Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo XI

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Volume III - Capitolo XI

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO XI.


Così terminò Moncada la storia dell’indiana, vittima della passione e del destino di Melmoth, ed annunziò che si riserbava alla prima occasione di far conoscere al suo giovine ospite quelle delle altre vittime, i cui scheletri, come ben si ricorderanno i nostri lettori, adornavano l’abitazione dell’ebreo Adonia in Madrid; ed aggiunse, che le circostanze ne erano più terribili ancora di quelle, che gli aveva raccontate. Disse ancora che le particolarità della sua residenza nella casa di Adonia, della [p. 214 modifica]maniera con cui l’aveva lasciata, e della cagione per cui era venuto in Irlanda, non erano meno straordinarie di tutto il rimanente. Il giovine Melmoth ardeva di curiosità, e voleva a qualunque costo appagarla, forse non senza la speranza di vedere l’originale del ritratto, che egli aveva distrutto, presentarsi da sè medesimo per terminar di raccontare la sua storia. Il racconto dello Spagnuolo avea durato parecchi giorni; quando lo ebbe terminato si riposò, ma passarono pochi giorni, ed il giovane Melmoth gli ricordò che rimanevagli una promessa da mantenere. Fu stabilita una sera per continuare gl’incominciati racconti. Il giovane Melmoth e lo spagnuolo Moncada si riunirono nel consueto appartamento. La notte era oscura, malinconica, procellosa; la pioggia, che aveva durato tutta intiera la giornata sembrava aver ceduto il posto al vento, che soffiava con una forza straordinaria. Melmoth e Moncada avvicinarono le loro seggiole al fuoco, e si guardavano come per incoraggiarsi a vicenda. [p. 215 modifica]

Alla fine Moncada chiamò in soccorso tutta la sua fermezza, e cominciò la sua relazione; ma non tardò ad accorgersi, l’attenzione del suo ascoltatore essere da qualche altro oggetto preoccupata, e si arrestò. Mi pareva, disse Melmoth, per dare ragione della sua distrazione a Moncada, di sentire come il rumore di uno, che passeggiasse nel corritoio. — Zitto, rispose Moncada, non vorrei, che alcuno ne stesse ad ascoltare. Fecero ambedue silenzio e ritennero il respiro, Il rumore si rinnuovò. Non vi era più dubbio che qualcuno camminasse e si avvicinasse alla porta. Siamo espiati, disse Melmoth, volendo levarsi in piedi; ma all’istante medesimo si aprì la porta, e presentossi una persona, nella quale Moncada riconobbe l’oggetto del suo racconto, quegli cioè, che visitato lo avea nelle carceri della inquisizione, e Melmoth si risovvenne del ritratto e l’ente, il di cui aspetto lo aveva riempiuto di spavento nel vederlo assiso al capezzale del letto di suo zio moribondo.

Il sopraggiunto si fermò per [p. 216 modifica]qualche tempo sulla soglia, poscia avanzandosi a lento passo fino alla metà della camera, ivi fermossi senza guardare i due interlocutori. Quindi si approssimò verso il tavolino vicino al quale eglino erano assisi, e si diede loro a vedere come una creatura vivente e corporea. Essi sentirono ed espressero il più visibile orrore. Era realmente Melmoth, l’uomo errante, che essi vedevano, e tale quale egli era nel secolo passato. La di lui forza naturale non era abbattuta, ma l’occhio era in lui indebolito; non aveva questo quel lustro, del quale un tempo era fornito, siccome un faro per annunziare il pericolo a quelli, che fossero tanto imprudenti di avvicinarglisi. Tutto in lui annunziava un ente vivente; i suoi occhi soltanto erano quelli di un estinto.

Quando egli fu loro vicino, essi si alzarono con un movimento spontaneo. L’uomo errante stese le braccia, quasi per dire, che non temessero, e ch’egli non aveva intenzione di far loro del male; quindi prese la parola, ed il suono strano e grave di quella [p. 217 modifica]voce, che aveva atterrata tutta la terra, fece sopra di loro l’effetto del tuono, che rumoreggia da lontano.

Mortali, disse loro, voi siete qui per parlare del mio destino e degli avvenimenti che lo hanno contraddistinto. Codesto destino, per quanto io credo, è compiuto, e con esso cessano gli avvenimenti che hanno la vostra curiosità risvegliata. Io son qui per tutto dichiarare: sì, io, di cui vi parlo, son qui. Chi può di Melmoth, dell’uomo errante, raccontar le avventure meglio di lui medesimo al momento in cui sta per terminare una esistenza, che è stata un soggetto di stupore e di spavento per tutto l’Universo? Melmoth, voi vedete il vostro antenato; l’uomo di cui avete veduto il ritratto con una data tanto antica. Voi, Moncada, avete avanti agli occhi una conoscenza di una data più recente. Non temete; e che avreste a temere? Voi signore, siete munito del vostro rosario, (qui un raggio di maligna ironia rischiarò per un poco le spente pupille di lui) e voi Melmoth siete rafforzato dalla [p. 218 modifica]vana e folle curiosità, che un tempo avrebbe potuto rendervi mia vittima, ma che ora non vi rende se non ridicolo agli occhi miei.

