Lettere d'una viaggiatrice/«Alla montagna debbo ritornare»/Nella bella valle

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Nella bella valle

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«Alla montagna debbo ritornare» - La terza strofe «Alla montagna debbo ritornare» - Come si vive
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NELLA BELLA VALLE

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Saint Jean de Gressoney, luglio..


Nulla vi dicono le tre ore di ferrovia da Torino a Pont Saint-Martin. O, più tosto, vi ripetono, monotonamente, l’avvilimento umano nella sua forma più tormentosa che è il viaggio in ferrovia, l’uomo preso, sospinto con modi bruschi, e chiuso in un gabbia incomoda dove è solo, e quindi abbandonato a una solitudine rabbiosa, o in compagnia fastidiosa d’incognite figure infastidite. Cioè, esser condannato al caldo, alla immobilità, a un fragore che lo assorda, a una polvere che gli dissecca la gola, gli fa bruciare gli occhi e gli annerisce il volto, condannato a non veder nulla del paesaggio quindi a disinteressarsene completamente, con[p. 364 modifica]dannato a essere trascinato brutalmente come un baule, come un collo, e buttato via alla stazione di arrivo, con le sue valige, mentre il fischio di partenza che risuona, pare più allegro, come se la macchina fosse allegra di aver gittato via una parte del suo carico.

Solo, dalla piccola stazione di Pont Saint-Martin, nelle ombre della sera, in un gran silenzio dove stride la vocetta del grillo, vi è come un abbracciamento freddo e taciturno: è la montagna che vi prende nelle sue braccia gelide, che rende subito più libero il vostro respiro, che dà un impulso novello alle vostre forze, demolite dalle torture ferroviarie. Che pensate voi, salendo dalla stazioncina all’alberghetto del Cavallo bianco, dove passerete la notte?.... Nulla, voi pensate: voi ascoltate, intorno, le parole che vi dicono, misteriosamente e però limpidamente, i primi colli della valle del Lys, le cui cime si profilano così nere, nella notte più nera, sul cielo stellato; voi ascoltate la voce del fiume che discende dai ghiacciai e che tutto bianco, nella notte, batte, sonante, contro i macigni che vi hanno portato le frane: [p. 365 modifica]voi respirate, nell’aria fredda che vi avvolge, non so quale profumo silvestre e la vostra fantasia già sogna l’argenteo edelweiss, già sogna l’iceflower, il fiore delle nevi, gelido sì, ma fedele. E nel glaciale bacio che la montagna vi dà, nelle negre fantasime delle prime colline, nel vivido spumare delle candide acque del Lys, negli odori agresti, vi è una sola parola, più alta, più viva, più profonda: la libertà. Vi rammentate di quel miserabile uomo di Edgardo Poe?.... Tetro, silenzioso, egli non rispondeva nulla alle offerte più lusinghiere, fino a che, uscendo dalla sua tetraggine, dava in un grido terribile: fuori di qui! fuori di qui! Lontano, lontano, fuori del mondo!....

La liberazione, cioè non vedere, non sapere, non ricordare più nulla di quello che è stato, di quello che è: viaggiare, sconosciuto, fra sconosciuti, o in perfetta solitudine, a una meta ignota; viaggiare fra le più belle cose del mondo, gli alberi e le acque fluenti; viaggiare, senza sapere quando si arriverà, come si arriverà, dove si dormirà nella notte, che cosa vi apporterà l’indomani; viaggiare libero, solo, nella libertà dei monti, [p. 366 modifica]libertà nobile, libertà austera. Così parlano, nella notte, il vento freddo della montagna, le alte prode ancora verdi di erbe e di fiori, e il bianchissimo fiume, figlio delle nevi eterne......


Che cosa amabile e seducente sono questi alberghetti tra i monti Conservano umilmenle i loro nomi di Cavallo bianco, di Scudo di argento, ma sta, sulla porta, l’albergatrice tutta rosea nel volto, dal grande grembiule bianco, e vi saluta affettuosamente. La casa è piccola, col suo tetto spiovente contro le nevi invernali, con le sue logge di legno lungo le finestrette e, per quanto piccola persona siate, vi pare di non potervi entrare. Pure, vi arrampicate per le stricchiolanti scalette di legno, entrate nelle piccole stanze e, subito, il largo letto bianco e alto, vi conforta. Pian pian, timidamente, voi domandate da mangiare, presentendo una malinconica risposta e, viceversa, vi è sempre da [p. 367 modifica]pranzo, e innanzi a voi, sulla candida tovaglia, vedete apparire dei pranzetti deliziosi, serviti in silenzio, rapidamente; con timidità, ancora, voi domandate se mai potrete ripartire, l’indomani; e vi stupite, sentendo che provvidamente i vostri bagagli sono già sulla via di Gressoney e che voi partirete quando vorrete. Tutto ciò è semplice, umile; non servile, sovra tutto. Al secondo piano, nella piccolissima stanza occupata tutta dall’immenso letto, odoroso di spigonardo, poco chiudono le porte; eppure il grande terrore delle camere di albergo, quel terrore che tutti provano, serrandosi a doppio giro, non vi è, non lo sentite. Sentite soltanto, in quelle casette di legno, tutti i passi per le scale, nelle stanze, talvolta, sono passi pesanti, di gente stanca, dalle scarpe ferrate. Poi, finite per addormentarvi, in quella rustica scatola, sufficiente per la vostra persona; all’ora stabilita, l’albergatrice vi chiama sotto voce; se ritardate, non vi chiama di nuovo. La carrozza è vostra, si parte quando volete, con libertà..... E quando ve ne andate, questa albergatrice che non vi ha affatto scorticato, vi dà la mano; anche suo marito ve la offre, [p. 368 modifica]e i bimbi vi danno un bacio. O alberghetto del villaggio d’Issime, il secondo dopo quello di Pont Saint-Martin, piccolo albergo d’Issime, perduto fra le montagne della grande, e la piccola Mologna, battuto dai venti, piccolo, bianco, dalle persianine verdi, pieno di garofanetti bianchi sulla minuscola terrazzina, piccolo albergo dove si sale a cavallo, dopo quattro ore di carrozza, da Pont Saint-Martin, si sale, piano, fra i sette od otto bimbi dell’albergatrice, mentre il cane ancora vi festeggia e i garofanetti, sotto il vento s’inchinano dal terrazzino, quasi per salutarvi ancora....


