La polizia di Londra con note ed osservazioni sulla polizia italiana/Due parole sulla sicurezza pubblica in Italia
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DUE PAROLE
SULLA SICUREZZA PUBBLICA IN ITALIA
Felici sono quelle pochissime Nazioni, che non aspettarono che il lento moto delle combinazioni e Vicissitudini umane, facesse succedere all’estremità dei mali un avviamento al bene, ma ne accelerarono i passaggi intermedii con buone leggi.
Il pregiato periodico La Riforma nel suo articolo di fondo, sotto la data del 17 novembre 1871, disse, che
«La sicurezza è un bisogno supremo di tutti, e non vi è ministeriale o avversario del ministero, non vi è monarchico o repubblicano che non debba desiderarla e volerla completa.»
Nel rilevare questa esplicita dichiarazione del Giornale dell’Opposizione parlamentare, riguardo alla sicurezza pubblica, non posso a meno di farvi sincero plauso, ed associandovi la debole mia voce, soggiungo che, se in tutti i tempi fu sempre vivamente sentito il bisogno di guarentire la società dagli attentati criminosi dei tristi, molto più si fa questo bisogno imperioso al giorno d’oggi in cui si ha il dolore di dover assistere al ben deplorevole spettacolo dato da un’accolta dei più fanatici demagoghi d’ogni paese, i quali, abusando sacrilegamente della libertà, pretendono di distruggere la società attuale coll’insano pretesto di volerla riformare, mentre che poi tutto il loro malefico lavoro altro non è, fuorchè uno sfogo delle loro ree passioni, passioni che non possono trovare soddisfazione altrimenti che nel disordine, nell’anarchia e nella distruzione degli averi altrui, perchè essi rifuggono dal procurarsene coll’onesto, paziente e faticoso lavoro.
Allorquando dominava in Europa il più fiero dispotismo erano le menti più elette d’ogni Nazione, i cuori più ben fatti e generosi che vagheggiavano la libertà, perchè vedevano in essa soltanto soddisfatti i più sacrosanti diritti che l’uomo aver si possa nel civile consorzio, e ritenevano che con essa sarebbero stati intieramente appagati i voti dei popoli col loro risorgimento a più prospera vita ed a più lieto avvenire. Ed ora che la libertà abbiamo, chi mai avrebbe potuto anche solo immaginare, che sarebbe venuto quel dì in cui i venerandi nomi di patria, di nazione, di famiglia, di religione, di morale e persin di Dio, sarebbero stati, da pochi sì, ma audaci sfrenati apostoli della demagogìa, considerati come una bestemmia?
Le malvagie e subdole dottrine del socialismo e del comunismo, venuteci specialmente d’oltr’Alpi, danno il loro frutto col portare ovunque lo scompiglio, l’anarchia, e la desolazione, e non è più possibile volgere lo sguardo sopra un giornale qualunque, senza avere il rammarico ed il dolore d’apprendere, qua un turbolento sciopero d’operai, là uno spaventevole delittuoso incendio.
Questi gravissimi malanni, tutti ormai sel sanno, ripetono la loro prima origine da quel piccol nucleo dei promotori della società internazionale, denominata impropriamente degli operai, costituitasi in Ginevra nei primi mesi del 1868 ed a cui è riuscito di far apparire, con molta scaltrezza, una questione sociale là dove, quando ben s’osservi, non vi è altro, tranne che la loro perfidia onde sfruttare a tutto loro vantaggio l’altrui inesperienza, l’altrui credulità e buona fede.
Riandando la storia di quanto è successo in Europa dopo la caduta del primo impero napoleonico, noi vediamo pullulare da ogni parte le secrete associazioni in favore della libertà dei popoli e per far trionfare il principio della loro nazionalità rispettiva. Uno solo era allora l’intento, e sotto la sacra bandiera della libertà militarono buoni e tristi: raggiunto lo scopo col trionfo della libertà, i galantuomini si trovarono soddisfatti, e per l’onestà dei loro propositi, vi fecero plauso, quand’anche in sulle prime molti di loro sotto altra forma di reggimento volessero la libertà sancita.
Ed il dissidio non era di sostanza, ma solo di forma, giacchè tutte quelle libertà che si possono avere in una repubblica, si hanno perfettamente eguali anche con una monarchia costituzionale, come ne dà un’ampia e luminosa prova la nostra stessa Italia, che, in fatto di libertà, può ben essere con ragione invidiata da alcune repubbliche dei due mondi.
