Le vie del peccato/La colpa degli altri

Da Wikisource.
La colpa degli altri

../Sull'Oceano, sotto la luna ../L'equilibrio IncludiIntestazione 15 aprile 2022 75% Da definire

Sull'Oceano, sotto la luna L'equilibrio

[p. 15 modifica]

LA COLPA DEGLI ALTRI.

Federico de Roberto.

[p. 17 modifica]

La colpa degli altri


Alla signora Teresa Mauri,

Roma.

Teresa mia, dunque a Roma dicono che Giannino Santariva mi ami, e non invano; e tu, semplice ed onesta, tu che da tanti anni hai sofferto assai più di me per tutte queste calunnie che mi fiorivano sotto i piedi dovunque io andassi, a Firenze o a Milano, a Venezia o a Nizza, e me ne avvertivi e mi pregavi di curare tutte le apparenze e di non dare appiglio a nessun sospettuccio maligno, tu adesso mi scongiuri di lasciar Firenze, di non ammettere più Giannino a casa mia, di ritirarmi con la bimba in campagna per un po’ di tempo, di non escir mai senza lei o senza mio [p. 18 modifica]marito, di fare la più chiara e trasparente vita che mi sia possibile perchè anche quest’altra onda impura passi senza macchiarmi, Teresa mia? Tu che sai tutta la vita mia e tutti i sogni miei tanto più belli di essa, sei certa che queste dicerie stupide e petulanti le quali durano da otto anni senza un minuto di tregua, non mi abbiano anche agli occhi dei più intimi amici miei offuscata un poco? Batti e batti, questi innumerevoli anonimi che si occupano sempre e dappertutto di me perchè son più alta e più bella e più ricca e più intelligente di tante altre, hanno finito per aver ragione, prima su le amiche mie migliori le quali hanno tutte avuto qualche dubbio passeggero udendo tanta insistenza di accuse, e poi su me. Sì, su me.

Con te sono franca, come sono stata sempre. Giannino Santariva m’ama e io l’amo. È così, Teresa mia, e ogni tuo ammonimento giungerebbe troppo tardi.

Povero figliolo, egli non si illude e sa che non la sua devozione e i suoi piccoletti strattagemmi m’hanno vinta. Egli sa tutto il mio ragionamento e con giustizia si lamenta della mia tristezza, anzi della mia freddezza. Sa che io l’ho accettato per amante solo perchè mi sono convinta che il peccato è nello scandalo non nell’azione, che l’onestà [p. 19 modifica]— come leggevamo in convento sui libri di racconti morali — è un fiore che vale nulla quando ha perduto il suo profumo.

Sì, sì, sì. Persuaditene. Tu sei capace di piangere adesso leggendomi, e avresti ragione perchè la colpa non è mia ma degli altri, e io sono stata spinta là a via Palazzuolo, a casa di Giannino da cento mani villane e invisibili, non dalla mia volontà e meno dal mio desiderio. Leggi, leggi innanzi. Ti dirò tutto.

Io t’avevo ascoltata, ero venuta a Firenze perchè da tre o quattro mesi tutti a Roma dicevano che io ero l’amante del capitano Marini, e a casa Varano, mentre io ballavo con lui, mio marito se l’era sentito dire alle spalle da due imbecilli che non lo conoscevano e malignavano a loro agio su tutte le signore presenti, giovani e vecchie, oneste e disoneste, ragazze e maritate. Marini stesso che era un gentiluomo, non era venuto più a vedermi e, quando m’incontrava, mi sfuggiva tanto che subito si cominciò a vociferare che non mi cercava più in pubblico perchè aveva agio di vedermi a lungo in privato. Mio marito, sempre buono e fiducioso, mi narrava queste voci e mi mostrava le solite letterucce anonime, una delle quali mostrai anche a te perchè mi parve di riconoscervi la [p. 20 modifica]mano di Elisa Ciampi, la onestissima amica del reggimento Foggia. Quando venni a Firenze, egli dovette andare per quindici o venti giorni ad Aquila, in villa, per le sue faccende d’agricoltura. Io sola con la bimba, a casa di mia suocera, cercai di non essere vista, mi feci venire tanti libri da Londra e da Parigi e mi misi a leggere tutto Shakespeare, e lì vissi come in una serra. E lo sai perchè ti scrissi ogni giorno.

