Le Mille ed una Notti/Storia delle Tre Sorelle e della Sultana loro Madre

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Storia delle Tre Sorelle e della Sultana loro Madre

../Storia del Saggio Solitario e del suo Allievo, raccontata al sultano da un altro pazzo ../Storia d'un Pescatore divenuto visir e della Principessa Kut-al-Kolob IncludiIntestazione 9 marzo 2018 100% Da definire

Storia delle Tre Sorelle e della Sultana loro Madre
Storia del Saggio Solitario e del suo Allievo, raccontata al sultano da un altro pazzo Storia d'un Pescatore divenuto visir e della Principessa Kut-al-Kolob
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STORIA DELLE TRE SORELLE

E DELLA SULTANA LORO MADRE.

«— Noi siamo straniere; il paese d’Yrak ci vide nascere: colà regnava nostro padre. La sua compagna, la tenera nostra genitrice, era la più bella donna del suo tempo, e tal avvenenza l’aveva resa famosa, anche sin nelle più lontane regioni. Eravamo ancora giovanissime, quando nostro padre si assentò [p. 142 modifica] per una partita di caccia che doveva durare più mesi, lasciando ai visir il governo de’ suoi stati. Poco tempo dopo, passeggiando la sultana sul terrazzo del palagio che confinava con quello del visir, l’immagine di nostra madre riflettevasi in uno specchio che l’infame ministro teneva in mano, cosìcchè, abbagliato da tante attrattive, concepì un reo desiderio, e risolse di nulla lasciar d’intentato onde appagarlo.

«Alla domane, egli osò mandare alla sultana, per mezzo della soprintendente del suo serraglio, una ricca acconciatura con gioielli del massimo valore, supplicandola di riceverlo nelle di lei stanze o d’accondiscendere a passare nella sua casa. Mia madre fece entrare quella donna nel proprio appartamento, e raccolse con bontà, credendola incaricata di qualche messaggio confidenziale concernente gli affari dell’impero, oppure di qualche lettera del consorte.

«La vecchia, dopo le riverenze d’uso, spiegò davanti agli occhi di mia madre il magnifico monile, e la sultana, avendolo ammirato, pensò naturalmente che qualche mercadante glie lo volesse vendere, e ne chiese il prezzo. La vecchia, persuasa, che la virtù di mia madre non potesse star salda contro un regalo di tanto valore, non temette di scoprirle la passione del visir. A tal notizia, mia madre, sdegnata dell’oltraggio fatto all’onor suo ed alla sua dignità, impugnò una scimitarra che le si trovava vicino, e raccolte tutte le forze, d’un sol colpo spiccò la testa della perfida intendente, ordinando quindi che il cadavere fosse gettato nelle fogne del palazzo.

«Il visir, non vedendo più tornare l’indegna messaggera, ne mandò un’altra alla domane, incaricata d’informarsi se la sultana avesse ricevuto il presento inviatole. Mia madre fece strangolare la sciagurata, ma nella speranza che il ministro fosse per cangiar [p. 143 modifica] condotta, volle conservare ancora il segreto. Egli però non persistette meno nell’infernale proposito, ed ogni mattina mandava una schiava, che mia madre metteva a morte; cosa che durò sino al ritorno del sultano. Tremò il visir per un istante: ma mia madre, in considerazione de’ suoi talenti e del suo zelo gli perdonò, nè scopri allo sposo gli oltraggi, de’ quali era stata scopo durante la di lui lontananza.

«Alcuni anni più tardi, volendo il sultano recare in pellegrinaggio alla Mecca, rimise, come prima, al visir il governo del regno; era già partito da dieci giorni, quando il ministro, cui nè tempo, nè ostacoli avevano guarito dal disonesto suo amore, inebbriossi di nuovo della folle speranza di possedere l’oggetto de’ propri desideri. Spedì pertanto alla sultana una schiava, la quale, introdotta nelle reali stanze, le disse: — In nome del cielo, abbiate pietà del mio signore, poichè il suo cuore si trova in preda alla più violenta passione; rendetegli la calma, rendetegli la felicità. —

«Sdegnata dell’insolente messaggio, mia madre ordinò agli schiavi di prendere la sciagurata che aveva osato d’incaricarsene, metterla a morte, ed esporne il cadavere alla vista del popolo nel cortile del palazzo; ordine che fu immediatamente eseguito. Il visir, informato dalla guardie del trattamento patito dalla sua inviata, decise di vendicarsene, e raccomandò loro il silenzio sino al ritorno del sultano, proponendosi d’istruirlo della sorte della schiava, ma dando al costei supplizio una causa tutta diversa e mendace.

