Sermoni giovanili inediti/Sermone VI
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SERMONE SESTO.
IL VALORE DELLE COSE.
Io vo cercando per la nebbia oscura
E le instabili larve una sincera
Imagine, che in parte al guardo renda
Aperto come delle umane cose
5Il valor nasca e il prezzo si trasmuti.
La cagione, l’effetto e la misura
Di lor possanza alle discordi menti
Arduo tema donâro. Io non presumo
Colla imperita man cogliere un fiore
10Fra le intrecciate spine, onde s’ingombra
Il primo passo per l’ignota via.
Tu gl’importuni triboli vincendo,
Securo movi; e della ricca pianta,
Che i verdeggianti rami intorno spande,
15Un frutto cogli e la speranza adempi.
Se al lume io veglio della mia lucerna,
presso al focolar le intirizzite
Membra riscaldo, o di giocondo umore
La sete estinguo, io della vite il succo,
20O gli aridi sermenti, od il premuto
Dell’ulivo licore a prezzo ottenni
Di non facil pecunia. Il chiaro giorno,
E l’auretta gentil di primavera
Alle notturne tenebre succede,
25Ed al rigido verno. Il Sol diffonde
Un torrente di luce, e un vigor novo
Col suo tepido raggio al petto inspira.
Di limpido ruscel sulla fiorita
Sponda il fianco riposo, e l’arse labbra
30Han delle dolci e fresche acque ristoro.
Ma del cortese dono a me compenso
Nullo si chiede; e pur non è del Sole
E dell’onda scorrevole diverso
Il benigno Signor, per cui si veste
35Di rubicondi grappoli la vite,
O di pallide foglie s’incorona
L’arbor, che alle scienze e all’arti amico
Quasi nunzio di pace i frutti porta.
Chi dell’astro maggior la vampa accese,
40Ed immoti confini al mar prescrisse,
Popolava di piante e di animali
La terra, che per l’intima virtude
E per l’influsso, che dal ciel le piove,
In sè raccoglie e propagando accresce
45I fecondati semi: Opra è d’Iddio
Dell’universo l’alta meraviglia,
Onde mercato fa chi dal racchiuso
Campo mi esclude, e per la bionda spica,
Cresciuta all’alitar d’aure feconde
50Nelle feraci zolle in cui discese
La stilla della placida rugiada,
Duro m’impone ed avido tributo.
Oh! se l’avaro secolo potesse
Non pur di siepi circondar le glebe,
55Ma l’alito de’ venti ed il benigno
Delle stelle fulgore, e dei perenni
Rivi la melanconica cadenza
Stringer potesse nell’angusta cerchia
A numeroso popolo negata,
60Allor vedresti la dolente turba
Non sol digiuna e lacera, ma spesso
Priva del fiato, e del sereno giorno,
E dell’acqua che appena a sorsi arrivi.
Quindi forse dirò che a tutte cose
65Eguale a tutti l’adito si schiuda;
O delle cose a patto altrui cedute
Forse il dominio usurpi e il prezzo involi?
Del falso argomentar cauto mi rendi
In rammentando che all’umana stirpe
70Or soccorre l’ingegno e la fatica,
Ed ora giova liberal Natura,
Che gli sforzi risparmia e all’uopo arride;
O sia che splenda il fervido meriggio,
O che zeffiro batta attorno l’ali,
75O che pel largo pelago dispieghi
Altero pino le gonfiate vele;
Ma ritrosa talor le sue bellezze
Degli inerti mortali al guardo cela;
O le discopre allor che a lungo studio
80Ed a lungo sudor renda mercede.
Guizzano i pesci pel tranquillo stagno;
Nelle cupe caverne si nasconde
Il bianco marmo e il lucido metallo;
È l’inculto terreno una importuna
85Selva nutrice di selvagge piante.
Altri cala le reti, o le profonde
Latèbre indaga, o pel diritto solco
Il vomere conduce. Ei s’abbia il premio
Delle cure felici! E quale offesa
90Reca al vicino, che ozïando dorme,
O mal si desta per invidia bieco?
A sè giovando, altrui danno non porta,
Che delle industri prove il merto gode;
Anzi pur giova allor che agli altri porge
95Quel che ne avanzi, e il guiderdon gli ottenga
Del bramato ricambio, e coll’alterna
Vece l’alterno desiar si appaghi.
Ma quale arcana legge il pondo libra,
Ed il corso mutabile governa
100Dell’occulto valore, onde si agguaglia
Il servigio ch’io reco e tu dispensi?
Io vo cacciando per valli e per monti,
E t’offro il pasto dell’uccisa belva;
Mentre il micidïal piombo mi appresti
105In palle minutissime converso.
