Sotto il velame/L'altro viaggio/XI

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L'altro viaggio - XI

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XI.


Ora è ben giusto che nel paradiso siano dati i premi che sono annunziati nel purgatorio. E così le sette beatitudini si trovano lassù. E ragionevole pare che siano lassù anche i doni, perocchè “perfettissimamente saranno in patria„, come afferma S. Tommaso seguendo S. Ambrogio. In Gerusalemme, città di Dio, lo Spirito Santo scorrerà “fervido per lo sbocco delle sette spirituali virtù„.1 Il dono della sapienza che corrisponde alla beatitudine del cuore purificato dal fuoco, è quello che dà la visione e il paradiso. Dante ascende con gli occhi fissi in quelli [p. 400 modifica]occhi che erano di là da quel fuoco. Nel salire, già Dante vuol sapere come salga; e da Beatrice lo sa. E si congiungono “con la prima stella„.2 Essa è lucida, ma è una nube. E Dante vuol sapere il perchè delle macchie lunari; e da Beatrice lo sa. Egli apprende verità speculative sin qui. Lo dice:3

               Quel sol che pria d’amor mi scaldò il petto,
               di bella verità m’avea scoperto,
               provando e riprovando, il dolce aspetto.

E dopo aver veduto Piccarda, due dubbi lo affamano. Vuol sapere, perchè la violenza altrui scemi il merito di chi la sofferse, e se è vera la sentenza di Platone che le anime tornano alle stelle.4 Chiarito di questi due punti, domanda “d’un’altra verità„.5 E quella che perfettamente vede,6 illustra anche questa. E parla della libertà del volere.

Salgono ancora. Sono nella Stella di Mercurio, più limpida, non però perfettamente limpida. Gli splendori che vi sono dentro, sembrano pesci in acqua tranquilla e pura. Un velo c’è, per quanto trasparente.7 Qui Dante apprende la storia dell’Aquila Romana. Siamo nella vita attiva. È la ragion pratica che è illuminata.8 E poi gli si solve il dubbio intorno alla giusta vendetta che fu giustamente vendicata.9 E siamo anche qui nella giustizia, che è la virtù massima dell’attività. Si può concludere che domina la sapienza nella prima stella e la scienza nella seconda? [p. 401 modifica]

Ma l’uno è un pianeta macchiato, e l’altra è una stella “che si vela ai mortal con altrui raggi„.10 Solo in Venere le anime sono come faville in fiamma, e luce in luce.11 Molti qui sono gli accenni al vedere e antivedere e discernere e mostrare verità, sino a quel verso:12

               Dio vede tutto, e il tuo veder s’inluia

che è la propria definizione della sapienza. Ora non deve sfuggire ad alcuno che questo splendore cresciuto è in rapporto con l’amore — non folle — che raggia di quella stella;13 e che la visione è concessa al cuore che si monda attraverso il fuoco, laggiù nella somma cornice. Non è qui il dono della sapienza? Qui Carlo Martello dice a Dante:14

                                                              S’io posso
               mostrarti un vero, a quel che tu domandi
               terrai il viso come tieni il dosso.

E così lo mostra. E qui Dante fa prova di riflettere ciò che pensa in uno di quegli spiriti.15 Ma sale ancora. Egli si volge al lettore che invita a levar la vista:16

               Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco,
               retro pensando a ciò che si preliba,
               s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
               
               Messo t’ho innanzi; omai per te ti ciba...

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Comincia così una lunga parte del paradiso, in cui domina la nota del cibo e del convivio. È la spera del sole. Qui è

                                                 la quarta famiglia
               dell’alto padre che sempre la sazia;

qui si parla di “vin della sua fiala„, qui parla un “degli agni della santa greggia„

               che Domenico mena per cammino,
               u’ ben s’impingua, se non si vaneggia;

e il mondo “gola„ di saper novella d’un altro. E si parla di sete e di dolce e di dolcezza e di frutto e di “peculio ghiotto d’altra vivanda„ e di pecore “di latte vote„, e di “agricola„, di vigna, di ricolta.17 E tre volte torna quel “s’impingua„, con forse il ricordo della pinguedine del “bue muto„; e, in fine, tutto si dichiara con l’espressione “amor della verace manna„,18 e col ricordo di Eva e del suo palato, e col ragionare intorno alla incarnazione e alla risurrezione.19 Impossibile è negare che qui sia l’eco della beatitudine di quelli che hanno fame, e l’ombra dei due alberi, uno di vita, l’altro di scienza di bene e di male. E dietro il dottore di Aquino, rivestito della carne gloriosa e santa,20 apparisce lo spettro di Ciacco, con la sua carne e sua figura; 21 sotto la pioggia e la grandine e tra i vermi, l’uno; e l’altro nel ciel del Sole. Non fu il dono dell’intelletto che valse contro la bassa concupiscenza?