«Quando l’indegno favorito suppose che il sultano esser dovesse in via per tornare a’ propri stati, gli scrisse la lettera seguente:

««Dopo tutti i voti che faccio per la vostra salute, deggio informarvi, che sin dalla vostra assenza, la [p. 144 modifica] «sultana ben cinque volte mi fe’ fare colpevoli proposte. Ho ricusato, rispondendo che qualunque fosse in lei il desiderio d’ingannare il mio sovrano, io non poteva rendetemi suo complice, avendovi ella lasciato custode dell’onor suo e del suo regno. Non m’è d’uopo dirvi di più.»»

«Il latore del messaggio incontrò il sultano mentre non era più d’otto giorni di cammino lontano dalla città, e gli consegnò il foglio. Impallidì a quella lettura mio padre: i suoi occhi esternarono lo sdegno ed il dolore. Fatte tosto levare le tende venne a marce affrettate sino a due giornate dalla capitale, e quivi sostando, inviò due confidenti incaricati di condurci, mia madre e noi tre sorelle, a certa distanza dalla città per metterci a morte. Strapparonci que’ due uomini dal serraglio, e ci condussero in campagna; ma giunti al luogo dell’esecuzione fatale, mancò loro il cuore per compassione: ricordaronsi i benefizi fatti da mia madre ad essi ed alle loro famiglie, e non ebbero il coraggio di eseguire gli ordini del sultano, che allora ci palesarono. — Gran Dio!» sclamò mia madre; «tu conosci la mia innocenza. E quindi manifestò loro quanto era accaduto colla più scrupolosa fedeltà.

«I due ufficiali versarono lagrime di compassione sulle sventure della sultana, e cercarono di porgerle qualche conforto. Avendo intanto presi due cerbiatti, li uccisero, e tolte le nostre vesti, le intrisero col sangue di quegli animali, de’ quali arrostirono le carni per saziarci la fame. Ci volsero poscia i loro dolenti saluti, raccomandandoci alla protezione dell'Onnipotente. Per sei giorni continui errammo nel deserto senza scorgere abitazione umana, e vivendo dei frutti selvatici che ne riusciva trovare. Finalmente giungemmo ad un luogo verdeggiante e copioso di ogni sorta di legumi e frutti squisiti, e presso il quale [p. 145 modifica] stava una caverna entro cui risolvemmo di ricoverarci finchè passasse una caravana. Il quarto giorno, ne venne ad accampar, una vicino al nostro asilo. Non osammo mostrarci; ma quando si rimise in via, seguitala a certa distanza giungemmo alfine in questa città. Prima nostra cura, dopo aver trovato alloggio, fu di ringraziare con sommo fervore l’Altissimo che sì miracolosamente ne aveva sottratte ad una morte terribile, ed ai pericoli che ci minacciavano nel deserto.» Nel terminare il racconto, non seppero la giovanetta e le sorelle frenare le lagrime.»

NOTTE DLXXIX

— Ma lasclamo per un istante questi interessanti personaggi, e torniamo presso al sultano loro padre. Questo principe più non era che a qualche lega dalla capitale, allorchè il perfido visir, accompagnato dagli officiali del governo e dai primari abitanti della città gli venne incontro, e lo complimentò sull’esito felice del santo pellegrinaggio intrapreso.

«Appena smontato al palazzo, il sultano prese in disparte il ministro, e chiesegli i particolari dell’infame condotta della consorte. — Principe,» gli rispose quel furbo, «appena foste partito, la principessa mi mandò una schiava per indurmi ad andarla a trovare. Ricusai, e feci mettere a morte l’infame messaggera, affinchè non divulgasse il fatale segreto. Sperava che la sultana avrebbe arrossito della sua debolezza; ma così non fu, e cinque volte di seguito reiterò il colpevole invito. Allora v’informai di tutto. — [p. 146 modifica]

