Le ultime vicende della biblioteca e dell'archivio di S. Colombano di Bobbio/Testo/III

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Capitolo III

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Testo - II Note
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III.


DIRECTION D’ALEXANDRIE
Bureau de Bobbio (1)
28 floreal au. 11 (18 3 fai 180}.


Ce jourd’hui vingt-huit floréal an onze (iS Mai 1803) de la Republique neuf heures du matin à la Bibliothèque du ci devant Monastère de St. Colombai! de Bobbio, je soussigné F. Longuet Receveur de rEnregistrement, et du Domaine National au mèmc lieu, en présence du Citoyen Paul della Cella de la dite Commune, Commissaiie nommé per lettre de la Sous Préfecture de Bobbio du dix-huit floréal (8 Mai) courant, ai’ procède (l’ayant préalablement fait publier avec authenticité) à la vente des livres et boiseries existant dans la susdite bibliothèque au plus ofìfrant et dernier Encherisseur, à vu du recolement estimatif ci joint.

N. du recolem. estim. Montant de l’èva-laution N. de la vente francs cent.
1 50 1 Le livres de la Bibliothèque au nombre de six cent-seize en mauvais état, et dépareillés, adjugés au Citoyen Buthler de Bobbio, moyenant cianquante-trois francs. 53 » [p. 20 modifica]
3 8 2 Doux jjctits rayon.s lenaiit l’un; l’autrc, aii Cit. Charles Civaschi, moycnnant onz francs 11 »
4 5 3 Un rayoii tic moycnnc grandeur au Cit. Andrò Bandorini de Bobbio, moyennant cm francs trens cent. 5 »
5 4 4 Un rayon de mC’me «randeur au Citoyen Prati Controleur des contributions, moyennant cinq francs vingt cent 5 20
5 4 4 Un autrc rayon plus grand ayant un piéd brisó, au Cit. Buthler, moyennant si. francs 6 »
73 80 50

En recctte les 80*^ 50"^ ci contre.

Le 30 floréal an. 11 (20 Mai 1803) n.’^ 202.

Et n ’ayant plus rien à vendre que l’archive rempli de papiers non encore entièrement depouillés, et à la vente i/71 quel le Sous Prefet m’à recommandè de surseoir sur l’avis du Bibliothècaire National d’Alexandrie, j’ai clou à onze heurcs du matin le pré- sent Procès verbal de vente montant à quatre vingt francs cinquante centimes, et j’ai signé avec le conimissairé.

LoNGUET — Paul della Cella, Comviissaìrc dcìei^ué.

Enregistré à Bobbio le premier Praiiial an onze (21 Mai 1803), folio 79 verso, 4; Ret^u deux francs, 2"- Longuet.

Come si vede, abbiamo qui l’inventario in qualche modo descrittivo e dell’archivio e della biblioteca, più l’inventario estimativo ed il verbale di vendita della biblioteca stessa, vendita totale, fin degli scaffali, non [p. 21 modifica]che dei libri, che in essi riposavano. Se i documenti riferiti offendono con la stessa ingenua e, stavo per dire, incosciente rivelazione della burocratica brutalità onde furono trattate le venerande reliquie di cose tanto venerande, in compenso aggiungono qualche punto alle nostre cognizioni.

Nel 1824 Amedeo Peyron, ne’ suoi cenni sulle vicende de:lla biblioteca bobbiese (2), senza precisare nè date nè persone nè cose, diceva che, sopragiunta come fiumana impetuosa l’invasione de’ repubblicani francesi e decretata da questi la soppressione delle congregazioni religiose con la devoluzione al fisco delle loro possessioni e supellettili, i poco più che cento codici allora superstiti, messi a ruba fra’ monaci, cittadini e agenti della Repubblica. andarono così dispersi e rovinati, che non uno passò in publica biblioteca, venduti gli uni in Francia, rimasti gli altri in mani private: e aggiunge che di questi ultimi ben sessantanove egli ebbe nelle mani, fra’ quali potè anche scegliere alcuni (quosdam) da riporre nella biblioteca torinese. Notava poi che tra il 1822 ed il 1824 altri codici bobbiesi, più che trenta di numero, erano pervenuti alla biblioteca stessa (3).

Adesso, grazie ai nostri documenti, noi sappiamo che già a’ 7 di settembre dell’anno, pare (4), 1801 i commissari i della sotto-prefettura del dipartimento di Marengo, Paolo Malchiodi sindaco del comune di Bobbio e Maria Giuseppe Olmi giudice di pace del medesimo luogo, avevano preso possesso della biblioteca di S. Colombano assicurandosene con l’apposizione de’ suggelli. Autorizzati e delegati con lettere de’ 9 [p. 22 modifica]bre 1802 essi (suipplito il sindaco dal suo primo aggiunto) a’ 13 di novembre del 1802 rompevano i suggelli, entravano nel locale della biblioteca, con la biblioteca vi trovavano l’archivio in separato scaffale di 75 cassettoni ripieni di documenti in carta e in pergamena, e ne redigevano un sommario, grossolano {s’è visto) inventario descrittivo, che estendevano poi ai libri stampati e manoscritti della biblioteca, come avevano,già fatto agli effetti della chiesa, della cripta e della sacristia, e risugellavano. Dietro nuova delegazione de’ 14 gennaio 1803 i medesimi signori, insieme al Ricevitore delle imposte e d’intelligenza con lui (magro augurio di procedimenti più scientifici), a’ 6 di maggio dell’istesso anno tornano alla biblioteca del convento, e procedono all’inventario estimativo di tutta e sola la supellettile in essa contenuta, i rimanenti effetti del convento essendo riservati all’uso, non si dice alla proprietà, della parrocchia. Ma qui entrano in scena due altri personaggi: il cittadino Calvi Istitutore (si voleva certamente dire maestro del comune) e il cittadino Giovan Battista Majolo falegname, perchè guidassero gli altri (pour nous guider) nella redazione dell’inventario; e si capisce che l’istitutore doveva servire di guida pel materiale librario e diplomatico, l’altro, il falegname, pel materiale,.. lignario. Dopo tre ore spese nell’esaminare (scrupoloso esame, si dice) i libri, tenuto conto della località, delle circostanze, dello stato delle cose, tutto quanto il materiale lignario riesce valutato la somma complessiva di franchi quarantotto, e il materiale librario, seicento e sedici volumi, franchi cinquanta, il prezzo del peso di carta, come onestamente è confessato; dopo di che i due valen[p. 23 modifica]t’uomini Olmi e Malchiodi chiudono il verbale, e serenamente, anzi con manifesta compiacenza, si sottoscrivono, trasmettendo di propria mano ai posteri il loro nome e l’onorata impresa.