Per contro i tristi, a cui s’aggiunsero poi anche quei pochissimi onesti sì, ma ambiziosi a cui la libertà non basta se da loro soltanto non la si ripete, o se ad essi non è fatto un posto che loro talenti, trovatisi delusi nelle loro speranze, non si sono punto acquetati, e sfruttando a loro pro, assai più d’ogni altro, l’ampia libertà di cui al presente si gode, se ne fecero aspri censori, ne varcarono, come ne varcano tuttodì, i giusti confini passando alla licenza e convertendosi in veri tiranni. E son dessi veri tiranni perchè, intolleranti delle altrui opinioni, non colla persuasione e coll’addurre buone ragioni, ma colla violenza del linguaggio e persin col ferro e col fuoco tentano attuare ed imporre i loro pravi disegni.
La maggior parte poi di questi malcontenti si sono affigliati alla suddetta lega internazionale, che si ebbe l’ardire di qualificarla, con solenne menzogna, congresso della pace, mentre che stabilì per programma della sua azione la guerra più atroce contro la società. Questa lega attualmente va di giorno in giorno estendendo le sue ramificazioni per modo, che tanto in Europa, come nella lontana America, non havvi regione, non havvi provincia in cui siffatto malefico sodalizio non sia organizzato e già faccia sentire i funesti effetti della settaria sua azione.
E quantunque in Italia, assai men che altrove, questo malanno abbia sin qui potuto attecchire, tuttavia sarebbe stoltezza grave il voler dissimulare il pericolo che sovrasta anche ai popoli della nostra Penisola; e vuole prudenza di attenersi alla nota massima di buon governo, che dice: si vis pacem, para bellum.
Questo settario lavoro però, che è in parte palese, in parte occulto, e che ha per pretesto di voler livellare le sociali disuguaglianze per fare che tutti ad un sol tratto abbiano a divenire possidenti, tutti benestanti, non costituisce, come taluno opina, e come vorrebbero far credere che sia i signori internazionalisti, una vera e propria questione sociale, perchè non è cosa sôrta spontanea dalla coscienza dei popoli, ma egli è invece un gravissimo malanno che vanno inoculando i suddetti sfrenati apostoli della demagogìa.
È cosa poi che sembrerebbe incredibile, se non la si leggesse in qualche giornale, e se non l’avessi io stesso sentita a ripetere più d’una volta, come siavi chi, in tutta buona fede, vada dicendo con insistenza, che queste strane dottrine, prodotte dal delirio di menti inferme e dalla perfidia di scaltri speculatori dell’altrui credulità, malgrado tutti gli sforzi che si facciano dai governi per contrapporvi un valido riparo, ciò non pertanto finiranno per trionfare, appoggiando queste induzioni al fatto d’aver visto che, anche la libertà, benchè accanitamente per tanti anni osteggiata, tuttavia si è fatta strada e superò felicemente i mille inciampi che ne sbarravano il cammino.
Quelli per altro che così ragionano, dimostrano chiaramente di non accorgersi che il paragone non regge, perchè mentre il bisogno della libertà è innato nell’uomo, lo si sente per naturale istinto, istinto d’altronde basato sui principii immutabili del vero e del giusto e della sana morale, per contro false, ingiuste ed immorali sono le massime che gli apostoli della sêtta internazionalistica hanno abbracciate nei loro programmi, massime che, quando disgraziatamente trionfassero, non potrebbero avere altro pratico risultato, fuorchè quello di precipitare il mondo nell’anarchia; ed il mondo non è punto disposto, nè si rassegnerà mai, a subire questo cataclisma per far piacere a pochi irrequieti demagoghi.
Quando poi ciò ancor non bastasse a persuadere chi fa il suddetto confronto, che il paragone non regge, non si ha che ad osservare quali siano le persone che promuovono e quelle che s’affigliano a tale sêtta, per vedere se possano stare al confronto cogli innumerevoli apostoli della libertà, i quali in ogni tempo si annoverarono fra i più preclari ed i più grandi ingegni, fra le persone più onorande sotto ogni rapporto e distinte anche per natali e per censo. E di questi uomini una gran parte sopportò paziente, e con nobile fermezza di propositi, ogni sevizie, lasciando anche, non pochi di essi, persin la vita sul patibolo, sorretti nel loro martirio dal sublime pensiero, che il loro sangue avrebbe un dì giovato al trionfo della libertà: e Dio ha esauditi i loro santi voti.