«Durante quella narrazione, il sultano, colla testa inclinata sul petto, era rimasto immerso in profondi pensieri; ma riscossosi d’improvviso e tornato in sè, comandò si facessero venire i due uomini, ai quali aveva dato l’orribile incarico di far perire la moglie e le figliuole. — In qual modo,» chiestegli, «eseguiste gli ordini miei? — Signore, vi abbiamo obbedito, ed in prova della nostra fedeltà, osservate questi abiti tinti del sangue delle ree.» Volse il sultano lo sguardo su quelle funeste spoglie, ma la memoria della bella sua compagna della primiera tenerezza, della felicità gustata con lei e dell’innocenza delle figliuole, gli spezzò di tal guisa il cuore, che ne sparse copiose lagrime. — Mi diceste proprio la verità?» sclamò dolorosamente volto al visir. «E voi,» soggiunse dirigendosi ai due ufficiali, «avete proprio data la morte alle povere mie figlie ed alla colpevole mia consorte?» Non risposero coloro, mentre il visir raddoppiava le ipocrite proteste. - Parlate, ve lo impongo,» disse il sultano. — Sire,» risposero i due ufficiali, «l’uomo onesto non può esser mendace, perocchè la menzogna è opera del traditore.» Cangiò di colore a tai detti il visir, e turbandosi, lo colse un tremito universale. Il sultano avvedutosene, disse con voce animata ai due officiali: — Cosa significano queste parole: la menzogna è opera del traditore? Svelatemi tutta la verità, o per quel Dio che mi destinò alla custodia de’ miei popoli, vi faccio spirare in mezzo ai più orribili tormenti.—

«Quei due caddero appiè del sultano, e: — Potentissimo re,» gli dissero, e come tu ci avevi imposto, abbiam condotto la principessa e le fanciulla in mezzo al deserto; colà le istruimmo dell’orribile accusa del visir e del crudel tuo ordine. La sultana, dopo averci coraggiosamente ascoltati, sclamò: «Non [p. 147 modifica] «v’ha rifugiò se non in grembo all’Onnipossente; è da Dio che siam venuti, ed a Dio dobbiam tornare. Ma prima di darci la morte, udite, e riferite al mio sposo che l’infame visir mi ha falsamente accusata; egli, egli solo è il reo. Ci narrò poscia tutti gli sforzi fatti dal ministro per sedurla, ed in qual modo avesse trattato le latrici de’ suoi nefandi messaggi. — E voi aveste la barbarie d’immolarle? gridò il sultano fuor di sè. — No, o sire; eravamo sì convinti dell’innocenza della principessa, che non potemmo risolverci al crudele sacrificio.» Raccontarono allora al sultano tutto l’occorso, ed in qual guisa avessero abbandonata la sultana e le figliuole in mezzo al deserto.

«Or come dipingere la rabbia del sultano all’udire il racconto de’ due fedeli servi? — Infame traditore,» sclamò, volgendosi al visir, «così dunque mi dividesti, al certo per sempre, da mia moglie e dalle mie figliuole?». Confuso il ministro non rispose una sola parola, e restò come impietrito. Ma il principe ordinò di accendere nel medesimo istante un immenso rogo, e precipitare nelle fiamme il visir, coi piedi e le mani legate, che rimase tosto consunto e ridotto in cenere. Atterrata ne fu la casa, se ne confiscarono le ricchezze, e le donne del suo serraglio, come pure i figliuoli, vennero venduti all’incanto»

«Ma torniamo alle tre principesso ed alla loro madre. Udite che il sultano n’ebbe le avventure, si sentì vivamente commosso dalle loro disgrazie, maravigliando inoltre perchè le avessero sopportate con tanto coraggio è rassegnazione. — Qual funesta sorte era mai loro riserbata!» disse al suo visir; «ma benedetto sia Iddio, il quale nello stesso modo che può separarci dagli esseri a noi più cari, può anche, quando gli piaccia, riunirci.» E fe’ condurre al proprio palazzo la sultana e lo figliuole, [p. 148 modifica] assegnando ad esse un seguito ed appartamenti convenienti al loro grado, ed inviò al sultano loro genitore vari corrieri per fargli noto che si trovavano in luogo di sicurtà. Quei messaggeri di buon augurio adoperarono la massima sollecitudine, e giunti nella capitale ed introdotti alla presenza del sultano, consegnatigli i dispacci, quel principe, non appena li ebbe letti, mandò un grido di gioia, e cadde privo di sensi. Gli schiavi, atterriti, lo rialzarono, prodigandogli soccorsi d’ogni sorta; allorchè tornò in sè, manifestò a tutta la corte che la sultana e le figliuole erano trovate, e fece preparare una nave per ricondurle ne’ propri stati.

