La peruviana/Atto V

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Atto V

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Atto IV Nota storica
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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Sala.

Monsieur Deterville e Don ALONSO.

Deterville. Signor, dal mio racconto, che giuro esser sincero.

Credo conoscerete che anch’io son cavaiiero,
Ma che le contingenze, in cui mi son trovato,
M’han fatto a mio dispetto parere un malcreato.
Alonso. Basta così, son pago; d’un cavalier la scusa
Creder si dee sincera, e1 replicar2 non s’usa.
Dovrei di chi m’invita la cortesia gradire,
Ma un puntiglio novello or m’obbliga a partire.
Deterville. Signor, v’ha disgustato alcun di mia famiglia?

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Alonso. Questa volta il puntiglio l’ho solo con mia figlia.

Deterville. Colla figliuola vostra? Chiedo perdon, signore,
Comanda e non contende coi figli il genitore.
Alonso. Ella restar vorrebbe, e la ragion prevedo;
Dopo sedici mesi, oggi sol me ne avvedo.
Del Peruvian Zulmira prova segreto ardore,
E a perderlo vicina non può celar l’amore.
Deterville. Sì facile non era, che avessero a trattarsi
Con lunga indifferenza, e senza innamorarsi.
Alonso. Nè io, per dir il vero, avrei molto impedito
Che un uom che amo qual figlio, di lei fosse marito.
Ha massime da grande, considero ch’egli è
Nato nel suo paese figliuolo d’un gran Re.
E questo unico fregio manca alla mia famiglia,
Mirar di regio sangue i figli di mia figlia.
Deterville. Signor, ciò che bramate aver, sta in vostra mano.
Alonso. Se Aza di Zilia è sposo, posso sperarlo in vano.
Deterville. Non lo sarà.
Alonso.   Chi il dice?
Deterville.   Sospetto ha di Zulmira
Zilia amorosa, ed Aza sa che per lei sospira.
La giovane gelosa mostra lo sdegno ardente.
Aza con lei non parla; si mostra indifferente.
Vedesi a chiare note che vostra figlia adora;
Che scior procura3 il laccio per rilegarsi4 allora.
Alonso. Se così fosse, il giuro, sarei contento appieno;
Il genero reale vorrei stringermi al seno.
Deterville. Il partir sospendete.
Alonso.   Sì, amico, io lo sospendo.
L’esito fortunato in queste soglie attendo.
Ma i Peruvian fian5 sciolti?
Deterville.   Lo sa Zulmira istessa.
Alonso. Vuo’ ricercar la figlia...
Deterville.   Signore, ella si appressa.

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SCENA II.

Donna Zulmira e detti.

Alonso. Donna Zulmira, è vero che Aza da’ lacci sciolto

Puossi sperar che sia con nuovi lacci avvolto?
Zulmira. Se il ver saper volete, Aza con Zilia unito
Trovai pacificati: saran moglie e marito.
Deterville. Misero me! Fia vero?
Zulmira.   Vero è pur troppo.
Deterville.   Oh Dei!
Alonso. Signor, voi non dovete scherzar coi pari miei.
Deterville. Ma se la figlia vostra...
Alonso.   Vi burlate di me,
Ch’esser aspiri il suocero d’un figliuolo di Re?
Voi non mi conoscete; imparentato io sono
Con tai che un dì occuparono della Castiglia il trono.
In Francia uno Spagnuolo non soffrirà un affronto.
Dei scherni, degli insulti, mi si ha da render conto.
parie

SCENA III.

Monsieur Deterville e Donna Zulmira.

Deterville. Don Alonso è furente. (a Donna Zulmira

Zulmira.   Mio padre è tutto foco.
Ma il suo furor non dura, si calma a poco a poco.
Deterville. Come in sì brevi istanti cambiar le cose aspetto?
Zulmira. Zilia trovai ed Aza soli in rustico tetto.
Merita il loro inganno, merta la frode loro,
Vuol delle genti il dritto, vuole il vostro decoro,
Che parli la ragione, che vinca il vostro affetto.
Deterville. Ah che averla non voglio per onta e per dispetto.
Zulmira. Tutte le cose il tempo accomodar si vede.
Deterville. Scema l’amor col tempo, l'odio crudel non cede.

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Zulmira. Dunque lasciar vogliamo agl’inimici il campo?

