Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XII. - Rubra Canicula. Considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio/I. - Tolomeo

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I. - Tolomeo

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XII. - Rubra Canicula. Considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio XII. - Rubra Canicula. Considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio - II. - I traduttori latini d'Arato


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I. TOLOMEO.

Nel Catalogo di 1022 stelle, che occupa parte dei libri settimo ed ottavo dell’Almagesto s’incontrano sei stelle, che portano la designazione di ὑπόκιῤῥος, indicante un debole grado di colorazione rossa, e precisamente fra il giallo ed il rosso1. Tali stelle, secondo le denominazioni oggi in uso, sono:

Aldebarano, detta anche α Tauri,
Antares,

»

»

α Scorpii,
Betelgeuze,

»

»

α Orions,
Arturo,

»

»

α Bootis,
Polluce,

»

»

β Geminorum,
Sirio,

»

»

α Canis majoris.

Le tre prime sono anche oggi d’un rosso manifesto e la denominazione di ὑπόκιῤῥος si adatta loro perfettamente. Essa può ancora considerarsi come conveniente per Arturo e per Polluce, sebbene il colore di queste due stelle si debba dire piuttosto giallo che rosso. La contraddizione è palese soltanto nel caso di Sirio.

Nell’edizione dell’Almagesto pubblicata dall’Abate Halma2 la stella è designata colle seguenti parole: ὁ ἐν τῷ στόματι λαμπρότατος καλούμενος κύων καὶ ὑπόκιῤῥος. Questa lezione come appare dalle varianti poste in fine dell’opera3 è appoggiata principalmente a due codici; uno di Parigi, designato col numero 2389, che Halma vorrebbe far risalire fino al secolo V, l’altro di Firenze, indicato da lui col numero 2390, il quale sarebbe del secolo XII. L’edizione principe di Basilea4 porta esattamente le stesse parole, colla omissione, non importante quanto al senso, della particella καὶ. Nella versione latina [p. 185 modifica]di Giorgio da Trebisonda fatta nella metà del secolo XV sopra un codice vaticano di fresco apportato dall’Oriente, alle sei stelle qui sopra designate, Sirio non eccettuato, è applicato il nome di subrufa quale equivalente di ὑπόκιῤῥος5. Il consenso di tutti questi esemplari è tanto grande quanto si può desiderare; e la questione potrebbe sembrar risoluta, se diverse ragioni di dubbio non sorgessero da altre parti.

1. Una prima occasione di dubbio sorge dall’esame dell’Almagesto, quale ci fu conservato dalla tradizione degli Arabi: della quale due fonti soltanto sono a me accessibili. La prima sta nella traduzione dell’Almagesto fatta intorno al 1175 da Gerardo di Cremona sopra una versione arabica, e pubblicata a Venezia nel 15156. Noi possiamo considerarla (salvo gli errori dell’interprete, non pochi nè piccoli) come rappresentante il testo arabico adoperato da Gerardo. L’altro fonte di tradizione arabica ci è somministrato dal Catalogo stellare unito all’Uranografia di Alsufi; il quale Catalogo, per quanto concerne le denominazioni delle stelle, si può considerare come una traduzione dell’Almagesto7, la diversità delle posizioni e delle grandezze non dovendo qui entrare in conto. L’opera di Alsufi risale alla metà del secolo X. Io appongo qui sotto le indicazioni di Gerardo da Cremona e di Alsufi per ognuna delle sei stelle considerate, conservando l’idioma latino e francese rispettivamente usati nelle versioni di [p. 186 modifica]Gerardo e di Schjellerup. Vi ho aggiunto il testo originale greco secondo Halma.

Arturo.

ὁ μεταξὺ τῶν μηρῶν ὁ καλούμενος ἀρκτουρος ὑπόκιῤῥος.

Quae est inter duas coxas: et est ea quae dicitur ascimech aremeah: et nominatur audiens.

L'étoile qui se trouve entre les cuisses, nommée al-simâk al râmih.

Aldebaran.

ὁ λαμπρὸς τῶν ὑαδῶν ἐπὶ τοῦ νοτίου ὀφθαλμοῦ ὑπόκιῤῥος.

