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Le donne di casa Savoia/II. Adelaide di Susa

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II. Adelaide di Susa

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I. Ancilla III. Berta

[p. - modifica]Adelaide contessa di Torino
e marchesa di Susa
moglie di Oddone
1016-1091.
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II.

ADELAIDE DI SUSA

n. circa il 1016 — m. 1091


                    Di forti esempi
Al tuo sangue provvedi.



D
i questa famosissima principessa, che ha riempito del suo nome più della metà di un secolo, in tempi in cui la gloria e la fama non si compravano al buon mercato attuale, scarse sono le notizie della giovinezza, o meglio della prima età.

Pare nondimeno accertato che essa nascesse a Torino, da Olderico Manfredi Conte di quella regione e Marchese di Susa, e dalla Contessa Berta Obertagna, che morì in giovane età.

Adelaide ebbe un unico fratello, morto poco tempo avanti il loro padre che passò di vita sul finire del 1034, e due sorelle, Immilla e Berta, e fra loro tre il Marchese Olderico divise i suoi vasti possessi, dei quali però Adelaide, la grande erede subalpina, ebbe la parte maggiore. Essa invero non avrebbe potuto succedere [p. 6 modifica]in tutto al vecchio guerriero, perchè molta della potenza di lui era militare, e poco conveniente ad una donna, ma fu trovato il mezzo di rimediare a ciò, maritandola sollecitamente a chi avesse potuto nelle cose militari degnamente rappresentarla.

Perciò noi la troviamo, sedicenne appena, sposa ad Ermanno Duca di Svevia, figliastro dell’Imperatore Corrado il Salico, perchè nato dal primo matrimonio dell’Imperatrice Gisla. Ma il Duca, combattendo nel napoletano contro gli imperiali, prese la peste e morì nel luglio del 1038.

Passata presto Adelaide a seconde nozze, così volendo le esigenze dello Stato, con Enrico Marchese di Monferrato, rimase vedova anche di lui, dopo pochi anni, nel 1045.

Fu allora che, essendo necessario, sempre per quella famosa ragione di Stato, un terzo matrimonio, essa si congiunse a Oddone, figliuolo di Umberto Biancamano.

Fino dalla morte di Rodolfo III, la Casa Sabauda si era creata uno Stato che, girando per una notabile estensione dietro le Alpi Pennine e Graie, ne signoreggiava tre dei principali passaggi, i due San Bernardo cioè, e il Moncenisio; e per la valle d’Aosta poneva piede in Italia: quella Contea d’Aosta, assegnata ad Umberto nel generale rimaneggiamento avvenuto alla caduta di Arduino, e che doveva essere per la famiglia come la chiave che, nel corso dei secoli, doveva aprirle le porte del Regno d’Italia. [p. 7 modifica]

Sposando Adelaide, Oddone aggiunse ai paterni domini la vasta Contea di Torino e il Marchesato d’Italia, vale a dire la superiorità degli altri contadi sul confine, prendendo così il loro dominio le proporzioni di un Regno. Però, come tale, mancava di connessione, perchè vari fondi e domini altrui s’interponevano tra una parte e l’altra, e qui s’incontrava un Marchesato, qua un Ducato, là una Contea, appartenenti a feudatari minori.

Dopo il suo matrimonio, vediamo Oddone risiedere spesso con la famiglia al di qua delle Alpi, nei bei possessi della moglie, e talora anche a Torino, dove essa aveva un sontuoso palazzo. Ma questi nostri primi Principi non tenevano per molto tempo residenza fissa, e si recavano sempre là dove la loro presenza era necessaria.

L’unione di Oddone con Adelaide fu sterile per vari anni, poi successivamente nacquero cinque figli, Pietro I, Amedeo II, Oddone, Berta e Adelaide.

Berta, promessa a tre anni, fu sposa a quattordici ad Arrigo IV Imperatore di Germania; e Adelaide, poco tempo dopo, divenne moglie di Rodolfo, Duca di Svevia.

Ma Oddone morì giovane, verso il 1060, e lasciò tutti i figli pressochè bambini, raccomandati vivamente alla moglie, allora sui quarantacinque anni. Alcuni vogliono che Adelaide pensasse allora ad un quarto matrimonio, ed aggiungono che la dissuase il Cardinale S. Pier Damiano, che alcuni anni avanti era stato [p. 8 modifica] a Torino alla sua Corte, e ne aveva guadagnate la stima e la reverenza.

Adelaide di Susa, alla considerazione che le davano il potere e la ricchezza, aggiungeva un’attitudine grande per governare, e il marito lasciò volontieri, ancora vivente, ogni autorità in mano di una Principessa sì degna di tutta la sua considerazione, e alla quale doveva una sì bella successione; sicchè la Reggenza non la trovò niente affatto digiuna delle cose di Stato.

Di lei, come sposa e madre, nulla ha da aggiungere la storia all’asserzione che essa fu, come tale, esemplarissima; ma qualcuno vuole ascriverle a demerito di avere esercitato supremo potere sopra i destini della Casa, anche viventi il suocero e il marito, e più ancora durante l’oscura carriera dei figli. Ma dal momento che questa sua influenza rivolse al bene, non mi pare opportuno il rimproverargliela.

Donna di sensi magnanimi e virili, degna nipote di Arduino, da cui direttamente discendeva, aveva passato, dicesi, gran parte dell’adolescenza fra le armi, viste da vicino la guerra e le stragi, cinte essa pure armi e corazza, ed erasi sentita rinforzare gli spiriti alla speranza e all’ardire, e trasportare del tutto alle imprese e alle vittorie militari.