Ora si raffrontino questi splendidi esempi del più sublime sentimento di patriottismo, prodotti dall’intima convinzione dell’onestà delle proprie azioni, colla poco edificante condotta tenuta dai comunisti in Francia, che eran pur tutti dei caporioni della lega internazionale, dove, dopo d’avere commessi inauditi misfatti, colle mani imbrattate di sangue umano, diedero poi di sè stessi il più miserabile spettacolo di vigliaccheria allorquando si trovarono di fronte alla punitiva giustizia, come l’ebbe ad opportunamente rilevare il giornale l’Opinione nel suo articolo di fondo sotto la data del 25 settembre 1871, nei seguenti termini:
«I Comunisti in Francia — Anche il signor Rochefort passò innanzi al Consiglio di guerra e, nato conte, figlio d’un generale, egli il più audace nelle invettive contro l’impero, non fece figura guari diversa da quella dell’ultimo pattoniere che sullo sgabello degli imputati lascierebbe, non sappiam che cosa, pur di svignarsela dalle mani della giustizia. È cosa che muove a pietà. Questi furiosi demagoghi non ebbero altra cura, durante il processo, che di rinnegar la loro fede, di rannicchiarsi piccini piccini innanzi ai giudici, e per farsi valere una circostanza attenuante, avrebbero cantate tutte le più ardite palinodie che loro fossero state imposte. Questi terribili rivoluzionari, che facevano così buon mercato delle vite altrui, mostrarono uno smisurato amore alla propria, ed invano sulla bocca di nessuno di loro si cercherebbe di sorprendere o il canto dei Girondini, o qualcuna di quelle terribili sentenze che dall’alto della ghigliottina illustravano i veri rivoluzionari del 1793.
«Se i comunisti di Parigi del 1870 pretendono di discendere dai montagnardi della prima rivoluzione francese, bisogna convenire che, nello spazio di ottant’anni, la razza si è di molto imbastardita.
«Al cospetto di tanta debolezza non si può a meno di rammentare che Felice Orsini, il solo, forse, che fra tanti regicidi, fosse degno di rappresentare un’idea, non si curvò ignominiosamente dinnanzi alle conseguenze del proprio delitto, nè permise al proprio difensore, ch’era Giulio Favre, di pescare nell’arsenale della giurisprudenza tutti i cavilli che avessero potuto prolungare la procedura. Ma Felice Orsini era uomo di convinzioni, e questi non sono che comunisti, ed è un fatto che il principio su cui si appoggia il comunismo, non potrà mai elevare il carattere dell’uomo a nobile meta. L’invidia del benessere altrui, e l’intolleranza d’ogni distinzione sociale possono inspirare il furore e accendere un valore selvaggio, giammai dei nobili sentimenti.
«Ma sotto un altro aspetto si mostrarono all’opera i comunisti, e non fecero miglior mostra di sè. Amministrarono e rubarono.
Da questa esposizione di cose mi pare quindi che emerga chiaro abbastanza e provato non trattarsi, come ho già accennato, nei fatti della società internazionale, d’una vera e propria questione sociale, nè tanto meno d’aver a che fare con persone che abbiano onestà di propositi. Diverrebbe pur troppo questione sociale quando non vi si provvedesse in tempo, perchè sarebbe gravemente compromessa la pubblica e privata sicurezza, e la stessa politica libertà con tanti stenti e sacrifizii acquistata.
Insomma, ai malfattori comuni, che non in piccol numero già infestano la società, vi si vengono attualmente ad aggiungere questi di nuovo genere, i quali, con impudente ipocrisia di voler far la parte d’apostoli d’una grande questione politica e sociale, vedendo che con pacifiche discussioni non potrebbero ottenere il loro intento, ricorrono ai mezzi violenti, a quelle armi di cui abbisogna chi sa di non avere per sè la forza del diritto, nè la buona ragione.
Di questi gravi pericoli, che sovrastano alle popolazioni, già se ne vanno occupando seriamente quasi tutti i governi specialmente in Europa, per cui sarebbe grave colpa quando anche in Italia governanti e governati e quanti in una parola vi sono uomini onesti e sinceramente amanti del vero bene del proprio paese, non se ne preoccupassero per non vedersi poi colti all’impensata, e come è successo nella Gran Bretagna all’epoca in cui scoppiò tremendo il fenianismo, sorprendendo nell’impotenza a farvi fronte, quella cotanto vantata polizia, per modo che il Governo di quel gran Regno si trovò costretto d’aumentare tutto ad un tratto, nella sola Londra, non meno di 1000 constabili, 100 sergenti, e 20 ispettori, oltre d’avere fatto appello al concorso dei cittadini, i quali, a grande onore di quel Paese, immediatamente andarono ad inscriversi come constabili in numero di 113674, prestando il voluto giuramento ed eseguendo gratuitamente lo stesso servizio dei policemens.