Voi che d’amor languite, io che di sdegno avvampo?
Tutto si tenti almeno, prima di perder tutto.
Deterville. Noi perderem, Zulmira, della vendetta il frutto.
Torno qual fui infelice, prima che al mio pensiero
Porgeste voi di speme quel raggio menzognero.
Torni la mia virtute a superar nel cuore
I stimoli feroci dell’ira e dell’amore.
Se il mio destin crudele misero ognor provai,
Perder potrò la vita, ma la virtù non mai. parte

SCENA IV.

Donna Zulmira sola.

Della virtude il nome spesso vantare intesi;

Ma quanto costi usarla, or dall’esempio appresi.
Se Deterville per questo soggettasi alla morte,
Io non mi comprometto d’aver alma sì forte.
So che soffrir in pace l’affanno anch’io dovrei.
Ma se potessi farlo, sì, mi vendicherei.
Che se parlarmi al seno la mia ragion procura,
Parla con egual forza l’amore e la natura.
Sia l'ambizion del cuore, o sia la debolezza,
L’onte a soffrir in pace ancor non sono avvezza;
Giustificar potendo con ciò lo sdegno mio:
Sono d’Alonso figlia, son puntigliosa anch’io.
Con tal fra noi divario, che l’ire sue son corte;
Ma si vedran le mie durar sino alla morte, parte

SCENA V.

Serpina sola.

Il cuor della padrona or sì che ha preso foco.

Divenuta è impaziente. Vuo’ respirare un poco.
Oh quante mutazioni! Oh quante stravaganze!

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Povero Deterville! perdute ha le speranze.

Mi fa pietà davvero. Ei per dolor s’uccide,
E Zilia fa le grazie col Peruviano, e ride.
Aza però non pare allegro come lei;
Pochissimo contento rassembra agli occhi miei.
Può darsi per natura ch’ei sia di rider privo,
Ma affé, questo sarebbe un natural cattivo;
Come quell’altro ancora dello Spagnuol stizzoso
Che a ogni picciola cosa vuol far il puntiglioso.
Benedetti i Francesi: in questa patria mia
Regna il vero buon gusto, la vera leggiadria.
Stimasi il sesso nostro senza caricature;
Attenti nel servire, ma senza seccature.
E più d’ogni altra cosa, quel che alla donna piace,
Vivono e lascian vivere, e godono la pace.

SCENA VI.

Zilia e la suddetta.

Zilia. Aza, grazie agli Dei, si è alfin rasserenato,

Mostra aver dal suo seno ogni timor scacciato.
Per carità, Serpina, non ti stancar, ti prego;
Scorgo da quel che hai fatto, quel che sai far, nol nego;
Mi troverai discreta, se viveremo insieme;
Ma l’attenzion dei servi in questo dì mi preme.
Serpina. Signora, comandate.
Zilia.   Vorrei che accomodata
Bene la stanza fosse, che ad Aza è destinata.
Sia rilucente il suolo, sia spiumacciato il letto,
S’unisca al sopraccielo l’indiano tornaletto;
Coltrice ricamata6 di sete a noi straniere
Copra di rose sparse lenzuola ed origliere;

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Sedia comoda agiata s’offra al di lui riposo.

Aza che è di Re figlio, Aza sarà mio sposo.
Serpina. Sì sì, non dubitate, Aza sarà contento.
Si renderà più adorno il ricco appartamento.
Ma il povero infelice che tutto ha preparato,
Altri vedrà godere, ed ei sarà scacciato.
Zilia. No, Deterville di tutto sarà padrone ognora.
Serpina. Oh oh, mi vien da ridere. Compatite, signora:
Levate da un anello la pietra rilucente,
L’oro che la legava, non stimasi più niente.
Levata voi, che siete gioja preziosa onesta,
Il povero signore non cura quel che resta.
Vi compatisco, è vero: il Peruviano è primo.
Anzi la vostra fede, per dir il vero, io stimo.
Ma spiacemi quell’altro veder mesto ed afflitto.
Se si potesse farlo, se non fosse un delitto...
Zilia. Che far potrei per esso?
Serpina.   Potreste fare assai.
Ma quel che non è bene, non si dee far giammai.
Parlo talor da pazza; senza pensar ragiono:
Ma in materia d’onore sottilissima sono.
Anch’io nel vostro caso so quel che far dovrei;
Ma il Cielo me ne guardi, non so quel ch’io farei.
parte

SCENA VII.

