Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato (Vol. I)/I. Ferrara/I. Relazione di Alvise Contarini, al duca Alfonso II d'Este (1565)

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I. Relazione di Alvise Contarini, al duca Alfonso II d'Este (1565)

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I. Relazione di Alvise Contarini, al duca Alfonso II d'Este (1565)
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I

RELAZIONE

DI

ALVISE CONTARINI

ambasciatore straordinario

al duca Alfonso II d’Este

1565

Perchè so, serenissimo Principe, illustrissimi ed eccellentissimi signori, che d’una ambasciaria di pochi giorni, com’è la mia, la Serenitá Vostra e le Signorie Vostre eccellentissime non possono aspettar relazion se non di poco tempo, perché in fatto, essendo sta’ mandato per puro offizio e per rallegrarmi in nome suo con l’Eccellenza di quel serenissimo duca e con l’Altezza della signora duchessa di quelle nozze, non ho avuto occasion di sperar né tempo d’avvertir, né manco posso aver adesso materia di riferir cosa degna della notizia di quest’illustrissimo Consiglio.

In questo mio offizio sarò brevissimo, reputandomi a gran ventura che quella brevitá, la quale io averei volontieri, anche per natura e per elezion, usada in ogni caso, come quello che conosco di non aver parte in me per la qual possi con la lunghezza esser grato alla Sublimitá Vostra ed alle Signorie Vostre eccellentissime, abbia ora a usarla per necessitá e per la natura del mio cargo, il quale non ricerca lunga narrazion; onde in un medesimo tempo poter sodisfar al debito mio, non lasciando cosa che fusse obligado a dir, ed insieme satisferò alla [p. 4 modifica]Serenitá Vostra, non digando cosa che la possa tediar o fastidir. Io so, eccellentissimi signori, che la principal materia delle relazioni d’ambasciadori, che ritornano alla Serenitá Vostra a render conto in questo eccellentissimo senato dei negozi e maneggi che hanno fatto per nome dell’Eccellenze Vostre nel tempo della sua legazion, è insieme referir del Stado, delle forze ed altre particolaritá del principe dal quale tornano. Quanto alla prima parte, essendo sta’ la mia ambasciaria per offizi e per ceremonia, come ho detto, poco m’accaderia di referir, e di quel poco ne ho dato aviso reverentemente con mie lettere a Vostra Serenitá; onde mi pareria superfluo replicar quel tanto che ho scritto cosí delli offizi, che ho fatto in nome della Serenitá Vostra, come delle demostrazion e resposte fattemi dal signor duca e duchessa e da quei signori, certo con molta cortesia e con grandissimi segni della reverenzia e rispetto che loro portano alla Serenitá Vostra. Quanto all’altra parte, medesimamente cognosco che non m’ho da estender, perché, essendo il Stado di quell’eccellentissimo signor duca cosí vicin e confinante a quello dell’Eccellenze Vostre, non credo che sia alcun in questo illustrissimo luogo che non sia molto ben informato e che siano anco molti che abbino essi medesimi vista la maggior parte di quelle particularitá, le quali si desiderano intender dei Stadi e delle forze d’altri principi. È vero che cosí come, per questa vicinanza che ha il Stado della Serenitá Vostra con quello del signor duca di Ferrara, non si deono dir le molte cose che si riferiscono dei Stadi di quei altri principi e che di questo sono note; cosí all’incontro questo rispetto della vicinanza non mi par per sufficiente causa che se ne debba saper alcun’altre, le quali non meritan esser tasude per esserne compitamente informadi, come di Stado che in ogni fortuna e in ogni caso per questa medesima vicinanza puoi esser facilmente d’interesse all’Eccellenze Vostre.

Io credo adunque che ognuna delle Signorie Vostre eccellentissime sappia che Stado d’Alfonso, duca secondo di questo nome e quinto duca della casa d’Este, è Stado assai grande, perché è lungo dal confin della Serenitá Vostra, che è il Polesine [p. 5 modifica] di Rovigo, fin al confine con Lucca, ch’è la Gresignana, intorno 120 miglia, e per l’altra via è largo, da questo nostro mar Adriatico fin al confin del duca di Mantova, appresso a 90, e che attraversa quasi da un mar all’altro, cioè da questo nostro mar fin al mar di Toscana, tutta l’Italia. Questo Stado, grande come ho detto, è anche tutto molto fertile e molto abitado per esser nella principal parte di Lombardia; il qual paese, come sa la Serenitá Vostra, è stimado la piú grassa e la piú abitada parte di tutta l’Italia. Quali siano i suoi confinanti so che è medesimamente noto alle Signorie Vostre eccellentissime, sapendo ognuna di esse che oltra il confin che ha quest’illustrissimo dominio con esso, cosí dalla parte del Polesine come dal mar alle Bocche del Po, confina col duca di Mantova, col duca di Parma, col duca della Mirandola, co’ lucchesi, col duca di Fiorenza e col Stado della Chiesa. Del qual Stado di Ferrara mi par che questo sia cosa degna di qualche considerazion: ch’è posto in un sito tal che nessuna potenza o forza d’oltramontani non può passar a’ danni del Stado della Chiesa, del duca di Fiorenza e del regno di Napoli, che prima non convenghi passar per esso. Per la qual cosa principalmente è reputado per uno delli piú considerabili Stadi d’Italia.