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E come nel ciel del Sole è fame, sete è nel ciel di Marte. Si direbbe che è data, codesta sete, “dall’affocato riso della stella„, che era “più roggio che l’usato„.22 Cacciaguida invero afferma:23

                        il sacro amore, in che io veglio
                 con perpetua vista, e che m’asseta
                 di dolce desiar...

E Dio invero fu solo che li “allumò ed arse col caldo e con la luce„.24 E Dante solve un digiuno, che può essere di bevanda, e sazio vuol essere d’un nome, come si può essere di acqua.25 E Beatrice vuole che Dante26

                                                  s’ausi
               a dir la sete, sì che l’uom gli mesca;

e Dante gusta un discorso, in cui è temprato “col dolce l’acerbo„, e ne prepara un altro che a molti può sapere “di forte agrume„. 27 L’eco del sitiunt è così distinta nella spera di Marte, come dell’esuriendo in quella del Sole. E l’oggetto sì di quella sete e sì di quella fame, oggetto che è la giustizia, si vede chiaro nell’una e nell’altra spera; chè là si parla di tali che fuggono o coartano la scrittura28 e di genti, che per dar retta a quelli, sono troppo sicure nel giudicare. Si legga:29

               Non sien le genti ancor troppo sicure
               al giudicar, sì come quei che stima
               le biade in campo pria che sien mature:

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               ch’io ho veduto tutto il verno prima
               il prun mostrarsi rigido e feroce,
               poscia portar la rosa in su la cima;
               
               e legno vidi già dritto e veloce
               correr lo mar per tutto suo cammino,
               perire al fine all’entrar della foce.
               
               Non creda donna Berta o ser Martino...

Come non istupire della coincidenza con tutto quel ricredersi della cornice della gola? Ora il ricredersi è per il dono dell’intelletto, che guida la ragione speculativa a rettamente giudicare. Ma nella spera di Marte Cacciaguida descrive il tempo in cui Fiorenza “si stava in pace sobria e pudica„ e nessuna dismisura, che già per sè è ingiusta, e peggio diventa, la offendeva.30 E come il martirio per la croce è l’opposto dell’amor di cosa che non duri, e perciò questa spera è il contrario del cerchio e della cornice dell’avarizia, e perciò quivi sono maledetti coloro che cambiano e mercano;31 così è qui e là è sottinteso quel dono del consiglio, che guida la ragion pratica a giudicar bene delle cose terrene, governate da tale il cui giudizio è occulto. E qui Dante chiede e ha dal suo avolo il grande “consiglio„.32

E il dono della fortezza è nella giovial facella, in cui è quella gioia, quella consolazione, che è data in premio a coloro qui lugent. Qui tutto è letizia. I beati sono come augelli “congratulando a lor pasture„, e a forma d’uccello si dispongono, e questo uccello fa tali movimenti,33 [p. 405 modifica]

               quasi falcon che uscendo dal cappello,
               muove la testa, e con l’ale si plaude,
               voglia mostrando e facendosi bello;

e ancora

               quale sovr’esso il nido si rigira,
               poi che ha pasciuto la cicogna i figli;

e ancora tali altri,

               quale allodetta che in aere si spazia
               prima cantando.

Qui è “dolce frui„, qui sono “fiori di letizia„ qui è “eterno piacere„. E come tal gioia è consolazione di quel pianto, così l’amore ardente e il caldo amore e il fuoco di vero amore è proprio il contrario di quel poco o lento amore, di quella tepidezza. E le parole scritte nell’aquila diligite iustitiam, si oppongono, la prima, a questa pochezza e lentezza e tepidezza d’amore, la seconda al diniego della giustizia, alla viltà che laggiù laggiù nel brago dello Stige rissa e gorgolia. E i gran regi, che staranno laggiù, quassù sono designati. Or non leggeremo noi in questo cielo la parola fortitudo? “O milizia del ciel„34 esclama il Poeta. E l’aquila se rende imagine di giustizia, ha, per ciò che ho detto, spirito di fortezza: di quella fortezza che fa alcuni uomini divini, come voleva Aristotele; di quella virtù eroica o divina che i dottori cristiani dicevano appunto, interpretando a modo loro Aristotele, ispirazione dello Spirito Santo, mediante i suoi doni.35

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E troveremo la scienza nel cielo di Saturno? Certo v’è la beatitudine dei pacifici. Già Saturno “sotto cui giacque ogni malizia morta„ bene nomina il cielo che è opposto al primo cerchio della malizia, dove Virgilio spense quell’ira bestiale. E sono contemplanti i pacifici che lassù godono. Ma è in questa spera indizio di quel dono per il quale la ragion pratica è condotta ad apprendere la verità? Sì. In questa spera a una domanda sulla predestinazione si risponde:36

               Ma quell’alma nel ciel che più si schiara,
               quel serafin che in Dio più l’occhio ha fisso,
               alla domanda tua non satisfara;
               
               però che sì s’inoltra nell’abisso
               dell’eterno statuto quel che chiedi,
               che da ogni creata vista è scisso.
               
