La scienza nuova seconda/Nota

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V - Pareri per la stampa - II. Della Scienza nuova terza Indice dei nomi mitologici, storici e geografici
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NOTA

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Nel 1727 Antonio Conti, tornato dalla Francia a Venezia, e trovatavi la Scienza nuova prima, della quale fin dal novembre ’25 il Vico aveva fatto colá largo invio, fu «uno de’primi a gustarla e a farla gustare agli amici suoi» cosí veneziani come francesi, ai quali ultimi ne inviò anche un «picciol estratto», che sarebbe interessante ritrovare. Anzi, vedendo che «con indicibil applauso» l’opera s’andava sempre piú diffondendo a Venezia e che i librai cittadini cominciavano a farsene venire esemplari da Napoli, propose al padre Carlo Lodoli e al conte Gian Artico di Porcia di farsi, insieme con lui, promotori d’una riedizione veneziana, la quale, stampata «lucutentis literariis formis et claudiana sive regia charta», valesse a dare all’aureo libriccino quella larga diffusione, che, causa la quasi clandestinitá della prima edizione (1725) e i suoi caratteri troppo minuti, gli era fino allora mancata. Lo stampatore che s’assumesse la spesa fu ben presto trovato; onde prima il Porcia (14 decembre ’27), ch’era giá in carteggio col Vico a proposito dell’Autobiografia, poi il Conti (3 gennaio ’28), indi il Lodoli (15 gennaio ’28), che si esibí anche a riveder le bozze, poi ancora una volta il Conti (10 marzo ’28) per sollecitare una risposta, scrissero al filosofo, invitandolo a sviluppare «certe idee compendiosamente accennate», a porre «alla testa del libro una prefazione, che esponesse i vari principi delle varie materie che trattava e ’l sistema armonico che da esse risultava», e a spedire a Venezia il tutto (testo a stampa e giunte e correzioni) per mezzo del residente veneto a Napoli, ch’era in quel tempo Giovanni Zuccato.

La mancanza di documenti non permette di seguire a passo a passo le vicende di quest’altra fatica del Vico. Si sa, a ogni modo, che vi si accinse fin dal marzo ’28. Per altro, invece di seguire il [p. 324 modifica] saggio consiglio del Conti, e cioè di sviluppare nell’interno dell’opera i luoghi bisognosi di chiarimento (e magari di riscriverla daccapo), preferí di adottare ancora una volta il metodo, antididascalico per eccellenza, tenuto giá nelle Note al Diritto universale, ossia di lasciare immutato il testo a stampa, anche se non piú congruente o in aperta contradizione col suo pensiero attuale, salvo ad aggiungervi una serie di Annotazioni. Le quali, quando prese a stenderle, gli si allargarono in misura cosí inattesa, da giungere a ben 414 (40 relative al primo libro, 172 al secondo, 123 al terzo, 3 al quarto, 66 al quinto, 3 alla Tavola delle tradizioni volgari, 7 a quella delle Discoverte generali), e tutte, in genere, cosí lunghe, da costargli un anno e mezzo di lavoro e occupar da sole, senza le circa trecento di testo, quasi seicento pagine della sua piccola e stretta scrittura.