Le parti d’esso Stado sono, come Ella sa, il ducato di Ferrara, Comacchio, il ducato di Modena e di Rezo, Rubiera nella Romagna, Lugo, Codignola, Bagnacavallo, il principato di Carpi e di Bressule: quali luoghi sono per la maggior parte riconosciuti o dalla Chiesa o dall’Imperio, perché Ferrara è feudo della Chiesa, per la qual paga 8000 ducati all’anno. Modena e Rezo sono feudi imperiali, le qual cittá di Modena e Rezo sono pervenute nel duca per sentenza arbitraria di Carlo V imperatore del 1531, fatta a favor del duca contro la Chiesa; e si come portarono molta utilitá e grandezza al ducato di Ferrara, cosí ne levorno una gran parte al Stado della Chiesa, essendo tutto renovado da Roma fin al confin di Milano, perché lo vennero a divider tutto a traverso e smembrar da esso le cittá di Parma e di Piacenza. Il che, come sanno l’Eccellenze Vostre, diede poi occasion a papa Paolo III di conceder esse [p. 6 modifica] due cittá al duca Pier Alvise suo figliol, come quelle che giá erano separade e divise dal Stado della Chiesa. Di questi luoghi del ducato di Ferrara sono cittá che hanno vescovadi: Ferrara, Comacchio, Modena e Rezo. E sono fortezze tenute con presidio: Modena e Rubiera per frontiera col duca di Fiorenza; Rezo col duca di Parma; Carpi per esser acquisto nuovo, che soleva esser de’ Pii; Bresselle per esser sul confin del Mantovan e del Cremonese; Ferrara, che è la principal cittá e fortezza e che, per il sito paludoso dove è posta e per i gagliardi fianchi e larga fossa che ha, è veramente molto forte, non è custodita, ed alle porte sono tenute alcune guardie che solamente l’aprano e serrano, ma è molto ben munita d’ogni sorte d’artillaria e d’ogn’altra monizion da guerra opportuna e necessaria.

I popoli di questo ducato, i quali sono le principal fortezze dei Stadi, come Vostre Eccellenze sanno, per esser cosí a esser governadi da questa casa d’Este, la quale ricognoscono per principe naturai, sono, per quanto si puoi cognoscere dalle demostrazioni esteriori, molto affezionati al suo principe, molto devoti e molto fedeli, se bene sono angarizzadi assai, principalmente i nobili, che sono gravati fra l’altre cose a far molte spese non tanto per publica utilitá ed ornamento (come a fare belle le strade della cittá, le qual veramente sono bellissime ma fatte tutte a spese de’ particolari, ed altre tal cose), quanto per pompa e per appetito del principe, essendo sforzati essi e le sue donne a comparir onoratamente e pomposamente alla corte: e nell’occasioni il duca, quando li par, manda alle case di questo e di quello le liste in che modo ed in che foza non solamente si debba vestir i patroni, ma ancora quanti servitori e con che livrea debba vestirli; e di qui nasce che le feste di Ferrara compariscono cosí onoratamente, perché le spese sono fatte a costo di molti particolari, ma con l’ordine e comandamento d’un solo, ch’è il signor duca.

Che entrada cavi il duca di questo suo Stado e di che cosa la cavi, è anche assai noto, potendo cavarne intorno a 200.000 ducati, i quali la maggior parte trazze dal minor luogo che abbi, che è Comacchio, d’anguille e sali; i qual sali non solamente [p. 7 modifica]smaltisce per il suo Stado, ma ne passa una buona quantitá nel Stado del duca di Mantova. Ed a questo proposito non voglio restar di dire alla Serenitá Vostra quello che ho inteso: che se avesse effetto la navigazion dell’Adige in Po, della qual s’ha qualche volta, per quanto intendo, parlato ragionevolmente, il duca di Mantova per sua commoditá e per suo benefizio si serviria de’ sali della Serenitá Vostra e non piú di quei di Comacchio; la qual navigazion, se si incamminasse, saria intesa molto mal volontieri da’ ferraresi, cosí per questo rispetto de’ sali, come perché molte mercanzie di lane, biave, vini, grani ed altre robbe, che la Lombardia dá e riceve da questa cittá, le qual convien adesso passar per il Stado di Ferrara e pagar grosse gabelle, prenderian quell’altro cammin. Di queste entrade vien detto, da quei che manezza le cose sue, che ’l puoi avanzarne circa 50.000 ducati all’anno; ed è veramente tegnudo da tutti principe ricchissimo e che per la parsimonia de’ suoi mazzori, e principalmente del suo avo, si ritrovi aver molti denari da banda; se bene il duca Ercule nell’ultima guerra, quando fu capitan generale della lega, togliesse molti denari ad interesse per fuggir l’invidia d’esser tenuto principe denaroso e per far credere che ’l non avesse quel tesoro che il mondo credeva. Ma certo, eccellentissimi signori, par che sia stato proprio e peculiar di questa casa d’usar ogn’industria e, per dir cosí, di voler cavar ogni avanzo dove che ha potuto, attendendo a molte cose forsi piú convenienti a un diligente padre di famiglia ed a privato economico che a principe di Stado. E fra l’altre non voglio restar di dirne una: ch’essendo io andato per veder la cittá ed avendo veduto i spalti ed i terrapieni delle muraglie, di baloardi e piazze medesime redutti tutti in giardini, dimandai di chi erano, e mi fu risposto che eran stati fatti d’ordine e per industria dei duchi; dei quali si cavava una buona utilitá.