               Ed al mondo mortal, quando tu riedi,
               questo rapporta, sì che non presuma
               a tanto segno più mover li piedi.
               
               La mente che qui luce, in terra fuma.

Così è dichiarato un limite alla scienza. E poi Pier Damiano parla della corruzione dei moderni pastori. E sembra questo discorso essere in proporzione a quello che tra il “fumo„ fa Marco Lombardo, sulla reità del mondo. Benedetto parla delle badie fatte spelonche e delle cocolle fatte sacca. Marco Lombardo ha dichiarata la malizia della strada del mondo, questi l’altra dell’altra: di quella di Dio.37

E nel cielo delle stelle fisse è la beatitudine [p. 407 modifica]dei misericordi e il dono della pietà, ed è l’opposto quindi dell’invidia. Dante vi si volge con gli eterni Gemelli, e così vede “l’aiuola che ci fa tanto feroci.„38 In verità l’occhio dell’invido “pur a terra mira„,39 e per quel mirare l’animo si fa feroce. Laggiù l’aiuola dell’invidia, quassù il dono della pietà e la beatitudine dei misericordi. Ad accertarne, potrebbe bastare quella comparazione dell’augello,40

               posato al nido de’ suoi dolci nati.

Ma “ecco le schiere del trionfo di Cristo„, o della misericordia divina, come si potrebbe dire: di quella “sapienza e possanza„41

               ch’aprì le strade intra il cielo e la terra.

Ma “quivi è la rosa in che il Verbo divino carne si fece„, quivi risuona il nome “del bel fiore„ che Dante invocava mattina e sera.42 In lei misericordia! in lei pietate! Qui si vede l’atto di quei candori che si stendono in su, come il fantolino tende le braccia “in ver la mamma... poi che il latte prese„.43 E c’è oltre che misericordia, oltre che pietà nel senso di regolatrice dei nostri doveri verso il prossimo, v’è la pietas nell’altro senso augusto. Quivi il Poeta è esaminato intorno alle tre virtù sante, nel cui esercizio si assomma la pietà o religione.44 E Pietro maledice ciò che è nelle bolgie, la simonia, lo scisma, l’ipocrisia dei lupi in vista di pastori; e fa più [p. 408 modifica]altamente sonare ciò che Dante disse a colui che forte springava. E infine... oh! forse si legge la parola pietà e la parola misericordia in quell’alto e pur mesto scongiuro alla “crudeltà„ che serrava il Poeta fuor dell’ovile. Scongiuro sublime! Vi è dentro la coscienza della sua grandezza. Egli nomina “il poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra„. Ma vi trema un’altra voce d’accoramento umile. Quale straziante imagine è della pecora a cui è chiuso l’ovile, e che bela di fuori, nella notte! Onorate l’altissimo poeta! sembra dire. E sembra aggiungere: Pietà! vorrei morire nel mio dolce nido: apritemi le porte! lasciatemi vedere il fonte del mio battesimo, prima che io entri nella tomba!

Resta il nono cerchio. Vi si discorre del “maledetto superbire„ di Lucifero.45 Vi si vedono gli angeli rimasti fedeli. Essi furono umili, come quello fu superbo. Essi non volser viso dalla faccia di Dio, come quello alzò le ciglia contro lui.46 Qui si è beati della beatitudine, che esso non volle, e si gode la visione del Signore, che esso non temè.

E concludendo questi non più che cenni di maggior trattato, dico che il paradiso, dopo le due spere inferiori, che sono come il vestibolo e in cui pur si trovano i doni della sapienza e della scienza, ha, oltre la ragione astrologica, chiara a intendersi, e altro che ora ometto, questo modo: che i beati si mostrano nelle spere dove è il premio annunziato nel purgatorio, e questo premio è ottenuto con la virtù indicata colà e mercè il dono dello spirito colà sottinteso. I quali doni sono raffigurati soltanto nella [p. 409 modifica]foresta divina coi sette candelabri. Essi formano, tutti e sette insieme, un “bello arnese„ più chiaro della luna; formano un alone di luna e un iride di sole. Sono, in vero, il lume che in noi s’infonde. E tra il primo e l’ultimo sono dieci passi: il che significa che i doni che si assommano nella prudenza, ci sono dati per la giustizia, per la quale sono i dieci comandamenti.47 Or dunque in Venere sono i beati mundo corde, per il dono della sapienza; nel Sole i beati esurientes, per il dono dell’intelletto; in Marte, i beati sitientes, per il dono del consiglio; in Giove, i beati qui lugent, per il dono della fortezza; in Saturno, i beati pacifici, per il dono della scienza; nelle stelle fisse, i beati misericordes, per il dono della pietà; nel primo mobile, i beati pauperes spiritu, per il dono del timor di Dio.