L’impressione provata a Venezia allorché, nell’ottobre’29, vi giunse quel troppo voluminoso originale, non dovè essere d’entusiasmo. Tanto piú che l’editore, appunto per preparare alla divisata riedizione un mercato piú favorevole, aveva giá speso parecchio per fare incettare a Napoli, dal residente Zuccato e poi dal suo successore Giovan Francesco Vincenti, tutti gli esemplari superstiti della Scienza nuova prima (se n’eran tirati mille), non senza pagarne qualcuno piú di due scudi d’oro. Né a conciliare a Venezia simpatie editoriali al Vico era potuto valere il suo fermo rifiuto all’altra proposta, fattagli fare da colá, per mezzo del libraio napoletano Bernardino Gessari e dello stampatore parimente napoletano Felice Mosca, di comprender nella riedizione anche le opere antecedenti alla Scienza nuova, con la speranza che la Scienza nuova appunto «arebbe dato loro facile smaltimento». E finalmente può anche darsi che il Vico, inorridito dalla spropositatissima edizione, appunto veneziana, dell’Autobiografia, ponesse, per la revisione delle bozze, patti poco accettabili. Checché sia di tutte codeste congetture e delle altre che il lettore potrá formolare per suo conto, certo è che, nel novembre o ai principi del decembre ’29, gli giunse, non si sa bene se dallo stampatore veneziano o dal Lodoli, una lettera assai diversa da quella ch’egli s’aspettava. Non gliela si fosse mai scritta, o si fosse scelto, almeno, un momento men cattivo! Giacché, ancora ribollente d’ira per la noterella antivichiana comparsa negli Acta eruditorum di Lipsia, ed esasperato altresí contro un suo figliuolo, accingentesi, proprio allora, a contrarre contro la volontá paterna un matrimonio moralmente ed economicamente [p. 325 modifica] rovinoso, il Vico credè, a ragione o a torto (e forse piú a torto che a ragione), che colui che faceva a Venezia la «mercatanzia» della ristampa della Scienza nuova «uscisse a trattar con lui come con uomo che dovesse necessariamente farla ivi stampare». Entrato, pertanto, «in un punto di propia stima», ossia abbandonandosi al suo temperamento collerico, ombroso e puntiglioso, «richiamò indietro tutto il suo che aveva colá mandato». Una sua frase vaga, e ancor piú il ritardo con cui ebbe luogo la restituzione del manoscritto, avvenuta quando era giá stampata oltre della metá della seconda Scienza nuova (press’a poco nell’agosto o settembre ’30), fanno presumere che non mancassero insistenze del Lodoli perch’egli recedesse da un proposito tanto inaspettato quanto sconsigliato. Ma il Vico, testardo come tutti i puntigliosi, fu irremovibile.

Ovvia conseguenza di tutto ciò fu che nel decembre ’29 egli venne a trovarsi nella medesima condizione del luglio ’25, allorché il Cardinal Lorenzo Corsini, dopo averlo implicitamente promesso, gli aveva negato un sussidio per la stampa della Scienza nuova informa negativa. Anche questa volta, cioè, il Vico, non riuscendo nemmeno a pensare che uno scrittore, oltre che a quella effettiva, potesse dar luogo a una bibliografia potenziale, reputava che l’aver due volte (nel Catalogo soggiunto alla prima edizione dell'Autobiografia e nelle Vindiciae) annunziata al pubblico una ristampa accresciuta della Scienza nuova costituisse per lui un improrogabile impegno d’onore. E poiché, come aveva ben previsto l’editore veneto, non si trovò, né a Napoli né altrove, uno stampatore che s’addossasse la spesa, il filosofo dovè pure rassegnarsi non solo a un secondo e piú grave sacrificio pecuniario (nel 1725, per pubblicare la Scienza nuova prima, s’era, come tutti sanno, tratto un anello con un bellissimo diamante), ma anche, perché non fosse gravissimo, a fare ora ciò che piú opportunamente avrebbe potuto quando glielo aveva suggerito il Conti: rifondere la Scienza nuova prima e le Annotazioni in un’unica trattazione organica e, appunto per questo, piú breve.

Per altro, bastò che riprendesse tra mano il lavoro da cui s’era distaccato appena da qualche mese, perché s’avvedesse che la rielaborazione, nonché soltanto letteraria, doveva essere sopra tutto di pensiero. Specialmente pel metodo e per l’ordine dello materie, la Scienza nuova prima gli sembrò cosí difettosa, che, senza frapporre indugi, si diè a diroccarla dalle fondamenta, per poi ricostruire, col materiale di risulta, con parte di quello accumulato [p. 326 modifica] nelle Annotazioni e con altro nuovo, un edificio diverso. «Con estro quasi fatale» cominciò la mattina del Natale ’29 a colorire il nuovo disegno, consacrandovisi con tanta pertinacia, che giá il giorno di Pasqua del ’30 (9 aprile), dopo appena centosei giorni, durante i quali anch’egli era stato vittima dell’epidemia del catarro», cioè d’una grippe, che funestò allora tutta Europa, l’opera era bella e compiuta nel manoscritto. E si che questo, non ostante i propositi di brevitá, finí col superare di «tre fogli» la Scienza nuova prima e le Annotazioni messe insieme, e aggirarsi perciò intorno alle mille pagine (ridotte nel testo a stampa a 480, ma ciascuna di quaranta righe di minutissimo carattere di «testino»).