In che cosa il duca spenda il restante di quest’entrada, nella stalla, nella caccia, nel piatto della duchessa ed in altro, saria superfluo e tedioso il contar particolarmente, ed un scordarmi di quel che ho detto avanti e del carico mio e mostrar di non [p. 8 modifica]avvedermi d’esser in questo eccellentissimo luogo. Nella milizia non ha molta spesa, perché non paga altro che 50 alabardieri, 25 svizzeri e 25 tedeschi e 50 cavalli leggieri per guardia della sua persona; i quali cavalli furono instituiti quando il signor Zuan Paulo Manfron tentò d’ammazzar il duca Ercole nel Barco. Altra spesa non fa in fantaria, se non in quelle che tien nelli presidi delle fortezze che ho nominato, che sono in tutto fanti 500, perché ne’ tempi di sospetto si prevai dell’ordinanze o, come le chiamano essi, «buttagie», che sono nel Stado di quel duca al numero di 8000 e de’ suoi feudatari al numero di 2000, fra le quali è elettissima gente quella del paese della Granfignana. In materia delle qual ordinanze ho avvertito che, oltra la descrizion delli contadini, che ha anche la Serenitá Vostra, ha un’altra descrizion di piú, pur d’ordinanze o «buttagie», d’uomini medesimi che abitano nelle cittá, li quali li tornano molto commodi, perché, a punto nel tempo che n’ha bisogno, li ha pronti. In cavalleria leggiera non fa altra spesa che nelli 50 leggieri c’ho detto. In uomini d’arme non ne fa nessuna, ma nel suo Stado ha molti sudditi e sono ben a cavallo e ben armati e anche assai ben disciplinati, dei quali pensa potersi servire in ogni bisogno. Onde li par aver pronta questa sorte di milizia a cavallo senza spesa, attendendo solamente con ogni studio ed artifizio di carezze e d’altri favori a procurar che essi suoi sudditi stiano ben in ordine di cavalli e d’armi. Si ragionava anche, nel tempo che son stato in Ferrara, che medesimamente senza spesa voleva instituir un’ordinanza di archibusieri a cavallo, dando licenza a quelli che volevano intrare in quest’ordinanza di poter portare gli archibugi a suo piacer.

Capi principali da guerra, de’ quali in occasion si potesse valer, sono il signor don Francesco suo barba, il signor Cornelio Bentivoglio ed il signor Guido suo fratello, i quali fratelli sono grandemente accarezzati dal duca, cosí per esser uomini di valor ed esperienza, come per esser restati soli della linea di quei Bentivogli che furono altre volte signori di Bologna, parendo al signor duca per questa via di tener in gelosia i papi. Oltre i quali personaggi e il conte Ercole dei Contrari, non ha [p. 9 modifica]al suo servizio né nel suo Stado persona né di molto credito né di gran stima.

Del duca, che è patron di questo Stado ed al quale io son sta’ mandato, mi par d’esser obligado a dir qualche cosa, cosí perché i Stadi, le ricchezze, la milizia e le forze sono piú e manco considerabili secondo la qualitá de’ principi che li comanda, come perché, essendo stato mandato principalmente per onorar, come rappresentante della Serenitá Vostra, quel matrimonio ed essendo principalissima parte d’esso matrimonio la persona del signor duca, ch’è il sposo, e della duchessa, che è la sposa, par che si convenga all’offizio mio dir alcuna cosa delle sue persone. Dell’etá, forma, grandezza, lineamenti ed altre si fatte particolaritá del signor duca non accade dir altro, essendo stato veduto piú d’una volta dall’Eccellenze Vostre, e non pur da esse ma da tutta questa cittá. Quanto alle altre qualitá, per quanto si vede, par che sia principe inclinato agli esercizi militari, i quali tutti, cosí a piè come a cavallo, li fa eccellentemente al par d’ogni soldato e cavalier consumato su le guerre. E quando io fui in Francia con la buona memoria del clarissimo signor Zan Cappello, al qual tempo il duca era ancor lui in Francia, era fama per quella corte che il duca non avesse pari in quel regno a combatter con tutte le sorti d’arme. Si dice che si diletta assai di distillati va e di lambichi, ne’ quali spende, per quanto si vede, buona parte del giorno e, per quanto si ragiona, anche buona stimma di denaro; ed oltra le cose dei metalli, si diletta di far acque ed ogli medicinali, dei quali ne dona ai principi, ed ultimamente ne portò a donar all’imperator suo cognato, quando fu a quella corte. Nella forma del governo si porta con molta sodisfazion di quei sudditi e con molta laude sua, volendo che la giustizia abbia il suo luogo e che le cose passino drittamente e secondo quel che convien a un buon principe; il che gli accresce la natural benevolenza ed affezion de’ sudditi.