Siamo all’ultima umiliazione riserbata alla secolare biblioteca. Il mattino del i8 giugno dell’anno 1803 tutto quanto le apparteneva e la costituiva vien messo all’asta publica, ed esibito al miglior offerente in aumento dei prezzi dell’inventario estimativo. Non è, diciamolo, un italiano che presiede alla vendita, ma un signor Longuet Ricevitore di registro; un cittadino di Bobbio, Paolo della Cella, lo assiste: a Bobbio era stata portata la Sottoprefettura e il Della Cella ne era il Commissario delegato con lettera dell’otto maggio 1803. I seicento e sedici volumi, che si ha la prudente sollecitudine di ricordare in cattivo statò e tutti scompagnati, sono aggiudicati per la somma di cinquantatre franchi ad un «cittadino Buthler di Bobbio». Al medesimo compratore resta per sei franchi uno degli scaffali con un pie rotto; gli altri per la somma complessiva di franchi ventuno e cinquanta centesimi sono ceduti a tre compratori, due di Bobbio, Carlo Civaschi e Andrea Bandorini, il terzo un Prati controllore delle imposte, non si dice donde. A’ 21 di maggio dell’anno 1803 l’atto di vendita veniva debitamente registrato con pagarsi la tassa di due franchi e per la povera biblioteca tutto era consumato. La biblioteca; giacché alla publica auzione sfuggiva l’archivio, e perchè non ancora interamente spogliato, e perchè il Sottoprefetto, dietro conforme parere del bibliotecario nazionale di Alessandria, aveva raccomandato di soprassedere. Strana combina[p. 24 modifica]combinazione! L’unico uomo che porta in tutta questa brutta faccenda la nota del buon senso, il bravo bibliotecario, quello solo rimane anonimo. Ma torse già viene dopo di me chi di me è ben maggiore, che saprà scovare il nome del savio consigliere, e ben altro ancora di quanto riguarda anche i più minuti particolari dell’abbazia di S. Colombano e della sua biblioteca, come già venne così ben fatto per l'abbazia della Novalesa.

Mi restano alcune alcune osservazioni da aggiungere a quello che i documenti bobbiesi ci hanno detto.

Per quanto le mie ricerche riguardassero la biblioteca, non l’archivio di S. Colombano, i documenti stessi esigevano che anche a questo si estendessero. Che i diplomi e le carte di esso sono passate ed esistono nell’Archivio di Stato di Torino è ben noto, e qualche cosa ne avevo veduto in una breve visita, parecchi anni or sono. Ma ora stuzzicavami forte curiosità di sapere per qual via e quando ed in che stato, dopo quali vicende insomma, fosse avvenuto il passaggio, in seguito alla sospensiva provocata dal bibliotecario di Alessandria. Di più i documenti attestando la coesistenza dell’archivio e della biblioteca nel medesimo locale, e quali persone ed in qual modo vi misero mano, mi facevano nascere il dubbio che tranquille inavvertite infiltrazioni o violenti trasporti avessero avuto luogo dall’uno all’altra e viceversa (). Una ricerca ad Alessandria ed una rassegna a fondo dei materiali bobbiesi giacenti nell’Archivio di Stato 5torinese erano indicate e suggerite.

Quello che non potei far subito, feci poi. A’ primi dello scorso febbraio fui in Alessandria: interrogai [p. 25 modifica]portuno, importuno, feci ricerche nella biblioteca comunale, nell’archivio civico, nell’archivio capitolare, in quello della R. Intendenza di Finanze. Non mi troverà strano chi ricordi che il Peyron nella sua Notizia dell’Archivio del R’mo Capitolo d’Ivrea (Torino 1843, p. 27) dice d’aver trovato alcuni quaderni del Cipriano già bobbiese, or torinese G. v. 37, appunto negli archivi delle R. Finanze. Nessuna delle degne persone che presiedono a quei depositi avrebbe potuto essere più paziente, cortese e soccorrevole; ma anche qui ogni ricerca fu vana. Passai a Torino, salii (sanno gli esperti che è una vera ascensione) all’Archivio di Stato, esposi il mio caso all’Ill.mo sig. barone Bollati di St. Pierre ed a quel suo prezioso collaboratore che è l'Ill.mo signor cav. d’Agliano. Mi è altrettanto doveroso che caro di ringraziarli anche pubblicamente per la inesauribile bontà e pazienza onde si compiacquero di secondare i miei desiderii. Devo a loro di aver potuto in un tempo relativamente breve far passare nelle mie mani e sotto i miei occhi ricercando per entro ad una ad una, per quanto rapidamente, tutte le 124 cartelle, più i mazzi provenienti da Bobbio o riferentisi all’abbazia, al paese, al vescovado (6). Se non trovai quello che più avidamente cercavo, il frammento del codice ambrosiano (7) o qualche cosa che a questo si riferisse, una delle ultime cartelle mi rivelava le ultime vicende dell’archivio di S. Colombano. Trovavo lì un volume (8) in piccolo foglio legato in pergamena, segnato col N. 8: intitolato: Inventario delle Carte Titoli e Documenti delle soppresse Corporazioni Ecclesiastiche che erano depositati negli Archivii [p. 26 modifica]della soppressa Sottoprefettuì-a di Bobbio. iSi . L originale ed autentico, come appare da una nota con la lìrnia autografa del ministro Napione ordinante che, «prelevate tutte le scritture che hanno l’annotazione marginale Archivii Regii, le quali dovranno in questi trasferirsi, le rimanenti verranno consegnate all’Archivio delle Regie Aziende (vale a dire, come aveva la bontà di spiegarmi il sig. cav. d’Agliano, dei Ministeri, che furono in gran parte Miuniti alle varie sezioni dell’Archivio di Stato)». Precede questa nota ed apre il volume una dichiarazione datata da «Bobbio 23 aprile I 8 1 5» autografa del «Delegato F. Cecca» che dice come qualmente, «incaricato dall’IH."’" sig. D. Gio. Batta Soave R. Intendente della Città e Provincia di Voghera, ha raccolto e classificato e inventariato le carte esistenti negli Archivii di questa Sottoprefettura di Bobbio e cioè dei Monasteri di S. Colombano, di S. Chiara, di S. Francesco e li ha trasmessi alla Reggia {sic) Intendenza». Ed il bravo Delegato non tralascia di notare che il suo lavoro fu reso molto difficile dal fatto che gli archivii in discorso ’< furono messi a soqquadro da un drappello di Crovati (j/r) loggiati {sic) li 14, 15, 16 e 17 aprile 18 14 nel locale di S. Colombano». Quando e come da Voghera siano passati a Torino, se direttamente, o sostando ad Alessandria, dove veniva più tardi trasportata la R. Intendenza, è quanto non ho potuto chiarire, e forse sarebbe una ricerca non del tutto inutile.