Qui per altro già mi pare di sentirmi ad osservare da molti, che non è con soli mezzi di polizia, nè colle repressioni, che si può scongiurare il pericolo e fare argine a questo minaccioso torrente di disordine.
Ed io francamente rispondo che ciò è verissimo, perchè sotto qualsiasi civile governo, e specialmente poi in quelli retti a libertà, non è solo colle leggi di repressione che si hanno a tenere in freno le passioni ed i traviamenti colpevoli dei cittadini; ma bensì anche col mezzo di saggi provvedimenti di prevenzione, che possibilmente rimuovano qualsiasi pretesto di cui possano prevalersi quegli arruffapopoli, che vanno esercitando la malefica loro influenza sulle masse popolari ed in ispecie su quelle organizzate con speciali regolamenti.
Questi provvedimenti, a mio parere, potrebbero quindi essere di due ordini diversi, morali cioè e materiali.
I morali, coll’istruzione non solo facoltativa, ma obbligatoria, e colla diffusione fatta su larga scala, con libri e giornali popolari, di buone massime moralizzatrici ed educative per la mente e pel cuore, onde così fare in modo che, colla legge scritta nei codici, abbia a camminare di pari passo la legge scritta nei costumi: ed i materiali, con saggie leggi di buona amministrazione economica del paese; con instituzioni che migliorino la condizione del proletario e che gli facilitino i mezzi di provvedere onestamente col lavoro al proprio sostentamento; col procurare che le classi agricole stiano affezionate alle loro terre, vincolandovele col mezzo il più potente che al mondo si abbia, quale si è quello del loro personale interesse, mediante il sistema della mezzadrìa, già praticato vantaggiosamente da lungo tempo in varie provincie dell’alta e della media Italia; col promuovere e proteggere più che possibile le associazioni di previdenza e di mutuo soccorso; e con stabilimenti dove, nei casi d’impotenza al lavoro, trovar possa un volontario onorato asilo.
Siccome però, per quanto si faccia, sin che vi saranno uomini al mondo, in mezzo ai buoni ed agli onesti, vi si troveranno pur sempre anche dei tristi, che pretendono vivere allegramente alle spalle altrui, e gli ambiziosi disonesti bramosi del potere, i quali non si peritano di mettere in iscompiglio l’intiera società, purchè possano lusingarsi d’ottenere il loro intento, così ne consegue manifesto il bisogno anche di leggi repressive e di chi ne curi l’osservanza.
Ma il primo dovere di qualsiasi governo essendo la prevenzione dei delitti, onde risparmiarsi più che possibile la dolorosa necessità della repressione, ragion vuole che, nel suo ordinamento interno, fra le varie instituzioni che ne compongono l’organismo, non vi faccia difetto, anzi primeggi, quella a cui tal nobile missione è devoluta. E di più io dico e sostengo, che il modo con cui siffatta instituzione, conosciuta generalmente sotto l’appellativo di Polizia, è organizzata, ed il suo metodo d’azione, costituiscono il termometro infallibile della bontà del governo e del grado di civiltà di qualsiasi paese.
È questo, per altro, uno dei più difficili problemi che si abbia a risolvere nell’organamento di qualsiasi Stato, ed in ispecie in quelli retti a libertà, come viene ampiamente a dimostrarlo il fatto, che al giorno d’oggi non havvi paese in cui, dal più al meno, siffatta instituzione non lasci qualche cosa a desiderare, e non corrisponda alla ragion dei tempi ed all’ognor crescente scaltrezza ed audacia dei malfattori d’ogni genere.
Infatti, mentre nel nostro giovine Regno italiano, per far fronte agli imperiosi bisogni della pubblica sicurezza, riconosciute insufficienti le leggi penali vigenti, vennero promulgate di recente delle speciali disposizioni di rigore, l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America adottarono parimenti misure eccezionali, di cui una ben grave è stata quella della sospensione dell’habeas corpus, che significa dare nientemeno che la facoltà all’Autorità politica d’arrestare quelli che crede pericolosi alla pubblica sicurezza, senza previo mandato giudiziario, e senza obbligo di presentarli ad un giudice nemmen dopo arrestati. Che anzi in America si andò ancora più oltre, come ognuno l’ha potuto rilevare dai giornali, dai quali si seppe che, in seguito allo spaventevole incendio di Chicago, scoppiato il 9 ottobre 1871, nel giorno successivo furono nientemeno che impiccati otto saccheggiatori; e nel giorno 12 dello stesso mese vennero fucilati 40 individui fra saccheggiatori e perturbatori.
