Saggio di racconti/IX
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RACCONTO IX.
Anticamente viveva in Padova un dotto e virtuoso italiano, chiamato Gasperino Barzizza1, il quale benchè nato povero aveva saputo liberarsi dalla miseria ed arrivare a vivere onoratamente, insegnando le lingue greca e latina ed anche la filosofia ai giovani che in gran numero accorrevano alle sue lezioni. I buoni costumi, le maniere cortesi e il sapere valgono più delle ricchezze, e invogliano di noi le persone. Infatti i cittadini di Bologna, di Pavia, di Piacenza, di Milano, chiamarono il Barzizza nelle loro università, ossia in quelle pubbliche scuole ove i giovani studiano le scienze umane2.
Ma a lui piacque trattenersi più lungo tempo in Padova o per gratitudine verso quel cittadini che l’onoravano molto, o per aver trovato più opportune il luogo all’educazione della famiglia.
Già in Pavia gli era nato (nel 1400) il primogenito Guiniforte, fanciullino pieno di bontà, di cuore e d’ingegno e amantissimo dello studio. Sicchè fino dalla prima infanzia dava a conoscere che a suo tempo avrebbe saputo emulare la riputazione del padre.
Ora accadde che nella medesima città di Padova morì Jacopo fratello di Gasperino, e lasciò otto piccoli figliuoli senza madre e senza mezzi di sussistenza. Ahimè! che sventura! quanti orfani e in quali tempi! Appunto allora quasi tutta Italia era travagliata dalle guerre e dalle discordie, e la maggior parte dei cittadini stavano in grande ansietà per amore delle proprie famiglie, o accorrevano a guerreggiare in difesa della patria, o erano dominati dai partiti; sicchè nessuno poteva pigliarsi cura dei poveri fanciullini rimasti senza genitori, nè si trovavano come ora Asili di carità o luoghi di educazione per gl’indigenti; ma Gasperino, benchè durasse fatica a mantenere la propria famiglia, ebbe compassione di quelle otto creature, e non indugiò a raccoglierle tutte in casa sua. Chi di noi non vorrebbe assistere un misero orfanello? Siamo in dovere di soccorrere gl’infelici, e i più deboli soprattutto. Ma quelli erano otto! e il caritatevole zio sapeva che per mantener loro avrebbe dovuto far sopportare molte privazioni alla sua famiglia. Nonostante accompagnato dalla moglie e da Guiniforte, pieni di carità come lui, andò a’ nipotini che si struggevano in pianto, e cominciò a consolarli. Poi ne prese uno in collo e due per mano, dette gli altri a condurre alla moglie e al figliuolo, e dicendo loro: venite, venite, vi faremo noi da babbo e da mamma, gli raccolse nella propria casa. La vista di quegl’innocenti afflitti e l’amorevolezza dei loro benefattori erano cose, da intenerire; e Guiniforte animato dall’esempio dei genitori, cominciò dal privarsi del proprio letto, e si ridusse volentieri a dormire su di un semplice strapunto disteso in terra. Poi volle che una parte delle sue vesti servisse a coprir meglio i cugini; ed egli si contentò di averle più ordinarie, perchè costassero meno. Rinunziò ad ogni cibo che non fosse necessario da quanto il pane; e tutto il tempo che suo padre gli concedeva per ricrearsi, volle adoperare nell’istruire i più grandicelli in quelle cose che già aveva bene imparate.
Gasperino potè sulle prime reggere il peso di una famiglia sì numerosa; ma crescendo l’età dei figliuoli e dei nipoti, crescevano anche i bisogni; e le continue guerre e le gravi discordie facevano più dispendioso il vivere. Ma bastava che quel padre amoroso desse un’occhiata a coloro che non avevano altra salvezza che in lui, perchè si sentisse rinvigorire le forze; e quando era alla vigilia di non aver più mezzo per isfamarli, levava di casa ora un mobile inutile, ora si toglieva di dosso una veste per mutarne il valore in tanto pane. Alla fine anche i mobili, anche le vesti mancarono, e la fortuna gli si manteneva sempre nemica. Tuttavia era determinato a non abbandonare nessuno; e sempre ilare in mezzo alla famiglia si studiava anche di nasconderle il proprio stato, nel tempo che non sapeva a che partito appigliarsi per migliorarlo. Se avesse voluto andare attorno mendicando aiuti, o corteggiare i facoltosi e i grandi adulando e servendo alle mire dell’ambizione, avrebbe forse trovato il mezzo di riscattarsi dall’indigenza; ma sdegnava ogni guadagno che non venisse da onorati sudori, nè voleva dipendere dai capricci degli stolti o dei viziosi.