Precedevano una dedica epigrafica al Cardinal Lorenzo Corsini, divenuto, nelle more della stampa, Clemente XII, e una lunghissima Novella letteraria d’indole polemica (ma non priva, sembra, d’una digressione scientifica sull’origine della scrittura e della stampa), «dove intiere e fil filo si rapportavano le lettere del padre Lodoli» e del Vico intorno alla mancata edizione veneziana, «con le riflessioni che vi convenivano». Seguiva l’opera propriamente detta, con l’«occhio»: Trascelto delle annotazioni e dell’opera dintorno alla natura comune delle nazioni, in una maniera eminente ristretto ed unito e principalmente ordinato alla discoverta del vero Omero; e a essa faceva da appendice una Tavola d’indici, limitata, per altro, al solo nome di Giove.

La stampa cominciò presso Felice Mosca press’a poco nel luglio del ’30, data del parere del censore civile, al quale soltanto nell’ottobre segui l’altro del revisore ecclesiastico. Ed essa era giunta a piú della metá, allorché «un ultimo emergente anco nato da Venezia» (una lettera pacificatrice del Lodoli? un’intromissione dal residente Vincenti?) riuscí a convincere l’autore che la Novella letteraria non conveniva né a lui né all’opera. La soppresse quindi, inviandone al macero tutti i mille esemplari giá tirati (finora almeno non ne è venuto fuori nemmeno uno); e le 96 fitte pagine, ond’essa constava, furono riempite da una «dipintura» allegorica e da una «spiegazione», che, col titolo Idea dell’opera (su per giú la prefazione sintetica consigliata nel ’28 dal Conti), il Vico fece comporre in caratteri piú grossi. Inoltre, a composizione tipografica giá terminata, egli aggiunse ancora, in ultimo, i pareri per la stampa e quattordici pagine di Correzioni, miglioramenti e aggiunte e, in principio, con numerazione romana e col titolo Occasione di meditarsi quest’opera (rifusa, qualche mese dopo, [p. 327 modifica] nell’Aggiunta all’Autobiografia), un breve e pacato riassunto della Novella letteraria anzidetta.

L’opera fu messa in commercio nel decembre ’30, come prova una lettera del 24 di quel mese del gesuita Domenico Lodovico, che a Napoli fu tra i primi a riceverla in dono. Naturalmente, un esemplare rilegato con gran lusso (filetti d’oro, fregi accartocciati, dorso decorato e taglio dorato), e tuttora serbato nella Corsiniana di Roma, fu inviato in omaggio a Clemente XII. Assai men sontuoso ma tanto meglio collocato fu l’altro esemplare, che, parimente nel decembre ’30, il Vico, per mezzo di suo figlio Gennaro, allora quindicenne, fece recapitare a mano al suo dotto amico Francesco Spinelli principe di Scalea. Giacché, tre giorni dopo d’averlo ricevuto, lo Spinelli indicò al Vico tre errori di fatto osservati nella lettura dell’opera, fornendogli cosí l’occasione di pubblicare nello stesso formato e con gli stessi caratteri, e di far rilegare con gli esemplari non ancora donati o venduti, una Lettera dell’autore all’eccellentissimo principe di Scalea (pp. xii s.l.a., ma Napoli, Mosca, gennaio 1731), nella quale erano esibite altresí altre Correzioni, miglioramenti e aggiunte, che il Vico stesso chiamò seconde, e tra cui non manca di comparire un nuovo capitolo (Origini de’ comizi curiati).