Lucida quae trahit ad aerem clara valde et ex forma aldebaran quinta: et est ut cerea.

La brillante qui tire sur le rouge et qui appartient à la figure du dal, dans l’œil meridional, nommée al-debaran.

Polluce.

ὁ ἐπὶ τῆς κεφαλῆς τοῦ ἑπομένου διδύμου ὑπόκιῤῥος

Quae trahit ad aerem: et est ea quae est super caput geminorum: et est cerea8.

Celle qui tire sur le rouge et qui est dans la tète du jumeau postérieur.

Antares.

ὁ μέσος αὐτῶν9 καὶ ὑπόκιῤῥος καλούμενος ἀντάρης.

Media aerum, quae tendit ad rapinam: quae dicitur cor scorpionis.

Leur mitoyenne qui tire sur le rouge, nommée le cœur du Scorpion.

Beteigeuze.

ὁ ἐπὶ τοῦ δεξιοῦ ὤμου λαμπρὸς ὑπόκιῤῥος.

Lucida quae est super humerum dextrum: et ipsa tendit ad rapinam quum appropinquat ad terram in humero Orionis10.

La brillante qui est sur l'épaule droite et qui tire sur le rouge.

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Sirio.

ὁ ἐν τῷ στόματι λαμπρότατος καλούμενος κύων καὶ ὑπόκιῤῥος.

Quae est in ore in ultimate luminis: et dicitur canis et est asehere alimeni alahabor11.

L'étoile qui est sur la bouche, très brillante, nommée le chien ou al-schira al-jamanija ou al-habur.


Il paragone dei tre testi dimostra che Gerardo ebbe alle mani un manoscritto arabico imperfetto12, o che ei non seppe interpretarlo a dovere. Tuttavia è evidente che le espressioni curiose trahit ad aerem, tendit ad rapinam, qualunque sia l’origine dell’errore che le ha prodotte, debbono considerarsi come rappresentanti il tire sur le ronge del traduttore d’Alsûfi, e l’ὑπόκιῤῥος di Tolomeo. Ciò ammesso, risulta manifesto, che in ambidue gli esemplari dell’Almagesto usati da Alsûfi (950 di Cristo) e da Gerardo di Cremona (1175 di Cristo) esisteva l’indicazione del color rosso per le quattro stelle Aldebarano, Antares, Polluce e Beteigeuze13; e che in ambidue mancava tale indicazione per Arturo e Sirio. Questo parallelismo non può essere opera del caso, e ci conduce a concludere, quei due esemplari esser derivati da una fonte comune assai antica, in ogni caso anteriore ad Alsûfi (nato nel 903 morto nel 986), la quale potrebbe anche essere la versione di Thebit ben Korra (nato nell’836, morto nel 901).

Questa discordanza degli antichi testi arabi dal testo greco oggi ricevuto può spiegarsi in due maniere. Può esser infatti, [p. 188 modifica]che essa già esistesse nell’antico esemplare greco, da cui in tratta la versione arabica, fonte comune dei due testi usati da Alsûfi e da Gerardo. Ma potrebbe ancora darsi che quell’antico esemplare greco fosse in tutto conforme ai nostri, e che le indicazioni del color rosso per Sirio e per Arturo fossero più tardi soppresse nella traduzione per opera di qualche astronomo arabo, al quale tali indicazioni han potuto sembrare già ai suoi tempi poco conformi al vero, almeno per Sirio. Se ciò ebbe veramente luogo, non fu certo per opera d’Alsûfi; il quale nel testo della sua Uranografia, esponendo le proprie osservazioni sulla grandezza apparento di tutte le stelle tolemaiche, esprime per alcune il suo giudizio anche relativamente al colore14. Ora questo giudizio non è sempre conforme a quello dato dal Catalogo di stelle annesso all’opera stessa, e prova così che il testo di tale Catalogo, (per quanto concerne i nomi e le qualificazioni delle stelle) è stato trascritto senz’altro da un esemplare più antico.

