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Poesie (Parini)/VII. Odi/XXI. Il tempo

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XXI. Il tempo

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VII. Odi - XX. Non è dato ai mortali VII. Odi - XXII. Pel ritorno al Lario di Francesco ed Elisa

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XXI

IL TEMPO

Ode libera.

Invido veglio, che di verde e forte
vecchiezza carco e di gran falce armato,
Tempo, che sul creato
stendi l’ale tacenti, e mentre al corso
5te stesso incalzi e fuggi,
ti rinnovi mai sempre e ti distruggi:
lá ne’ secoli eterni, entro le fosche
voragini del caos, ove la folta
e varia schiera de’ possibil tutti
10giacea confusa, e in suo silenzio il cenno
stava aspettando de la man divina;
tu nel torbito mar de V infinito
al volo ancor non uso,
nuotavi in sen d’eternitá rinchiuso:
15quando, a la voce del sovran motore,
dal letargo lunghissimo e profondo
si destar resistenze, e de l’abisso
romoreggiár dal fondo
le scure immensurabili caverne.
20Fuggirò a quel romor l’ombre ritrose,
abbandonando la quiete antica;
e mentre al buio del nascente mondo
l’alma luce scopria la bianca faccia,
gian brancolando de la notte in traccia.

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25Su i discordi elementi
agita allor le mansuete penne
l’onnipotente Amore; e fecondata
si squarcia e si dilata
l’indigesta materia, e fra il tumulto
30delle pugnanti particelle emerge
dolce armonia che le congiunge, e al vario
scontrarsi, urtarsi e combinarsi elice
dal gran contrasto de la massa informe
il vario aspetto de le varie forme.
35Natura intanto in reai cocchio assisa
correa per l’universo, e la seguia
degli enti la moltiplice famiglia:
splendeano gli astri, e variamente attratti
seguian le forze del maggior pianeta;
40e scotean le comete in lunga traccia,
de’ regolati errori entro il confine,
l’ardenti code e il tremolante crine.
Allor l’immota Eternitá si scosse,
e dal seno gittò nobile figlio,
45e de’momenti gli cedeo l’impero.
Tu fosti, o Tempo; e primo
di tante meraviglie ammiratore
ne’ vasti spazi del creato intero
lanciasti il guardo e dispiegasti il volo:
50e a seconda del sol temprando il moto
de’ tuoi rapidi vanni,
a produr cominciasti i giorni e gli anni.
Pria ne’ campi ridenti
d’Eden, ch’eterna primavera infiora,
55quando il padre primiero e la consorte
vivean felici d’innocenza a lato,
i giorni conducesti almi e sereni,
sacri ai dolci concenti,
ai bei diporti ameni,
60ai soavi colloqui, e non lasciavi,

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di un gustato piacer dopo il contento,
la stanchezza, la noia e il pentimento.
E quando poi la sera
con vacillante lume
65di modesto color vestia d’intorno
il monte e la campagna,
e al placido riposo
que’ fidi amanti ad invitar venia;
tu nell’antro odoroso
70le tacite guidavi ore notturne
del nuzial mistero confidenti,
e i bei sogni tranquilli,
onde l’alme da’ sensi pellegrine
godessero d’un bene errante e vago,
75nel sonno ancor, la dilettosa imago.
Tu promettevi intatte
su le guance di latte
fiorir d’eterna gioventú le rose;
né minacciavi di solcar la fronte
80con aspre orme rugose:
vecchiezza non spargea di neve il biondo
lungo crine su gli omeri cadente,
né gravoso abbattea degli anni il pondo
il vigor de le membra e de la mente;
85ché de l’etá diverse
la vicenda volubile e fugace
era indistinta e sconosciuta ancora;
e ne l’alma del par che ne la spoglia,
benché terrena e frale,
90vivea l’uomo immutabile, immortale.
Ma poi che da le cupe inferne grotte
alzò la Colpa le funeste penne,
e a conturbar pervenne
de la pace il soggiorno e del piacere,
95tu, cangiando l’aspetto,
ti ribellasti a l’uomo

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dal suo fallir giá domo,
e mezzo divenisti a l’infelice
sol d’affanni, di stento e di fatica;
100e a farti piú terribile e piú forte,
ti chiamasti compagna anco la Morte.
Indarno allora da le tue ferite
le genti sbigottite
cercar sottrarsi, e radunarsi insieme;
105scavar le fosse, sollevar le mura,
fabbricar le cittá, dettar le leggi,
onde l’etá futura
il social concerto
mantenesse infrangibile ed eterno:
110andár sossopra i regni al rovinoso
de’secoli torrente; e l’uomo, ahi stolto!
secondò involontario il tuo disegno;
e in cruda guerra armato
accelerò il suo fato, e giacque oppresso
115piú dal proprio furor che da te stesso.
De l’universo ne l’immensa faccia
di quattro monarchie surse a le stelle
l’alta mole orgogliosa.
Tu con occhio d’invidia e di minaccia
120torbido la guatasti;
e il perso e il greco ed il romano e tutto
il furor de’ barbarici trioni
stimolasti a l’assalto e a la ruina.
Crollò sui piè malferma, e rovesciosse:
125tremò l’Europa con le due sorelle;
e a quel tremar si scosse
l’America divisa, e si compiacque,
che occulta ancor giacea,
in remoto confine,
130d’ambizion superba a le rapine.
Ma non andar fastoso
di tue conquiste, o Tempo.

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Fra nuvole di folgori e di lampi,
su l’ale a un cherubin rapido scende
135l’inesorabil Dio de le vendette:
gli sguardi volge maestosi e lenti
al tremante universo; accenna quindi
ai quattro opposti venti;
e con voce di tuon grida: — Si faccia
140l’adempimento de la mia minaccia. —
E traboccar ruggendo
ecco le vampe de l’eterno sdegno,
e natura sentir l’angosce estreme.
Van con fracasso orrendo
145da l’orbita natia svelte le stelle
pel firmamento ad azzuffarsi insieme...
Ahi! dove siete, o soli?
Dove fuggisti, o terra? Io piú non veggo
che un mar di fiamme procellose, e dentro
150naufragarsi i pianeti e l’universo.
A la feral confusion succede
spaventoso silenzio, e sol di fumo,
di polve e di faville
immensa nube e forinidabil ombra
155l’ampie ruine orribilmente ingombra.
E dove, o Tempo, ti nascondi? Hai forse
de la Natura moribonda orrore?
In van: fissa è nel cielo
anche la tua ne la comun ruina.
160Io giá cader ti veggo,
l’armi e le penne abbrustolite ed arse.
Ritorna al nulla, e rendi
l’impero de’momenti a Eternitade;
e, in questo di natura orror profondo,
165spento t’assorba l’atterrato mondo.