Bella della persona e di volto, potente per nascita e per posizione, stimava, con ragione, la beltà e la ricchezza cose fragili e passeggiere, e solo gloria illustre ed eterna la virtù. E ciò diceva e metteva in pratica ogni giorno, sia nelle cose pubbliche, come nelle [p. 9 modifica] intime e famigliari. Quando ne era il caso, castigava con mano grave e ferma anche Vescovi e Grandi (ed Asti ce ne potrebbe dir qualche cosa), e all’occasione premiava largamente le nobili imprese. Preveniva i nemici, difendeva con le armi la patria e gli oppressi. Piacevasi delle arti gentili e le incoraggiava, e i trovatori e i menestrelli erano sempre bene accolti nella sua dimora, ma voleva che i loro canti incitassero sempre al valore, alla religione, alla pietà.

Vedova e reggente, divenne austera per sè stessa e per gli altri. Vedendo lo strazio che si faceva delle cose sacre e della religione, intraprese per la prima quella riforma salutare che doveva poi condurre gli Stati e la Chiesa a più cristiani ordinamenti. Volle pure che la donna cessasse dall’avvilire sè stessa e la propria famiglia col trarre potenza dalla libidine nazionale e straniera, come pur troppo fin allora apertamente si concedeva; e fu la prima a prestar mano alla fondazione di chiostri e di monasteri, che dovevano poi raccogliere e trasmetterci tanto tesoro di studî, di storia e di memorie.

Così essa divenne l’idolo degli italiani, e tutti volgevano gli occhi su lei come alla stella polare che doveva guidarli, e la chiamavano generalmente, la Marchesana delle Alpi Cozie, la Marchesa degli Italiani. Ma non per questo essa s’insuperbì, nè cessò dal bene operare; ed una volta, a San Pier Damiano, che ripetutamente intesseva il di lei elogio, essa con naturalezza rispose: [p. 10 modifica]

— Qual meraviglia, o padre, che Dio abbia dato a me, sua umilissima serva, una qualunque podestà fra gli uomini, Egli che in uno spregevole filolino di erba ripone spesso miracolose virtù?

Adelaide idolatrava i suoi figli, e ne era con pari affetto ricambiata, ma ahimè, i figli stessi, senza lor colpa, dovevano esserle le più forti cagioni di dolore!

La storia della sua primogenita Berta, sarà soggetto del nostro terzo capitolo, ma qui mi conviene accennare alla parte presa da Adelaide, all’epoca della venuta di Arrigo IV in Italia, per ottenere dal Pontefice l’assoluzione dalla scomunica.

Adelaide, riabbracciando la figlia derelitta, e vedendola tanto deperita e con traccie omai indelebili dei sofferti patimenti, giurò odio eterno al genero infame; ed è facile immaginare quale accoglienza a lui fece questa donna integra, da lui offesa e colpita in quanto aveva di più caro al mondo. Essa non voleva neppure riconoscerlo come membro della sua famiglia, non voleva accoglierlo e molto meno aiutarlo!... Eppure finì col riconoscerlo, accoglierlo, aiutarlo; e il miracolo lo compì la dolcissima Berta. Essa, per intercessione di lei, si decise ad accompagnare Arrigo, in un col figlio Amedeo II, dal Papa a Canossa. E l’umiliato Imperatore, dovè a quest’energica donna, alla sua fermezza, alla nobiltà del suo dire, se riuscì meglio che non riuscisse alla stessa potente contessa Matilde di Toscana, anch’essa presente, a strappare a Gregorio VII patti, se non equi, almeno eseguibili. Nondimeno il castigo [p. 11 modifica] fu grande, l’umiliazione immensa!... tanto che l’eco ne risuona ancor oggi, trasformato in un modo proverbiale.

Il fatto di Canossa è il primo grande atto di politica internazionale, a cui la Casa di Savoia abbia partecipato. Adelaide, mentre obbediva ed onorava il Pontefice, non s’alienò mai l’Imperatore, provando col fatto ch’ella sapeva discernere chiaramente gli attributi di due distinte autorità sovrane, l’una spirituale, l’altra temporale.

Nell’atto di Adelaide mediatrice, vi è questo di singolare, che erano suoi generi tanto l’Imperatore deposto che il surrogato, cioè Rodolfo Duca di Svevia, marito dell’altra sua figlia.

Arrigo diè, a cose fatte, in premio al cognato Amedeo II, la bella provincia del Bugei, al di là del Reno; e insieme alla moglie tornò in Germania, d’onde pochi anni appresso, Adelaide ebbe la dolorosa notizia della morte della figlia.

Prima di lei, essa aveva perduto Pietro e Amedeo II, e oramai più non desiderava che di seguire tanti suoi cari che l’avevano preceduta nell’eternità. Finalmente il 19 dicembre del 1091 passò di vita, legando auree parole ed insegnamenti al giovinetto nipote, figlio di Amedeo, che fu Umberto II detto il Rinforzato.

Adelaide erasi ritirata da tempo in un triste villaggio chiamato Canischio o Canisculo, in Val di Susa, provincia d’Ivrea, giacchè i tempi non volgevano più [p. 12 modifica] tanto prosperi per la sua Casa; e ivi, nella chiesa parrocchiale è il suo meschinissimo monumento, non troppo però disdicevole allo stato di abbandono in cui visse gli ultimi anni.

Ai suoi nipoti fu fatto ostacolo dagli Svevi, nati dalle figlie di lei, che ne contendevano il dominio, ma poi ne venne finalmente in possesso Umberto II.

Di Adelaide però, in una nicchia nella Cattedrale di S. Giusto, in Susa, vi è una statua di legno di noce, verniciata a bronzo, che la rappresenta genuflessa in atto di preghiera; e al sommo della nicchia si legge:

Questa è Adelaide, cui l’istessa Roma
Cole, e primo d’Ausonia onor la noma.