Una mattina sul Ponte alla Carraia incontrai (e credo di averti scritto anche questo) Giannino Santariva e parlammo di Roma, di te, del cielo sereno, del ballo della Croce Rossa dove lo avevo veduto l’ultima volta.

Egli era allora fidanzato alla piccola Giustoli e mi avevano detto che un bel giorno il fidanzamento s’era rotto. Gliene domandai, e mi propose di venire a casa a narrarmi tutto. Ci venne e ci tornò due o tre volte, presente mia suocera, e si parlò quasi sempre della Giustoli della quale egli aveva un ricordo vivissimo (credo lo abbia ancora, ma che me ne importa?)

Una settimana dopo, senza alcun preavviso, col treno di mezzanotte giunge mio marito, e alla mattina viene a vedermi tutto accigliato con una lettera in mano. Prima di mostrarmela, mi annuncia brevemente: [p. 21 modifica]

— Domani si parte per Aquila.

— Perchè? — domando io ingenuamente. — È un gennaio così sereno e tepido qui. Lauretta ci sta così bene, e anche io...

— Anche tu?

Io intravidi nei suoi occhi l’ostilità, ma lo stupore m’impedì di definirne la causa lì per lì. Tu rammenti quanto egli sia stato sempre onesto e galante con me.

— Ho già parlato anche con mammà. Domani si va ad Aquila.

— Con mammà? e perchè? Voglio sapere perchè.

— Tieni, – mi fece con mala grazia e mi gittò sul letto la lettera gualcita che teneva in mano, e se ne andò sbattendo malamente l’uscio.

Quanto mi offese, Teresa mia, quell’atto sgarbato e brutale! Tutta un’abitudine di gentilezza e di fiducia dopo otto anni era finita con quella villania momentanea, così come si spegne una fiamma con un soffio.

Io restai a guardar dal letto tristamente la porta chiusa (rammento che pel colpo violento era caduta la piccola chiave sul tappeto rosso), e mi misi a piangere piano piano: uno di quei pianti quieti che sembra non debbano finire mai. Solo dopo molti minuti rividi sul lenzuolo riverso il foglietto che egli aveva gittato. [p. 22 modifica]

Era un foglietto di carta rosea volgare, sul quale con un piccolo caratterino verde era scritta tutta la denuncia dei miei supposti amori con Giannino Santariva.

Tutto: dal primo incontro fortuito sul ponte alla Carraja, dalla sua prima visita fino a un altro incontro in Piazza della Signoria e alle altre due brevi visite sue; e su quelle tre o quattro realtà era costruito con precisione geometrica un edificio di calunnie abilissimamente: il primo incontro era stato preparato per andare insieme al giardino Boboli, la prima visita per scambiarci sotto gli occhi di mia suocera una lettera con un appuntamento, e così via, con l’indirizzo esatto di Giannino e la descrizione della sua casa e delle sue orgie e della loro durata. E infine, sette od otto aggettivi derisorii per mia suocera che non si accorgeva di nulla, degna madre di tanto figlio.

Egli, dunque intimandomi di partire il giorno dopo per Aquila, ci aveva creduto, e più — invece di venir direttamente ad accusare ed insultare me — era andato da sua madre, le aveva chiesto consiglio, forse l’aveva rimproverata per la sua poca sorveglianza, le aveva chi sa come parlato di me, di me che ero la sposa sua onestissima, santissima, fortissima. Nulla, nulla aveva giovato, Teresa [p. 23 modifica]mia! Io (e tu sai tutto) per un anno intiero avevo minuto per minuto combattuto contro una tentazione che mi infiammava, mi bruciava, m’impazziva, e anche adesso quando la rammento mi fa rabbrividire e chiuder gli occhi come davanti a una luce abbacinante; e avevo vinto interamente, vinto me e vinto anche la volontà di quell’altro, che mi amava e piangeva dicendomelo e s’è da allora chiuso in una solitudine fiera come un morto in una tomba.