«Allestita la nave del necessario alle principesse, vi fu unito un ricco dono pel principe generoso che le avea protette; partì quindi con vento favorevole, ed in breve giunse al porto desiderato. Il capitano venne accolto con somma benevolenza dal re, il quale ordinò di trattar lui e tutto il suo equipaggio a spese del tesoro reale. In capo a tre giorni, la sultana e le sue figlie, impazienti di tornare in patria dopo sì lunga e dolorosa assenza, preso dall’augusto ospite commiato, e ricevuti da lui magnifici regali, s’imbarcarono, e la nave salpò con prospero vento. Per tre giorni secondò il tempo i loro voti; ma verso la sera del terzo, fattosi contrario, furono costretti a gettar l’ancora ed ammainare le vele. Tosto scatenasi una violentissima tempesta: staccata l’ancora, e spezzati gli alberi, l’equipaggio si stimò perduto senza riparo. La nave, in balia dell’onde e della burrasca, fra i pianti e le grida disperate dei passeggeri, andò finalmente, verso mezzanotte, ad urtare, sugli scogli, dove si ruppe in mille pezzi. Gran parte dell’equipaggio perì; altri, più fortunati, raggiunsero la spiaggia chi sopra tavole, chi sopra casse o sui frantumi del naviglio; ma tutti rimasero divisi gli uni dagli altri. [p. 149 modifica]

«La sultana madre salvossi sopra una tavola, o sull’albeggiare venne fortunatamente scorta dal capitano della nave, il quale, con tre uomini dell’equipaggio, erasi salvato nella scialuppa, e raccoltala facendo forza di remi per alcuni giorni, approdarono ad una spiaggia. Ma fatti appena alcuni passi entro il paese, videro un gran nembo di polvere il quale, diradandosi, lasciò distinguere un esercito che avanzavasi alla loro volta; qual non fu la loro maraviglia ed immensa gioia riconoscendo le armi del sultano! Temendo il principe che la nave non avesse a provare qualche sinistro, avea fallo partire quell’esercito nella speranza di raggiungere la sultana e le figlie prima che s’imbarcassero, e così poterle ricondurre per terra. Sarebbe impossibile descrivere il giubilo de’ due sposi nel rivedersi: ma quella loro felicità fu di breve durata, che la memoria delle disgraziate fanciulle venne a strappar loro torrenti di lagrime. Si riposero tristamente in via, e dopo quaranta giorni, giunsero alla capitale, dove tutti i sudditi parteciparono a loro dolore.

«La più giovane delle pricipesse avendo lottato a lungo contro i marosi, già sentiva che le forze stavano per abbandonarla, allorchè trovossi per buona ventura gettata sopra una costa amena e fertile, dove subito trovò frutti squisiti, ed acqua fresca e limpidissima.

Ricuperate quindi le forze, inoltrossi nell’interno, ed incontrato a qualche distanza un giovane che, seguito da numerosa muta, andava, a caccia, sollecitossi questi ad interrogarla, e saputone le disgrazie, le offrì ricovero in casa della madre. Accettò la fanciulla, e fu trattata in quell’ospitale dimora coi più teneri riguardi, talchè divenuta l’oggetto delle cure più assidue, ricuperò rapidamente i vezzi e la salute.

«Il giovane era l’erede legittimo di quel regno, [p. 150 modifica] ma detronizzato da un usurpatore; poco tempo dopo l’arrivò della naufraga, questi morì, ed il principe fu reintegrato ne’ suoi diritti. Allora offerse la destra alla fanciulla, la quale ricusò dicendo: — Come potrei pensare al matrimonio, mentre ignoro la sorte della disgraziata mia famiglia? Posso io occuparmi della mia felicità, quando madre o germane son forse in preda agli orrori della miseria? Se sapessi che fossero felici, allora potrei senza rimorso abbandonarmi ai desiderii ed all’amore del mio generoso liberatore.

— «Il giovane sultano aveva concepito per la principessa tal passione, che la sola speranza più lontana poteva ricolmarlo di giubilo, e dargli forza di aspettare il giorno che vedrebbe esauditi i più cari suoi voti. Ma siccome era l’ultimo rampollo della sua schiatta, i grandi del paese, impazienti di vederlo ammogliato, ogni giorno lo sollecitavano a scegliersi una sposa. Resistette per molto tempo; ma le istanze loro divennero sì incalzanti che la sultana madre, temendo una ribellione, supplicò la principessa ad acconsentire ad un’unione dalla quale dipendevano la felicità del figliuolo e la quiete dello stato. La giovane, che amava teneramente il suo liberatore, non ebbe difficoltà ad arrendersi; laonde il matrimonio fu celebrato colla massima pompa, e tre anni dopo la sultana aveva già dato alla luce due figliuoli, la cui lieta nascita accrebbe la beatitudine dei nostri giovani sposi....» [p. 151 modifica]

NOTTE DLXXX

— La seconda principessa intanto, stretta a fragil tavola, dopo essere stata a lungo in balia dell’onde, fu finalmente gettata sulla spiaggia, vicino ad una grande città, verso la quale tosto rivolse i passi. Colà ebbe la sorte di eccitare l’interesse d’una dama rispettabile, la quale l’accolse in casa propria e l’adottò invece d’una diletta figliuola perduta da qualche tempo.

