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Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XII. - Rubra Canicula. Considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio/II. - I traduttori latini d'Arato

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II. - I traduttori latini d'Arato

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II. I TRADUTTORI LATINI D’ARATO.

Nel suo poema astronomico che ha per titolo Fenomeni e Pronostici, Arato descrivendo la costellazione del Cane le applica la denominazione di ποικίλος, varius, versicolor. Della gran stella collocata nel mento della figura dice che è chiamata Sirio a cagione della sua vivace scintillazione.1

Ὀξέα σειριάει, καί μιν καλέουσ´ ἄνθρωποι
Σείριον.

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Qui non v’è accenno a color rosso; anzi la forte scintillazione si potrebbe considerare come un argomento negativo, essendo certo, che le stelle bianche scintillano più fortemente che le altre, e specialmente più che le rosse.

Argomenti positivi invece si è creduto di trovare presso i diversi scrittori latini, che si occuparono a tradurre più o meno liberamente il poema d’Arato. In tesi generale è manifesto, che una traduzione accurata non può avere autorità maggiore che il suo testo, mentre una traduzione libera o negligente ha di certo un’autorità minore. Non è quindi permesso di appoggiarsi all’autorità di quei traduttori, se non in quanto si possa provare, che essi hanno corretto od accresciuto il testo di Arato colla scorta delle loro proprie osservazioni intorno al colore di Sirio. Esaminiamo come si presenti la questione per ciascuno di loro. Le citazioni sono fatte qui sull’edizione di Buhle, e le pagine si riferiscono al secondo volume di essa2.

1. Cicerone rende così il passo di Arato relativo a Sirio (p. 13):

                              .... rutilo cum lumine claret
Fervidus ille Canis, stellarum luce refulgens.
Hunc tegit obscurus subter praecordia venter.
Nec toto spirans rabido de corpore flammam.
Aestiferos validis erumpit flatibus ignes;
Totus ab ore micans iacitur mortalibus ardor.

L’epiteto rutilus nel primo verso è stato interpretato come equivalente di rosso o rosseggiante. Il confronto col testo greco mostra però che il rutilus sta qui a rappresentare il ποικίλος d’Arato, che ha tutt’altro senso. Inoltre si noti che nei tre primi versi si parla di tutta la costellazione del Cane, non già di una particolare stella, precisamente come in Arato. A Sirio specialmente si accenna nei tre ultimi versi, dove si dice, che non tutto il corpo del Cane spira fiamma e calore, ma solo la bocca (dove appunto è Sirio). Quanto alla parola rutilus notiamo subito che spessissimo è impiegata dai poeti latini per indicare semplicemente l’idea di luce viva o di splendore, senza designazione di colore speciale. Cicerone stesso dice della Vergine a p. 22: [p. 193 modifica]

                                        .... vis torva Leonis,
Quem rutilo sequitur collucens corpore Virgo;

e a p. 25 dice del Cigno:

Hic se jam totum cæcas Equus abdit in umbras,
Quem rutila fulgens pluma praetervolat Ales;

nei quali luoghi rutilus non significa certamente color rosso. Pertanto è manifesto, che il passo qui sopra allegato non ha alcuna importanza per la questione che stiamo discutendo.

2. Germanico Cesare nella sua versione di Arato nulla accenna, descrivendo il Cane, del color rosso di questo, o di Sirio; ma pochi versi dopo, parlando della Lepre, dice (p. 80):

Auritum Leporem sequitar Canis, et fugit ille;
Urgetur cursu rutili Canis ille per aethram.

Si presentano qui precisamente le stesse riflessioni che per il passo di Cicerone. Il Cane designato è l’intiera costellazione, non una stella speciale. Rutilus pertanto significa qui null’altro che splendido, brillante, e non si potrebbe tradurre per rosso.

3. Rufo Festo Avieno ha fatto in versi esametri una parafrasi latina del libro di Arato, che è quasi lunga il doppio dell’opera originale. I seguenti versi trattano del Cane e di Sirio (p. 151):

                    .... Sic flammigero distinguitor astro725
Aetheriae Canis ille plagae, cui plurimus ardor
Aestuat in mento; multus rubor induit ora;
Stridit anhelanti face pestifer; aera motu
Torret, et immodici terras coquit ignibus astri.
Hîc varios ardet stellis rutilantibus artus;730
Sed non est similis cunctis vigor; undique quippe
Alvus cyanea est; mento gravis effluit ardor
Qui formidato sub nomine Sirius aethram
Urit. Huic rutilos si Sol adlexerit axes,
Quantus corporibus, quantus labor imminet agris!735

Qui il plurimus ardor del verso 726 e il gravis ardor del verso 732 sono riferiti al mento del Cane, cioè a Sirio senza [p. 194 modifica]menzione di color rosso, multus rubor induit ora pare accenni al capo della figura in generale. Nullameno quand’anche si volesse riferire il multus rubor a Sirio, non per questo si avrebbe una prova del color rosso di questa stella. Infatti il poeta usa spesso le parole rubor, rubens per esprimere l’idea di luce intensa o di splendore. Egli attribuisce questa proprietà alle stelle d’Ofiuco (v. 232), a quelle di Cassiopea (v. 454), al rombo formato da quattro stelle del Delfino (v. 709). alle tre stelle della cintura d’Orione (v. 723), a tutto il Pesce Australe (v. 810). In questo ei non è solo fra i poeti latini; già Properzio aveva fatto rossa la Luna (lib. I, eleg. 10):

Et mediis cælo Luna ruberet equis;

e Virgilio aveva osato far rossa tutta la zona equatoriale del cielo (Georg. I. 234):

Quinque tenent cælum zonæ, quarum una corusco
Semper Sole rubens, et torrida semper ab igni;

dal che incoraggiato Dante (Purg. IV-64) fece rosseggiare addirittura tutto lo zodiaco:

Tu vedresti il Zodiaco rubecchio
Ancora all’Orse più stretto rotare.

E si potrebbero citare molti altri esempi consimili.

Della parola rutilus Avieno poi fa un abuso straordinario; in tutto il poema, che è di 1325 versi, questa si trova applicata almeno quaranta volte ora alla luce del giorno, ora alla notte stellata, ora ai seguì dello zodiaco: e spesso a stelle isolate, a gruppi di stelle, e ad intiere costellazioni. È manifesto che in tale stato di cose nessuno dei traduttori di Arato, e Avieno meno di tutti, può esser invocato come autorità per determinare qual fosse al loro tempo il colore di Sirio.

  1. Arati Solensis, Phaenomena et Diosemea, ed. Buhle, vv. 332-333. Che σειριάειν significhi scintillare è provato nel modo più chiaro dai Catasterismi di Eratostene, dove parlando appunto di Sirio si dice che si chiama con tal nome διὰ τὴν τῆς φλογὸς κίνησιν, cioè pel movimento della luce. Sull’interpretazione della parola σειριάει vedi una nota presso Humboldt, Cosmos, ed. Milano III, p. 260. Altri attribuiscono a questa parola il senso di ardere o disseccare.
  2. Aratea curavit, J. T. Buhle, Lipsiae, 1793 e 1801. Due vol. in 8°.