Immediatamente dopo cominciò o, meglio, ricominciò pel filosofo napoletano il folle lavoro di riempire di postille i margini di quanti piú esemplari potesse della nuova opera, che, scritta con la celeritá che s’è vista, era inevitabile finisse ben presto col sembrargli ancora piú difettosa di quelle antecedenti. Uno, gremito di postille autografe e che, posseduto giá dal bibliofilo napoletano Francesco Antonio Casella, si serba ora nella ricca collectio iviciana di Benedetto Croce, fu donato, nel corso del ’31 o fors’anche del ’32, a monsignor Celestino Galiani, nominato poc’anzi arcivescovo di Taranto. Di mano aliena, e cioè di Giulio Cesare Marocco, ma dettate dal Vico, erano le postille d’un altro, perduto, donato dall’autore a un fratello del Marocco, Paolo Emilio, che nel giugno ’34 lo diè in prestito al domenicano Tommaso Maria Alfani. Autografe, al contrario, par che fossero quelle aggiunte in un esemplare donato nel ’33 al teologo domenicano Daniele Concina, venuto a Napoli a predicar la quaresima, e dal Concilia inviato a Padova a suo fratello Nicola, anch’egli domenicano e dal ’32 lettore di metafisica in quello Studio, ove piú volte espose le dottrine del Vico. E finalmente postille autografe piú o meno [p. 328 modifica] numerose recano parecchi altri esemplari superstiti: p. e., quello appartenuto successivamente al generale Macdonald, all’avvocato G. Vannutelli, all’avvocato Achille Gennarelli, al dottor Migliavacca e offerto in vendita una decina d’anni fa alla Biblioteca Nazionale di Napoli; quello posseduto dalla Biblioteca del Museo di San Martino di Napoli (ora anch’esso nella Nazionale); l’altro con l’ex-libris del Cardinal Filippo Maria Monti, serbato nell’Universitaria di Bologna; e sopratutto due (di cui uno con dedica, cancellata forse dal Vico medesimo) custoditi nella Nazionale di Napoli, i quali, recando, oltre le postille, parecchie cancellature di pezzi interi, fanno pensare fossero parte integrante, rispettivamente, delle Correzioni, miglioramenti e aggiunte terze e quarte, di cui conviene dir qualche parola.

Le une, cominciate a preparare nell’aprile ’31 e compiute la «vigilia di santo Agostino» (27 agosto) del medesimo anno s’intitolano, piú esattamente, Correzioni, miglioramenti ed aggiunte terze, poste insieme con le prime e le seconde, e tutte ordinate per incorporarsi all’opera nella ristampa della Scienza nuova seconda, e occupano i primi 95 fittissimi fogli (190 pagine) di un codice vichiano, trovato fra le carte paterne da Gennaro Vico, da Gennaro venduto alla famiglia Frammarino e acquistato nel 1862 dalla Nazionale di Napoli. Senza entrare in particolari minuti, sia detto di volo:

1. che questa redazione della Scienza nuova (la piú ampia di tutte) presenta, di fronte a quella del ’30 (che per la parte non modificata ne costituisce la base), moltissimi e lunghi brani intercalati qua e lá, e ben quindici capitoli in piú, e che l’opera s’arricchisce d’un’ampia appendice, contenente un Ragionamento d’intorno alla legge delle XII Tavole e un altro relativo alla cosí detta lex regia;

2. che taluni dei brani e capitoli aggiunti furono rifusi nelle Correzioni, miglioramenti e aggiunte quarte e poi nella Scienza nuova terza; e che dei moltissimi restati fuori, uno, abbreviato ma meglio svolto, passò nel De mente heroica (’32); cinque, un capitolo sulla Pratica della Scienza nuova e i due Ragionamenti furon pubblicati dal Del Giudice (1862); un altro ancora dal Croce (1910); e tutti, poi, dal Nicolini nelle varianti e nell’appendice cosí della sua precedente come della presente edizione della Scienza nuova terza.

«Exegi monumentum aere perennius» e «Nunc dimittis servum [p. 329 modifica] tuum, Domine», furono i motti che il Vico pose in calce a siffatte Correzioni terze. I quali, confrontati con lo stupendo brano finale dell’Aggiunta all’Autobiografia, mostrerebbero che l’inesorabile correttore di sé medesimo fosse alfine soddisfatto. Ma la ristampa ch’egli vagheggiava si fece attendere ancora tredici anni, e il Vico non era uomo da lasciar dormire cosí a lungo un manoscritto nel cassetto. Non piú tardi del ’32 o ’33 stendeva una nuova redazione, condotta col medesimo metodo della precedente, ossia scrivendo in un altro codice (entrato nella Nazionale di Napoli fin dal 1818 e per qualche brano pubblicato dal Giordano) centoquaranta pagine di Correzioni, miglioramenti e aggiunte ormai quarte'; e nel’34 o 35 riscriveva da cima a fondo tutta l’opera, salvo poi ad avvalersi dell’interlineo, dei margini e anche di foglietti aggiunti per farvi giunte e correzioni piú o meno importanti fin quasi al giorno della morte.