L’un servigio coll’altro si riscontra,
E all’uopo nostro soccorriamo insieme.
Per l’opra che d’un giorno a fine adduci
Se una ti porgo delle quattro belve
110Che d’un sol giorno atterro, a me rivolgi
Disdegnoso le spalle; e dimezzando
Il tempo usato nel lavoro antico
Tu stesso corri a rintracciar la preda,
Che doppio arreca all’opera conforto.
115Indi l’obbietto vai quanto risparmia
A te di sforzo e di fatica; e spesso
Quanto bastommi a procacciarlo il nerbo.
Io dico spesso; chè non sempre arriva
La freccia al segno a cui libera tende
120Direttamente a voi, se per opposte
Forze non pieghi o non rallenti il corso.
Fu già costume della gente prima,
Di bisogni, di numero e di loco
E di dovizie scarsa, ad una ad una
125Le cose permutar. Noi fanciulletti,
A voler pronti e a disvolere a un tempo,
Così donammo i semplici balocchi
Per inezie novelle a noi più care.
Tale in remote e barbare contrade
130Usanza regna; ed al verace detto
Di chi le cerca diffondendo il raggio
Di civiltà, che alle grandi opre informa
E nel nome di Cristo si suggella,
Fede non negherai. Qui degli angusti
135Baratti vicendevoli l’usanza,
Da lunga età che ogni memoria spense,
Agli ampliati cambi e al ministerio
Cedette della provvida moneta;
Invidïata merce, a cui dell’altre,
140Quasi a specchio fedel, si rappresenta
Il mal noto valore, onde all’incerto
Guardo di luce limpida baleni.
Della merce metallica, che stampi
Di prezïoso conio, agli usi adatta
145Del cambio universal, quasi ministra
Che il prezzo delle cose a noi ricorda;
Il valore per indole diverso
Non è da quello di tutt’altra merce,
Per cui si bagni di sudor la fronte
150A servigio comun. Ma di fortuna
Alle ruote volubili resiste
Più lungamente, perchè a passo tardo
Sorge dal fondo in cui giace sepolta;
E a poco a poco il giro si dilata
155Che a lei serban le genti a far dell’arti
Più fulgido il nitor e più possente
Il confidato imperio. Utile chiami
Quanto giova e diletta, o sia che nullo
Sforzo chieda e compenso, o valor pigli
160Dal sacrificio, e al sacrificio inviti.
Il valore col prezzo si accompagna;
Se non che l’uno al desïato obbietto
Colla mente riporti, e l’altro vedi
E palpi quasi nella tua moneta.
165Il prezzo è cosa mobil per natura;
E tanto sale più, quanto più corre
La gente dietro alla men ricca merce,
E in basso cade allor, che il chieder poco
Soverchia rende la più larga offerta.
170Il bisogno, l’affetto e la speranza
Favilla sono che le gare accende
Delle fervide piazze, ove al desio
Dell’un contrasta la ritrosa voglia
Dell’altro. Spesso l’infiacchito nerbo
175Lascia a terra cadere il pondo grave,
Se tu non freni l’importuna brama,
Perchè alle spalle mie si acconci il peso,
Che impormi tenti e ch’evitare io cerco.
Dove l’occhio non giunge il pensier vola
180Con ali impazïenti. Aura maligna
Spira alle erbette languide? La pioggia
Gli aridi campi a consolar discende
Con benefica tempra? O di lontano
S’innalza un grido, che guerra minacci?
185Salpa dal lido la straniera nave
Cogli augurati doni, o in mare affonda?
Tutto s’indaga dal pensiero accorto,
Che gli effetti probabili o sicuri
Degli eventi sinistri, o dei felici
190Argomentando, ora la man ti sforza
Alle facili offerte, ed or ti spinge
All’avide richieste. Indi la calca,
Com’onda che dal vento è combattuta,
Si commove, si avanza e si ritira.
195Quando preme l’inopia oh! come è caro
Il pan spezzato nella scarsa mensa,
Troppo a vile tenuto allor che il vano
Fasto lusinghi le gaudenti turbe.
Di questo vero la cagion riposta
200Tu rivelando a meditar m’insegni,
Che l’affamato ventre in bando caccia
I variopinti sogni, onde s’infiori
La innamorata e vaga fantasia,
A cui lo spettro di temuta fame,
205Quasi presente fosse e certa e viva,
Torreggia innanzi livido e sanguigno.
