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30 | la vita di catullo. |
la vita. Costoro costituiscono la classe più valorosa e più nobile degli artisti, i veri apostoli della bellezza, il sacerdozio militante dell’arte.
III.
Catullo non appartiene a nessuna di queste tre classi descritte. La vita della gran capitale, a prima vista, l’inebriò. Non avea mai tanto preso sul serio l’arte sua da stimarla una missione; non facea tanto caso della vita da credere che valesse la pena di prolungarla a prezzo di privazioni e di sagrificii; l’arte e la vita erano per lui una cosa sola: un’ebrezza.
Le amicizie più o meno illustri non gli mancarono. Manlio, a cui era stato raccomandato, ebbe cura di presentarlo alla gran società; il poeta vi entrò come a casa sua.[1] Cicerone lo protesse e lo amò, e fu poi ricambiato da versi pieni di modestia e di venustà,[2] ch’ebbero a riuscire assai grati a quel vanissimo ed eloquentissimo di tutti i Romani, che scriveva un poema per celebrare le sue gesta. Fu intimo di Licinio Calvo[3] e di Cinna,[4] che la somiglianza degli studii e dei costumi gli rese tosto familiari; amico di C. Rufo,[5] di Verannio,[6] di Fabullo,[7] di Alfeno,[8] parte dei quali di lì a poco