«Il sultano di quella medesima città, la cui dolcezza di governo e la magnificenza avevagli conciliati tutti i cuori, cadde sgraziatamente infermo, e ad onta dell’abilità di famosi medici, peggiorò di giorno in giorno al punto che si disperava della sua vita. Generale era la costernazione, quando la giovinetta disse alla sua protettrice, la quale gemeva sul pericolo del sultano: — Mia buona madre, se lo bramate preparerò una pozione che salverà la vita al principe. — Potrei di certo,» le rispose la vecchia signora «entrare nel palazzo; ma temo di non poter penetrare sin presso al sultano. — Tentate,» riprese la figlia adottiva; «l’intenzione d’un’opera buona è sempre meritoria agli occhi dell’Onnipotente. — Ebbene, figliuola, preparate la vostra pozione, ed io procurerò di aprirmi la via sino al re. —

«Avendo pertanto la principessa composta la sua pozione d’erbe e profumi di varie sorta, la vecchia dama andò al palazzo, ed interrogata dalle guardie o dagli eunuchi che cosa recasse: — È,» rispose, «una bibita, che vi prego di presentare al sultano, acciò ne prenda quant’è possibile; e, coll’aiuto di Dio, [p. 152 modifica] ricupererà la salute.» A tai detti, fu fatta entrare nella stanza dell’infermo. Non ebbe appena scoperto il vaso, che ne esalò tal fragranza, che il principe moribondo se ne sentì tutto rallegrato, e saputo poi ciò che recava la venerabile matrona, ringraziolla e gustò della bevanda, la quale gli parve di sapore sì delizioso, che molta ne tracannò con un piacere cui non aveva da lungo tempo provato. Congedata poi la vecchia signora, facendole il presente d’una borsa piena d’oro, la buona donna affrettossi ad andar a riferire alla principessa la graziosa accoglienza ricevuta, ed il presente fattole dal sultano.

«Appena il principe ebbe bevuta parte del liquore, gli venne voglia di riposare, e cadde in un sonno confortante, che durò parecchie ore di seguito. Al destarsi, trovossi molto meglio, e sentendosene nuova disposizione, finì di bere la medicina. Presovi allora gusto, s’informò della vecchia, ma non vi fu chi glie ne sapesse indicare il domicilio. Fortunatamente, versa sera, portò ella medesima una seconda bevanda preparata dalla principessa, e che il sultano prese con egual piacere della mattina; talchè in fine quel monarca, debole alcune ore prima e quasi moribondo, ebbe la forza di alzarsi ed anche di camminare. Chiese allora alla vecchia, se foss’ella che avesse composto il farmaco salutare. — No, o sire,» rispose colei; - «fu mia figlia che lo fece e mi scongiurò di venirvelo a portare, — Non può esser tua figlia,» sclamò il sultano; «tale scienza manifesta un’alta origine.» Indi fece alla dama un nuovo regalo, raccomandandole di recargli ogni mattina una simile pozione; avendo colei promesso di obbedire, se ne andò.

«Per sette giorni consecutivi mandò la principessa regolarmente al palazzo la bevanda, ed ogni volta il sultano donava alla vecchia dama una borsa di pezze d’oro. Intanto egli si ristabilì così rapidamente [p. 153 modifica] che sin dal sesto giorno trovavasi in piena convalescenza, ed il settimo potè salire a cavallo, e riprendere le redini del governo.

«Frattanto gli elogi dalla buona donna fatti della figliuola ed il ritratto da lei descritto delle grazie e beltà di questa, avevano ispirato al principe un vivo desiderio di vederla; per soddisfarlo, preso un abito di dervis, recossì alla loro casa. La madre, temendo di ricevere uno sconosciuto, stava per congedarlo; ma la principessa, opponendosi, le disse: — L’ospitalità è un dovere verso i forastieri, soprattutto quando sono poveri religiosi.» In conseguenza, il falso dervis fu accolto, ed avendolo la principessa fatto sedete con dimostrazioni di molto rispetto, lo servì in persona di vivande e rinfreschi, che il principe accettò di buon cuore; ringraziate poi la madre e la figlia della generosa ospitalità, partì perdutamente invaghito della sua salvatrice.

