Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo I/Parte III/Libro III/Capo IX

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Capo IX – Greci eruditi in Roma

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Capo IX.

Greci eruditi in Roma.

I. Questo che abbian finora descritto, era il lieto e fiorentissimo stato in cui trovavasi la romana letteratura a’ tempi di Cesare e di Augusto; ei’io non so se troverassi altro secolo che un sì gran numero d’uomini, quali in una, quali in altra, e molti in molte scienze eccellenti, possa vantare, e tutti in una sola città insieme raccolti. L’onore in cui erano in Roma [p. 590 modifica]^9° PARTE TERZA le scienze e gli uomini dotti, non solo fece sempre più ardente l’impegno di coltivare gli studi; ma vi trasse ancora molti de’ più eruditi tra’ Greci; che volentieri accorrono gli-uomini, ove possono fondatamente sperare e stima e premio del lor sapere. Già si è rammentato ciò che a favor de’ filosofi e de’ letterati d’ogni maniera fecero Lucullo, Cesare, Cicerone, Augusto , Mecenate ed altri. Il gran Pompeo parimente in ogni occasione dava a vedere in quanto pregio egli avesse gli uomini dotti; e ben mostrollo singolarmente, quando venuto a Rodi di niun’altra cosa fu più sollecito che di andare a trovare il celebre filosofo Possidonio, al quale allora infermo rese i più solenni onori; e volle udire le dispute de’ più famosi filosofi che ivi erano , a ciaschedun de’ quali ancora donò un talento (Cic. Tusc. Quaest. l. 2, n. 25; Plut. in ejus Vita). Somigliante prova di sua stima verso i filosofi diede Augusto, quando impadronitosi d’Alessandria onorò il filosofo Areo de’ più distinti contrassegni di amicizia e di confidenza, e a’ cittadini disse pubblicamente che un de’ motivi per cui egli si conduceva ad accordar loro il perdono , si era il desiderio di far piacere al suo amico Areo (Plut in Antonio). Nè minore stima mostrò egli verso il filosofo Niccolò Damasceno nel breve tempo in cui questo soggiornò in Roma (V. Mém, de l’Acad. des Inscr.). II. Non è dunque a stupire che molti Greci che per lo studio delle belle arti eran nella lor patria famosi, l’abbandonasero per venire a Roma , certi che la lor dottrina avrebbe e ad [p. 591 modifica]LIBRO TERZO 5gi essi ed agli altri recato non ordinario vantaggio. De’ filosofi greci eli’ erano in Roma, molto si è già detto di sopra. Alcuni greci retori ancora abbiam nominato parlando de’ giovanili studi di Cicerone e di altri Romani che alle loro scuole recavansi avidamente, nè giova qui il ripetere ciò che già su questo argomento si è detto. Mi basterà dunque il rammentare a questo luogo alcuni altri celebri Greci che allettati dall’onore in cui erano in Roma gli uomini dotti, vennero a fissarvi almeno per qualche tempo la lor dimora. Diodoro Siciliano , di cui abbiamo parlato trattando degli studi degli antichi Siciliani, vuole tra’ primi essere annoverato , poichè si è allora mostrato in qual pregio si debba avere la Storia da lui scritta. Or questi, dopo avere per molti anni viaggiato pe’ diversi paesi, la cui storia dovea narrare, fermossi ancora per lungo tempo in Roma, come egli stesso racconta (in praefat.), parte, per quanto si può raccogliere, ai tempi di Cesare , parte a’ tempi d’Augusto. Dionigi Alicarnasseo ancora celebre non meno per la bella sua Storia Romana, che per altre opere critiche ed erudite che di lui ci sono in parte rimaste , visse egli pure per ventidue anni in Roma a’ tempi d’Augusto (V. Photii Biblioth. n. 83), ed ivi scrisse la suddetta Storia. Ebbevi innoltre un Timagene scrittor di storie, caro prima ad Augusto di cui avea scritte le geste, poscia venutogli in odio per la soverchia libertà del suo favellare, e ciò non ostante protetto ed amato da Asinio Pollione , di cui parlano Seneca il Filosofo (De Ira, l. 3 , c. a3 [p. 592 modifica]PARTE TERZA ed ep. 91) e il Retore (Controv. 34), e un Eliodoro retore detto da Orazio il più dotto tra’ Greci Satyr. l. 1 , sat 5). Ma se tutti gli storici e gli altri scrittori greci che a questi tempi furono in Roma , e le cui opere son perite, io volessi qui annoverare, ella sarebbe cosa di non breve lavoro, e aliena ancora dal mio argomento; che degli eruditi stranieri che vi fecer dimora, debbo parlare sol quanto basta ad intendere il fiorente stato in cui era allora la romana letteratura. Il poco che qui ne abbiamo accennato, e le molte cose che abbiamo sparsamente qui e là toccate parlando de’ filosofi, degli oratori, dei medici, de’ gramatici e degli eruditi di qualunque altra maniera di cui a quel tempo abbondò Roma, ci fa conoscere abbastanza ch’era essa allora il centro di tutta la letteratura; che quanti vi erano in qualunque ancor lontano paese uomini dotti, vi fissavano volentieri la lor dimora; e che i Romani deposta finalmente quella rozza alterigia con cui, essendo essi barbari quasi al par delle altre nazioni, tutte le altre nondimeno miravano non altrimenti che barbare in lor confronto, avean appreso ad avere in pregio ancor gli stranieri; e che mostravano palesemente di esser persuasi che non alla patria, ma alla virtù e al sapere si dee la stima e l’onore. In tal maniera gli eruditi Greci che stavano in Roma, vi eran tenuti in quel pregio che alla lor dottrina si conveniva, ed essi insieme giovavano maravigliosamente ad avvivare sempre più ne’ Romani quell’ardor per gli studi, da cui eran

compresi. [p. 593 modifica]

Capo X.

Arti liberali.

1. Come nel ragionar degli Etruschi e de’ popoli della Magna Grecia e della Sicilia abbiamo ancor ragionato del fiorire che tra essi fecero le arti liberali, così ragion vuole ancora che lo stesso facciamo or de’ Romani. Ma il farem brevemente, e sol quanto basta a conoscere l’origine e il progresso di queste arti presso di loro. E cominciando dalla scultura e dall’arte statuaria, Varrone citato da S. Agostino (De Civ. Dei l. 4. c. 31) e Plutarco (in Numa) ci assicurano che per lo spazio di cento settant’anni niuna statua ne’ tempii di Roma ebbero gli Iddìi, così avendo comandato Numa nelle sue leggi. Dico ne’ tempii; perciocchè lucidi essi se ne videro anche ne’ più antichi secoli alcune, come fra le altre la statua di Giano a due facce, che Plinio dice consecrata da Numa stesso (l. 34, c. 7). Agli uomini ancora fino da’ primi tempi si videro innalzate statue in Roma, e il medesimo Plinio rammenta quella di Clelia al tempo della guerra di Porsena (ib. c. 6). Erano però ne’ tempi più antichi le statue o di creta, o di legno; e la prima statua di bronzo che in Roma si vedesse, dice lo stesso autore (ib. c. 4), che fu quella di Cerere fatta col denaro di Spurio Cassio, allorchè egli per sospetto di affettata autorità reale fu ucciso, il che avvenne l’anno di Roma 268. Aggiugtie, che dagli Iddii passò poi questo onore agli Tìraboschi, Voi. I. 38