Però che sia più frutto e più diletto

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Bosone da Gubbio

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu capitoli Letteratura Però che sia più frutto e più diletto Intestazione 24 luglio 2020 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV


[p. 185 modifica]Di messer Bosone da Ugobbio sopra la esposizione e divisione della Commedia di Dante Alighieri di Firenze; in casa del quale messer Bosone esso Dante della sua maravigliosa opera ne fe e compì la buona parte. Il quale canto in tre parti si divide; prima dividendo la prima parte della Commedia, poscia la seconda, all’ultimo la terza; come chiaro si manifesta leggendo.


     Però che sia più frutto e più diletto
A quei che si dilettan di sapere
3Dell’alta Commedìa vero intelletto;
     Intendo in questi versi proferère
Quel che si voglia intender per li nomi
6Di quei che fan la dritta via vedere
     Di questo autor, ch’e’ glorïosi nomi
Volse cercar e gustar sì vivendo
9Che sapesse de’ morti tutti i domi.
     Dico che anni trentacinque avendo
L’autor, che son nel mezzo dei sessanta
12Dai quali in su si vive poi languendo;
     Stando nel mondo, ove ciascuna pianta
Sì di cogitazioni e di rancura
15L’appetito vagante nostro pianta;
     Vedea della virtù l’alzante altura,
E desïava di salire in cima,
18Chè discernea già il bel della pianura.
     E così vôlto innanzi i venne prima
Quella leonza che per lo diletto
21E per la creazion buona si stima,

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     E poi, perchè ’l saver non lassa il petto
Ben conducer lo freno, il leon fue
24La superbia che offusca ogni intelletto.
     Quella lupa ch’avendo ogn’or vuol piùe
Fu l’avarizia che per mantenere
27Uom la sua facoltà fa giacer giue.
     Queste fur le tre bestie che ’l volere
Gli fecer pervenir d’andare al monte
30Dove virtù se ne solea sedere.
     Ma perchè l’alma che si prende al fonte
Del nostro battistèo ci dà un lume
33El qual ci fa le cose di Dio conte,
     Venne dal lustro del supremo lume
Una grazia di fede, che si dice
36Che ’nfonde l’alma come terra il fiume,
     E mosse lui colla ragion felice,
Per fargli ben conoscer quelle fere;
39In che ci allegoreggia Beatrice.
     E la ragion, per cui da lor non père,
Descrive per Virgilio, e vuol mostrare
42Ch’ebbe da’ libri suoi molto sapere.
     Questi gli mostra come per mal fare
Si dee ricever pena, e poi agguaglia
45La pena al mal come me’ può adequare.
     E perchè ’l magistero più gli vaglia,
La ragion, se ragion si può chiarire,
48Mostra come la spada infernal taglia:
     E questo mostra per voler partire
Non pur lui da peccato e da far male,
51Ma farne all’uditor crescer desire;
     Sicchè ’l buon viver nostro naturale
Non erri, e, se pur erra, che si saccia
54E pentere e doler quanto ci vale.
     In questo la sentenza par che giaccia
Di questa prima parte, che l’Inferno
57Par che comunemente dir si faccia.
     Poi la seconda parte del quaterno,
Tuttochè la ragione ancor lo mena,
60Siccome fece per lo foco etemo;

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     Caton lo ’nvia per la gloriosa pena
Che purga quegli spirti che pentuti
63Diventan pria che sia l’ultima cena;
     E, perchè i lor voler sien bene acuti
E liberi di far ciò che lor piace,
66Vuol ch’uom per libertà vita rifiuti.
     In questo il nome di quel canto giace,
Mostrando come uom dee fuggir lentezza
69E tardanza d’aver con l’alma pace.
     Poscia descrive con bella fortezza
Di poetrìa, come un’aquila venne
72Nel pensier suo della divina altezza:
     E questa è quella grazia che pervenne,
Come il divin volere in lui la ’nfonde
75Che di lei e d’un segno si sovvenne.
     Ella ci scalda, e non conoscemo onde;
Se non che noi rischiara un poco stante
78Una donna gentil colle sue onde:
     E questa è quella grazia che è giovante,
La qual descrive in nome di Lucia
81Che i fe colla ragion veder sì avante.
     Chè ben conobbe come si salìa
Su per li gradi della penitenza
84E come il prete su in essi sedìa;
     E fa tra essi quella differenza
Di color di fortezza e di virtute,
87Che descrive la chiesa e la credenza.
     Poi mostra come per aver salute
Si vuol tre volte percuoter lo petto
90Con non voltarsi alle cose vedute;
     Che per tre modi corre uom nel difetto
Di far peccato, o per superba vita,
93O per aver degli occhi mal diletto,
     O per aver la carne troppo trita;
E quinci vengon li sette peccati,
96Che fa d’ognun la spada sua ferita.
     Non vuol avere i vestimenti ornati
Lo sacerdote, ma umilemente
99Oda i difetti che gli son mostrati;