In quel tempo non era stata ancora inventata la stampa3, e i libri per istudiare erano manoscritti; quindi costavano molto, e spesso era difficile trovar da comprarli; e chi ne aveva dei più rari e dei copiati con esattezza poteva proprio far conto di possedere un tesoro.
Gasperino era provvisto delle opere principali necessarie all’esercizio della sua professione; in esse consisteva il solo suo patrimonio; esse formavano l’ultima speranza di salvezza.
Una mattina Guiniforte, andato nella stanza del padre a domandargli alcune cose relative ai suoi studi, quando fu sulla soglia vide uscirne un uomo che aveva sotto braccio uno di quei manoscritti, e trovò il padre ritto accanto alla tavola con le mani incrociate sul petto, guardando con aria di compassione certe poche monete sparse sul banco dello scaffale; e lo scaffale era già quasi vuoto! Alla vista del figliuolo, Gasperino cercò di nascondere l’afflizione e di accoglierlo lietamente; ma Guiniforte, che s’era accorto già della cosa, esclamò: «Ah! padre mio! ecco; quello che io temeva e seguito. Per amor nostro tu perdi questi pregevoli manoscritti che ti sono costati tante fatiche, questi cari compagni della tua gioventù. Ah! perchè non son io più grande e già capace di guadagnare per risparmiarti tanto dolore!» e sospirava battendosi la fronte. «No, figlio mio, rispondeva il padre, non te ne affliggere; io me ne privo con piacere, perchè da essi ricavo il mezzo di mantenervi per molti giorni. Sono più lieto pensando che non patirete la fame, che se vedessi i miei manoscritti nel loro posto.» — «Lo credo, sì, soggiunse Guiniforte; ma io mi rammento di quando tu me ne parlavi con tanto affetto, e dicevi che erano i tuoi amici, la tua consolazione, che non avresti potuto stare un giorno senza i diletti che da essi ne ricavavi.» — «Sì, continuò il padre con tranquillità e con dolcezza, sì, l’ho detto, ma io sono anche marito e padre; i primi amici, la maggior consolazione di un padre di famiglia sono e la moglie e i figliuoli, ed egli deve dare ogni cosa, la stessa vita, per la loro salvezza. Quindi quei manoscritti m’hanno reso ora il servigio più grande ch’io ne potessi sperare, perchè mi salvano anche l’onore. Non avrei potuto serbarli senza avvilirmi a chieder l’elemosina od a cercare il favore dei grandi. Ma ora questo denaro che pur esso fu un tempo il frutto dei miei lavori mantiene me indipendente, e a te non da altro protettore che il padre tuo. Figlio mio, son lieto, perchè son libero, perchè il sudore della mia fronte rimarrà onorato; e se questo sudore non basterà ai bisogni di una famiglia numerosa, vedi, ecco qui altri manoscritti che potranno aiutarci per lungo tempo. Del resto, confortati, i più pregevoli ci son sempre; e forse rimarranno; sennò saranno gli ultimi ad esser venduti; e dopo essi Dio mi provvederà in altro modo. Del resto ho speranza che le presenti calamità dell’Italia abbiano a diminuire; ed allora le mie fatiche avranno ricompensa migliore. Mi dispiaceva che tu avessi potuto scoprire questo segreto; ma oramai ne son contento perchè così metterò a prova le forze della tua anima; imparerai da me a sostenere le sventure con intrepidezza. Prendi, reca tu stesso queste monete a tua madre; forse le aspetta con incertezza.... qualcuno ha fame, e... ma va, va tu stesso, e confortala a non disperare giammai. Mi affido in te, in te che devi essere la nostra consolazione maggiore.» E ciò detto uscì lasciando Guiniforte commosso, pensieroso, ora abbattuto dal dolore, ed ora invigorito dalle parole del padre. Ma poi a un tratto si fissò in un pensiero che gli balenava alla mente; lanciò un’occhiata ai manoscritti più pregevoli; ne prese uno, lo aperse; erano alcuni scritti di Socrate; si provò a leggerli perchè appunto allora imparava la lingua greca; vide che sarebbe venuto a capo del fatto suo; e pieno di giubbilo, rimesso il manoscritto al suo posto, corse a portar le monete alla madre.