Certo il trasporto a Torino era già avvenuto nel 1821 (9). Ne mi sarebbe spiaciuto di istituire un confronto tra l’inventario, diciamo così, repubblicano e [p. 27 modifica]quello del Cecca, tra questo e il materiale ora esistente nell’Archivio di Stato torinese; ma non entrava nell’intento mio, ne sarebbe rimasto nella misura del tempo concessomi. Certo parmi di poter dire che la massa cartacea risponde alle grossolane indicazioni del primo di quegli inventarii. Saltano all’occhio i numerosi pacchi e pacchetti, i volumi di conti (10); i documenti delle spesso rinate controversie tra abbati e vescovi (11). Non dico altrettanto delle pergamene. Segnatamente non si trovano nelle cartelle le antiche pergamene, ma sol copie cartacee relativamente recenti, degli antichissimi diplomi longobardi. Si credettero anzi per un momento perduti, ma il eh.’"" prof. C. Carlo Cipolla mi annunciava festante poco dopo il mio ritorno, che sono ritrovati: in buon punto, mentre la questione della loro autenticità richiama l’attenzione degli studiosi (12). Noterò che l’inventario del Cecca è redatto in ordine cronologico per secoli ed anni, il che può facilitare certe ricerche. Così, per esempio, poco oltre l’inizio del secolo XV, con la nota marginale accennata dal Napione, si legge: «Inventalo dei libri e Diploìna del Monastero fatto nel ioo». Si può essere tentati di identificare questo inventario con quello di cui si è occupato A. Peyron (13); ma questo porta nel titolo stesso chiaramente prefisso la data del 1461: d’altra parte di una revisione di tutti i libri della biblioteca bobbiese fatta nel 1565 da un padre Callisto da Bobbio è conservata memoria in un codice già bobbiese ed or conservato nella biblioteca universitaria torinese (14); ed è probabile si riferisca allo stesso argomento quanto l’inventario dell’archivio dice contenersi nel cassettone 13°. [p. 28 modifica]Ancora il Cecca, sulla line del secolo XVIII (con la nota marginale come sopra) registra: < Fragmeiiti istorici del Mo)iasll’ì-o di S. Coloììdniiio, Wscovi e feudatari y che fosse il Chronicon Bobicnse tanto cercato dal Carisio (15).

Ma eccoci ricondotti dall’Archivio alla biblioteca. La quale nei nostri documenti si mostra in verità ridotta a ben poca cosa. Già il Rossetti (16) rilevava che piccolo è il vaso della Biblioteca in cui vi sono circa 800 volumi» affrettandosi a far riflettere, che non vi era monaco che non avesse la sua piccola libreria in camera (17). Quel numero di 800 è abbastanza notevolmente superiore a quello di 616 dato dai nostri documenti. Ma è evidente che non tutti i volumi indicati dall’inventario descrittivo vennero conteggiati nella somma finale.

Non figurano espressamente in quella somma né i iS trcs ancicns livrcs iìiiprinics et mamiscrits e i 6 livies anciens de maticres diverses e i 4 miscellanea del primo scaffale; né i ig de St. Ecriture del secondo; né i J<9 petits livres, i 22 de maticres diverses, i 50 livres de St. Pcres, i jp des Expositenrs del terzo; né i j anciens ecclesiastiqnes e i 24 gros livres de St. Pères del quarto. Ma si deve pensare che tutti questi libri sono stati distribuiti e compenetrati nelle 88 ccuvres diverses, nei ig livres d’Ecriture St. et morale, ecc. e nei 4 d’histoire ecc. della somma totale, le somme ribattendosi perfettamente. Assai più notevole é l’omissione dei no livres de droit civil avec le cartoli de hois de diffcrens anteurs et estimés. Erano stampati o manoscritti? Certo il carton de bois non basta per farli [p. 29 modifica]credere manoscritti chi ricordi le frequenti originarie legature, dirò meglio coperture, lignee di tanti fra i volumi stampati nel quattrocento. Dirò anzi che mi fa pensarli non manoscritti ma stampati, e con tipi molto chiari, il vedere che anche gli autori del nostro inventario riescono a leggerne i nomi, e ne hanno qualche conoscenza, come di nomi csthucs. Comuncuc sia, certo è che co’ 616 della somma finale darebbero appunto gli 800 circa del Rossetti; ma dove saranno andati a finire? Più facilmente si spiega l’omissione dei 181 livres regie, payemens, ecc. Forse i descrittori s’accorsero che era tutta roba dell’archivio e in quello la riposero.

Il nostro inventario descrittivo lascia dubbio sul numero, non sull’esistenza di manoscritti venduti all’asta del 18 maggio 1803. Ventun frammenti sono espressamente indicati, e dovevano essere unità abbastanza cospicue per imporsi a descrittori come i nostri (18). Il dubbio poi non riguarda solo quelli indicati confusamente come parte delle SS cruvres diverses, ma anche quelli che poterono e, a mio avviso, dovettero trovarsi, sebbene non indicati, negli altri gruppi. Non si possono, parmi, trascurare certe analogie tra le indicazioni del nostro inventario e quelle del Peyron là dove parla dei manoscritti bobbiesi da sé veduti. 11 nostro registra jy anciens ecclesiastiques e 26 de scniions; il Peyron dice che i suoi manoscritti constavano in massima parte (frase certo ’ esagerata) inissalihis, leciionariis, anliphonariis, breviariis, Jiomeliariis. L’inventario: 29 libri d’anacorè tes, q 46 peti ts livres spiriiiiels; il Peyron: codices Italici res asceticas et gesta Ereniitariini exponeiites.

L’inventario: 18 de maticre de confessions; il Peyron: [p. 30 modifica]opera Antonini, Hieronymi de Valentia, Bartholomei de Pisis. Queste analogie sembreranno anche più considerevoli a chi percorra anche i soli titoli dei manoscritti bobbiesi di Torino (Ottino, op. cit.).