Potreste voi apprestarmi una qualche bevanda per ristorare la mia sete? continuò egli ponendosi a sedere. Moncada ed il suo ospite erano in preda di un terrore, che si avvicinava al delirio. Il primo nulladimeno si fece coraggio e riempiè un bicchier d’acqua, che offrì all’uomo errante con una mano bastantemente ferma. Lo straniero se lo appresso alle labbra, ne bevve alcuni sorsi, lo posò di nuovo sul tavolino, e disse: Ecco l’ultimo bicchiere, che io vuoterò sulla terra, l’ultimo liquore che umetterà il mio palato. Quindi terminò di vuotarlo lentamente, ed aggiunse: d’ora innanzi la mia sete sarà eterna. Nè il giovine Melmoth nè Moncada si sentirono forza da parlare, nè provarono alcun desiderio d’interrompere la profonda meditazione, cui egli si abbandonò.

Cotesto stato di rapimento di spirito durò fino a giorno. Allora [p. 219 modifica]l’uomo errante sollevando le sue pesanti pupille, e fissandole il suo nipote gli disse: Il vostrò antenato è ritornato a casa sua; i suoi viaggi son terminati! A me importa ben poco tutto ciò che è stato raccontato e si è potuto credere di me. Il segreto del mio destino riposa con me. Se i miei delitti hanno sorpassato quelli di qualunque altro uomo, il mio gastigo sarà ad essi proporzionato. Io ho sparso il terrore sulla terra: nessuno poteva esser partecipe del mio destino, che di proprio consenso, e nessuno ha acconsentito. Sarò dunque solo a subire la mia pena; e dovrò in eterno errare ed aggirarmi in mezzo alla desolazione ed agli anatemi. Nessuno ha voluto cambiare la sua sorte con quella di Melmoth l’uomo errante; ho traversato il mondo nelle mie ricerche, e non ho trovato pur uno, che per guadagnare questo mondo abbia voluto perdere l’anima sua? Nè Stanton nell’ospizio degli alienati di mente; nè voi, Moncada nella vostra dura prigione; nè Walberg quantunque ridotto a [p. 220 modifica]vdere i suoi figli morir dalla fame.. nè un’altra...

Egli si arresto, e sul procinto del suo terribile e disperato viaggio, sembrò che riandasse col pensiero la sua vita trascorsa. Poscia alzandosi disse: lasciatemi prendere se è possibile, un’ora di riposo, sì di riposo... di sonno! la mia esistenza è ancora umana! Un sorriso amaro gli si vide per l’ultima volta errare sulle labbra. Quante volte cotesto sorriso avea fatto gelare il sangue delle sue vittime! Melmoth e Moncada abbandonarono l’appartamento, e l’uomo errante piegandosi indietro sulla sua seggiola si addormentò. Ahimè! quali furono le visioni del suo ultimo sonno terrestre!


Sogno dell’uomo errante.


Gli pareva di essere sulla sommità di un precipizio, del quale l’occhio non poteva misurare la profondità, ma in fondo del quale gli pareva di distinguere un Oceano di fuoco, i cui flutti andando a frangere contro le [p. 221 modifica]roccie tramandavano fino a lui una schiuma di ardente zolfo. Cotesto mare sembrava aver vita; ciascun maroso conteneva un’anima che penava, che all’urtare contro i macigni gettava un grido spaventoso, e quindi all’appianarsi del flutto scompariva alla vista per uscir fuori di nuovo e ripetere le sue strida. Cotesta spaventevole alternativa doveva durare per sempre!... Ad un tratto Melmoth si sentì precipitare al basso; ma nel cadere si arrestò alla metà dell’altezza. Credette di essersi fermato in una porzione di scoglio che sporgeva innanzi al di sopra del mare di fuoco, ove non vi era più estensione di quello che potesse starvi co’ piedi. Alzò allora gli occhi, ma l’aria superiore non presentava che una impenetrabile oscurità, in mezzo alla quale potè ciò non ostante distinguere un braccio gigantesco, che lo teneva sospeso sul margine del precipizio, intanto che un altro braccio, ma di una grossezza immensamente maggiore del primo, si dirigeva verso un quadrante in cui era una sola [p. 222 modifica]lancetta la quale; invece delle ore, indicava i secoli, il quadrante era renduto visibile dal solo riflesso delle fiamme. Egli rivolse lo sguardo attento a quella parte e vide che il periodo fissato di cencinquanta anni erano vicino ad oltrepassare. Egli gettò un grido, fece uno di que’ forti movimenti, che sovente si provano in sogno, si svincolò dal braccio che lo teneva, e voleva correre verso il quadrante per arrestare il corso della lancetta. Lo sforzo lo fece cadere, la caduta fu perpendicolare e non trovò ove potersi attenere. Il macigno era unito come il cristallo, ed alle sue falde venivano a frangere le onde di fuoco. A misura che egli discendeva vide gruppo di persone che se gli avvicinavano; esso stendeva loro la mano ad una ad una; questi erano Stanton, Walberg, Eloenora Mortimer, Moncada, Isidora, ed una folla innumerevole di altri. Tutti gli passarono davanti senza porgergli una mano soccorrevole. Il suo ultimo sguardo di disperazione fu rivolto un’altra volta al quadrante dell’eternità. Il [p. 223 modifica]braccio terribile pareva che ne sospingesse la lancetta; questo arrivò al suo termine, egli cade giù precipitoso, egli arde, egli strida ed urla. I flutti fiammeggianti ricuoprono ad esso il capo, e l’eternità fa rimbombare queste parole: fate luogo all’anima dell’Uomo Errante. Le onde ardenti e frangentisi contro i macigni rispondono: Vi è posto per molti altri ancora. Melmoth si risvegliò.