Tre ore di ferrovia e circa quattro ore di carrozza per giungere a due terzi da Gressoney, l’ultimo terzo, altre tre ore, si fa sul muletto. Dieci ore.... e che importa?.. Quando il cocchiere della vostra carrozza ha dato il primo colpo di frusta delle quattro ore, voi [p. 369 modifica]pazientemente aprite un libro . Ah no, no, il libro ... Meglio guardare questa lenta ascensione fra i colli verdi, fra i grandi prati verdi, dove ancora il Lys scorre tranquillo, dove, ogni tanto, sorge una di queste piccole case di legno, dai bruni tetti sporgenti sulla facciata delle scalette esteriori, dalle loggette brune dove niuna faccia appare. In vero, è un senso di solitudine ineffabile. L’acqua rumoreggia, ma niun altro rumore turba la quiete delle grandi valli. Lassù, per i greppi, s’inerpicano quattro o cinque casette, e sembrano inaccessibili. Ancora il vento confonde in una nuvola cinericcia gli ulivi; poi, gli ulivi spariscono. Verdeggiano il larice oscuro e il pino di montagna. La strada carrozzabile serpeggia, ora all’ombra delle rocce, ora al sole: ma un fresco viene dalle cime, un fresco evapora dalle acque del fiume. A che leggere?.... L’ora è lunga, ma le valli si seguono senza rassomigliarsi, ora scabre e nere, ora grigiastre e petrose, dai grandi macigni caduti al piano, ora tutte verdi e fiorite. Due volte la carrozza passa il fiume sui ponticelli di legno, e quando Issime apparisce, nessuna pagina del libro è [p. 370 modifica]stata voltata, ma una pagina indimenticabile è nella vostra fantasia. E l’ignoto ricomincia. A Issi me, per salire a Gressoney, troverete cavalcature?... Chi sa.... Poi, pian piano, miracolosamente, i due muletti, già bardati, uno per voi, uno per i bagagli, si vengono a collocare innanzi alla porta.

Su, su.... Un po’ di sgomento vi tiene: non conoscete la via qual’è, com’è: non sapete come vi possa condurre, questo muletto: i due piccoli mulattieri, sorridenti e tranquilli, parlano fra loro, tedesco o francese. E per un sentiero prima largo, poi più stretto, poi strettissimo, il muletto si avvia, con un passo così gentile, così cauto, costeggiando sempre di un palmo la sponda del fiume, costeggiando i più paurosi burroni, senza mai andare di una linea in fallo. Ogni tanto, chiudete gli occhi: l’altezza a cui siete, la strettezza della via, il fragore del Lys che si dirupa nel precipizio, vi danno le vertigini. Ma il muletto va, così quietamente, alla sua via, col suo passo uguale e delicato, ma i due mulattieri, piccoli piccoli, si confidano, ridacchiando i loro secreti in tedesco o in francese... [p. 371 modifica]Tre volte, ancora, si passa il fiume sovra un ponte, il muletto volta da sé, senza neppure l’aiuto delle briglie. L’aria si fa sempre più fredda, malgrado l’ora pomeridiana e i larici svettano, a ondate brune. Qua e là ancora, dall’interno, strisce di neve si vedono biancheggiare, nei crepacci delle rocce. Dal Gaby al Ponte di Trento, la via si fa stretta, come il palmo della mano, ripidissima. Bisogna curvarsi in avanti sulla cavalcatura per non cadere. Fa freddissimo. Ogni tanto, attaccata a una roccia, una casettina: e dovunque si può bere dell’acqua, avere una gassosa, o della birra, e ciò in un deserto dove non appare anima viva, dove appena appena il sentiero è tracciato, dove non vi sono echi per la voce umana, poiché pare che mai vi risuoni. Ma ecco, dopo il ponte di Trento, in una minuta casa, tre minutissime banderuole tricolori; tre banderuoreline isolate che segnano il confine della valle di Gressoney e la valle di Gressoney aspetta la Regina..... La valle appare, tutta meravigliosamente verde, in un paesaggio che niuna colorita parola può rendere. Due grandi pareti di montagna [p. 372 modifica]la chiudono: il colle della Ranzola, da una parte, e il colle della Valdobbia, dall’altra. Da questo colle, a piedi, deve arrivare Sua Maestà; la gran vallata che è a milleduecento metri sul mare, odora tutta di fieno falciato, e le floride e snelle gressonesi, dalla rossa gonna, son dietro a formare i fasci. Nel fondo vi è la montagna della Testa Grigia e in fondo, in fondo, ma che pure sembra vicinissima, tutta bianca e solenne nella bianchezza, l’alpe paurosa, l’alpe magnifica, il monte Rosa. In un cantuccio della valle, ecco il piccolo, il modesto villaggetto di san Giovanni di Gressoney. Ridono le bandierine tricolori. E, attraverso le poche case, biancheggia la massima bellezza, la massima poesia, il massimo fascino di questa valle di Gressoney: il suo piccolo, bianco, armonioso, limpido fiume, il Lys, il giglio. Non è il più bel nome di fiume, il giglio?....