È deplorevole che non soccorrano più chiare e decisive ragioni di conchiudere, perchè si tratta evidentemente di cosa abbastanza importante. Se i manoscritti venduti all’asta repubblicana erano quelli stessi veduti poi dal Peyron, possiamo dire di possederli quasi tutti nella Universitaria di Torino, poiché, come abbiamo veduto (19), gli alcuni da lui scelti ed acquiuistati, con la abbondante trentina dei venuti appresso, equivarrebbero alla quasi totalità dei 119 manoscritti superstiti a Bobbio ancora nel primo anno di questo secolo.

Non parrà certo improbabile che gli stessi soppressi monaci di S. Colombano, vista la viltà del prezzo, procurassero per interposta persona di riavere i loro libri, cedendoli poi al Peyron con qualche vantaggio, per loro anche più sensibile dopo le rovine economiche loro inflitte dalla soppressione. Mi viene anche il dubbio che quel Buthler deliberatario dei libri, che è detto cittadino di Bobbio, non fosse che uno dei monaci secolarizzati di S. Colombano; forse un inglese (20) venuto a monacarsi a Bobbio, come d’Irlanda vi era venuto S. Colombano, e che con quella tranquilla intrapprendenza che l’inglese non ismentisce quasi mai, presentavasi all’asta colla semplice ed allora quasi sacramentale qualifica di cittadino. Che il Peyron dovesse usare ogni riserbo parlando dei detentori e rivenditori de’ codici, si capisce troppo facilmente.

La parte poi de’ codici stessi, ch’egli dice venduta [p. 31 modifica] in Francia, sarebbe tutta da scoprire (21). Inglese o no il deliberatario dell’asta di Bobbio, certo è che almeno uno dei codici di S. Colombano è andato a finire in Inghilterra, e precisamente a Cambridge (22). Forse l’ispezione diretta del codice può fornire qualche indizio sulla via dal medesimo percorsa.

Giunto al termine della mia breve nota, dirò che, se, a parer mio, nulla più v’è da sperare a Bobbio, non è punto escluso, è anzi, oso dire, probabile che qualche altro codice bobbiese abbia a venire alla luce, che ancora sta in mani private, o giace ignorato od irreconosciuto in qualche publica biblioteca (23). Il mio lieve lavoro avrà la sua giustificazione e la sua ricompensa, se servirà a mettere sull’avviso gli studiosi, e fornirà loro qualche indicazione utile alle future ricerche.