Zilia, e poi Deterville.

Zilia. L’anime più volgari ponno esitare in questo.

Chi è nato in nobil cuna, sa preferir l’onesto.
Amerei Deterville, se lo volesse il fato;
L’amerei perchè mi ama, e merta esser amato.
Deggio lasciarlo e peno, ch’ei per me s’addolore.
Sarà nel rammentarlo eterno il mio rossore.

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Aza il Ciel mi destina, Aza sarà il mio bene.

Parmi di sentir gente. Ah Deterville sen viene.
Deterville. Sarete alfin contenta.
Zilia.   Non sarò tal, signore,
Finché rasserenato non vegga il vostro cuore.
Deh, la virtù s’impegni...
Deterville.   Di tal virtute ormai
Intesi il labbro vostro a ragionarmi assai.
D’altro si parli. È vero, che Aza giustificato
Sia da voi compatito, sia come prima amato?
Zilia. Aza è fedel. signore; Aza veder io spero...
Deterville. Basta così. È egli vero che ancor l’amiate?
Zilia.   È vero.
Deterville. Barbara! in faccia mia la man voi gli darete?
Zilia. Quando ciò vi dispiaccia...
Deterville.   Sì, contenta sarete.
Scarso piacer per voi sarebbe il caro sposo,
Senza mirar le smanie d’un misero geloso.
Mi voleste presente alla mia morte istessa.
Sì, vi sarò.
Zilia.   Signore.
Deterville.   Tacete. Aza s’appressa.
Zilia. Deh per pietà...
Deterville.   No, Zilia; tempo non è di pianto.
L’alma rasserenate al vostro sposo accanto.
E se la mia presenza molesta a voi si vede.
Pensate che voi stessa mi tratteneste il piede.
Ah, perché non lasciarmi cercare altro destino?
Zilia. Ah, perchè far venire Aza a me da vicino?7
Deterville. Rimproverate un’alma della virtute amica!
Zilia. Ah signor, perdonate; non so quel ch’io mi dica.

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SCENA VIII.

Aza e detti.

Aza. Signor, a quel ch’io vedo, Aza è a tutti molesto.

Datemi la mia sposa; ed al partir mi appresto.
Deterville. Eccola. (mostrandogli Zilia
Zilia.   E sarà vero, che sia Zilia sposata
Da rio dolor trafitta? da Deterville odiata?
Aza. Zilia, v’è tempo ancora. Tutto, per darti aita,
Tutto perdei, poss’anche perder per te la vita.
Se amor, se gratitudine, se compassione o impegno
A Deterville ti lega, sposalo, s’ei n’è degno.
Lasciami prima almeno, lasciami andar lontano...
Deterville. Zilia, non vi è più tempo. Porgetegli la mano.
Zilia. Soccorretemi, o Numi, in sì fatal contrasto.
Sola del cuor gli obbietti a superar non basto.

SCENA IX.

Monsieur Rigadon. Madama Cellina, Kanich8, Pierotto e detti.

Rigadon. Venga, signora mia, che tutto ora saprà.

Ora sarà appagata la sua curiosità.
(parlando con madama Cellina
Cellina. In verità è garbato, signor consorte mio. (a Rigadon
Pierotto. (Chi diavol è colui? sono curioso anch’io). da sè
Deterville. Che c’è, signor cognato? Chi è quel che vien con voi.
Rigadon. È un Peruvian che brama veder gli amici suoi.
Conoscer lo dovreste; egli è un di quei che presi
Furono a Zilia insieme, e prigionier fur resi.
Deterville. Riconoscerlo parmi.
Zilia.   Vedi Kanich? ad Aza

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Aza.   Lo vedo.