Ella era in mezzo ai figliolini e ai nipoti, alcuni dei quali dormivano, altri si baloccavano, e i due o tre più grandi studiavano le lezioni date loro da Guiniforte. A veder quella madre intenta al lavoro e nel tempo stesso volgersi ora soavemente ad uno dei suoi fanciullini, ora vegliar su quelli che erano addormentati, ora partecipare degli innocenti scherzi degli altri, e quando imprimere un bacio sulle lor gote, quando proferire un avvertimento, un consiglio, sarebbe parsa una donna felice, non travagliata da un sol dolore. Ma Guiniforte, che da lungo tempo conosceva le angosce dei genitori, seppe scoprire sotto quella serenità le tracce del pianto segreto, e conobbe quanta forza ella dovesse fare a sè stessa per comparir lieta e sicura. Allora giubbilante d’avere una buona nuova, sorridendo le si accostò, ed era per porle in grembo i denari. La madre sorpresa, respinse sulle prime la mano del figlio esclamando: «Di chi sono queste monete?» — «Le ho avute dal babbo, rispose Guiniforte maravigliato:» Allora la madre rasserenata le tolse, e affissando Guiniforte gli disse: «Oh! figlio mio, questa novità mi aveva sorpresa; se tu sapessi! la miseria non meritata si sopporta volentieri; ma guai se fosse cagione di qualche bassezza!» — «No, madre mia, questo non seguirà, rispose risolutamente Guiniforte. Oggi il babbo mi ha dato una buona lezione, e saprò imitarlo. Appunto per non avvilirsi ha venduta una parte dei suoi cari manoscritti, ed è pronto a vendere anche gli altri; ma ti so dir io che non gli venderà, no, se il cielo vorrà aiutarmi.» — «E su cosa fondi tu questa bella speranza? disse premurosamente la madre.» — «Oh, rispose Guiniforte, devi star sicura che io non commetterò nè viltà nè imprudenze; voglio tentare una via...; voglio vedere se son capace anch’io di ricavare qualche frutto dal mio sudore.» La madre che conosceva la purezza de’ suoi sentimenti, non si oppose, e guardando il cielo come per implorarlo favorevole ai voti del figliuolo, si mostrò rasserenata dalla speranza. Allora Guiniforte ritornato nello studio del padre, si tolse il codice greco, e incominciò a ricopiarlo finchè durò la luce del giorno. Le mattine di poi si levò innanzi il sole; e senza che alcuno se ne accorgesse vi lavorava indefessamente. In breve acquistò tanta pratica, e vi pose tal diligenza, che la sua copia era più bella e più nitida dell’originate medesimo; nè un esperto emanuense avrebbe potuto far più lavoro di lui in un giorno, Finalmente gli opuscoli di Socrate furono ricopiati, ed allora pose mano alla copia delle odi di Anacreonte. Era già finita anche quella, allorchè il padre dovè di nuovo pensare a vendere i manoscritti. Con la solita rassegnazione andò allo scaffale per isceglierne alcuno, ed immaginate la sua maraviglia quando trovò accanto al Socrate la copia fatta da Guiniforte. Capì subito la generosa intenzione del suo figliuolo. Tuttavia gli pareva miracolo come in sì poco tempo un giovinetto avesse potuto trascrivere e tanto bene tutto il volume. Ma tosto rimesso dalla maraviglia e data luogo al giubbilo, chiamò Guiniforte e gli andava incontro. Guiniforte veniva in tanto con la nuova copia dell’Anacreonte. «Qui, esclamò il padre, qui nelle mie braccia. Io sopportava volentieri la mia miseria, perchè mi facevi coraggio tu col tuo ingegno e colla tua bontà; ora hai travato anche il modo di salvarmi dalla stessa indigenza. Oh! si tu sei l’esempio dei buoni figli.» Ma Guiniforte arrossendo rispose che non gli pareva di aver fatto cosa che meritasse lode, che a lui bastava di riceverne approvazione e di ottener licenza di seguitare. Ma il padre, dopo averlo stretto e baciato affettuosamente, lo guardò in volto, e riconobbe in un poca di pallidezza i segni delle notti vegliate. Allora si addolorò, dicendo che troppo gli sarebbe costato il riscatto dei manoscritti a danno della sua salute. Guiniforte asseriva di non essere stato mai tanto bene, se non quando poteva adoperare il tempo e le forze a pro del padre; e nacque allora una tenerissima gara fra tutti e due. Finalmente il padre esclamò: «Ebbene, Iddio proteggerà i tuoi giorni. Andiamo, andiamo a dare questa consolazione a tua madre.» Fattala consapevole d’ogni cosa, mescolarono insieme le loro lacrime di tenerezza; e tutti gli altri fanciullini pigliavano parte a quel giubbilo senza intenderne la cagione; ma vedevano bene che si trattava di una bell’azione di Guiniforte, e lo ricoprivano di carezze.