  1. [p. 44 modifica]14 In mezzo al foglio, in alto: A’. 5 e in margine i’istessa nota che nel documento I. Il testo è tutto di mano cancelleresca, la firma autografa.
  2. [p. 44 modifica]15 Pevron, op. cit., p. XXX seg., e rnAV Errata, p. 69.
  3. [p. 44 modifica]16 Ottino, (op. cit., p. vi seg.) dice di dubitar molto della verità di questa nota, e che forse.si trattò di stampati, non di manoscritti, se non forse sperati, ma non ottenuti; che i codici bobbiesi deila l’niversitaria Torinese sono in numero di 71 e più precisamente, 3 cartelle di palimpsesti, 3 buste di miscellanee e 65 codici propriamente detti. Mi pare impossibile che il Pevron si ingannasse tanto. Se egli [p. 45 modifica]ci (là una somma di almeno cento codici bobbiesi {uoveni supra scxagiì ita e supra trifinla) invece dei 71 dell’Ottino, credo ciò dipenda solo dal modo diverso onde i due computano i frammenti e le miscellanee. Che del resto penso ancor io, come sembra credere I’Ottino, che.li alcuni [quosdam] codici scelti dal Peyron furono a un dipresso tutti i 69, che dice d’aver veduto.
  4. [p. 45 modifica]17 Dico pare, perchè manca la prima parte del verbale, quella che conteneva l’inventario della chiesa e della sacristia, e nella quale alla data del giorno 21 fructidor s’aggiimgeva certo quella dell’anno. Preferisco poi iSoi al 1S02, perchè mi pare impossibile che a due soli giorni di distanza dall’apposizione dei suggelli (operazione di cui dovette certo redigersi e trasmettersi il verbale) fossero già date le lettere di sottoprefettura per la delegazione a levarli, tanto più che (come appare dal confronto tra i tenori de’ docum. Ile III) a’ 9 di settembre del 1802 Bobbio non era ancora sottoprefettura. D’altra parte già dal 14 giugno del 1800 la vittoria di Marengo aveva ridato in mano a’ Francesi tanta parte dell’Alta Italia, e Bobbio per la sua stessa vicinanza e per la importanza strategica (cfr. Jung, 1. e, p. 523, nota i), dovette subito risentire il contraccolpo della memoranda Ijattaglia; e si sa d’altronde con quanta sollecitudine per l’avidità di tutto prendere si impiantasse dovunque la così detta amministrazione repubblicana. E forse questa funzionava a Bobbio nel settembre del 1800; ma se fin da quest’anno furon apposti i suggelli a.S. Colombano, troppo a lungo li avrebbe lasciati intatti l’avidità dei vincitori. Qualche ricerca d’archivio potrà portare piena luce su questo punto, di importanza, del resto, molto relativa.
  5. [p. 45 modifica]18 II Rossetti (op. cit.. Ili, p. 130) sembra accennare a locale diverso per l’archivio, e dice espressamente che i manoscritti superstiti erano conservati nell’archivio: il nostro inventario esclude l’una e l’altra cosa.
  6. [p. 45 modifica]19 Le cartelle dell’antico archivio bobbiesc portano la segnatura: Abbazie S. Colombano. Bobbio; non sono tutte numerate, od almeno non erano. Qualche cosa riguardante Bobbio si trova pure sotto le segnature Real Casa. Lettere di Vescovi. Bobbio; Materie ecclesiastiche; Vescovado di Bobbio; Paesi di nuovo acquisto. Bobbiese.
  7. [p. 45 modifica]20 Non mancano certo i frammenti nelle cartelle bobbiesi dell’Archivio di Stato torinese, e specialmente nelle ultime della serie; ma sono cose, se non erro, di poca importanza, i più liturgici, alcuno di gius civile, nessuno antichissimo. Ricordo, perchè a qualcuno può giovare, un frammento della vita di S. Martino adibito già come coperta ad un Registruin curie novalicii, un breve frammento del Liher Ponti/ icalis di qualche interesse paleografico, come anche un frammento dei Dialoghi di Gregorio M. del secolo X-XI. Un largo frammento [p. 46 modifica]di commentario all' Eneide del secolo XIII si trova nella cartella se,i;nata A, /j. G../S, in principio ed in (ine di Rcgis/iiiiii ins/ rmnrti/oriim ab anno ió ad /s/S- ’<de ajjjiena la fatica di accennare, sparsi in diverse cartelle, alcuni documenti di rapiiorti politici ed ecclesiastici tra Milano e Bobbio nel secolo X’. Di qualche interesse, almeno locale, sono alcune tra le moltissime carte rì.q:uardanti Bobbio stessa. Così nella cart. 51, in un carte.nsio relativo al priorato di Bardolino nel veronese spettante a S. Colombano, l’itinerario da Verona a Bobbio nel 1477: Questa sera la via.... Da Corna a Mantua, da Manina a Parma, da Parma a Borgo Samclonino, da Borgo Samdonino a Piasenza, da Piasenza a Riverga, da Riverga a Traueni, da Traueni a Mezzani, da Mezzani a Bobio. Nella cart. 56, del 1497: J)h’isioiies Civifatis (Boòù’K’sìs) per vocahula et nomina vel co_s:noniina speeiaìia scciinditin votitiam quani nos in prcscntiarum liabcre polimnus in quodaui libro antiquo signato B. e. 3 >. Nella cart. 59, tiell’anno 1516: Cappelle et altari che erano nella chiesa di.S. Colombano di Bobbio. Capelle da costruirsi nella ricostruzione con una curiosa notizia sulla divozione delle donne bobbiesi all’altare Sanctae ISIariae de canipaniti. Nella cartella 64, del 1574: Visitatio ccelesiae Sancti Columbani, cioè della chiesa e della sacristia. Nella cart. 6. 13 C. 48 il Libro degli Officiali del Monasterio di S. Columbano di Bobio dall’anno 1645 con suseguenti e viene fino al 1754. Vi figurano sempre i deputati all’archivio ed alla libreria: in fine al volume un inventario della supellettile del monastero del 1699, e della Sacristia del 1704 e del 1722. Nel mazzo primo Paesi di nuovo acquisto. Bobhiesc, una piccola rivelazione, che forse spiega come il sindaco di Bobbio e il giudice di pace meritassero la fiducia dei repubblicani francèsi nella liquidazione di S. Colombano. In data di Bobbio 2 gennaio 1770 i Reggenti Giovan Battista Della Chiesa e Manfredo Ballarini si rivolgono al ministro insinuando un progetto di pubbliche scuole mediante la soppressione del monastero dei Banedettini, con numerose memorie di fatto e riflessioni in favore della città; insinuazioni e memorie ripetute a’ 20 di marzo dello stesso.anno da Giuseppe Ballarini subentrato agli scaduti Reggenti..Se non che una mano coeva cancelleresca notava a tergo della prima carta: Non se n’è fatto u.so. Ed è pur ricordato nella stessa cartella, come nel 1.S22 si trattasse per il ripristino dei Benedettini.
  8. [p. 46 modifica]21 Credo che il volume sia ora custodito a jiarle: lo accompagnava una copia coeva in volume di formato alriuanto minore.
  9. [p. 46 modifica]22 La prefazione del Peyron (op. cit.) porta la data: IV kal, iun. MDCCCXXT, ed egli aveva già messo l’occhio e la mano in immensa farragine tabularii Bobiensis fp. xxix-xxx), e questo nell’archivio di Stato (p. 641.