Il popol corre da paura vinto
Da cento luoghi a ricercar le biade,
Ch’oltre il bisogno l’uno in serbo tiene,
210E l’altro chiede. A repentini sbalzi
La tremolante e docile bilancia
Del mercato precipita, dall’urto
Più che dal peso tratta. Il cieco volgo
Confusamente in suon cupo minaccia;
215Onde il soccorso vien manco, e l’onesta
Schiera rifugge, e alla maligna razza,
Che i perigli sprezzando al lucro agogna
Dei perigli maggiore, il passo cede.
Spesso l’opinïon falsa consiglia
220La bilancia spezzar, che i segni addita
Del prezzo inesorabile; ma tarda
Non è la pena e del fallire indegna.
Il rabbïoso can morde la pietra
Che lo percosse, ed alla prima offesa
225Altra ne aggiunge; e la deforme scimmia
Il vetro spezza, che l’oscena faccia
A lei rimanda, e cento facce e cento
Escon dai brani dell’infranto vetro.
O il prezzo tocca la prescritta meta,
230E vane larve abbraccio; o indietro resta
E al danno aggiungo la vergogna; o passa
Il varco, e fugge l’invocata aita,
lenta lenta per anguste vie
In parte viene. Con occulta fraudo
235La mia legge delude, o la mia voglia
Schernita lascia con amaro inganno.
Tempo surse migliore; e già sull’aia
Dei raccolti manipoli si allegra
L’adusto mietitor. Fervono l’opre
240Dell’officina, e il delicato arnese
Per cento pani mi concedi appena.
In breve cerchio timida e pudica
Necessitade ha certo regno e fermo.
Ma colle penne rapide e leggiere
245Senza leggi e confine e senza posa
Vola scherzando a guisa di farfalla
La volubile moda, e in poco d’ora
Al proprio foco intorno si consuma,
E dalle fredde ceneri risorge
250A nova forma. Il fiorellin che nasce
Coll’alba, e al declinar more del giorno,
Caro si rende più, quanto più vago
Di leggiadra donzella al crin s’intreccia.
Il gozzo è pago dell’usato pasto;
255Ma di vezzi, di fogge e di moine
Paga non è tra gl’infiniti nulla
La vanità dei cervellini strani.
Tu di censore rigido la sferza
Sospendi, e il velo penetrar ti basti
260Che una parte di vero in sè nasconde,
Mostrando come il molto oro si versi
A larga mano più, quanto la nostra
Follia più ratto si dilegui al vento.
Chi la materia faticando appresta,
265Come l’usanza vuole, e il prezzo adegua
Alla improvvisa foga, a cui succede
Il gelido disprezzo, io non accuso.
Finchè non sono gl’intelletti sani
Andrà il poeta povero e deriso
270Fra le insolenti turbe, a cui sol giova
Il tintinnar di ciondoli vezzosi.
Il pendolo, che a destra e a manca oscilla
E coll’alterno moto al centro tende,
Del vacillante prezzo offre l’imago,
275Che pel soverchio o pel difetto ondeggia,
Finchè riposi là dove risponda
Al verace dispendio. Il campo io lascio,
O stringo allor che la mercè si neghi
A prolungate corse; e il ricco pallio
280A novo corridor nova dischiude
Invidiata arena. A questa norma
Del mercato la indocile fortuna
Sempre fida non è. Ch’ora l’ingegno,
Ed ora il polso ad emular vien manco
285Le arti nuove e felici; od alle antiche
Si toglie il passo con ferrate sbarre,
Onde l’un coglie sonnacchiando il frutto
Dell’aurifera pianta, e l’altro vuota
Spesso stringendo la callosa mano
290Colla famiglia povera sospira.
Dei lacci, che la fraude al mondo intesse,
L’ignoranza e l’errore, il nodo sciogli,
E di giustizia il sacrosanto imperio
Con certa legge ridonando serba.
295Ma nel sentiero libero, che s’apre
Al gareggiar delle solerti schiere;
L’un tentennando va col fianco lasso,
E l’altro quasi per volare al piede
Impenna l’ali. Alla fatica e al merto
300Move contrasto il natural talento,
O pel giudizio corto de’ mortali,
O perchè indarno col destin si cozza,
O per elezïon falsa, o per altra
Recondita cagion, che il pazzo volgo
305Meno comprende allor che più l’accusa.
Chi la marra a trattar nacque o la sega,
A che imbratta le tele e i marmi sfregia?
Al gorgheggiar delle canore gole
Accorre e plaude la festosa turba;
310Ch’anche alla turba ignara il ciel cortese
I delicati timpani concede.
E pel diletto suo reca ciascuno
L’obolo suo, che a mille oboli aggiunto
Non piccolo tesor forma, simíle
315A lago quasi che di cento rivi
In sè raccolga l’umile tributo.