Quando si verificasse la seconda delle ipotesi qui accennate, ne risulterebbe soltanto, che Sirio era già bianco al tempo di Alsûfi od anzi nell’epoca alquanto anteriore (del secolo IX probabilmente) in cui fu fatta la versione araba dell’Almagesto, che servì di fonte ai testi usati da Alsûfi e da Gerardo. Con questo l’allegato cambiamento di colore non sarebbe dimostrato impossibile, ma verrebbe limitata la sua epoca all’intervallo che comprende i secoli II-IX. — Il verificarsi della prima ipotesi invece dimostrerebbe che già in tempi molto antichi discordavano i codici greci dell’Almagesto circa il colore di Sirio; con che verrebbe scemata di molto l’autorità di ciò che a questo riguardo attestano i codici posti a fondamento delle nostre edizioni.

2. Tolomeo stesso nella sua opera astrologica conosciuta sotto il nome di Tetrabiblos Syntaxis, parlando degli influssi propri alle principali stelle del cielo indica il colore di alcune tra queste15. Sono Aldebarano Antares e Arturo, tutte e tre [p. 189 modifica]designate qui coll’epiteto ὑπόκιῤῥος adoperato nell’Almagesto. Le altre tre stelle delle sei più sopra enumerate sono nel Tetrabiblo semplicemente nominate senza indicazione di colore. L’omissione di tal accenno per Polluce non è difficile a spiegare, meno facilmente si spiega quella di Beteigeuze; ma la più degna d’attenzione è quella di Sirio, che allora come adesso era la stella più brillante del cielo, e nel quale il color rosso avrebbe meritato di esser distinto più che in qualunque altra stella16.

3. Nel medesimo luogo del Tetrabiblo la natura di alcune stelle principali è assimilata alla natura di qualcuno dei pianeti. Delle sei stelle in discorso quattro, cioè Aldebarano, Antares, Beteigeuze e Polluce sono da Tolomeo assomigliate per natura ed effetti a Marte. Arturo è fatto partecipare alla natura di Marte e di Giove; mentre a Sirio è assegnata la natura di Giove mista soltanto con un po’ di quella di Marte. Quale sia il principio direttore in queste assimilazioni non è detto esplicitamente dall’autore; tuttavia dal contesto generale della trattazione e dall’esame dei singoli casi risulta con sufficiente evidenza, che la similitudine dei colori è stato il [p. 190 modifica]criterio principale se non esclusivo17. Ciò ammesso, non è possibile negare una speciale attenzione al fatto, che delle sei stelle considerate Sirio è quella a cui si assegna minor affinità con Marte e la massima con Giove; e non si può dissimulare, esser questo fatto molto favorevole all’idea che all’epoca di Tolomeo il colore di Sirio fosse più vicino al colore di Giove che a quello di Marte. [p. 191 modifica]

4. Tolomeo nel suo Catalogo si è mostrato particolarmente esatto nel notare i nomi propri usati al suo tempo per alcune stelle principali, quali sono Arturo, la Lira, la Capra, Regolo, la Vendemmiatrice, la Spica, Antares, Procione, Canobo. Riguardo alla stella principale del Cane egli nota bene, che anch’essa si chiama Cane; sembra tuttavia poco probabile, che egli abbia potuto omettere il nome più celebre fra tutti; celeberrimo per un uomo di nazione greca, che certamente ha potuto vedere il Cane denominato σείριος da Esiodo, da Aristotele, da Arato; celeberrimo per uno nato e vissuto in Egitto dove il levare eliaco della divina Sothis, aveva per tanti secoli segnato il principio dell’anno solare e dato il segnale dell’innondazione del Nilo. Questa ed altre riflessioni hanno condotto Schjellerup, l’editore e traduttore d’Alsûfi, a supporre18 che originariamente nel manoscritto di Tolomeo, invece del contrastato vocabolo ὑπόκιῤῥος, fosse scritto καὶ σείριος e che la trasformazione sia stata opera di qualche copiatore. Simili correzioni ipotetiche sono sempre pericolose: nel presente caso tuttavia, dopo vedute le ragioni qui sopra addotte, la proposta dello Schiellerup potrà sembrare non solo ingegnosa ma anche abbastanza probabile.