Altro che domicilio coatto!
Ora poi che finalmente è cessata la smania di tutto quasi sempre copiare dall’Inghilterra e dalla Francia, e gli sguardi sono invece tutti rivolti alla dotta Germania, donde ogni cosa si vuol prendere a modello, per l’opinione invalsa, dopo le recenti sue grandi vittorie sui campi di battaglia, che colà sianvi in ogni genere d’instituzioni, i migliori ordinamenti, farà un senso di sorpresa il sapere che anche a Berlino la Polizia è per nulla migliore di quella degli altri Paesi, e come il benigno lettore se ne potrà convincere dalla lettura degli articoli di giornali, e non di data tanto remota, che riporto in calce a questo mio breve discorso sulla pubblica sicurezza. 1
Da questa esposizione di cose riguardo all’instituzione della Polizia, mi pare quindi se ne possa trarre con ragione la conseguenza che, se in Italia l’Amministrazione della pubblica sicurezza lascia ancora qualche cosa a desiderare, ciò non deve punto meravigliare alcuno, e nemmeno ne può essere fatto rimprovero a quanti hanno sin’ora avuto mano nel suo ordinamento.
Arduo assai, lo ripeto, è il problema a risolversi per ottenere una buona Polizia. In Italia poi, oltre alle difficoltà comuni agli altri Stati, vi si è sin qui opposta anche quella del dissesto finanziario, che non ha permesso di spendervi quanto si richiede per avere un personale adatto e quant’altro occorre per siffatto servizio; essendo, d’altronde, provato e provatissimo, che chi fa buone le leggi, sono i buoni impiegati; ed i buoni impiegati non si hanno, specialmente per la pubblica sicurezza, senza dar loro un adeguato stipendio, che li compensi dei gravi pericoli a cui espongono la propria vita, e delle molte ripugnanze che a superare vi hanno.
Però la questione della pubblica sicurezza essendo intimamente collegata colla questione finanziaria, e dirò anzi economica del Paese, ragion vorrebbe che su tal ramo di pubblico servizio non si cercasse di far troppo sensibili economie, perchè, chi ben osserva, è facil cosa il convincersi che queste vere e proprie economie non sono, e, quando il volessi, mi sarebbe facil cosa il provare, coi calcoli alla mano, che le ingenti spese della punitiva giustizia, delle carceri e delle case di pena, stanno in ragione inversa di quelle che si fanno per l’Amministrazione della pubblica sicurezza. E volendo mettere la questione in altri termini, dirò, che poche migliaia di lire spese a tempo in più per la prevenzione, danno una spesa in meno per la repressione, e non solo di qualche migliaia, ma bensì di centinaia di migliaia di franchi. E ad un accorto Ministro di Finanza molto dovrebbe perciò star a cuore la sicurezza pubblica per favorirla più che possibile, accordando al suo Collega dell’Interno, più di buon grado che a qualunque altro Ministro, quella qualsiasi somma che a tale scopo gli sia chiesta in bilancio, purchè, ben inteso, se ne sappia avere un corrispondente risultato.
Qui forse taluno, nel sentirmi parlar di danaro per la Polizia, mi crederà, a tutta prima, uno di quelli della vecchia scuola che pretendono risolvere il gran problema della pubblica sicurezza con una sol parola — danaro — Ebbene chi si fosse fatta quest’opinione, s’ingannerebbe a gran partito; e dirò anzi di più, che crederei di fare ingiuria a me stesso quando io dividessi una così bassa idea riguardo all’instituzione di cui parlo: idea che la civiltà moderna vuole assolutamente bandita da qualsiasi Governo che rispetti sè stesso ed il Paese che rappresenta. È bensì vero che una volta, e ben me lo ricordo, un onorevole personaggio ex Ministro dell’Interno, disse nel Parlamento subalpino che, coll’oro si fanno dei miracoli: ma io osservo che non per questo si ha a credere che basti il denaro per avere un buon servizio di pubblica sicurezza; ed anzi dichiaro, che una Polizia, la quale non sapesse reggersi, fuorchè con prezzolati delatori, sarebbe, a mio avviso, un’instituzione abominevole, incompatibile colla civiltà moderna, indegna d’un popolo civile, colto e retto a libertà.