Nulla aveva giovato; oltre quella vittoria, tutti gli altri frivoli pericoli io li avevo evitati sorridendo, io non avevo stretto una mano, scritto un rigo, accordato un sorriso, voltato gli occhi all’amore vero falso di nessuno. E quanti me l’avevano mostrato senza nemmeno osare di dirmelo velatamente, di farmelo intendere con uno sguardo! Io avevo disarmato tutti.

Eppure tutti, per i primi forse quelli che avevo con l’attitudine salda fermati sul limite della mia onestà immacolata, tutti mi accusavano di tutte le infamie, di tradir mio marito coi suoi amici più cari, coi mariti delle amiche più sincere, di averlo anche deriso. Mi hanno anche accusata, rammenti? di aver nelle passeggiate solitarie fatta complice testimone la mia creatura adorata. E io ridevo [p. 24 modifica]sempre di tutto ciò, perchè sapevo che egli anche rideva. E quella mattina, Teresa mia, egli aveva dubitato di me! Vedi anche adesso, ci piango, ma non mi pento di quel che ho fatto, no, no, no. Glielo ripeterei, e, chi sa? forse glielo ripeterò in faccia!

Ma voglio dirti tutto e i foglietti scritti si accumulano alla mia destra così celermente che il carattere dell’uno non è ancora asciutto quando l’altro gli cade sopra.

Io naturalmente raccolsi tutta la fierezza mia e mi rifiutai di partire, nè mi perdetti a provargli la falsità delle accuse, a cercare gli alibi, a promettergli di non veder più mai Giannino Santariva nè a casa nè fuori. E il mio orgoglio semplice e diritto lo acquietò, anzi lo convinse tanto che la sera egli venne a chiedermi perdono dei sospetti e dell’atto villano, venne a domandarmi un bacio e io lo baciai pur sentendomi nell’anima ancora lontana da lui; ma speravo di dimenticare, di tornare, a volergli bene quietamente, dolcemente, continuamente come prima.

E invece? Pensa che subito dopo quel bacio, egli, accarezzandomi col suo solito atto benigno la fronte, mi ripetè:

— Ma tu sarai buona e partirai, non è vero? [p. 25 modifica]

Io scattai come se egli mi avesse ferita a tradimento dopo avermi con cattive arti ingannata e intenerita, e rifiutai risolutamente e imperiosamente guardandolo in faccia, e andai a chiudermi in camera senza lagrime. Nè per tutta la notte dormii. Alla mattina egli era ripartito, senza avermi salutata e avendo lasciato a sua madre chi sa quali ordini precisi di sorveglianza e di cautela.

Infatti quando, verso le undici, escii, ella dimandò evitando di guardarmi:

— Dove vai, Giovanna? Torna presto, sai. Son già le undici.

Escii senza sapere dove andassi, sentendo un bisogno di vendicarmi, d’ingannarli, di mostrarmi veramente libera dalla loro vigilanza come ero libera dalla macchia dei sospetti loro.

Perchè incontrai Giannino in Piazza della Signoria, proprio come narrava la lettera anonima profeticamente? A me quell’incontro parve naturale, fatale. Avveniva perchè doveva avvenire, e io ero in mano agli eventi. Gli proposi di andare al giardino Boboli e fui d’una grazia e d’una civetteria incantevole.

Egli si lasciò conquistare, senza goffaggini, senza slanci sentimentali, parlando di affetti sereni e [p. 26 modifica]durevoli di devozioni sincere e segrete, mai nominando me o lui, come per non spaventarmi. Io lo compresi e glie ne fui grata. Lo lasciai sul Ponte Vecchio. Passando per via Tornabuoni entrai dal fioraio a ordinare rose e tuberose, e a casa quando mia suocera mi domandò dove ero stata, per la prima volta mentii e mentii con abilità lietamente:

— Sono stata a Santa Maria Novella, poi dalla sarta, poi dall’antiquario a Borgo Ognissanti, poi dal libraio, poi dal fioraio. Anzi, non sono arrivate ancora le rose e le tuberose? Vedrai. Ne ho prese tante da empirne la casa. Rividi Giannino ogni due o tre giorni, e facemmo insieme belle passeggiate nè mi curai di nascondermi. Da lui seppi che, essendo venuto a casa in un’ora in cui io c’ero di sicuro, i servi gli avevan risposto che ero uscita: ordine di mia suocera, certamente.