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     E ’n le due chiavi che tenea latente
Mostra l’autorità e discrezïone,
102Che l'una toglie e l’altra ha nella mente.
     Faccia lo diocesan comparazione
Fra prete e prete, e non dia capomanno
105     Se non gli avviene quel di Salomone.
Poi vede chiar come pentuti stanno
E purgati ciascun del suo mal fare,
108E per lo suo contrario la pena hanno.
     Ma, perchè io voglio alquanto dimostrare
Una bella figura che vi mette,
111Ricolgan gli uditori il mio parlare.
     Perchè ci sien le virtù più dilette
E i vizi più ci sieno abominati,
114Dinanzi al bel purgar ciascun de’ sette
     Mostra come gli par veder davanti
(Qual scolpito, quale udìa, qual vedea,
117E qual sognando, e qual parea per canti)
     Molte novelle di cui si sapea
Ch’ebber l’ornata eccellenza del mondo,
120Perchè ’l contrario di quel vizio fea.
     E questo mette, prima che nel fondo
Salga dal grembo, per forza che faccia
123Correre altrui nell’opera giocondo:
     Poscia di retro descrive la traccia
Di quei che per quel vizio rovinaro,
126E questo infrena altrui come quel caccia.
     E perchè Stazio fu fedele e caro,
Dice che i libri suoi con la ragione
129La via d’esto cammin gli dimostraro.
     In sommità di questo monte pone
Quel luogo, ove si crede che Adamo
132Vivesse e fesse poi l’offensïone.
     E per lo ben che vien di ramo in ramo,
Lodando il luogo, di fuor della riva,
135Sedeva lamentando alcun richiamo.
     Poi lì da alto della selva diva,
Sol con quell’atto che l’effetto importa,
138Vede allegra seder la vita attiva.

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     E lì dinanzi dalla prima scorta
Fu lasciato egli, perocchè la fede
141La ragion mostrativa non comporta.
     Lo fondamento d’essa oggi mai vede:
Li sette don dello Spirito Santo
144Eran quel lume che ’nnanzi procede;
     E i ventiquattro che facean quel canto
I libri della Bibbia erano, quelli
147Che hanno mo di chiarezza ciascun manto;
     E i quattro che avieno ali più che uccelli
Eran gli Evangelista, che mostrare
150L’esser di Dio da’ pie fino a’ capelli.
     Cristo era quel grifon che vedea chiaro,
Che menava la Chiesa santa dietro,
153Chè le sue carni Dio ed uom portaro:
     E le tre donne che scrive ’l suo metro
Eran quelle teologiche perfette
156Che non si veggion che per divin vetro:
     L’altre eran quattro cardinai dilette,
Che n’andavano a modo di prudenza
159Ch’è nei tre tempi, come l’autor mette:
     Li due che medicâr la nostra essenza
Fur Paulo e Luca, e gli altri quattro fôro
162Quei che epistole fare ebber potenza:
     E ’l vecchio ch’era dietro a tutti loro
Pu Moïsè. E così ci descrive
165E mettene per questo stretto foro.
     Poi dice appresso perchè mal si vive
Per gli pastor di quella navicella,
168Come l’opere lor furon lascive.
     E quella volpe di cui ci favella
Fu Maometto, che diede un gran crollo
171Al carro, come conta la novella:
     Poscia lo impero per aquila pôllo,
E scrive come il bell’arbor del mondo
174Per dare al papa si fece un rampollo.
     Mette poi Eunoè che mostra il fondo,
Per la chiarezza sua, di questa fede;
177E quinci uscì per gire al ciel rotondo.

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     Quivi la gloria di Dio tutta vede,
Come la Teologia lo vi conduce,
180Per pagamento di quel che si crede.
     Qui mostra come la luna riluce
Fin di sopra Saturno tutt’i cieli,
183Che ben guardando chiaramente induce.
     E poi il sito da molti candeli
Gli fu mostrato, e poi la somma altezza:
186Poi della Trinità par che riveli
     Ciò che se ne può scriver per chiarezza
E ciò che lo intelletto ne comprende.
189E qui fa del suo libro la fermezza.
     Adunque noti chi lui ben intende.
Che speculando queste cose vede:
192E così tutto il dicer suo si prende,
     Fortificando la cristiana fede.


(Dal volume V della Divina Commedia di Dante Alighieri, Padova, Minerva, 1822; dov’è impresso a cura di G. Manzi, da un Codice della Barberiniana.)