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Poesie (Parini)/X. Scherzi/Canzonette per parafuoco

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Canzonette per parafuoco

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X. Scherzi X. Scherzi - Scherzi per ventole

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CANZONETTE PER PARAFUOCO

I

     Stava un giorno Citerea
di Vulcano a la fucina;
né difender si sapea
da la fiamma a lei vicina,
né salvar le fresche rose
de le gote sue vezzose.
     Opponeva or destra or manca
al gran foco ivi raccolto;
ma la man picciola e bianca
vano scudo era al bel volto;
ché feriva e volto e mano
la gran fiamma di Vulcano.
     De la dea vide i tormenti;
a pietade Amor si mosse;
e dell’ale rinascenti
una subito strapposse;
poi, con atto dolce e caro:
— Ecco, — disse, — il tuo riparo.
     Serenò la diva il ciglio;
e il celeste almo sorriso
rivolgendo al caro figlio,
abbassossi, e il baciò in viso;
poi fe’ schermo al gran calore
con quell’ala dell’Amore.

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     Ma la dea sagace apprese,
riparando il foco ardente,
di quel novo e vago arnese
ad usar piú dolcemente;
onde rise il nume armato
che le stava all’altro lato.
     Ella i guardi a lui volgea,
all’orecchio gli parlava;
e il bel volto nascondea
dal marito che guardava;
e cosí sfogava il core
sotto all’ala dell’Amore.
     Spesso ancor si ricopria
la metá de le pupille;
e piú forte l’assalia
addensando le faville,
che il ferien con piú rigore
sotto all’ala dell’Amore.
     Or col sommo de’ bei labri
accennava i molli baci;
ora uscien da’ bei cinabri
sospiretti e ghigni audaci;
or nasceva un bel rossore
sotto all’ala dell’Amore.
     Tal, frattanto che Vulcano
fabbricava arme a gli dèi,
l’alma dea cosí pian piamo
accresceva i suoi trofei
sopra il nume vincitore,
sotto all’ala dell’Amore.
     Belle mie, voi m’intendete:
dell’Amor l’ala son io;
come Venere, potete
appagar piú d’un desio
e sfogar l’occulto ardore
sotto all’ala dell’Amore.

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II

     Nice propio da senno e non per gioco
non vuol piú ch’io mi chiami parafoco;
e la ragion mi quadra.
Udite ch’è leggiadra.
5Nice sedeasi un giorno a canto al foco,
tra il marito e il servente;
e il servente volea
darle un bacio: ma come si potea
col marito presente? Or bene, udite
10ciò che seppe far Nice.
Ella, come per caso,
volge gli occhi al marito; e cosí dice:
— Voi avete una pulce sopra il naso. —
E taffe, sopra il naso
15gli batte il parafoco, e a lui con esso
gli occhi ricopre. In quel momento stesso
il bacio desiato
fu dato e ridonato.
Ma come creder mai
20che nell’inverno a punto
una pulce vi fosse?
Eh, i mariti ne beon de le piú grosse!
Basta, dal giorno in poi
che Nice prese cosí bel partito,
25non vuole ch’io mi chiami
piú parafoco, ma paramarito.

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III

     Ho nel ventre il mio sapere
e ad ognuno il fo vedere;
fo veder paesi e mari,
fiori, uccelli e mostri rari;
5so insegnar geografia;
so insegnar filosofia;
con enigmi, con bei detti,
con leggiadri apologhetti,
tutto insegno, ma per gioco
10nello inverno, appresso al foco.
Quante belle letterate
sol per me son diventate!
Se conoscer mi volete,
io son qui, non mi vedete?
15Ho la pancia grande assai,
ed ho il manico piccino:
non mi movo quasi mai,
ed ognor sono in camino.

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IV

     Io giá fui un seccatore
detestato da gli amanti,
ché i felici loro istanti
disturbai la notte e il di.
     5Se la bella sbadigliava,
se il suo ben si contorceva,
io di nulla m’avvedeva,
e ciarlando stava li.
     Quindi Amore, alfin sdegnato,
10terminar fe’ questo gioco,
trasformando in parafoco
me infelice seccator.
     Ma, sebben cangiato io sono,
benché vesto altra figura,
15dell’antica mia natura
io conservo molto ancor.
     Sempre ritto in sul camino
mi sto li come un balordo;
e quantunque cieco e sordo
20mai di crocchio uscir non so.
     Se con grave mio dolore
cicalare or piú non posso,
con gli scritti che ho sul dosso
disfogando almen mi vo.
     25Se le fiamme degli amanti
piú turbar non m’è concesso,
io di schermo servo adesso
a la fiamma naturai.

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     Cosí avvien, per mezzo mio,
30che il calore, o donne belle,
non raggrinza a voi la pelle
e a la testa non fa mal.
     Ma chi sa se mai vi piace,
per uficio si cortese,
35perdonar le antiche offese,
ed aver di me pietá?
     Troppo in odio sempre avete
chi trascura disattento
il valor d’un bel momento,
40e chi perdere lo fa.

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V

     Belle, son qui per voi
leggiadro arnese e comodo,
onde al camin non ardasi
di vostre guance il fior.
     5Su mi pigliate, e poi
dinanzi a voi tenetemi;
e calmerete l’impeto
dell’indiscreto ardor.
     Ma per pietá, se ancora
10le convulsion vi assalgono,
allor che andate in collera
col perfido amator,
     deh, per pietade, allora
niuna di voi mi laceri,
15niuna mi rompa il manico,
fra il torbido furor!
     Quanti ventagli, oh Dio,
ebber destino simile,
e infranti e fessi caddero
20spettacolo d’orror!
     Cosí, se il cieco dio
vi torna in pace amabile,
del canapè fra gli angoli
non mi obbliate allor.
     25Quanti ventagli, oh stelle,
ebber destino simile,
e infranti e fessi giacquero,
sol vittima d’amor!

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     Voi lo sapete, o belle:
noccion le vostre collere;
e mettono in pericolo
le vostre paci ancor.

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VI

     Se in vece di guardar co’ tuoi stromenti
il vago viso da le fiamme ardenti,
     Nice, volessi ascondere il rossore
de le bugie che ognor dici in amore,
     5tu sciuperesti in un sol giorno quanti
Francia in un anno mandane ai mercanti.
     Anzi no. Mi ridico, o Nice mia:
per ciò sarebbe inutil mercanzia;
     ché in te non apparisce mai rossore
10de le bugie che ognor dici in amore.