Da ben più nobili principii partir quindi si deve per ben organizzare la pubblica sicurezza in ragione degli odierni bisogni, e come s’addice ad un gran Regno, che vanta per sua Capitale l’eterna Città, già regina del mondo e maestra agli altri popoli, non solo nelle arti e nelle scienze, ma ben anche nella legislazione. E da chi si debba prender norma, ce lo additò opportunamente il Giornale La Riforma colla seguente assennata sua Nota, che trovai nel suo numero 205, sotto la data del 26 luglio 1871, posta in calce alla bella descrizione della Polizia di Londra, che riportò in più riprese, e che forma l’oggetto principale di quest’Opuscolo.
Ecco la Nota precitata:
«Impariamo pure dai popoli stranieri quanto essi ci possono insegnare sia colle loro instituzioni, sia colla loro esperienza; ma impariamo sopratutto ad essere Noi, persuadiamoci che principalmente in noi stessi, nel nostro passato, nei nostri scrittori, nelle nostre attitudini dobbiamo cercare aiuto e consiglio.»
Incoraggiato da siffatto confortante consiglio, ho ripreso nuova lena per proseguire in questi aridi, ma a me prediletti, studii, convinto di fare cosa assai più utile al Paese, di quella, sin troppo comune, di scrivere commedie, poesìe e romanzi.
Ora proseguendo a parlare dell’ardua questione della Polizia, dirò che, se è un fatto incontrastabile che l’attuale Amministrazione della pubblica sicurezza in Italia ha già acquistati molti titoli di benemerenza pei segnalati servizii che ha resi e rende giornalmente alla società, come lo provano le periodiche statistiche che si van pubblicando sui risultati della sua azione, e l’elenco, ahi! pur troppo numeroso, dei suoi ufficiali ed agenti che van cadendo vittime del proprio dovere, non si può per altra parte negare che lascia ancora qualche cosa a desiderare, e non tanto nella forza numerica del suo personale, quanto nel sistema del suo ordinamento e nel metodo della sua azione, risentendosi ancor troppo delle vecchie tradizioni, in causa delle leggi e dei regolamenti provenienti, nella sostanza, dalle subalpine provincie.
E per citare, a modo d’esempio, qualcuna delle tradizioni a cui accenno, non ho che a far presente l’autonomia che tuttora conserva l’Arma dei carabinieri reali, malgrado che per legge sia stabilito dover essere dessa il principal nerbo d’azione dell’Amministrazione della pubblica sicurezza; la nessuna distinzione del servizio direttivo da quello esecutivo, ossia attivo ed investigativo, per cui ne risulta quella insufficienza nel servizio d’investigazione, che fu già più d’una volta rilevata dalla stessa pubblica stampa; la pattuglia, per tipo dell’ordinario servizio degli agenti, siano dessi carabinieri o guardie; e la continuazione della pratica osservanza di varie altre vecchie disposizioni regolamentari del Corpo dei Carabinieri, che dovrebbero essere, con maggior vantaggio del servizio, riformate, disponendo, p. e. che dove pattugliano le guardie non pattuglino anche i carabinieri; o viceversa, dove perlustrano i carabinieri non abbiano a perlustrare le guardie, per evitare una inutile, od almen non sempre necessaria duplicazione di servizio, e per non avere in uno stesso punto, in abbondanza, guardie e carabinieri, mentre altre località difettano della loro presenza.
Come poi si potrebbe provvedere, secondo il mio opinare, per migliorare questo ramo di pubblico servizio in modo da renderlo per nulla inferiore alla tanto lodata Polizia inglese, e da far veramente onore al nostro Paese, l’ho già manifestato nel libro che pubblicai l’anno scorso sulle tre questioni del Discentramento, delle Regioni e della Sicurezza pubblica, per cui non ho qui che a riferirmi alle mie proposte formulate nell’apposito annessovi schema di legge, dichiarando di persistere più che mai nelle idee che allora esternai su tal proposito ed appunto nell’indicare i rimedii che ritengo opportuni e adatti al bisogno.