«Appena tornato al palazzo, mandò a chiamare la vecchia madre, e quando fu venuta, le diede un ricco abbigliamento e preziosi gioielli, pregandola di consegnarli a sua figlia e persuaderla ad adornarsene. La dama promise di obbedire, e tornata a casa, andava così pensando: — Se mia figliuola adottiva segue i miei consigli, si uniformerà ai desiderii del sovrano, abbellendosi con questi ornamenti.» Giunta a casa spiega il ricco presente agli occhi della principessa, la quale da principio ricusava di accettarlo; ma cedendo in fine alle istanze della protettrice, cui non voleva dispiacere se ne rivestì, e la buona donna rimase, nel vederla in quel superbo arredo, piena di maraviglia.

«Il sultano, travestito da donna e coperto il volto con un fitto velo, aveva seguita sino a casa la matrona, ed ascoltato alla porta per sapere se la giovane accettasse il presente. Quando la vide adorna di [p. 154 modifica] quegli abiti si sentì pieno di giubilo e tornato frettoloso al palazzo, mandò di nuovo a cercar la vecchia annunziandole che voleva sposarne la figliuola. La fanciulla accettò la proposta, ed il sultano, seguito da brillante corteggio, la condusse la medesima sera alla reggia, dove furono celebrate le nozze. Brillantissime feste ebbero luogo per sette giorni. In breve gustarono i due sposi una perfetta felicità, che vie meglio accrebbesi per la nascita d’un figlio e di due bambine che l’Onnipotente concesse loro nella spazio di cinque anni....

«La maggiore delle tre sorelle, sfuggita al naufragio sopra leggero schifo, dopo aver a lungo lottato contro i flutti, fu finalmente spinta sulla spiaggia, dove trovò abiti virili. Stimando che sotto simile travestimento avrebbe incontrati minori pericoli, l’indossò ed avviossi verso una città che vide non lontano dalla costa. Appena messo il piede in quella, fu raggiunta da un mercatante, il quale, notando come fosse straniera e presola per un uomo, le chiese se volesse venir a stare con lui, avendo d’uopo di aiuto. Lieta di trovare un asilo, accettò l’offerta che colui le fece di darle mantenimento e stipendio, e quindi fu condotta in su casa e trattata con bontà. All’indomani, postasi al lavoro, spiegò tanta intelligenza ed attività, che la bottega del suo principale si trovò in breve la meglio guernita di tutte quelle del medesimo genere.

«Stava il magazzino situato rimpetto al palazzo reale. Una mattina, la figliuola del sultano, guardando attraverso le gelosie d’un balcone, vide il finto giovane al lavoro, colle maniche della veste rimboccate. Sì candide e belle n’erano le braccia, il volto si leggiadro e gradevole, che la fanciulla se ne invaghì sul momento. Per più giorni di seguito continuò a contemplare così l’oggetto della sua passione, [p. 155 modifica] e finì col perderne il riposo e la salute. La sua nutrice, inquieta, dopo aver indarno cercato di scoprire la causa del suo stato, pensò che l’amore solo fosse il male che la tormentava, e la sollecitò a palesarglielo.

— Mia buona madre,» le disse la principessa, «indovinasti il mio segreto. Voglio sperare che non solo ti sarà sacro, ma ben anche m’aiuterai a ricuperare il primiero ben essere. Colui ch’io amo è quel giovane che lavora nella bottega rimpetto alle mie finestre. Se non posso vederlo ed avvicinarmegli, morrò di dolore. — Cara la mia padrona, quel giovane è infatti di bellezza notabile; piace a tutte le donne della città, ma è sì timido, che non osa rispondere ad alcun invito che gli si faccia. Il più semplice detto l’imbarazza come un fanciullo. Nondimeno tenterò di vincere quella sua riservatezza, e procurarvi un colloquio con lui.» Recossi subito dal mercatante, vi comprò varie cose, e lo pregò dì permettere al suo garzone di accompagnarla a casa. Il padrone, allettato della maniera generosa colla quale trattava la donna, accondiscese volentieri alla di lei domanda.

«La vecchia allora condusse il falso giovanotto, per vie remote, ad un ingresso segreto del palazzo, d’onde introdottolo negli appartamenti dell’augusta donzella, questa lo accolse con un’emozione d’allegrezza sì forte, che poco mancò non si tradisse. Però, sotto pretesto di esaminare le merci, volsegli varie domande, e donategli venti pezze d’oro, gli raccomandò di tornare il giorno seguente con altre mercanzie.