Dopo quindici giorni (mio marito non mi aveva mai più scritto) mi parve che Giannino, fosse anche troppo timido, e cominciai a fargli notare l’imprudenza di andar sempre attorno insieme, parlai con tanta accortezza che egli mi invitò, tremando, ad andare da lui in quel pomeriggio. Finsi di rifiutare per due volte, mancai all’appuntamento, [p. 27 modifica]poi ci andai. Da quindici giorni sono la sua amante. Tu sai tutto.

E adesso? Adesso cerco di amarlo, tanto che l’amore per lui cacci dalla mia mente ogni dubbio su me stessa e su quel che ho fatto. Ma in realtà non ho nè dubbii nè pentimenti, ho solo un desiderio pazzo, propriamente pazzo che mio marito sappia tutto, veda ch’io mi son vendicata. E che gioia cattiva provo, Teresa mia, a prepararmi con mille strattagemmi la libertà di due o tre ore per passarle là da Giannino! Ogni volta che mia suocera risponde alle mie spiegazioni petulanti: «Va bene, va bene», io avrei voglia di mettermi a ridere, a ridere forte, sguaiatamente.

Io, così, ho peccato per volontà mia, risolutamente sapendo quel che volevo, spinta non da un desiderio di amore, ma da un desiderio di equilibrio tra la mia fama così cattiva e la mia vita così onesta. Certo devo essere per quel povero ragazzo un’amica poco esperta e poco piacevole, che spesso taccio e spesso mi dimentico di rispondere con un bacio solo ai tanti baci suoi.

Ma questo è il meno. Chi sa? Forse adesso il mondo dirà ch’io sono onesta e che troppo infami sono state le calunnie che per tanti anni mi hanno scagliate addosso come pietre sozze. Chi [p. 28 modifica]sa? Il fatto si è che il giorno dopo il mio primo convegno con Giannino a via Palazzuolo, ho avuto una lunga lamentosa lettera di mio marito dove egli mi chiese perdono dei sospetti e delle ingiurie, mi dice che sono una perla, un giglio, un ermellino, una santa; e tre giorni dopo tornando dal secondo convegno, ho trovato a casa un anello con brillanti e uno smeraldo che egli mi aveva mandato come pegno di pace.

Addio, Teresa mia. T’ho voluto dir tutto; ma; se tu vorrai darmi torto, intieramente torto, non mi rispondere per ora, è vero? Conserva i tuoi ammonimenti per quando ci rivedremo a Roma. Allora forse sarò tornata forte, se non immacolata, e guarderò con melanconia questo momento di debolezza, di sfinimento, dopo tanti mesi di lotta impari, dove tutti stavano contro me sola. Vado con questa lettera ben sigillata a trovare Giannino, e, uscendo di là, te l’imposterò. Egli non immaginerà mai quanto glie ne sarebbe dolorosa la lettura.

Giovanna tua.

Riapro la lettera piangendo. Sono stata da Giannino, egli ha incontrato stamane il capitano Marini che io credevo a Roma; e siccome sono arrivata [p. 29 modifica]da lui con un quarto d’ora di ritardo perchè avevo scritto tante pagine a te, mi ha accusata di essere stata trattenuta da Marini.

— So tutto, so tutto. Non sono un imbecille. Egli è venuto fin qui per te.

Io ho provato a negare, egli ha risposto:

— Ma se lo dicono tutti, a Roma e a Firenze. Perchè lo neghi?

Anche egli, Teresa, ha creduto alle calunnie! E chi sa quanti amanti pensa che io abbia avuto prima di lui! Non gli ho risposto più. Sono escita via e non andrò più da lui. Dio, Dio, perchè? Scrivimi, Teresa mia, scrivimi tanto, subito. A me par di morire, e sono fredda come una morta. Scrivi.