Note

  1. Una dichiarazione filologica esatta del significato di questa parola è riportata nel Cosmos di Humboldt, vol. III, p. 257 dell’edizione di Milano.
  2. Composition mathématique de Claude Ptolémée. Paris, 1813-1816, vol. II, p. 72.
  3. Ibidem, vol. II, p. 442.
  4. Claudii Ptolemaei, Magnae constructionis Libri XIII. Basileae apud Joannem Walderum, 1538 fol.
  5. Abbiamo nella Specola di Brera di questa traduzione due edizioni stampate a Basilea, l’una nel 1541, l’altra nel 1551. L’esemplare di quest’ultima appartenne già ad Ugo Foscolo, e porta in fronte una nota bibliografica scritta di sua mano.
  6. Almagestum C. Ptolemaei Pheludiensis Alexandrini Astronomorum principis: opus ingens ac nobile omnes caelorum motus contineus, felicibus astris eut in lucem ductu Petri Lichtenstein Coloniensis Germani anno virginei partus 1515. Che questa edizione latina provenga dalla versione di Gerardo da Cremona è provato da Wüstenfeld, Die Uebersetzungen Arabischer Werke in das Lateinische seut dem XI Jahrhundert (Memorie della Società delle scienze di Gottinga, vol. XXII, 1877, p. 64). Lo stesso è provato da Knobel (Monthly, Not. XLV, p. 146) dal confronto diretto dell’edizione di Lichtenstein con tre copie manoscritte della versione di Gerardo. L’esemplare che di tal edizione possiede la Specola di Brera è un raro cimelio, avendo appartenuto a Michele Maestlin, che fu maestro di Astronomia a Keplero, e che lo riempi dì molte note scritte di sua mano.
  7. Abd-el-Rahman Al-Sûfi, Description des étoiles fixes. Traduction littérate par H. C. F. C. Schjellerup. St. Pétersbourg, 1874.
  8. est cerea si riferisce al colore, e riproduce esattamente la dizione arabica shamăie (simile a cera) dell’Almagesto arabico.
  9. S'intende la media delle tre principali che sono nel corpo dello Scorpione, alle quali si era fatto allusione nelle linee precedenti del catalogo tolemaico.
  10. Probabilmente ha voluto dire che la stella è più rossa quando è più vicina all'orizzonte? invece di quum è forse da leggere quia.
  11. Vedi la memoria di Knobel, Note on the Descriptions of two stars in Ptolemy’s Catalogue. (Monthly Notices, vol. XLV).
  12. Chi ha avuto occasione di leggere autori arabi nelle versioni mediovali (che spesso sono le sole esistenti) non si maraviglierà di questo. La mancanza di punti e la facilità di scambiare una lettera con un’altra han prodotto frequentissimamente di simili controsensi nell’interpretazione dei vocaboli comuni. Quanto ai nomi propri, le trasformazioni avvenute in questo modo sono quasi incredibili e lo sanno per prova quelli che si sono occupati di proposito della geografia degli Arabi.
  13. La stessa cosa ha Ulugh-beg nel suo Catalogo, siccome ha notato See a p. 383 del volume XI del periodico Astronomy and Astrophysics. Si vede che l’Almagesto usato dal Principe Tartaro è derivato dalla stessa fonte che quelli usati da Alsûfi e da Gerardo di Cremona, malgrado che Ulugh-beg sia vissuto molto dopo di questi.
  14. Alsufi giudica rosse le seguenti stelle: Arturo, Aldebaran, Antares, Beteigeuze; omettendo così Polluce e Sirio. Questo dimostra, che mille anni fa i colori delle sei stelle differivano di ben poco dagli attuali.
