S'io sapessi formar quanto son belli

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Fazio degli Uberti

XIV secolo Indice:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu canzoni Letteratura S'io sapessi formar quanto son belli Intestazione 2 settembre 2021 100% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Fazio degli Uberti


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     S’io sapessi formar quanto son belli
Gli occhi di questa donna onesti e vaghi,
Amor, quando ’l cor piaghi,
Per dolci bramerei i colpi amari;
E canterei con versi tanto chiari,5
Che non che i nostri cor ma que’ de’ draghi
Farei udendo appaghi
E per le selve innamorar gli uccelli,
E non suonâr con più diletto quelli
D’Anfïone co’ quai movea le pietre,10
Nè di Mercurio a chiuder gli occhi d’Argo
(Deh! nota ciò ch’io spargo).
Nè contra Marzia d’Apollo le cetre,
Che e’ miei, Amor; s’io avessi savere,
Quant’hanno in lor piacere,15
Ond’io a te che puoi e di cui sono
A giunte man domando questo dono.
     Come per primavera innanzi il giorno
Ride Dïana nell’aere serena
D’una luce sì piena20
Che par che ne risplenda tutto ’l cielo:
Così all’ombra del candido velo,

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Dove la tua virtù raggia e balena,
Ride un piacer che a pena
Si puote imaginar quanto è adorno.
I’ penso ben, quando mi giro intorno25
Per veder lei ch’i’ cerco, di Medusa
Che trasformava i corpi umani in sasso.
Or qui che poss’io, lasso?
La sua beltà e ’l tuo poter mi scusa
E la virtù del ciel che a ciò mi tira;30
Che, sì come si gira
L’ago alla calamita per natura,
Mi giro e volgo ov’è la sua figura.
     Io guardo alcuna volta dentro al sole,
Imaginando di voler vedere35
Là dove ha più potere
O in lui o nel bel volto ch’io ragiono.
Poi tanto vinto e soperchiato sono
Da quella in cui s’avviva il mio piacere,
Che del folle volere40
Rido fra me, com’uom d’altrui far suole;
E dico — E’ son parole
Che cosa che si veggia l’assomigli,
Se non come Erigon face Attalante. —
Or, s’io muto sembiante45
Per mirar lei di sotto a’ suo’ bei cigli,
Come Atteon per riguardar Dïana
Nella chiara fontana,
Meraviglia non è nè parer dee;
Perch’ella è sola il sol dell’altre dee.55
     Dico tra’ pensier miei ad ora ad ora
— O Giove mio, quanto fosti felice,
Quando, come si dice,
Rapisti Europa e conducesti altrove!
Deh perchè non fai me, come te, bove!55
Ch’i’ potessi rubar questa fenice,
Ch’è proprio la radice
Della mia vita e della morte ancora. —
Dopo sì bel pensier vien l’altro allora,
Sì come Paris diede il pomo d’oro60
A colei che gli fe grazia d’Elèna:

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E qui con voglia piena
Piego le braccia in croce e quella adoro,
Chiamando — O luce o stella del mio nome,
65Non che donarti un pome
Ma, se mio fosse ’l mondo, i’ tel darei,
Per acquistar da te l’amor di lei. —
     Con questo pensier vago e pellegrino,
In el centro del cor l’alma si chiava:
70E chi non me ne cava,
Nïente m’è passar vespro e le squille.
Qui mi sovvien del contemplar d’Achille,
Quando nel tempio de’ Troiani stava,
Dove colei mirava
75Che fu cagion al fin del suo cammino.
Amor, che poss’io dir del mio destino,
Se non ch’esser mi par quel lïocorno
Che ’n grembo alla donzella è preso e morto?
E perchè ’l tempo è corto,
80Come a signor nelle tue braccia torno;
Che scolpir facci in su la tomba mia,
Se questo avvien che sia,
Dopo il mio nome — Qui giace colui
Che amando è morto; — e non dira’ per cui.
85     Sai tu, caro signor, perch’io non voglio
Il nome suo su la mia sepoltura?
Poi che io ho paura
Che segnata non fosse per crudele.
Chè tu sai ben ch’ell’è senz’alcun fele,
90Nè io la ’ncolpo di mia morte scura;
Chè, s’ella è bella e pura,
Degli occhi miei e non di lei mi doglio.
Poi non vorrìa che prendesse cordoglio,
Se mai leggesse che la sua beltate
95Fosse stata cagion de la mia morte;
Chè turberebbe forte;
Chè cor gentil non è senza pietate.
E ciò sarebbe all’alma mia gran pianto.
Se scolorasse alquanto;
100Come colei che dopo morte spera
Di tornarla a veder dov’ella è vera.

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     Canzon, quando sarai nel dolce loco
Dove tu vai, farai che sì t’avanzi,
Ch’entri dirianzi a ogni tua sorella:
105Poi con pulita e soave favella
Dirai — O più che stella,
I’ fui per voi creata in un boschetto
Sopra bei fiori all’ombra d’una spina,
Tra l’alpe e la marina
110Dove la Magra fa suo corso e letto.
E dissemi colui da cui io vegno
— Così grida per segno,
Se vuoi ch’ella conosca che se’ sua
E che die fede alla parola tua. —


(Pubblicata, monca e scorretta, da F. Trucchi in Serventese e Poesie liriche di F. degli Uberti; Firenze, Benelli, 1841; da noi compiuta ed emendata sui codd. ricc. 1050-1100.)