Quest’ultimo manoscritto (entrato nella Nazionale di Napoli insieme con le Correzioni terze) serví per l’edizione del ’44, come mostrano, tra l’altro, i segni a matita dei tipografi quando sospendevano la composizione. Un foglietto autografo, posteriore al 23 giugno ’43 e contenente istruzioni all’incisore Francesco Sesone circa il ritratto premesso appunto all’edizione del ’44, fa pensare che la stampa, eseguita nella tipografia del Muzi, fosse compita o quasi negli ultimi mesi del ’43. E che le bozze fossero, almeno parzialmente, rivedute dall’autore, mostra il fatto che il testo a stampa, pure nella sua perfetta conformitá all’autografo, presenta qualche ritocco grafico o qualche rara giunta in cui si scorge evidentissima la mano del Vico. Il quale, questa volta, trovò nei librai Gaetano e Stefano D’Elia chi s’assunse una parte delle spese di stampa, e nel Cardinal Troiano d’Acquaviva d’Aragona chi, dichiarandosi dispostissimo ad accettar la dedica dell’opera, si affermò anche pronto (decembre ’43) a quanto si fosse desiderato da lui, e cioè, naturalmente, a pagare il resto. Con quanta gratitudine il vecchio filosofo scrisse o dettò (10 gennaio ’44) un’entusiastica dedica al munificente cardinale! Ma, sfortunato come sempre, dodici giorni dopo (nella notte tra il 22 e il 23 gennaio), moriva, senza aver la gioia di veder pubblicata la nuova e piú degna edizione, che, come si desume dalle licenze, fu messa in commercio soltanto negli ultimi giorni del luglio ’44 (2 volumi in-8 con numerazione continua, di pagine sedici innumerate, piú 526, piú 4 innumerate). [p. 330 modifica]

A poco a poco divenne cosí rara che nel ’70 il libraio napoletano Torres ne vendè per sei ducati un esemplare, posseduto ora dal Croce; e, una ventina d’anni dopo, il barone Pietro Custodi, desiderando possederla in proprio, la trascrisse, con un amico e compagno di studi, dalla prima all’ultima parola. Ciò non ostante, nessuna attuazione ebbe il proposito dell’altro libraio napoletano Michele Stasi di ristampare la Scienza nuova terza come primo volume d’una serie di opere vichiane a cura di Gennaro Vico; cosí come le vicende politiche del ’99 fecero andare a monte un’altra ristampa, divisata poco prima di quell’anno da Vincenzo Cuoco e da un suo amico, che molto probabilmente fu Francesco Daniele. Ben presto, per altro, gli esuli napoletani portavano e diffondevano a Milano il nome del Vico: da che il bisogno di conoscerne da vicino il capolavoro, e la conseguente ristampa che, forse per iniziativa del Monti e, a ogni modo, non del Cuoco, che a quell’impresa si tenne estraneo, se ne fece colá nel 1801, e che fu poi riprodotta nell’11 a Napoli e nel ’16 nella stessa_Milano. Sei anni dopo, il dottor Guglielmo Ernesto Weber, esortato e forse aiutato dai suoi amici Baier, Adolfo Wagner (l’editore del Bruno), Borsch, Ebert, Vömel e Gaspare Orelli (autore d’uno studio comparativo tra il Vico e il Niebuhr) pubblicava una non troppo fortunata traduzione tedesca dell’opera, ove verificò anche, nelle note a piè di pagina, una parte delle tante e tante volte errate citazioni vichiane. Fortunatissima, al contrario, la versione o, meglio, riduzione francese del Michelet, che, pubblicata nel ’27 e ristampata due volte nel ’35 e un’altra in anno incerto, fece andare a monte una diversa e forse piú compiuta traduzione francese, annunziata contemporaneamente da un giovane avvocato Alliex. Fortunata altresí una traduzione inglese del solo terzo libro, condotta, sulla riduzione del Michelet, da Enrico Nelson-Coleridge, e che ebbe tre edizioni: la prima nel ’30, la seconda in anno che non sapremmo precisare, la terza nel ’46.