Soggiungo però, che se, allorquando da Torino fu trasportata la Capitale a Firenze, invece d’estendere alle toscane provincie l’ordinamento della pubblica sicurezza degli ex Stati Sardi, si fosse adottato per tutto il Regno il sistema toscano, che era il più razionale, secondo il mio avviso, di quanti esistevano sotto i cessati governi in Italia, ma, ben inteso, con quelle poche modificazioni che sarebbero state necessarie per farlo armonizzare col nuovo governo costituzionale e viemmeglio adattarlo alla progredita civiltà dei tempi, dando p. e. la qualità d’ufficiali pubblici ai componenti le commissioni di vigilanza, conservandoli però sempre esclusivamente per il servizio attivo, credo che si sarebbe così, assai meglio che coll’attuale ordinamento, provvisto a tutte le varie esigenze del pubblico servizio. Inoltre prendendo norma dal regolamento di polizia toscano, anche per quanto riguarda i rapporti della pubblica forza colle autorità politiche, si sarebbe evitato ogni dualismo fra l’Amministrazione della pubblica sicurezza e l’Arma dei carabinieri reali, essendo che tutta la pubblica forza si avea, nelle toscane provincie, quella posizione, di fronte alla civile autorità, che perfettamente le si addice, massime poi in un governo retto a libertà e tutt’affatto civile.
Ma al presente non sembrandomi più conveniente che si abbia a tutto sconvolgere l’attuale ordinamento della prelodata Amministrazione, per farne un nuovo impianto, ritengo che sieno più che sufficienti le proposte a cui ho più sopra fatto cenno, e per le quali si otterrebbero i benefizi seguenti:
1° Sarebbe eliminata da detta Amministrazione qualsiasi causa di attriti e di dualismo coll’Arma dei Carabinieri;
2° Verrebbe ricolmata ogni lacuna che ancor vi si riscontra nel servizio;
3° Sarebbe ripartita la responsabilità del servizio in modo più razionale;
4° Verrebbe di molto facilitato ad ogni funzionario, come ad ogni agente, l’esercizio del proprio ufficio;
5° Ne risulterebbe maggior localizzazione del servizio, ed è questa una delle condizioni più necessarie per ottenere una buona polizia.
Nè si creda che le mie proposte siano solo il portato fantastico d’idee che mi sian venute in mente nel mio tranquillo gabinetto di studio, giacchè son desse il frutto d’una lunga esperienza, che in questa materia, vale qualche cosa di più della semplice dottrina.
E per viemmeglio persuadere il benigno lettore, della ragionevolezza, dell’opportunità e dell’attuabilità delle mie proposte, ho la soddisfazione di poter dimostrare, colle prove alla mano, che le medesime già vanno ad essere in qualche parte attuate coi provvedimenti che l’onorevole Ministro Lanza ha annunciati alla Camera dei deputati, nella seduta del 22 dicembre 1871, mentre rispondeva ad alcune osservazioni del Deputato Crispi sul servizio della pubblica sicurezza.
Pongo quindi in confronto le parole del prelodato Ministro, colla parte delle mie proposte a cui quelle hanno relazione:
Parole del Ministro: «Conchiudo, d’altronde, col partecipare alla Camera che sto facendo un esperimento, sto per affidare la sicurezza pubblica, in alcuni luoghi parzialmente, ed in alcune città intieramente, alle Guardie di pubblica sicurezza, per tutto quello che riflette il servizio di sorveglianza sui reati comuni. «Qualora si potesse in tal modo ottenere un risultato soddisfacente, si potrebbe utilizzare una grandissima quantità di carabinieri con accrescere particolarmente il numero delle |
Articolo 14° del mio progetto: «Per l’ordinario servizio di sorveglianza e d’investigazione, nei capoluoghi di provincia, deve esservi provvisto, entro la cinta daziaria, esclusivamente colle guardie di pubblica sicurezza, coadiuvate dalle guardie municipali. «Per tutto il resto del territorio della città, sede della prefettura, e per l’intiera provincia, il servizio di sicurezza pubblica è affidato esclusivamente ai carabinieri reali, che devono essere coadiuvati |
stazioni rurali per esercitare la sorveglianza necessaria a reprimere i reati e le aggressioni, nelle campagne, benchè nelle città, anche adottando questo sistema, bisognerebbe sempre mantenere una mano di Carabinieri per poter, alla occorrenza, aiutare le Guardie di pubblica sicurezza; ma non sarebbero più necessarie quelle numerose stazioni esistenti ora nelle città e che non ci permettono di dedicarne al servizio delle campagne che un numero assolutamente insufficiente.» |
«dalle guardie campestri forestali. «Un apposito regolamento, fatto dal Ministero dell’interno, d’accordo coi municipii, per le guardie municipali e campestri, e d’accordo col Ministero d’agricoltura, industria e commercio, per le guardie forestali, determinerà le norme da seguirsi a tal riguardo pel loro concorso nel servizio di pubblica sicurezza.» |
Questi intendimenti del prelodato Ministro, che con non comune sapienza politica sa stare a capo dell’amministrazione generale dello Stato, venendo già ad avvalorare in parte le mie idee, ne traggo quindi la speranza, che non possa essere lontano quel dì in cui, superati con fermo volere i non pochi ostacoli provenienti dalle vecchie tradizioni, specialmente in quanto ha rapporto all’Arma dei carabinieri reali, anche le altre modificazioni sopradesignate verranno prese in considerazione ed attuate, a grande vantaggio della sicurezza pubblica; e mi lusingo che l’Italia nulla avrà allora, per la Polizia, ad invidiare alle estere Nazioni, non escluse le meglio ordinate.