Dell’inclinazion e disegni di questo duca e del suo animo verso altri principi non ardiria di poter dir d’aver in dieci giorni compreso cosa che fusse degna d’esser narrata in quest’eccellentissimo luogo, perché le non ha cosa piú diffidi, anche in [p. 10 modifica]longhissimo tempo, che far giudizio di questa parte cosí intrinseca e cosí secreta come è l’animo nostro; è poi veramente impossibile che ne debba con fondamento giudicar chi ha avuto cosí poca occasion, come ho avuto io che son stato a quel principe si poco tempo. Quelle cognizioni o rason, per le quali si puoi descriver che sia piú tosto d’un animo che d’un altro, sono poi molto piú note ad ognuna dell’Eccellenze Vostre che a me: come è che, essendo nato il duca d’una francese, essendo stato allevato in Francia, avendo una sorella maritata in quel regno nel duca di Ghisa, e per l’interesse della grossa summa di denari che ha con quella corona, ed essendo figliol d’un padre che fu capitanio d’una lega fatta principalmente contro il re di Spagna, debba esser inclinato alle cose della Francia piú tosto che ad altro principe. Quella disposizion, che posson aver introdotto queste nozze nel suo animo e questo parentado nuovo fatto con l’imperator, medesimamente può esser conosciuta dall’Eccellenze Vostre. Questo è ben vero: che il duca si tien d’esser molto amato dalla cesarea Maestá e spera d’averne ogni favor in ogni tempo, facendo gran caso e tenendo gran memoria delle demostrazion estraordinarie che gli furono fatte dall’imperator quando fu a quella corte, ed avendo auto per gran favore questa nuova demostrazione dell’esserli commesso la causa del marchese del Final, tolta dal giudizio del duca di Savoia.

Col duca di Fiorenza chiara cosa è che non s’intende molto ben, perché oltra la materia della «precedenza», che è grandissima causa di tenerli discordi e disuniti (non volendo il duca di Ferrara ceder a quel di Fiorenza, con dire che, se bene cedeva il luogo alla republica di Fiorenza, non vuol però cederlo al duca, poiché quella non è piú republica come era ed il duca ha recuperato quel governo; e dicendo all’incontro il duca di Fiorenza che, se bene è mutata la forma del governo, non è però mutata la grandezza del Stado, allegando l’essempio della republica romana, la quale, se bene fu occupata dall’imperatori, niente di meno conservò in essi imperatori la medesima grandezza ch’era nel tempo ch’ella era republica), vi sono anco altre cause che mantien fra di loro disunion e disparer. E fra l’altre [p. 11 modifica]è principal: ch’essendo tutti due principi grandi in Italia, ognun di loro procura di superar e parer maggior dell’altro; il che non puoi esser senza emulazion e per conseguenza senza gara ed inimistá dell’un con l’altro. S’aggiunge a queste cause Tesser confinanti tra di loro; il che suol esser causa, come usano, di discordia non solamente fra un principe e l’altro, ma fra le particolar persone il piú delle volte. E se bene al presente questi due duchi si sono congiunti insieme di parentado con aver tolto due sorelle, niente di meno par che non solamente questi matrimoni non siano stati causa d’unirli, ma abbino dato qualche occasione di nuova discordia e nuovi disturbi con continuar la poca buona intelligenza che hanno insieme: perché, nel consegnar a Trento le principesse ai commessi dell’uno e dell’altro di questi principi, ognuno voleva esser il primo a ricever la sua, e ne furono diversi rumori; ma alla fine quella del duca di Ferrara, o per esser sorella di maggior etá, o per esser questa data a un duca, quella a un principe, o per esser cosí voler ed ordine dell’imperator, fu la prima consegnata e la prima a venir a Mantova. Ove, essendo giunte tutte due, in diversi ornamenti fatti alle porte de’ palazzi, come si suol fare in queste occasioni d’allegrezze e d’onori, erano state messe Tarme della casa d’Austria e di questi principi con questi ordini: che Tarma della casa d’Austria era in mezzo, quella di Ferrara alla banda destra, quella di Fiorenza alla sinistra. Del che essendosi doluta assai la principessa di Fiorenza ed altri ch’erano con lei. li fu risposto che il duca di Mantova aveva ordinato cosí per non far pregiudizio a se medesimo, pretendendo d’aver le medesime ragioni di precedenza col duca di Fiorenza, che aveva il duca di Ferrara. Talmente che nel passar che fece poi la duchessa di Fiorenza per il Stado di Ferrara, la qual strada necessariamente convenne fare, se bene erano state fatte molte e gran preparazion per riceverla ed onorarla e se bene il signor don Francesco, bontá del duca, era andato a incontrarla per nome del duca ai confini; niente di manco, non solamente non volse alloggiar sul Stado del duca di Ferrara, ma non volse in quel Stado pur fermarsi e mangiar boccone. Del che il duca di Ferrara [p. 12 modifica]se n’ha doluto grandemente ed apertamente. Queste disunion e dispareri fra il duca di Ferrara e di Fiorenza sono in un certo modo nutrite e fomentate assai per causa dei lucchesi, che sono confinanti col Stado dell’uno e dell’altro di questi principi. I quali lucchesi si sforzano con ogni mezzo e con ogni offizio di tenersi amico e benevolo esso duca di Ferrara, perché, dubitando che ’l duca di Fiorenza un giorno non voglia impatronirsi di quella cittá, come ha fatto di Pisa e di Siena, sperano che questo duca debba aiutarli; cosí per esserli confinanti ed in confini ove il duca di Ferrara ha cosí bella e principal parte del suo Stado, come è la Grafignana, la qual per non aver alcuna fortezza resteria aperta ed in poter del duca di Fiorenza, se fusse patron di Lucca; come che, per esser questa gara ed emulazione fra l’un duca e l’altro, credono che il duca di Ferrara non potrá mai vedere volentieri che Fiorenza s’aggrandisca tanto, e massime in quella parte. Per questo rispetto e per questo timor i lucchesi, come ho detto, non lasciano indietro alcun offizio col quale si possino far grati a questo duca, e sopportano anche qualche volta pazientemente qualche ingiuria che li sia fatta, come fu quella che fu fatta al suo ambasciatore due giorni prima che io giongessi in Ferrara, che fu questa: che trovandosi a una ceremonia gli ambasciatori di Polonia, di Fiorenza e di Lucca e sentando questi tre uno appresso l’altro, sopragiunse l’ambasciator d’Urbino, il quale, se bene v’era un’altra sedia vuota appresso di quelle, non volse sentare, dolendosi che l’ambasciatore di Lucca gli avesse tolto il suo luogo. Il che essendogli inteso, venne uno, che aveva il carico della ceremonia, e fece levar l’ambasciator di Lucca e dar luogo a quel d’Urbino, se ben questo paresse assai grave all’ambasciator di Lucca, il quale afferma che il suo luogo doveva esser stato avanti quel di Urbino. Ha però voluto dissimularlo e non è restato dopoi per venir sempre a tutte l’altre ceremonie, dando sempre luogo all’ambasciator d’Urbino.