  10. [p. 47 modifica]23 Non credo però tutti quelli che figurano nell’inventario descrittivo della biblioteca, e dei quali sarà parola più avanti.
  11. [p. 47 modifica]24 F. Ughelli, Italia sacra, iv, col. 925 esegg: G. Cappelletti, Le chiese d’Italia, Venezia ÌS57, xiii, p. 615 e seg.; F. Savio, Gli antichi Vescovi d’Italia dalle origini al 1300, ecc., Torino, 1899, pagine 158-174
  12. [p. 47 modifica]25 L. M. Hartmann, lìcìucrkungen zu den àlteslen Langobardischen Kdnigsurkundcn (in Neues Archiv f. ci. d. G. xxv. 608-617).
  13. [p. 47 modifica]26 Pevron, op. cit., p. XXXIII e seg., 1-228.
  14. [p. 47 modifica]27 È il codice segnato F. IV. 12 poco bene descritto daH’Ottino a pag. 28 e seg. dell’op. cit., appena accennato dal Peyron (op. cit., p. 220), e già prima senza alcuna descrizione pubblicato in parte dal Rossetti (op. cit. Ili, j). 14S e segg.). Nel verso del f. 116 si legge, scritto di mano del sec. XVI: MDLXXV visuni fiiit hoc oppiis (sic) a D. Callisto Robbiensi: e pure nel verso di un semifoglio di risguardo avanti il frontispizio, dell’istessa mano, credo: Ego D. Callixtus a Bobio vidi onmcs libros sub anno 7575 / dove è anche memoria di due monaci di Luxeuil venuti a Bobbio nel 1620 a visitare il corpo di S. Colombano. Tutte queste note, nè queste soltanto, vennero dall’Ottino omesse; omissione per vero molto meno spiegabile in lui che nel Bethmann (Archiv f. à. d. Glc. v, pag. 611, n. 19) e negli Editori del magnifico Aliante paleografico-artistico (v. sopra nota i).
  15. [p. 47 modifica]28 Peyron, op. cit., p. xv.
  16. [p. 47 modifica]29 V. sop. nota 9.
  17. [p. 47 modifica]30 A Milano nelle soppressioni coeve a quella di l’obliio si seguiva la pratica (seguita anche più recentemente) di non conliscare nè le supellettili nè i libri che i singoli monaci si tenevano in camera. La Braidense deve a questa pratica la pregevole raccolta dei manoscritti del P. Ermete Bonomi dei benedettini di.S. Ambrogio nostro (v, Arch. Stor. Lomb. xxii, fase, vi, 1095). Ho ragioni per credere che anche l’Ambrosiana trasse da quella pratica qualche vantaggio. Non sarà inutile il notare che, a concludere dal verbale di vendita, la stessa pratica deve ritenersi seguita anche coi benedettini di Bobbio.
  18. [p. 47 modifica]31 Noto che anche l’intermediario del Card. Federico Borromeo per l’acquisto di codici bobbiesi in favore dell’Ambrosiana, andato a Bobbio in servizio di avanscoperta, in calce ad una lista che alla sfuggita potè fare dei libri veduti (pubblicata da O. Seebass, 1. e. II, p. 57 egg.), notava: Sono altri pezi (non pepi come, forse per error di tipi nel luogo citato, S. 1. e.) de libri in alcune casse, ma poichè questi Padri non me gli hanno mostri, ne io ho preso ardire di vederli contra voglia loro. Così i buoni Padri glieli avessero mostri... e ceduti!
  19. [p. 47 modifica]32 Vedi sop. nota 16.
  20. [p. 48 modifica]33 Corto lllitler era od ò il nome di molte famiglie inglesi, ed anche cattoliche, dalle qnali uscirono anche al jnincipio di (|uesto secolo uomini abbastanza insigni. I nostri documenti hanno lllitZ/ler; ma credo elle i|ueH7/ sia slata messa lì, come si metteva in iirot/zonotaro e in protZ/omartire, quasi a mettere in maggior rilievo l’origine straniera della parola. E infatti il sullodato monsignor Bobbi, vicario generale di Bobbio, mi assicurava che quel nome è lassù allatto estraneo e sconosciuto, anche per quanto risulta da’ registri.
  21. [p. 48 modifica]34 L. Delisle:, Caòiticf des 3fatinscrils li, p. 341, segnala due codici conie provenienti da Bobbio il 13246 ed il 1359S mss. lat.; ma poi chiudendo la descrizione del jirimo (1 e. IH, p. 225), dice che non direttamente da Bobbio, sibbene dall’abbazia di S. Germain des Près esso è jiervenuto alla Nazionale. La stessa -via tenne il cod. 1359S (Cfr. P. E. Peyol, Descriptions bibliographiques des manuscrits.... du livre De imitatione Christi. Paris 1.S9.S, p. 115 e segg). Un illustre codice bobbiese è nella Nazionale di Napoli; ma come vi pervenisse da molto tempo avanti dice il Gehbardt (1. e, p. iS e segg.); il quale dice pure del manoscritto bobbiese di Wolfenbiìttel (1. e, p. 62 e segg.) testè descritto ed illustrato da O. v. Heinemann {Katalos; der Handschriflen der herzogl. Bibliothck zu Wo/Jeubi’iiiel, voi. VI, X’olfenbiìllel, 189S, p. 124 e segg.) il quale ne ritesse (p. 128) le vicende. Due codici bobbiesi sono conservati nella Biblioteca Palatina di Vienna, ma non direttamente da Bobbio sibbene dal monastero napoletano di S. Giovanni di Carbonara li dice venuti I’Endlicher: (Catalogus codicum p/iilofiicorwn laiinorum Eibliotccae Palatinae ]’iiidobonensis. Vindobonae, 1836, p. 215 e 224) al quale rimandano le Tabulae codicum marni scriptorum, ecc. (Vindobonae 1S64, p. 2 e seg.j. Dell’epoca della venuta non si parla nei luoghi citati, ma il Gebhardt d’uno dei due codici viennesi (1. e, p. 54 e segg.) mostra che già fin dai primi anni del secolo XVI avevano abbandonato la biblioteca di S. Colombano. Quanto al codice dell ’Escuriale che si vuole bobbiese (cfi’. Nctics Archiv.f. ci. d. Gk., V, p. 6221, esso fu comprato a Pavia nel 1521.
  22. [p. 48 modifica]35 Lo segnalava il eh. Dott. H. Schenkl come esistente in quella Biblioteca Universitaria sotto il n. 3334 {Dibliotheca Patruin Latinorum Britannica, ir Bd, I Abth, Wien, 1897, p. 79): 3334, s. xv. Ejnstolarium (Liber S. Columbani de P>obio). L’inventario pubblicato dal Peyron (op. cit., p. 52) tra i volumi ad cultum divinum sive ad chorum pertinentia registo tre epistolaria; ma antiqua li dice il titolo comune; anticum ciascimo è detto nelle brevi descrizioni, e di più portavano i numeri d’inventario 23, 24, 25, numeri non sempre, ma di regola riportati nell'inventario dai codici stessi. Mi par quindi più probabile che l’epistolario di Cambridge sia di quei codici, ai quali accenna il Peyron (1. c., p. XXXI, nota (I), tanto recenti, che non poterono [p. 49 modifica]prendersi nell’inventario stesso. Intanto certa cosa è che la Universitaria di Cambridg-e è da aggiungere alla lista già abbastanza lunga dei luoghi fra’ quali andarono dispersi i codici bobbiesi (cfr. Gottlier in Ccnlralblatl fiìr Bibliothckemvcsen, i<St,>7, p. 446 e segg.; ma anche O. von Gebhardt, 1. c. p. 6S e seg., e Skehass, ibid., 1. e. iii, p. 76 e segg.). Una carta geograiìca facilmente venuta dal monastero di Bobbio dice