«Di ritorno al magazzino, la principessa consegnò le venti pezze al padrone, il quale, sorpreso al vedere sì gran somma, le domandò d’onde mai venisse. Quando il finto giovane gli ebbe narrata la sua avventura, il negoziante, più agitato di prima, si mise a pensare: — Se questo intrigo continua, il sultano lo scoprirà; io sarò messo a morte, [p. 156 modifica] e la mia famiglia cadrà in miseria; e tutto ciò in causa di questo straniero.» Lo scongiurò dunque a non ripetere la visita. — Non posso dispensarmene,» disse l’altro; «ho promesso e checchè possa avvenire, manterrò la mia parola.» Recossi infatti il giorno dopo al palazzo, e passò la sera colla principessa. Queste visite rinnovaronsi parecchie volte e la real fanciulla, illusa, abbandonavasi con sicurezza al folle suo amore. Ma una sera, entrato d’improvviso il sultano nell’appartamento della figliuola, e veduto con lei un uomo, arse d’ira sì violenta, che ordinò agli eunuchi di mettere a morte il temerario, il quale avea osato violare l’impenetrabile asilo dell’harem. E già era sguainata la scimitarra, quando il falso garzoncello, sciolto il turbante che gli copriva la bella chioma, ed apertasi la veste, fe’ agli astanti maravigliati conoscere il proprio sesso. Il principe, rassicurato e sorpreso di tante attrattive, supplicò la giovinetta di spiegargli per qual circostanza si trovasse in quei luoghi e sotto tale travestimento. La principessa obbedì, e gli fece la narrazione esatta delle lunghe sue disgrazie.

«Il sultano, intenerito concepì tosto per l’amabile persona il più vivo interesse, ed ingiunse alla figlia di riceverla appo di lei e trattarla coi riguardi che la nascita e gli infortuni suoi meritavano. Da quel momento l’amore di questa cangiossi in sincera amicizia, e grazie alle cure ed alle sue attenzioni, potè la principessa finalmente godere di qualche tranquillità. Frattanto la vista della giovanotta aveva fatto sul cuore del sultano profonda impressione; ma la tema di mancar ai doveri dell’ospitalità gli fece tenere a lungo celato il suo amore: troppo debole però onde lottare più oltre, finì coll’infermare pericolosamente. La figliuola indovinò la cagione del male, ed informatane l’amica, la scongiurava a rendere la calma e la felicità al padre. La principessa ricusò sulle [p. 157 modifica] prime, piangendo amaramente, e parlandole delle sventure della misera sua famiglia; ma l’amica vinse alla fine la di lei resistenza, talchè determinossi ad accettare la mano del re. La felice notizia gli restituì in breve la salute, e le nozze celebraronsi in mezzo all’allegrezza generale e con estrema magnificenza.»

NOTTE DLXXXI

— Intanto i genitori delle tre amabili sorelle non cessavano di piangere la perdita della loro prole; tanto che il vecchio sultano, risoltosi infine di andarla in traccia, lasciò alla moglie la cura del governo, e partì accompagnato dal solo suo visir, indossando ambedue l’abito dei dervis. Dopo il viaggio d’un mese giunsero ad una grande città sul mare.

«Il sultano del paese aveva fatto erigere sulla spiaggia una superba casa di delizie. Quivi stavasene egli seduto sotto un padiglione coi due suoi figliuoli, uno dell’età di sei anni e l’altro di sette, allorchè passati colà per caso i due supposti dervis, salutarono il principe, e, secondo l’uso dei religiosi, fecero una lunga preghiera per la di lui prosperità. Il sultano, reso il saluto, li fe’ sedere, ed intertenutasi seco loro sino a sera, li accommiatò con un presente.

«I due viaggiatori recaronsi allora ad un caravanserraglio, dove presero a pigione un appartamento, ed alla domane, divertitisi a percorrere la città, tornarono sul lido, e videro, come il giorno innanzi, il sultano seduto coi figliuoli. Mentre ammiravano la bellezza dell’edificio, il più giovane principino, spinto [p. 158 modifica] da irresistibile movimento, corse ad essi, mirandoli fissamente e con avidità, e quando se ne andarono, li seguì sino al loro albergo, nè i due dervis se ne avvidero se non allorchè, entrati nella camera, il fanciullo venne a sedersi loro accanto. Il vecchio sultano, maravigliato, lo prese in braccio, gli fece mille carezze, ed esortollo a tornare dai genitori: ma il ragazzo non volle obbedire, non partendo se non quattro giorni dopo, durante i quali i due viaggiatori non uscirono mai dal caravanserraglio.