Ch’animo abbia questo duca verso la Serenitá Vostra, credo che, tenendolo per principe savio, come vien tenuto, e di buon discorso, si debbi presupponer che sia bonissimo, potendo esso [p. 13 modifica]conoscer molto ben a quant’onor, reputazion o sicurezza che puoi tornar l’amicizia e la benevolenza di questo Stado, e per conseguenza dovendo lui aver buon animo verso d’essa. Nelle parole veramente ed in ogni demostrazione esterior si mostra affezionatissimo a quest’eccellentissimo dominio, ed ha usato a me in particolar, come rappresentante suo. in questa occasion tutti quei termini d’accoglienza e d’onor che si potevano desiderar, avendomi mandato ad incontrare da due de’ primi e rimandati, avendomi ricevuto con parole affettuosissime i suoi vecchi e, fra significazion d’una figliai riverenza verso Vostra Serenitá e Vostre Eccellenze, le qual chiama tutti suoi padri, avendomi accarezzato con ogni sorte di favori ed intertenimenti: con farmi metter all’ordine un de’ principali palazzi de’ ferraresi, col mandarmi il piatto di molte cose, però ordinarie e piú necessarie, col farmi tener di continuo compagnia dai primi delli suoi, e finalmente col venirmi a visitar alla mia stanza, si come ho significato alla Serenitá Vostra; il qual atto è stato tanto piú stimato quanto che l’ha fama d’esser molto altiero. E non solamente ha usato verso di me, rappresentante della Serenitá Vostra, queste demostrazioni; ma verso tutti li nostri gentiluomini, che molti se ne trovavano in Ferrara, ha usato ogni sorte di cortesia e di favori, avendo dato ordini alli suoi alabardieri ed altri, che avevano carico delle porte, che li nostri fussero lasciati intrar non solamente a tutte le feste e trattenimenti publici, ma in tutte le stanze del palazzo e nelle piú secrete camere; di modo che li molti gentiluomini forastieri e li ferraresi medesimi, per aver modo d’intrar, dicevano molte volte ai lanzi d’esser gentiluomini veneziani. E certo in questa parte non si poteva desiderare piú di quel che s’ha avuto. E questo è quanto m’occorre dir della persona del signor duca.