  15. Claudii Ptolemaei Pelusiensis libri quatuor compositi Syro fratri. Norimbergae, 1535, pp. 6-7. L’edizione è di Gioachino Camerario. Il confronto coll’edizione di Melantone pubblicata a Basilea nel 1553 non ha lasciato vedere alcuna diversità nelle indicazioni qui sopra riportate. Alcuni han supposto che il Tetrabiblo non appartenga a Tolomeo, e gli sia stato falsamente attribuito, non parendo a loro possibile che l’autore di esso e quello dell’Almagesto possano esser una medesima persona. Tale sospetto si dileguerà subito agli occhi di chi faccia uno studio alquanto serio di ambedue queste opere. È la stessa mente che ragiona, la stessa maniera d’esporre, lo stesso stile, gli stessi termini tecnici. Le opinioni esposte nel Tetrabiblo sull’Astrologia sono identiche o parallele a quelle indicate nell’opuscolo Sulle apparenze delle stelle fisse, che è certamente di Tolomeo. L’esame filologico e storico della questione ha confermato pienamente questi argomenti, ai quali nulla si può contrapporre di plausibile. L’identità dell’autore del Tetrabiblo con quello dell’Almagesto e della Geografia e delle Armoniche è stata ultimamente dimostrata con pieno rigore e portata alla più chiara evidenza da Franz Boll, nella operetta intitolata: Studien ueber Claudius Ptolemaeus: ein Beitrag zur Geschichte der Griechischen Philosophie und Astrologie. Leipzig, Teubner, 1804, 8°.
  16. La parte del Tetrabiblo a cui si allude si trova esattamente trascritta nel Compendio astrologico di Efastione Tebano, scritto verso l’anno 380 di Cristo. Su quest’opera veggasi quanto ne diremo più sotto. Qui noteremo soltanto, che il testo riferito da Efestione concorda pienamente colle edizioni stampate del Tetrabiblo. Pertanto siamo in grado d’affermare che 250 anni dopo Tolomeo i passi da noi riferiti del Tetrabiblo già si leggevano tali quali ora noi li leggiamo: ciò che non poco conferisce all’autorità dei medesimi.
  17. Questo criterio è enunziato a dir vero molto chiaramente da Tolomeo, non però a proposito delle stelle fisse, ma a proposito, dei pronostici che si possono trarre dai colori osservati nelle eclissi, negli aloni, nelle aurore polari, ed in tutte le luci meteoriche osservate in cielo. «Quando queste luci sono fosche o pallide (μέλανα ἢ ὑπόχλωρα), significano quello che si disse della natura di Saturno. Se son bianche (λευκὰ) hanno la natura di Giove. Se rosse (ὑπόκιῤῥα), hanno la natura di Marte. Se gialle (ξανθὰ) hanno la natura di Venere. Se di vario colore (ποικίλα), hanno la natura di Mercurio» (Tetrabiblo, libro II, p. 23 dell’edizione di Norimberga). Affinchè si veda con qual grado di consistenza tale criterio del colore è stato applicato da Tolomeo nell’assimilare la natura delle stelle a quella di certi pianeti, pongo nella seguente tabella una lista di stelle di decisa colorazione data da Maedler nella sua Astronomia (4a edizione § 207): accanto alla quale è segnato in corrispondenza di ogni stella il nome del pianeta o dei pianeti a cui Tolomeo ha assimilato la natura di ciascuna stella. Nella lista ho aggiunto Antares, omesso da Maedler.

    Nome delle stelle Colore secondo i moderni Pianeti a cui Tolomeo assimila le stelle
    Sirio bianco Giove, un po’ di Marte
    Lira bianco Venere e Mercurio
    Deneb bianco Venere e Mercurio
    Regolo bianco Giove e Marte
    Spica bianco Venere e Marte
    Castore verdastro Mercurio
    Polare giallo Saturno e Venere
    Capra giallo Marte e Mercurio
    Aquila giallo Marte e Giove
    Arturo rosso-giallo Marte e Giove
    Antares rosso Marte, un po’ di Giove
    Aldebaran rosso Marte
    Beteigeuze rosso Marte
    Polluce rossastro Marte

    Il risultato della comparazione è manifesto: tutte le stelle decisamente rosse hanno per elemento esclusivo, o almeno predominante la natura di Marte; il quale in alcune altre stelle entra bensì come componente, non mai però come elemento principale.

  18. Vedi la sua prefazione all’Uranografia d’Alsûfi, p. 25.