Kanich. Aza, la man baciarti per riverenza io chiedo.
Figlio del mio signore, del nostro Re sei nato;
Venero il sangue illustre ancora in umil stato.
E men saprò lagnarmi contro la sorte ultrice,
Se almen veggo in Europa il mio signor felice.
Aza. Qual è il tuo stato?
Kanich.   Io servo.
Ricadon.   Mio amico è il suo padrone.
Ch’egli venisse meco, gli diè la permissione.
Aza. Zilia tu non servisti? (a Kanich
Kanich.   Sì, con amor, con zelo.
(a Kanich
Deterville. Torneresti con Zilia?
Kanich.   Ah, lo volesse il Cielo!
Deterville. Lo puoi sperar, se ’l brami: Zilia ed Aza contenti
Sposi già son.
Rigadon.   Sposati?
Deterville.   Lo saranno a momenti.
Rigadon. Pria che fra noi seguire veggansi nozze tali,
Fate che il Peruviano vi dica i lor natali.
La Corte n’è informata; e in parte a noi lontana
Andran, se si congiungono, a vivere all’indiana.
Deterville. Perchè?
Aza.   (Già lo previdi).
Zilia.   Quai novelli perigli?
Rigadon. Su via, in coscienza vostra dite di chi son figli.
(a Kanich
Kanich. Signor, d’Europa il rito ho già nell’alma impresso.
ad Aza
Deggio svelar che siete nati d’un padre istesso:
Approvami tai nozze dal Peruvian costume,
Ma son nozze vietate degli Europei dal Nume.
Zilia. Kanich, ah che dicesti? Ciò sarà ver, signore?
ad Aza

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Aza. Eccoti quel rimorso che mi agitava il cuore. (a Zilia

Deterville. (Torno a sperare).
Cellina.   E tanto a dirlo vi voleva?
(a Rigadon
Rigadon. Alfin per questa voglia disperder non poteva.
(a Madama Cellina
Deterville. (S’aman le leggi nostre, ciò troveranno ingiusto).
Pierotto. (Non darei questa scena per un milion. Ci ho gusto).
Kanich. Perdonami, signore, se dispiacer ti reco.
Aza. Chi tid chiamò, villano? Zilia, tu verrai meco.
Zilia. Dove, signor?
Aza.   Là dove sia onesto un tale affetto.
Zilia. Ah, il tuo rimorso istesso or mi si sveglia in petto.
Deterville. Dove, signor, sperate trovar parte sicura,
In cui cotale affetto non sdegni la natura?
Fu tollerato un tempo codesto nodo al mondo,
Allor ch’uopo egli aveva di rendersi fecondo.
Ma popolato alfine, in più matura etade,
Vietò cotali nozze la legge e l’onestade.
E l’onestà e la legge perciò rende sicura
L’innocenza de’ figli fra domestiche mura.
Trovar sperate in vano asilo nel Perù:
Il Sol, mercè gl’Ispani, là non si adora più.
Cessero al nuovo rito le antiche leggi vostre.
Zilia, giuraste pure voi d’osservar le nostre.
Aza, fu di voi scritto sino dai lidi iberi,
Che i riti dell’Europa vi parvero sinceri.
Perchè sedotti i spirti da contumaci ardori,
Tradir le vostre menti, tradire i vostri cuori?
Se il grado vostro ad arte sinor fu qui celato,
Avete l’error vostro, tacendo, confessato.
Se un silenzio innocente fu il vostro, illuminati
Rendavi la ragione convinti e rassegnati.
Quell’amor che cotanto v’arse finora il petto,
Puote fra voi cambiarsi in virtuoso affetto;

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Ed inchinando il capo a quel che il mondo regge,

Puossi amar per natura, senza oltraggiar la legge.
Aza. Non vi sarà nel mondo terra che mi sostenga?
Legge sperar non posso che col mio amor convenga?
Avrò nemico il Cielo e la natura anch’essa,
Se da lei non mi stacco, ch’à la mia vita istessa?
Tutto soffersi in pace: perder la patria, il regno,
Contro il destin non valse a provocarmi a sdegno.
Cambiar non mi diè pena le patrie leggi istesse
Degli uomini nel cuore sin dall’infanzia impresse.
Piacquemi dell’Europa il rito ed il costume.
Più non adoro il Sole, ma chi gli diede il lume.
L’unico dogma è questo, che troppo tardi appresi,
Che ha nel mio sen gli affanni ed i rimorsi accesi.
Mi lusingai, ma in vano; sperai senza ragione;
Ah, facilmente inganna la speme e la passione.
Cuor non ho di resistere ad una legge onesta,
Ma cuor d’allontanarmi non ho nemmen da questa.
(accennando Zilia
Ecco il più fier contrasto che soffrir possa un cuore:
Dubbi, rimorsi, affanni, legge, rispetto e amore.
Chi vincerà il conflitto? L’affetto o la ragione?
Ah, voglia il Ciel non vinca la mia disperazione.
parte
Zilia. Signor, deh non si lasci... (a Deterville
Deterville.   Abbia l’aiuto mio. parte
Kanich. Vuo’ seguir l’infelice. parte
Zilia.   Voglio seguirlo anch’io, parte

SCENA X.