Frattanto, mentre il testo del 1744 si ristampava due volte a Milano nel 1831 (una in due, l’altra in un volume), il Corcia lo inseriva nella sua raccolta delle Opere del Vico (1834), e Giuseppe Ferrari ne pubblicava nel ’36, nella sua prima edizione delle Opere vichiane, una vera e propria riedizione, accompagnata da uno spoglio, parecchio incompiuto, delle varianti dell’edizione del 1730 e da raffronti, alquanto generici, con la Scienza nuova prima e col Diritto universale. Questa riedizione ferrariana, cosí superiore, [p. 331 modifica] malgrado i suoi difetti, alle mere ristampe che l’avevano preceduta, divenne pertanto la volgata, ed essa, anziché l’edizione originale del 1744, cominciarono a esemplare gli editori successivi. Per altro, dell’apparato critico ond’è arricchita non tennero conto né il Iovene nella sua raccolta delle Opere del Vico (1840); né la Cristina Trivulzi principessa di Belgioioso in una nuova traduzione francese (’44); né, dopo che il Ferrari ripubblicò, lievemente ritoccata, la sua fatica nella sua seconda e parziale edizione delle Opere (’44), altre due non belle ristampe, comparse rispettivamente a Firenze nel ’47 e a Milano nel ’48. Al contrario, una parziale riproduzione dell’apparato del Ferrari presenta l’altra edizione che Francesco Predari pubblicò a Torino nel ’52, e che, sebbene prometta nell’introduzione un compiuto raffronto fra tutte tre le Scienze nuove (1725, 1730 e 1744), non reca se non il testo del 1744, una piccola parte delle varianti dell’edizione del 1730 e quei tre capitoli dell’edizione del 1725, a proposito dei quali il Vico ebbe piú volte a dichiarare di non essersi pentito d’aver pubblicata la Scienza nuova prima. Finalmente nel 1853 si pubblicava a Milano una riproduzione materiale del solo testo dell’edizione Ferrari; nel ’54 questa era ristampata integralmente, con altre piccole aggiunte e ritocchi, nella terza raccolta ferrariana (completa) delle Opere; una brutta ristampa dell’ora ricordata ristampa milanese del ’53 si faceva, parimente a Milano, nel ’57; e, per ultimo, il Pomodoro, nel ’59, inserí nella sua edizione delle Opere del Vico un’integra riproduzione della Ferrari terza, alla qual riproduzione l’esser piú volte rimessa a nuovo con mutati frontispizi (qualcuno de’ quali reca la data dell’80) non evitò la sorte d’essere lungamente esposta, sui panchetti, alle intemperie, salvo a divenire oggi una raritá bibliografica.

Dopo un cosí fitto succedersi di riedizioni, traduzioni e ristampe, la Scienza nuova terza per oltre cinquant’anni uscí dal mercato librario e bisognò attendere fino al 1911-6 perché ne comparisse, nei Classici della filosofia moderna del Laterza, una nuova edizione in tre volumi curata da Fausto Nicolini e tenuta presente cosí in parecchie antologie vichiane (p. e. in quella recente del Salvatorelli), come nella nuova traduzione o, meglio, riduzione tedesca dell’Auerbach (1924). Quanto al testo, l’edizione Nicolini offre non solo quello del 1744, ma anche un compiuto spoglio delle varianti non meramente formali dell’edizione del 1730, degli esemplari postillati di questa, e delle Correzioni, miglioramenti e [p. 332 modifica] aggiunte prime, seconde, terze e quarte. E testo e varianti sono accompagnati da un commento (o, meglio, da un abbozzo di commento, peccante al tempo medesimo per eccesso e per difetto), ove, tra l’altro, si verificano, integrano e correggono tutte le citazioni vicinane, si illustrano le numerose allusioni storiche e si rettificano i non pochi errori di fatto.