il Pevron d’aver veduto nella biblioteca di Parma (op. cit., p. 173). Giova qui ricordare che alla biblioteca dei benedettini di Parma migrarono pure due volumi del Carisio, due volte, nel 17S3 e nel 1792, abbate di S. Colombano (ibid., p. xv). Un’altra biblioteca accenna il Pevron (ibid., p. 2011, ma non nomina, come detentrice di un codice certamente bobbiese delle Sentenze di Isidoro e portante il numero di inventario 99. Tanto più strano appare che sotto tal numero egli descrivesse (1. e, p. 195 e segg.) il cod. ambrosiano C. 77.Sup. già bobbiese sotto il numero 5S (benchè non risponda al 5S dell’inventario) che il Peykon stesso accenna (1. e, p. 201) e chiaramente si legge al f. 5 del codice ambrosiano. È scambiando il 5 per 9 che il Reiffekscheid: iBihliothcca Pairuiii latiuonnii i/alìca, II Bd., Wien, 1871, p. 71) lo dà per scritto sotto il numero 98; scambio occorsogli anche a proposito del codice ambrosiano D. 519 Inf. già bobIjiese 51, (cfr. Seeiìass 1. e, p. 64, nota (i)), dove nello scambio gli tenne poi dietro il Gottlieb (1. e, p. 458). Si sarebbe tentati di identificare l’Isidoro dell’anonima biblioteca del Peyrou con l’Isidra’o ’oubbiese che il Gottlieis diceva ancora appartenente alla raccolta Morbio (Centralblail, f. Biv., 1887, p. 4461, e senza dubbio è cpiello che comparve con altre preziose cose (p. es. un frai>inc7i/iiin gromaticoruvi) sotto il n. 479 del catalogo redatto per la vendita di quella raccolta fatta da List e Francke a Lipsia, a’ 24 e segg. di giugno del 1889. Ma il Meyer, che i:)er quella parte redige il catalogo, dice: Isidori Origines; il Peyron invece: Isidori senieniiarum libros tres. Uno scambio da parte del Peyron non è impossl’ile, tanto più che parla di cosa veduta altrove e, pare, per sola reminiscenza. Sarebbe ad ogni modo molto utile il sapere precisamente dove è andato a posare il prezioso volume, che il eh. Dolt. L. Frati (/ codici Morbio della R. Biblioteca di Brera, Forlì, 1897, p. 9) dice passato in proprietà privata per 2050 marchi; nè più si dice là donde sembra attinta questa notizia {Ccntralblatt f. Bw., vi, (1889), p. 376). Come si vede, vi sono ancora dei desiderata, e non aveva tutti i torti I’Ottino di domandare, ancora nel 1890, {Giontale di Erudizione, voi. II (1S90), ]:>. 257): Oltre la ’aticana di Roma, l’Ambrosiana di Milano e la Nazionale di Torino, quale altra biblioteca pubblica o privata, italiana od estera,, possiede codici o frammenti di codici già appartenenti al celebre monastero di S. Colombano in Bobbio.
  23. [p. 50 modifica]36 Per esempio, l’elenco dei codici Ambrosiano-bobbiesi redatto dal Sekhass (1. e, p. 64-66) e che ne numera 71, deve portarsi a 73, lioventlosi ajrginnijere due altri manoscritti, che or stanno sotto le seijnature ambrosiane: I, 246, Inf. e Q. 32. A ciascuna di ijucste segnature risponde una miscellanea della di cui varia composizione non voglio né devo qui occuparmi, limitandomi a dire lo stretto necessario degli elementi che provengono certamente da Bobbio, provenienza sfuggita ai cercatori di cose bobbiensi e che non ho jiotulo indicare ad altri, perchè io stesso ignoravo. Ailunque nel foglio 4 del cod. O. 32, sotto la segnatura solita a’ codici bobbiesi e della solita mano: Libcr Sdì coluìiibani de bobio, comincia un trattato che la rubrica annuncia cosi: Incipit tradaius JMagistri G. perffiuiirtisis contra catharos ci pasatios iti quo conivi cofifmidit crrorcs aucioritatibiis et arguincntis. E comincia il trattato stesso: Inani quideni ac pernieiosa scolasticarum qiicstionuni subtililatc posiposita, e continua fino al f. 21 dove finisce mutilo: ipsc crai deus adopliiius ci non deus natnralis. Solo (con segno di abbreviazione in lo), col richiamo al principio della pagina che seguiva: diciimts quod super ius. La scrittura occupa un quinterno ed un quaderno membranacei di 0.23 X0.16 circa, divisa in due colonne, di mano del secolo XIV, o delta line del XIII. La confutazione contro i catari e intera, quella contro i passaci o passagini comincia solo alla quart’ultima colonna. Si può dunque dire con tutta sicurezza che è questo il secondo degli opuscoli ambrosiani de’ quali parla il Muratori nel tomo v delle Anliquit. Hai. (col. 150J, non trovati dal Seebass (1. e, p. 63, notali)]; e precisamente quello designato come bobbiese dal Muratori stesso. L’altro opuscolo del Muratori si trova nel cod. Ambros. S. 27.Sup.; ma non è bobbiese, né il Muratori lo dice tale, come sembra credere il sig. Seebass. L’identità del nostro frammento col numero 155 dell’inventario bobbiese (Pevron, op. cit., p. 25) non credo possa essere revocata in dubbio dalle piccole divergenze tra esso e quello che ne da il Muratori. È evidente che que?;ti non vuol darne che un saggio frettoloso, e si sa del resto con che magnifica negligenza da gran signore procedesse talvolta quel vero Creso dei documenti antichi; e d’altronde nell’Ambrosiana dove egli espressamente dice d’averlo trovato, non v’è altro codice bobbiese o non bobbiese, che risponda alle sue indicazioni. Dirò piuttosto che, a mio avviso, nello stato attuale, cioè di miscellanea, il cod. Q. 32 si trovò anche a Bobbio. Tutto lo dice a chi guarda il codice, tranne i fogli di risguardo, aggiunti, si vede, qui; e l’inventario del 1461 mi sembra lo lasci abbastanza intendere mentre nota: «In hoc volnniinc in/rascripta contincntur videlicet: /§$. G. pergavtensis Iraclalus conlra palliar cnos et pasagios ittcoinplclus. Ed qucdavi alia. Salis parvi voi. Invece nulla dice quando precisamente esso sia venuto all’Ambrosiana, senonchè la presenza [p. 51 modifica]delle antiche segnature danno il diritto di crederlo venuto cogli altri o ben poco dopo, al principio del secolo XVII. Il cod. I 246 Inf. che contiene l’altro bobbiese, è una miscellanea come tale piuttosto recente. Il bobbiese è inserto al quinto posto, ed occupa i fogli 72-102, tre quaderni ed un duernio membranacei di 0.21 X 0.15 preceduti da tre fogli cartacei sovraggiunti qui all’arrivo del codice, arrivo che nel terzo di questi fogli (74 della miscellanea) è espressamente e direi solennemente detto con la formola che distingue i nostri codici bobbiesi, fatte pochissime eccezioni), — cfr. SEEBASS 1. C. II, p. 61 — essere avvenuto nell’anno 1606, l’anno della grande e preziosa accessione bobbiese all’Ambrosiana. La nota è di mano contemporanea, come contemporanea, ma diversa è la mano che nel foglio stesso dando all’opuscolo un titolo, scrisse: libellus de Virtutibus ad mores pertinentibus; e un’altra più recente, forse del Muratori stesso: Sive compendium moralis philosophiae. Il f. 73 ci dea le varie segnature che ebbe già l’opuscolo, isolato, nell’Ambrosiana, l’ultima era I. 64 Inf.; segnatura ripetuta nel verso del f. 72, dove un’altra mano pure del principio del secolo XVII scrisse: Hunc codiccìii de virtutibus ad luores perlinciitibus qui ex bibliothcca Bobii eie. L’inizio dell’opuscolo è JMoralium dogma philosophoruui per limita dispersuin voluitiina, con discreta iniziale a due figurine; il fine: ut sedeat cum principibus et soliutn gloriae sedeat, con che si chiude una duplice invocazione finale, preceduta dalla rubrica: Explicinut ysagoge in mor aleni phylosopìiiain (il vero titolo, pare, dell’opuscolo), e questa dalle parole: cum ante ocnlos verseinur iudicis cuncta cernentis. Lo scriba dopo le solite giaculatorie, diciam cosi, dell’arte sua, aveva scritto anche il nome del padrone ])rimitivo del libro, una parola in rosso ed una parola in nero: ora si legge soltanto: Iste libcr est domini de laudn. né credo possa più leggersi il resto, troppo profondamente raschiato. L’opuscolo, un dialogo in cornice di sogno o visione, mi richiama il gusto e il modo dell’Albertano da Brescia ben noto agli studiosi della nostra letteratura umanistica (cfr. Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia, I. I, p. 294 segg.); ma tra le cose di lui edite non lo trovo, ed anche per questo è molto probabile ch’io torni sull’uno e sull’altro de’ nostri due bobbiesi. Intanto mi obbliga ad una breve giunta la nota: Liber Sancti Columbani de bobio, onde il primo dei due codici è insignito. Giustamente osservano gli ili. Editori deìV Atlante paleografico-artistico (p. 6, tav. vii) non essere facile stabilire l’età di quella nota e delle consimili che nonostante l’arcaicità della forma delle lettere il Reiff-erscheid volle attribuire al secolo XV. Il prudente riserbo di uomini così competenti, dev’essere un grave ammonimento per chi fosse tentato a facili e corrive conclusioni; ma non mi pare di dovermi mettere nel numero pur pensando che la ormai vecchia questione sia matura ad [p. 52 modifica]una soluzione almeno parziale. La scrittura del codice, come ho detto sopra, è del secolo XIV; si potrà tult’al più risalire alla fine del secolo XIll; ma non più in là, come si può vedere e giudicare dall’annesso facsimile. Ora la soprascritta Libcr sancii coluntbani de bobio è, paleograficamente parlando, in tutto simile e coeva alle eguali o quasi uguali diciture [Est Seti e. d. C, oppure: Esl monastern s. e. d. C, od anche: Is/i’ ìiòcr est nioiiasterii s. e. d. C.) che si leggono quasi senza eccezione nei codici bobbiesi anche più antichi. Non poteva, naturalmente, venire in questione la dicitura più lunga, che pur.si trova in quasi tutti i codici bobbiesi,, nella quale si fa menzione dei benedettini di S. Giustina di Padova, trapiantati, come si sa, nel monastero di S. Colombano ormai quasi deserto di monaci nel gennaio 144.S (Rossetti, op. cit. ni, p. 145Ì. La soprascritta in questione è dunque meno antica di quello che a prima vista può sembrare, e l’arcaicità dei suoi caratteri vuole attribuirsi ad abitudine od a studio di imitazione. AU’istessa conclusione mi conduce l’esame dei codici della Vaticana e della Universitaria torinese. Se ho da dire intera la mia sincera opinione, dojjo un attento esame dell’inventario del 1461 (cod. bobb. torin. F. iv, 29) mi pare che la soprascritta medesima sia di ben poco anteriore all’inventario. Io mi figuro che le cose andarono cosi: al momento in cui il monastero e con esso la biblioteca di S. Colombano passava ai benedettini di S. Giustina, qualcuno dei pochi superstiti, a memoria del passato ed anche a documento di consegna scriveva, ne’ codici la nostra dicitura, e quelli di S. Giustina quasi a presa di possesso, vi ponevan la loro. Le due operazioni si seguirono dappresso, e forse, si toccarono e si riunirono nella stessa mano. Fra i codici bobbiesi ambrosiani ve n’è qualcuno particolarmente atto a ingenerare una tale persuasione, come per es. quello segnato M. 67 Sup. dove e la dicitura e il numero (136) che l’accompagna si presentano proprio come scritti contemporaneamente e dalla stessa mano. Ora il numero appartiene certamente all’inventario del 1461. Ne deve far maraviglia ch’io abbia detto qualcuno, e non tutti egualmente i nostri codici bobbiesi. L’operazione dello scrivere in tutti i codici di S. Colombano, nel secolo XV ancora tanto numerosi, la dicitura che ci occupa dovette evidentemente richiedere un certo lasso di tempo ed essere più d’una volta ripresa prima di essere condotta a termine. E questo spiega, se non erro, abbastanza le lievi varietà nelle parole, nei tratti, nell’inchiostro della soprascritta dall’uno all’altro codice. È anzi certo che qualche volta altre mani sono subentrate alla solita. Questo è evidente nel codice Ambrosiano bobbiese A. 135 Inf. (il 112 dell’inventario), come anche nel pur bobbiese M. 32 Sup,, che pel contenuto risponde bensì al numero 125 dell’inventario, ma [p. 53 modifica]e internamente ed esternamente porta scritto il numero 12 sfuggito al Dott. Seebass (1. e. iii, p. 65). Forse il 125 vi era pur scritto, ma fu raschiato così che nessuna certa traccia è pii!i leggibile. E non è questo il solo caso in cui i numeri presentino qualche difficoltà, e per questo parlavo di soluzione parziale della questione. Ho rilevato qui e altrove qualche lieve inesattezza nel lavoro, del resto tanto buono e diligente, del Dott. Seebass. Mi permetto di aggiungere (cfr..Seebass 1. e, p. 62) che il codice Ambrosiano D. 20 Inf. non è dato dai cataloghi della Biblioteca come proveniente dal monastero di Bobbio, sibbene da quello milanese di S. Pietro in Gessate nel sobborgo di Porta Tosa, pur dei benedettini di SM Giustina, e fin dall’anno 1603. Ai medesimi appartennero anche altri codici ambrosiani, per es. X. 6 Sup. ed A. 65 Inf. pervenuti alla nostra biblioteca negli anni rispettivamente 1822 e 1825, e forse direttamente da Padova, dove quei monaci avevano la sede principale. Quanto al codice G. 58 Sup. è vero che i catalogi dell’Ambrosiana non lo segnalavano per bobbiese, ma come tale l’aveva già descrìtto il Peyron (op. cit., p. 179). Per finire, il codice Ambrosiano H. 68 (cfr. Seebass, 1. e, p. 64) è bensì bobbiese, ma nell’Ambrosiana appartiene all’ordine superiore, non all’inferiore.