La sposa veramente, ch’è la duchessa, è d’anni 26, essendo nata del 1539 l’undecima in ordine delli 15 figliuoli fra maschi e femine ch’ebbe l’imperator Ferdinando. Ha nome Barbara, è piú tosto brutta che bella, perché è picciola, magra, pallida ed ha il labbro di sotto piegado in fuori, il quale è cosa natural e ordinaria di quei di casa d’Austria. Ma quanto son minori [p. 14 modifica]le bellezze del corpo, tanto par che siano maggior quelle dell’animo, avendo fama d’esser molto prudente e molto savia e d’aver compagnato con queste virtú la religione per loro compimento. Essendo veramente religiosissima e devota, suol udir fra l’altre cose tre messe ogni giorno: una, per quanto si dice, per l’anima del padre, una per quella della madre ed una per se medesima. È tenuta molto umana e molto gentile, e in questo poco tempo che è stata in Ferrara occorse un accidente che ha dato gran saggio della sua umanitá e gentilezza, che fu questo: che, trovandosi, il giorno che la fece l’intrata, nella sua anticamera quasi tutte le principal gentildonne ferraresi per accompagnarla, a una d’esse ch’era gravida venne fastidio; il che avendo inteso Sua Altezza, venne subito fuora delle sue stanze e volse essa esser quella che l’aiutasse e, per dir cosí, la servisse con amorevolezza e caritá da sorella; il qual atto ebbe gran forza a guadagnarli l’animo non pur di tutte quelle gentildonne ma di tutta la cittá di Ferrara. La qual cittá, avendo avuto quattro duchesse una dietro l’altra di diverse nazioni: una spagnuola di casa Borgia, che fu moglie al duca Alfonso avo di questo duca; l’altra francese, figlia del re Luigi, madre di questo duca, che tuttavia vive in Francia; la terza italiana, che fu la prima sua consorte, figlia del duca di Fiorenza; e questa quarta tedesca di nazion; par che si compiaccia assai, avendo dato speranza di dover essere una gentilissima principessa. Questa, per quanto è fama, ha dato di dote 100.000 fiorini; ma io so che il duca n’ha avuto una poca quantitá, e quella poca quasi tutta in gioie. Anzi par che abbi dato esso duca per questo matrimonio in prestito all’imperatore 60.000 ducati con utile di cinque per cento a ragion d’anno. E nel contratto esso duca s’ha obligato a darli mille scudi al mese per il suo piatto, li quali abbino a restarli anche in caso della morte d’esso suo marito; ed il giorno doppo consumato il matrimonio, ha Sua Altezza fatto un instrumento in presenza d’uno mandato a posta, che aveva il mandato e la commission dell’imperator, per il qual ha renunciato a ogni sorte di pretension ed ereditá, e massime a ogni ragion che potesse avere nel regno d’Ongaria, per [p. 15 modifica]conto della madre. E con questo contratto si sono concluse le nozze ed il matrimonio, la celebrazion del quale ha procurato quel signor duca d’onorar con tutte quelle sorti di feste e d’onori che ha potuto. Tra le quali bellissima veramente fu l’ultima che fu fatta, perché aveva unite insieme tutte quelle parti, ognuna delle quali suol far bella una festa, essendo la musica e l’apparato delle prospettive cosa meravigliosa, le qual in diverse occasioni s’andavano mutando e variando; talmente che quel che prima era fatto in forma di palazzo, in un subito che l’uomo non s’accorgeva, diventava una montagna e poi una nuvola, una loggia e poi un’altra cosa, certo con bellissimo modo. Fu insieme allora combattuto a cavallo col stocco da cento cavalieri e da altre genti a piè, prima con la picca e poi col stocco, e tutti comparivano con livree molto ricche. Ma la principal bellezza di quella festa fu la cosa de’ fuochi; perché, oltra che il luogo dove fu fatta, ed era discoverto, era alluminato da piú di mille torci, i fuochi artificiati erano tanti e di tante sorti e con cosí bei effetti, ch’era un stupor a vederli, nei qual fuochi fu usata arte e spesa grande; e perché non avevano quel cattivo odor che i puoi aver e furono cosí ben accesi e governati che non fecero dispiacer a nissun.

Ma nel corso de’ sollazzi e delle feste ecco la nuova della morte del papa, la qual interruppe ogni cosa. È vero che fu inteso con piacer di quel duca, essendo poca buona intelligenza fra Sua Santitá e Sua Eccellenza, perché, si come ha inteso li mesi passati la Serenitá Vostra, li erano state levate due difficultá, che sono state quasi causa d’accender fuoco in Italia: una dei confini verso il Bolognese, l’altra dei sali che il duca fa a Comacchio. E se bene queste difficultá tuttavia s’andavano componendo (quella dei sali a Roma, dove li libri di quei conti erano stati mandati; quella dei confini a Ferrara, perché il Cardinal di Vercelli aveva avuto ordine d’assettarla) e se bene a Ferrara si dice che il duca n’averia piú presto avanzato, niente di manco la morte del papa per adesso ha sopito questa materia e Dio sa quando da altro pontefice saranno cercati questi conti! E per questa causa né anche io non ne dirò altro alla Serenitá Vostra. [p. 16 modifica]

Ora, essendosi intesa in Ferrara questa morte, i pensieri del duca e della corte, ch’erano intenti alle feste e bagordi, si rivolsero tutti alle cose di Roma e del papa futuro; il qual pensiero li preme veramente assai per piú ragion. Perché, oltre che il ducato di Ferrara, come feudo della Chiesa, dipende ordinariamente dalla volontá de’ papi, credendosi per il vero che quasi tutti i travagli che ha avuto quel Stado li ha avuti dai pontefici, s’aggiunge al presente due nuovi rispetti che fanno esser questo negozio piú dell’ordinario importante: uno il disegno di far papa il Cardinal di Ferrara, barba del duca; l’altro l’impedir che il duca di Fiorenza non facci lui il papa. Quanto al primo spera il duca di Ferrara, per quello che n’ho potuto intender da buona banda, che da l’imperator debbi esser prestato ogni favore al cardinale di Ferrara per suo rispetto, vedendosi il conto e li onori che fa Sua Altezza cesarea del duca, quando fu a quella corte, che 1 ’Eccellenze Vostre hanno inteso dalle lettere del suo clarissimo ambasciatore.