«Il sultano, non vedendo il figlio, credette che fosse dalla madre, la quale da parte propria, stimava che il padre l’avesse sempre con sè. Ma infine, essendo il principe tornato a palazzo, avvidesi che il fanciullo era smarrito. Si mandarono subito messi da tutte le parti, ma non se n’ebbe nessuna notizia consolante; allora gli sfortunati genitori immaginarono che il principino fosse caduto in mare e vi fosse perito. Per tre giorni consecutivi adoperaronsi reti e palombari, ma invano. Il quarto giorno fu dato ordine di visitare le case della città, ed allora soltanto si venne finalmente a scoprire il giovinetto nell’albergo dei falsi dervis, i quali furono ignominiosamente trascinati davanti al sultano. Estrema fu la gioia di quel padre ritrovando un figlio che stimava perduto; ma persuaso che i dervis avessero avuto intenzione d’involarlo, ordinò che si facessero immediatamente morire. I carnefici quindi li presero, e legate loro le mani dietro alla schiena, stavano per ferire, allorchè il fanciullo, accorrendo con altissime strida, gettossi alle ginocchia del vecchio dervis senza che si potesse staccarnelo. Il padre, stupefatto, fece sospendere l’esecuzione, ed andò a narrare la strana avventura alla sultana.

«Questa non maravigliò meno del consorte, e volle sapere dal dervis medesimo il motivo che lo aveva portato [p. 159 modifica] ad attirare presso di sè il fanciullo. — È veramente cosa inconcepibile,» diss’ella, e che mio figlio dimostri tanta tenerezza per quello straniero. Fatevi venire davanti colui nel vostro gabinetto, e comandategli di narrarvi la sua storia, ch’io starò ad udire celata dietro una cortina. —

«Mandò dunque il sultano a prendere il finto dervis, e fatto allontanare ognuno, ritirossi con lui nel proprio gabinetto, dove, dopo averlo fatto sedere, gli parlò in tal guisa: — Perfido dervis, è per visitare il mio regno o per rapirmi un figlio che tu venisti in questo paese? — Principe,» rispose il falso religioso, «il cielo mi è testimonio ch’io non ho cercato vostro figlio: egli mi ha seguito di proprio suo impulso sino a casa mia. Feci di tutto per indurlo a tornare da suo padre; ma vi si è sempre rifiutato, mentr’io stava in continuo timore, sinchè giunse il momento che prevedeva.» Il sultano, disarmato da tal dichiarazione gli parlò con bontà, e pregollo di raccontargli le sue avventure. Sparse alcune lagrime, il dervis rispose: — Lunga e dolorosa è la mia storia. Voi vedete un padre infelice che percorre la terra in cerca di tre dilette figliuole, ch’egli allontanò dal suo seno, e delle quali oggi deplora l’assenza.» Appena pronunziati tai detti, la sultana, slanciandosi dal sito ove stava nascosta, corse a gettarsi tra le braccia del dervis. Il re, sorpreso a quella vista, già sguainava la sciabola, sclamando: — Che significa ciò?» La consorte allora, con molte lagrime, e ridendo a un tempo di tenerezza e di gioia, gli manifestò che il preteso dervis era il proprio padre. A tale inaspettata nuova, il re, precipitatosi a’ di lui piedi, lo ricolmò de’ segni del più vivo rispetto, e fatto mettere in libertà l’altro dervis, suo visir, e recar regali ammanti per lo suocero, ordinò di preparargli un appartamento degno di riceverlo, con un seguito proporzionato al suo grado. [p. 160 modifica]

«Passato ch’ebbe il vecchio sultano alcun tempo colla figliola, pensò a mettersi in cerca delle altre due, fece conoscere la sua risoluzione. Or volendo il genero accompagnarlo nella sua spedizione con una scorta numerosa pel timore non gli accadesse qualche sinistro, preparata ogni cosa per la partenza, i due principi accamparonsi fuor della città e pochi giorni dopo cominciaronsi il viaggio, che riuscì a seconda de’ loro voti. Il vecchio monarca, avendo trovate tutte le figliuole, ritirossi nel suo regno, e terminò felice in seno alla famiglia un vita stata amareggiata da sì crudeli disavventure.»

Sorgeva l’aurora, quando Scherazade poneva termine al racconto, che allettò assai il sultano dal quale essa ottenne agevolmente licenza di cominciarne un altro la mattina successiva.