Monsieur Rigadon, Madama Cellina e Pierotto.

Pierotto. Avete voi sentito? Oppresso han quel signore

Dubbi, rimorsi, affanni, legge, rispetto e amore.
Tra tai passion vorrebbe cedere alla più onesta,

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Ma io son persuaso, che vincerà la sesta.

I dubbi si risolvono, quando consiglia amore.
Rimorsi non s’ascoltano, quando favella amore.
Gii affanni non si sentono, se ci lusinga amore.
Anche la legge stessa talor cede all’amore.
Si perde ogni rispetto in grazia dell’amore.
Cinque ragion non vagliono, quando la sesta è amore.
Rigadon. Da un uomo di buon senno altro sperar conviene.
(a Pierotto
Dite, signora mia, mi son portato bene?
Cellina. Malissimo.
Rigadon.   Scherzate...
Cellina.   Mal vi dico.
Rigadon.   Perchè?
Cellina. Confidare il segreto voi dovevate a me.
La cosa avrei condotta con altra direzione;
A tempo avrei parlato, senza far confusione.
Dell’opera s’avrebbe meglio raccolto il frutto.
Voi operate a caso, siete ignorante in tutto. porte

SCENA XI.

Monsieur Rigadon e Pierotto.

Rigadon. Solite sue finezze; madama è una signora,

Che ognor con gentilezza il suo consorte onora.
Ma di lei non mi cale, bastami aver l’intento.
Mi ha favorito il fato; parmi d’esser contento.
Pierotto. Credete voi che voglia il Peruvian lasciare
La Peruviana sua?
Rigadon.   Non la potrà sposare.
Pierotto. Quando l’amore accieca...
Rigadon.   In lor cambia figura:
S’amano due fratelli per sangue e per natura.
Pierotto. Voi credete che in loro natura abbia operato.
Con vostra buona grazia, così non ho pensato.

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Se oprasse la natura, sarebbe in tutti eguale;

Quanti fratelli s’odiano? quanti si fan del male?
Se della fratellanza prova fosse l’amore,
L’odio loro alle madri farebbe disonore.
Questo amor di natura, signore, io non l’intendo;
Veggo tutto il contrario, se l’apparenza attendo.
Un padre ama un figliuolo, se del suo sangue il crede.
Odiar il proprio figlio da chi nol sa, si vede.
Onde del mio discorso quest’è la conclusione,
Amasi quel che piace, e basta l’opinione. parte
Rigadon. Non dice mal Pierotto: amasi quel che piace;
E s’odia e si abborrisce la cosa che dispiace.
Il vincolo non vale a far la simpatia,
Io non potrò in eterno amar la moglie mia.
Dacché ci siamo uniti, pace fra noi non fu:
Eppure ebbi tre figli; ma non ne voglio più. parte

SCENA XII.

Aza e Zilia.

Zilia. Aza, se Zilia t’ama, sia testimonio il Cielo:

Ma la passion non ponga alla ragione il velo.
Ora siamo Europei. Non vuol la legge, il rito,
Che sia della sorella il suo fratel marito.
Ma questa legge istessa, che amica è di natura,
in noi non potrà spegnere l’onesta fiamma e pura.
Se t’adorai lontano, dal rio destino oppressa,
Vicin non potrò amarti colla virtude istessa?
Se in te più del tuo ciglio mi piace il nobil cuore,
Chi vieterà ch’io serbi ad un germano amore?
Aza. Sì, Zilia mia, calmato ha la ragione il foco:
Sento il desio nell’alma cambiarsi a poco a poco.
Nelle grand’opre ha sempre la sua gran parte il Cielo.
Egli avvalora i spirti, egli m’infonde il zelo.