Da Francia non dubitano che il Cardinal di Ferrara averá ogni favor, perché ha sempre particolarmente favorito quella corte e tuttavia è protettore del regno. Accresce assai queste speranze Tesser mancati ultimamente due gran cardinali, uno emulo, l’altro apertamente nemico del Cardinal di Ferrara. II primo è il Cardinal di Mantova, il quale, perché era Cardinal vecchio, di sangue nobilissimo, uomo di gran valore ed ultimamente benemerito della Sede apostolica per il concilio, non è dubbio che se vivesse daria molti impedimenti a’ suoi disegni. Ma, quello che piú importa, v’era il Cardinal di Carpi, il qual, oltre che era cardinale grande e reputato uno dei principali della corte, era aperto nemico della casa d’Este per causa del suo Stado: perché, come sanno l’Eccellenze Vostre, il Stado di Carpi, che adesso è una delle principal parti del ducato di Ferrara, era di due germani de’ Pii, un de’ quali vendè la sua parte al duca; e desiderando il duca d’aver l’altra parte, ch’era del signor Tonello, padre del cardinale, se bene, per quel che si dice, li offeriva ricompensa in altro luogo, però loro mai gliela volsero concedere per volontá. Si che il duca adesso [p. 17 modifica]gode l’una e l’altra parte, e questi signori di Carpi non hanno niente; onde il cardinale di Carpi aveva giusta causa d’esser nemico a questa casa. Questi sono li rispetti per li quali i ferraresi sperano assai; e so io, per quanto ho inteso da buona banda, che il Cardinal di Ferrara era risoluto d’entrare in conclave con animo di non ceder, anzi di tirar in lungo piú che fusse possibile, perché s’ha doluto di se medesimo che l’altre sede vacanti troppo facilmente abbi cesso. Ma quando non riesca a far papa il Cardinal di Ferrara, il duca attenderá con ogni suo potere a impedir che il duca di Fiorenza non lo facci lui, per l’emulazion che hanno insieme e per i rispetti di Stado. Ed a me in confidenza ha detto uno de’ principali consiglieri del signor duca, e forse d’ordine di Sua Eccellenza acciò lo riferisca all’Eccellenze Vostre, che, per quei che amano e desiderano la pace e la quiete d’Italia non fa che il duca di Fiorenza facci il papa, perché giá si vede che quel duca ha spiriti alti e pensieri regi, e non è dubbio che disegna a cose grandi, e facilmente potrá dar effetto a’ suoi pensieri se continuasse ad aver papi fatti a sua voglia; oltre che si poteva reputar che quella Sede si facesse ereditaria dei voleri de’ duchi di Fiorenza, perché faria far cardinali suoi confidenti, che sempre fariano papa chi piacesse a lui. E se ben passano rispetti cosí grandi e cosí importanti fra un principe e l’altro, ognun di loro però si sforza di crederli e persuadere il contrario all’altro; e per quell’effetto il Cardinal d’Este fratello del duca, come ho scritto all’Eccellenze Vostre, nell’andar a Roma s’aveva però deliberato far altra strada per quiete del Cardinal: ha fatto la strada di Fiorenza per farsi l’animo di quel duca, se non frustatorio, almanco non contrario. Ed essendosi ritrovato col duca di Ferrara l’ambasciator del duca di Fiorenza, che sta ordinariamente a Ferrara, come lui medesimo m’ha referito, s’ha sforzato di persuaderli che il suo duca non saria contrario al desiderio del Cardinal di Ferrara, perché l’ama e stima assai, come lo mostrò quando il cardinale era al governo di Siena per armi del re di Francia, nel qual tempo il duca di Fiorenza gli fece ogni commoditá e cortesia. [p. 18 modifica]

Ora dunque, essendosi col principio di questi disegni e con questi negozi terminati tutti gli apparecchi e segni di nozze, per l’occasion de’ quali io era stato mandato dalla Serenitá Vostra, mi parse di prender combiado da Sua Eccellenza e da Sua Altezza, si come feci, cercando di lasciare nell’uno e nell’altra impressa opinion che la Serenitá Vostra li amava come carissimi ed onestissimi figlioli: quel signor duca per esser di quella casa e di quel Stado che aveva per ereditá l’amor e la benevolenza di Vostra Serenitá, Sua Altezza per esser sorella della Maestá cesarea, alla quale era portata grandissima reverenza da questo eccellentissimo dominio, e per esser consorte d’un carissimo suo figliolo, come era il signor duca; diffondendomi nelle laudi dell’uno e dell’altro e cercando di farli conoscere che, cosí come le loro onorate condizioni li facevano degni di laude e di gloria appresso ognuno, cosí li facevano dignissimi dell’amor della Serenitá Vostra, la quale altrettanto li amava e li stimava per questa causa, quanto lo faceva per aver quelle altrettante cause d’amore e di cognizione con loro.