Talora avvien che della terra il dono,
Se non inganna la sentenza amara,
Più che la raddoppiata opra si paghi
320A quattro doppi e cinque. Io non ripeto
Della penuria squallida le fioche
Voci, i dolenti casi, e dell’offesa
Temuta o lieve il grave danno e certo.
A meno foschi giorni e meno acerbi
325Scorgi pensando come il popol folto
S’addensi e calchi sulla magra gleba,
Moltiplicando più dei propagati
Semi raccolti da ferace gleba.
O di novo sudor bagni l’antica
330Zolla, la rupe sterile costringa
A ingrate prove, faticose e tarde,
Alla scala del prezzo un grado aggiunge
O dieci cinque, ed a quel grado in cima
Tutti salgono pronti e fermi stanno;
335Che lo sbalzarli inutil fôra, come
Se neghi all’onda di cercare il piano.
All’appetito indomito prevalga
Il lume di ragion, che non consente
Gl’improvidi connubi, onde la speme
340Dei cari figli nel paterno lutto
Tosto si volge. La baldanza cieca
Colla pallida inopia intorno gira,
L’aura assordando di frementi strìda.
Chi nell’immondo suo lezzo si accascia
345Novello bruto; chi misero langue
Non estinto nè vivo, e chi si getta
Ferocemente colle mani ladre
A dar nel sangue e nell’aver di piglio.
Io so che l’arte, il senno e la fatica
350Di nove mèssi biondeggiar faranno
A nuove genti la deserta arena,
O la maligna e livida maremma.
Ma lunga è la fatica, e l’arte è lenta,
E tardo il senno, od il soccorso vano.
355So, che il commercio libero dispensa
Ad una schiera quel che all’altra avanza;
Ma se l’umana razza ogni confine
In ogni parte traboccando ecceda,
Non uscirà dal pelago profondo
360Ignoto campo che maturi al Sole
Novelle biade. Lacera e digiuna
Dunque al soffrire più che al viver nata
Sarà la plebe pullulante e sozza?
Il prevedere e il prevenir si dona
365A noi, cui l’immortal raggio balena
Nella mente, che vede e vuole e sceglie,
Ed il merto ne coglie o la rampogna.
Da questo loco saettar non giova
Contro all’alta, superba, opposta cima;
370Nè la scabrosa valvula si scalza
Che sale e scende, e l’adito concede
Agli altrui doni o nega, ed ai nativi
Apre o chiude l’uscita. Inutil freno,
Impotente richiamo, allor che gli uni
375Non alletti a restare, e a mover gli altri,
Ragion fatta del tempo e del dispendio,
L’equilibrato prezzo non inviti.
Ma dall’inospitai lido rifugge
La nave carca, se al ritorno è chiuso
380O incerto il varco; ed alla nota sponda
Dirittamente veleggiando corre.
Onde sorga il valore e come prenda
Nome di prezzo, e la sembianza muti
In parte appresi. Ora a saper m’invogli
385A qual indice e norma e a qual riscontro
Fidatamente all’occhio si misuri.
Vana impresa (rispondi) e sciocca quanto,
Se un cerchio a misurar prendo col cerchio
Che forma la percossa onda d’intorno.
390Se l’un valor coll’altro si ragguaglia,
Dov’è l’universale unico tipo,
Che al paragon di tutti ognor risponda
In sua costanza? Il sacrificio muta
Delle forze e del tempo all’opra dato
395Diversamente con diverso ingegno,
Nel vario clima e nella varia etade
Da popol vario. Ma dell’opra fosse
Pur sempre il frutto e la fatica eguale;
Forse eguale il bisogno ed il compenso
400Anco sarebbe? Nè più certa norma
Dal valor delle biade a noi si porge;
Che al crescer delle genti immota resta
L’antica zolla; o di più ricche mèssi
Senza novo sudor ride la terra,
405Che a più valido aratro il sen dischiuse.
Al monte volgo ed alla valle il passo,
Al pingue cólto e alla infeconda spiaggia;
Nè sul desco fumar la stessa io vedo
Necessaria vivanda. Alla discorde
410Delle cose ragione il prezzo ferve
Di loco in loco, or nella nebbia avvolto
Che pel volger degli anni si raduna,
Ed ora esposto alle iterate offese
Della improvvida man, che non per l’elsa,
415Ma per l’acuto taglio il brando impugna.
Col bisogno la merce si raddoppi,
E il valor suo conserva; o la moneta
All’uopo manchi, e nel valore agguaglia
La doppia merce. La bilancia pende
420Al destro lato, se di novo carco
L’aggravi, od al sinistro il pondo scemi,
E in bilico riman quando ai due lati
Aggiungi a un tratto o togli un egual pondo.