Quest’ultima edizione è stata messa a fondamento della presente, che, per altro, non ne è una ristampa materiale. Basti dire che il testo è stato ricollazionato parola per parola non solo sull’edizione del 1744 ma anche sull’autografo: collazione eseguita dai dottori Alfredo Parente e Nicola Nicolini, e che ha dato modo tanto di supplite parole o frasi saltate dal tipografo quanto di correggere parecchi errori di stampa sfuggiti, nella revisione delle bozze, allo stesso Vico (p. e., capoverso 780, «essere stati dalle nazioni colla mente descritti i principi di questo mondo di scienze», ch’è proprio il contrario di quanto egli voleva dire, e ch’è stato corretto, secondo l’autografo, «essere stati dalle nazioni rozzamente» ecc.). Nuove cure sono state date alla punteggiatura, e (cosa ormai doverosa per un’opera classica come questa del Vico) il testo e le varianti sono stati numerati anche per capoversi: il che non solo renderá d’ora in poi piú semplici e uniformi le citazioni (bastando indicare in esse il numero del capoverso), ma consentirá in tutte le eventuali ristampe di utilizzare l’indice dei nomi, senza esser costretti (come è accaduto in questa) a doverlo rifare daccapo. Le varianti, anziché essere collocate a piè di pagina, ove, interrompendo di continuo la giá per se stessa non facile lettura, riuscivano piú di fastidio che di comodo, sono state poste tutte in fine, non senza compiere in essa una nuova e piú rigorosa cernita, ed espungere conseguentemente quelle che da un piú attento esame sono risultate mere anticipazioni o ripetizioni di cose dette in altre parti dell’opera. Non è qui poi il luogo di discorrere del commento, giacché si è creduto opportuno consacrare a esso un volume a parte, che si spera di pubblicare a breve distanza dai due che ora si offrono agli studiosi.

Per la documentazione di quanto è asserito nella presente Nota e per la minuta descrizione dei manoscritti, edizioni e ristampe della Scienza nuova seconda e terza, oltre la mia introduzione all’edizione del 1911-6, la Bibliografia vichiana del Croce coi relativi supplementi (finora quattro) e gli Studi vichiani del Gentile (2a ediz., Firenze, Le Monnier, [p. 333 modifica] 1927), pp. 169-94, vedere la nuova edizione dell’Autobiografia, carteggio e poesie varie, a cura di B. Croce e F. Nicolini, in corso di stampa in questa medesima collezione; e anche F. Nicolini, Per una nuova edizione dell’Autobiografia di G. B. Vico, Napoli, 1928, estratto dagli Atti della R. Accademia di scienze morali e politiche di Napoli.

Nell’indicare i Brani soppressi o sostanzialmente mutali nella redazione definitiva (nei quali, qui, non s’è compresa l’Occasione di meditarsi quest’opera, perché rifusa integralmente nella nuova edizione dell’Autobiografia) si sono adottati i seguenti criteri:

1. Di regola a ciascun capoverso s’è premesso, tra parentesi quadra e in carattere grassetto, un numero, il quale si riferisce al capoverso del testo, al quale, nella lettura, la variante deve essere idealmente sostituita;

2. Se questo numero ha un asterisco, la variante va idealmente collocata subito dopo il capoverso del testo indicato dal numero stesso.

3. Se infine questo numero manca, il capoverso in cui s’avvera la mancanza è nient’altro che continuazione del capoverso precedente.

4 - Le sigle SA2, CMA1, CMA2, CMA3, CMA4 indicano rispettivamente la Scienza nuova seconda (di cui si son tenuti presenti i due esemplari postillati serbati nella Biblioteca Nazionale di Napoli) e le Correzioni, miglioramenti e aggiunte prime, seconde, terze e quarte. L’altra sigla CMA3*, alcune Aggiunte fuori ordine, poste dal V., in un secondo momento, alla fine delle Correzioni terze.

S’avverte ancora che le parole o brani, collocati tra parentesi quadre, mancano nell’autografo e sono stati suppliti o col sussidio del testo a stampa, o per analogia ad altri passi dell’opera; e che, per ragioni sintattiche o di senso, si sono introdotti nel testo e nelle varianti pochi e lievissimi ritocchi (soppressione di alcuni «che» pleonastici, cangiamento di qualche modo verbale, correzione di qualche evidente lapsus), che non mette nemmeno conto di elencare. Per ultimo, nel capov. 437, il lettore avrá giá corretto da sé un errore di stampa; «orcadi» per «oreadi».