticoso impegno.
55Come disperse e travagliate barche
     Per non segnato mar cercano un lido,
     Così moveano al lor destino in preda
     I feroci mortali, affaticati
     Dal bisogno e dall’alta ira dispersi
     60Per la foresta della terra immensa;
     Nè avean porte e barriere, e stavan soli,
     Come leoni. Innanzi a sè i men forti
     Cacciando, si premean pari a rugghianti
     Flutti allo scoglio della Morte; e schiavi
     65Della natura e di sè stessi, all’ira
     Proni ed al sangue, alla vendetta sacri,
     Sol viveano di preda. Indi ebber cura

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     D’accolte greggi e di pascosi prati;
     Di tende e di capanne indi alle apriche
     70Valli, amene di miti alberi e d’acque,
     Dieder ombre ospitali; indi l’audace
     Zatta cacciando per gl’impervj flutti,
     L’oro e gli aromi dell’opposte rive
     Accomunâro e gentili usi e riti.
     75Ma, dovunque movesse inesorata
     Varia fortuna dei raminghi i passi,
     Il dolor presagíali, e un’indistinta
     Cura spargea di bieche ombre i lor petti.
     E chi primo guizzar come fiammante
     80Serpe il fulmine vide, e per le bronzee
     Volte del ciel sentì correre orrendi
     Tumulti e traballar la terra e in lunghi
     Murmuri reboar cupe le valli,
     Chinò tremante la cervice, e arcano
     85Un poter, che l’immenso ampio reggea,
     Nel fulmine adorò. Tal, cui dormente
     Tra custodi cespugli il Sol sorprese,
     Aperse gli occhi giubilante, e vide
     Tanta festa di raggi, e il corpo infermo
     90A quella intiepidì luce infinita,
     Genuflesso adorò l’astro sorgente,
     E l’ingenua preghiera indi all’incerto
     Labbro affidò della crescente prole.

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     Nè, in così vario traviar trascorso,
     95Mancò chi dal geloso orto o dal chiuso
     Ovil traesse i Numi suoi, d’umani
     Sagriflcj la muta ara bagnando
     Fra ’l clamor lieto di tregende oscene.
     Ma in seno alla funesta ombra talora
     100Il tuo sorriso, o Verità, splendea
     Su la fronte del Genio, e su la terra
     Ministre le civili Arti mandavi
     A rivolgere al ciel le tralignate
     Menti mortali, e ad incuorar la lena
     105Alla mesta Speranza fuggitiva.
     E tu nella sdegnosa alma spirasti
     Del pastore di Levi, allor che in bruno
     Abito di dolor serva sedea
     Su le ghiaje del Nil la sconsolata
     110Vedova del Giordano. Ahi, su gli altari
     Memori, o sconsolata, or più non vedi
     Tra vaporati timíami il Dio,
     Che a’ patriarchi consentía la legge
     E l’aspetto immortal; la luminosa
     115Arca del patto non incede in mezzo
     A’ tuoi mille guerrieri: a strani, orrendi
     Idoli per le vaste egizie valli
     Moli superbe son custodia; e chiusa
     In veli tenacissimi ed eterni

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     120Le paurose forme Iside asconde.
     S’alzano in nubi limpide i profumi
     Preziosi di Seba a’ simulacri
     D’Osiride e d’Anubi, e sante l’are
     Son di Sfingi deformi e di Canopi.
     125Più tu non miri, o derelitta, al nome
     Di Sabaotte i tuoi figli accorrenti
     Rovesciarsi terribili, siccome
     Rovinosa gragnuola, in sul nemico;
     Ma in cerca del Numenio Ibi, c’ha pasto
     130Di serpenti, o del nero Api a’ trionfi
     Premersi vedi su le sacre sponde
     Del Nil turbe infinite; e lo straniero
     Ghigno alla fede dei tuoi padri insulta.
     Or tu ridimmi, o Verità, chè il sai,
     135Quanto raggio di ciel su lui discese,
     Che alla sacra natal plaga stillante
     Miele e profumi e all’are abbandonate,
     Civil convegno a’ patriarchi, trasse
     L’asservito Isdraello, e a l’indurite
     140Menti la legge del Signor dischiuse.
Di Jetro a pasturar la numerosa
     Greggia presso ad Orebbe egli venía
     Tacitamente, e lo pungea la lunga
     Servitù d’Isdrael ne le straniere

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     145Valli del Nilo. Si stendeano in curva
     Scena i monti al suo sguardo e le tranquille
     Palme dal biondo dattero, ristoro
     A’ figli del deserto, e l’orizzonte
     Come il futuro interminato, e Dio.
     150Ed ei stette, e pregò: Tu, che sugli astri
     Siedi e reggi il lor moto, e mai tramonti,
     O implorato d’Abramo, all’irrompenti
     Cateratte del ciel tu sottraevi
     Il Patriarca, e Tu, se mai d’incensi
     155T’odorai ’l tempio, e t’arsi ostie su l’ara,
     Tu dall’indegna servitù mi campa
     Questo popol, ch’è tuo! Disse, e sul monte
     Ardore un pruno e’ vide, e uscir da questo
     Udì tre volte del suo nome il suono;
     160E cinti i lombi alla montagna mosse;
     E il Signor gli parlò. L’umil vincastro
     Del mandriano al Faraon lo scettro
     Percosse, e i ceppi d’Isdraello infranse.
Arditamente valicar le immense
     165Arene del deserto i fuggitivi;
     E il Signor li scorgea. Ma poi che a tergo
     Udìro il suon delle ferventi ruote
     E il fragor dell’egizie armi irruenti,
     E a fronte avean del Rosso mar l’insonne

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     170Flutto, di morte paventose a Dio
     Si rivolser le turbe, e all’ostinato
     Duce volgean le torbide pupille.
     E, di tombe, dicean, certo non manca
     L’egizia terra, che a morir ne traggi
     175Qui nel deserto; come turbo immane
     Ecco, su noi piomba il nemico, e innanzi
     L’onda ne chiude alla salute il varco.
     O diffidenti nel Signor, proruppe
     Irato il duce, ecco su l’onda io stendo
     180La destra, e Iddio l’onda ne schiude! Disse,
     Ed al soffio di Dio l’onda si aperse.
     Rammansati nel cor mossero avanti,
     Osannando a Geòva, e a lor da lato
     Sorgean l’onde qual muro. Impetuosa
     185Come torrente dietro a lor si caccia
     L’oste superba; ma sovr’essa, grave
     Ecco la scatenata acqua precipita,
     E destrieri ed armati e plaustri ed armi
     Nel seno procelloso avvolge e chiude.
     190Securi intanto e di speranza accesi
     L’alta riva tenean gl’ Isdraeliti.

  — Lode al Signor, che simigliante a nembo
     Calò da’ monti su l’Egizio altero;
     Che traboccò dell’Eritreo nel grembo
                                 195Cavallo e cavaliero!

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