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Segua l’onesto e ’l giusto. Si sottometta il cuore,

Le tenebre scacciando di un innocente errore.
Dove l’inganno regna, misero l’uom che nasce.
Misero l’uom che apprende falsi principii in fasce.
L’error de’ padri nostri duro è staccar dall’alma;
D’uopo v’è d’un prodigio per ottener la palma.
Ecco per quale via fummo dal Ciel condotti,
Privi di patria e tetto, e in povertà ridotti.
Indi in mercè fors’anco d’esser del vero amici,
Eccoci in miglior stato, ecco siam noi felici.
Zilia. Aza, tu mi consoli. In me cangiando affetto,
Serberò al mio germano obbedienza e rispetto.
Del genitore in vece tu alla germana imponi;
Regola i miei pensieri. Tu del mio cuor disponi.
Aza. Ricco mi fai, germana, ricco mi fai d’un regno,
Se a me l’arbitrio doni sovra il tuo cuor ri degno.
Ne disporrò se ’l brami.

SCENA XIII.

Deterville e detti.

Deterville.   Signor, chiedo perdono...

Aza. Zilia, quel cuor ch’è mio, a Deterville io dono.
Deterville. Come!
Zilia.   Sì, Deterville; Aza è di me signore.
Della germana umile egli vi dona il cuore.
Spiacevi non averlo dall’amor mio soltanto?
Deterville. No, Zilia mia, mi basta di possederlo il vanto.
Della virtude ammiro gli ultimi sforzi in questo;
Dell’umiltà ravviso il pensamento onesto.
Cara, se mia voi siete, che più sperar mi lice?
Signor, grazie vi rendo, voi mi fate felice.

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SCENA ULTIMA.

Madama Cellina, Don Alonso, Donna Zulmira e detti.

Cellina. Quanto rumore! andate. (a Don Alonso

Alonso.   Voglio partir, ma pria
Giust’è che a me da voi soddisfazion si dia.
(a Deterville
Zulmira. Soddisfazion da tutti voglio col padre mio.
Egli si chiama offeso, e son offesa anch’io.
Deterville. Aza per tutti noi saggio, amoroso e grato.
Soddisfi la figliuola9 e il genitor sdegnato.
Aza. Signor, qual fui finora, un figlio vostro io sono.
Offro, se nol sdegnate, a lei la destra in dono.
Zulmira. A me? Zilia che dice?
Zilia.   Sua Deterville mi rese.
Cellina. Eh, a due non si maritano le donne al mio paese.
Zilia. Dice il ver? (a Deterville
Deterville.   Lo confermo.
Zulmira.   Voi mi date la mano?
ad Aza
Aza. Eccola.
Alonso.   Ma in qual guisa?
Zulmira.   Altro sapere è vano.
Aza sarà mio sposo? Aza verrà con noi?
Aza.   Sì, sdegnosetta.
Zulmira. Basta, sapremo il resto poi.
Deterville. Pria che sì lieto giorno vada all’occaso affatto,
Possiam di doppie nozze formar doppio contratto.
Alonso. Farassi un tal contratto nell’ispanico suolo,
Tra il figlio d’un monarca e un cavalier spagnuolo.
Zilia. Oh Cieli! in un momento sento cambiarmi il cuore,
Sento cambiare in seno gli effetti10 dell’amore.
Di Deterville al fianco trovomi or più contenta:

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D’Aza non fa la sposa che gelosia risenta.

E pur li amo ambidue, e pur li amava in prima.
Cambiò loco l’amore, loco cambiò la stima.
Quel che serbava ad uno, ora conservo a quello;
Aza mi par più degno, e Deterville più bello.
Questa in me producendo metamorfosi strana,
Il cuor faftitto europeo di donna Peruviana,
Prendo le nuove leggi: confesso il vero Nume.
Serberò sol nell’alma questo natio costume
Di dir in faccia a tutti con innocenza il vero.
Di non celar col viso gli arcani del pensiero.
E d’essere mai sempre grata col cuor m’impegno,
A chi vorrà d’amore dar colle mani un segno.
(al Popolo


Fine della Commedia.


Note

  1. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: .
  2. Ed. Pitteri: repplicar.
  3. Ed. Pitteri: proccura.
  4. Ed. Pitteri: rillegarsi.
  5. Ed. Zatta: ti han.
  6. Ed. Pitteri: riccamata.
  7. Nella ristampa torinese e nell’ed. Zatta: Aza or a me vicino?
  8. Manca costui, in tutte le antiche edizioni, nell’elenco dei Personaggi: vedi pag. 231.
  9. Ed. Zatta: soddisfaccia a alla figlia e al ecc.
  10. Nella rist. torinese e nell’ed. Zatta: affetti.