E perché, oltre l’offizio d’intervenire alle nozze di quel signor duca, piacque all’Eccellenze Vostre di commettermi che procurassi con Sua Eccellenza che fusse deputado un giorno fermo, nel quale i giudici eletti nella causa dell’Abbadia con li conti Contrari si ritrovassero sopra il luogo per dar fine a quella differenza, essendo conveniente che ormai quella causa, che è veramente di molt’importanza, dopo tanto tempo sia esaminata, ho ricercato con la maggior diligenza che ho potuto, ed ho concluso che il termine fermo sia per gli 8 del mese che vien, si come ho riverentemente significato per mie lettere all’Eccellenze Vostre. Il qual termine m’è parso al presente che si potesse avere, essendo allora cosí vicine le feste e dovendosi far intender al magnifico signor cavalier Chizuola, giudice eletto per la parte della Serenitá Vostra, il quale si ritrova in Brescia, per dargli tempo di venir. In questo proposito, ragionando con l’eccellentissimo monsignor Paulo Lion, consiglier di Sua Eccellenza, mi fu detto da lui molte cose, per le qual mi parse comprender che i conti Contrari ed anco il signor duca avevan [p. 19 modifica]molto piacere che quella lite si componesse con qualche accordo; il che ho giudicato che sia ben che la Serenitá Vostra intenda, a ciò che, se fusse proposto qualche accordo, la sappia che, avendo lui questo desiderio d’accordarla, è segno che la si potria finir con avvantaggio della lite.

In quest’occasioni di nozze si son trovati in Ferrara quattro cardinali, cioè il cardinale di Vercelli legato, mandato dal papa, il cardinale di Correggio, il Cardinal Madruccio, che era legato al concilio, ed il cardinale d’Este fratello del duca, d’anni 26, giovine di gran spirito, il quale non si sazia, perché, non avendo il duca figlioli, il ducato perveniria in lui. Si ritrovava anche il duca e la duchessa di Mantova, don Cesare e don Ottavio Gonzaghi figlioli del signor don Ferrante, il signor Vespasian Gonzaga, il quale è cognato del duca per la moglie, l’ambasciatore del re di Polonia, di Fiorenza, d’Urbino e di Lucca, ed altri personaggi; fra li quali tutti ho avuto sempre quel luogo che si convien alla dignitá della Serenitá Vostra, perché nelle ceremonie imediate dopo li cardinali era l’ambasciatore del re di Polonia e poi io. Dalli qual tutti ambasciatori sono stato visitato, eccetto che da quello d’Urbino, e non so per qual causa; e all’incontro io non ho mancato di corrisponder di quelli offizi che ho giudicato esser conformi al voler e all’intenzione della Serenitá Vostra.

Nelle qual visite sono sempre stato accompagnato da tutti i nostri gentiluomini che si trovavan in Ferrara, ch’erano piú di 60, i quali nella persona hanno molto onorato la Serenitá Vostra.

Nell’altre cose io ho cercato di rappresentare la persona di rappresentante della Serenitá Vostra in quel modo e con quella onorevolezza che ho creduto convenirsi al debito mio e di casa mia con l’Eccellenze Vostre, il quale è tanto che, quando ben superasse le forze mie per servirla ben ed onoratamente, saria però sempre molto manco di quel che conosco esser obligato alla bontá ed alla liberalitá dimostrata dall’Eccellenze Vostre in ogni tempo verso de’ miei e ultimamente verso la mia persona senza nessun mio merito. Ho fatto poco in quest’occasion, perché poco m’è stato comandato dalla Serenitá Vostra; [p. 20 modifica]son prontissimo a far molto piú se le piacerá di comandarmi, promettendogli di me in ogn’occasion, quanto aspetta a buon animo e buona volontá, tutto quello che si può aspettar da un che si confessa cosí grandemente obligato alla Serenitá Vostra come mi conosco io.

Alla virtú, suftícenza e bontá di messer Francesco Vianello, mio secretario, faria torto se non lo commendassi in questo mio offizio all’Eccellenze Vostre; si come parlandone con molte parole faria torto al testimonio e relazion del clarissimo messer Giacomo Soranzo, la qual essendo stata, per quanto intendo, cosí onorata della sua persona e cosí fresca nella memoria di Vostre Eccellenze, ed avendone parlato per la prova e per l’esperienza di tanto tempo quanto è stata un’intiera ambasciaria di Roma, mi par di non poter dir cosa che sia in maggior sua laude, che raccontar ora il medesimo, laudando sommamente il prudentissimo giudizio di quel clarissimo senator. Affermo ben a Vostra Serenitá che, quando Ella non n’avesse cosí grand’informazione di lui per quella via, io non mi sentirei mai stanco laudarlo e raccomandarlo alla Serenitá Vostra, si come giá molto tempo conosco, ed in questo ambasciaria mi son confirmato, che esso merita, avendo qualitá veramente dignissime d’un suo onoratissimo ministro.