E quand’anche io pienamente convenga, come già dissi, col Giornale La Riforma, che su di noi stessi dobbiamo far calcolo per prendere consiglio, in quanto alle riforme di cui possiamo abbisognare, tuttavia la grande celebrità di cui gode la Polizia inglese, richiamando continuamente l’attenzione pubblica sul suo ordinamento, che diede tanta fama al grande statista Roberto Peel, ritengo che effettivamente se ne possa trarre qualche utile ammaestramento anche pel nostro Paese, epperciò mi sono indotto a riportarne in quest’Opuscolo la seguente descrizione, che ben merita d’essere presa in seria considerazione dai nostri legislatori.
Così la penso.
Cuniberti.
- ↑ [p. 26 modifica]In novembre del 1871, nel giornale La Nazione, sotto la Rubrica — Fatti diversi — si leggeva quant’appresso:
Non è tutto rosa a Berlino. — «Nel resoconto dell’ultima seduta del Consiglio municipale di Berlino il dottore Horwitz chiede l’energico intervento della polizia per far cessare gli scandali prodotti giornalmente dalle donne di mala vita che vanno sempre crescendo in Berlino. Il consigliere Strekfass osserva che la sicurezza dei cittadini è in continuo pericolo sul far della sera; che gli accoliti di quelle donne commettono deplorabili eccessi sugli onesti viandanti, li calpestano e li minacciano di morte. «Questa è una situazione che copre Berlino di vergogna» egli dice. Abbiamo in città 40,000 persone liberate dalla galera, che vivono di furto e di brigantaggio e che sono padroni del lastrico delle vie.
«Il dottor Horwitz ritorna alla carica e accusa la polizia quasi di connivenza coi banditi. Dice che essa manca a tutti i suoi doveri, lasciando esposte nel giorno alle vetrine immagini di rivoltante oscenità e la notte chiudendo gli occhi sui malviventi. Il prof. Virchow aggiunge che quando si tratta di politica la polizia è sempre in forza, quando si tratta di proteggere i cittadini si ecclissa. Il Consiglio comunale delibera che sieno fatti premurosi reclami all’Autorità perchè la polizia di sicurezza e dei costumi esca dalla sua inesplicabile apatia.»
E nello stesso mese la Gazzetta della Borsa di Berlino si espresse in questi termini:
«I lamenti che da lunga pezza provoca l’organizzazione interamente difettosa della polizia di sicurezza di Berlino, ed il niun servizio che esercita, divengono giorno per giorno giusti e fondati. Gli alterchi a mano armata che in questi ultimi tempi si hanno a deplorare numerosi, i fatti e le gesta delle prostitute e dei loro «protettori» nelle vie più frequentate, ed infine l’assenza completa di ogni polizia dove appunto sarebbe necessaria, sono prove irrecusabili della non sicurezza assoluta di cui si gode a Berlino, più che in qualsiasi altra capitale.
«A Londra, nei quartieri più luridi e più infami il passeggiero inoffensivo è meno esposto di quello che lo sia fra noi, sulla grande strada Federico. Ogni sera sulle nove, dei gruppi da sei ad otto prostitute si pongono ai canti della via Behrenstrasse e della Jagerstrasse, invitano i passeggeri insultandoli e, in caso di rifiuto, sono protetti dagli intromettenti, — dai «Louis» come li chiamano — che si trovano nelle vicinanze, e sui quali la polizia stessa non osa levare la mano. Alla sera, si può qui passeggiare due ore intere senza incontrare una guardia di pace, mentre a Londra il minimo grido di aiuto, trova aperto l’orecchio, e pronto il braccio di un constabile.»