Quindi i due maggiori, già abbastanza istruiti da poter copiare esattamente il latino, conosciuta l’industria di Guiniforte, vollero aiutarlo. Così la loro sollecitudine, suscitata dall’esempio di Guiniforte, non solo serbò a Gasperino la copia dei più rari tra i suoi codici, ma provvide anco alla futura miseria. Intanto quell’esercizio di copiare le opere de’ più illustri scrittori Greci e Latini fu pel figliulo un bonissimo mezzo d’imparar nuove cose, ed un’occasione opportuna ad istruire i cugini.
Un uomo di grande ingegno, prima di lui, lo stesso Francesco Petrarca aveva per amor di studio e per necessità di guadagno fatta la medesima professione di trascrivere i codici. Ma Guiniforte era quasi ancora fanciullo... Oh valoroso fanciullo! tu avesti la fortuna di liberare il padre dalle angustie dell’indigenza; tu lo salvasti dal rossore d’implorar l’altrui misericordia. Quanti avrebbero d’uopo d’imitarti! Gran differenza passa in vero fra te e coloro, i quali per cattiva condotta cagionarono invece la rovina dei genitori e di sè stessi. Dio non permetta che vi siano di così fatti mostri sopra la terra.
L’ingegno maraviglioso, lo studio e la virtù di Guiniforte gli meritarono innanzi il tempo la doppia laurea nelle lettere e nelle scienze. Indi fu eletto professore in nobilissime cattedre, fu desiderato dai popoli e corteggiato dai principi, tra i quali il re Alfonso d’Aragona lo volle creare suo consigliere, e Filippo Maria duca di Milano lo elesse suo vicario generate e professore di filosofia morale; fu inviato ambasciatore a nobilissime repubbliche, a monarchi ed a sommi pontefici; ma più di tutto divenne onorata e cara la sua memoria pei costumi illibati e per l’affetto filiale.
Note
- ↑ Nacque verso l’anno 1370 in Barzizza, terra del paese di Bergamo, e prese per cognome il nome della sua patria.
- ↑ Fu professore di letteratura greca e latina all’università di Pavia; di rettorica e di filosofia in quella di Padova; di Eloquenza a Milano, e spesso oratore celebratissimo di repubbliche e di principi. Morì verso il 1431.
- ↑ Quest’arte nacque nel secolo XV. Alcuni ne attribuiscono la prima invenzione a Coster della città di Harlem (anno 1437); i più a Gutemberg di Magonza che produsse i primi saggi di stampa a Strasburgo nel 1436. Quindi Gutemberg fu aiutato a perfezionare la scoperta da Schaeffer e da Faust (1462). È probabile che Coster fabbricasse i suoi caratteri in legno, e che gli altri inventassero il modo di fonderli in metallo. Quindi Bernardo Cennini orefice fiorentino, visti i primi fogli stampati di Magonza, penetrò da sè la scoperta, e con l’aiuto dei figliuoli fu il primo a pubblicare in Firenze nel 1471 opere stampate con molta correzione e con eleganza.